Conclusione Radiazione dal ruolo; Parzialmente inammissibile; Non – violazione dell’art. 8 (espulsione)
SECONDA SEZIONE
CAUSA CHERIF ED ALTRI C. ITALIA
( Richiesta no 1860/07)
SENTENZA
STRASBURGO
7 aprile 2009
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Cherif ed altri c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Ireneu Cabral Barreto, Vladimiro Zagrebelsky, Danutė Jočienė, Dragoljub Popović, András Sajó, Nona Tsotsoria, giudici,
e di Francesca Elens-Passos, cancelliera collaboratrice di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 10 marzo 2009,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data,:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 1860/07) diretta contro la Repubblica italiana e in cui due cittadini tunisini, i Sigg. F. B. F. C. e K. C., ed una cittadina italiana, la Sig.ra S. B. (“i richiedenti”), hanno investito la Corte il 10 gennaio 2006 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. I richiedenti sono rappresentati da A. B., avvocato a Genova. Il governo italiano (“il Governo”) è rappresentato dal suo agente, la Sig.ra E. Spatafora e dal suo co-agente aggiunto, il Sig. N. Lettieri.
3. I richiedenti invocano una violazione del loro diritto di ricorso individuale ed adducono che il collocamento in esecuzione della decisione di espellere il primo richiedente ha ignorato gli articoli 3, 6, 8, 13 e 34 della Convenzione e l’articolo 1 del Protocollo no 7.
4. Il 13 marzo 2007, la presidentessa della seconda sezione ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Come permesso dall’articolo 29 § 3 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la camera si sarebbe pronunciata sull’ammissibilità e sul merito della causa allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
5. Il primo richiedente è un cittadino tunisino nato nel 1970 e residente attualmente in Tunisia. Il richiedente è la moglie del primo richiedente. Cittadina italiana, è nata nel 1964 e ha risieduto a Dazio (Sondrio). Il secondo richiedente è il fratello del primo richiedente. È un cittadino tunisino. La sua data di nascita ed il suo luogo di residenza non sono conosciuti.
A. L’espulsione del primo richiedente
6. Nel gennaio 1993, il primo richiedente si stabilì in Italia. Traslocò con la richiedente, che sposò il 24 maggio 1996, ed ebbe con lei tre bambini, nati rispettivamente l’ 11 dicembre 1996, il 28 agosto 2001 ed il 21 giugno 2004. Ottenne un permesso di soggiorno regolare.
7. I richiedenti affermano che il primo richiedente non è mai stato accusato di nessuna violazione penale in Italia. Sarebbe stato condannato in compenso in contumacia ad otto anni di detenzione dal tribunale militare di Tunisi. I richiedenti non hanno prodotto alcuna copia di questo giudizio.
8. Il 13 luglio 2005, degli agenti della prefettura (Questura) di Sondrio perquisirono la casa del primo richiedente. Risulta dal verbale della perquisizione che una “fonte confidenziale credibile” aveva dato degli indizi che portavano a credere che l’interessato detenesse illegalmente delle armi, delle munizioni o delle materie esplosive. Tuttavia, nessuno di questi oggetti fu trovato presso il suo domicilio.
9. Con un’ordinanza del 4 gennaio 2007, il ministro delle Cause interne ordinò l’espulsione del primo richiedente verso la Tunisia, in applicazione delle disposizioni del decreto-legge no 144 del 27 luglio 2005 (decreto intitolato “misure urgenti per combattere il terrorismo internazionale”) e convertito nella legge no 155 del 31 luglio 2005. Osservando che “risultava dagli atti” che il primo richiedente intratteneva delle relazioni seguite con degli elementi di primo piano dell’integralismo islamico in Italia che avevano giocato un ruolo nei progetti terroristici, il ministro spiegò che tenuto conto del “contesto reale del terrorismo di tipo islamico”, aveva delle ragioni di pensare che con la sua presenza in Italia, il primo richiedente potesse prestare assistenza alle organizzazioni o a delle attività terroristiche.
10. Il ministro precisò che il primo richiedente avrebbe potuto ritornare in Italia solo sulla base di un’autorizzazione ministeriale ad hoc e che la prefettura di Sondrio era incaricata dell’esecuzione dell’ordinanza di espulsione. Indicò inoltre che questa ordinanza poteva essere attaccata dinnanzi al tribunale amministrativo (“TAR”) del Lazio entro sessanta giorni.
11. Il 4 gennaio 2007, verso le 16, il primo richiedente fu interpellato dalla polizia e fu condotto alla prefettura (Questura) di Milano, dove si vide notificare l’ordinanza di espulsione così come un’ordinanza con cui il prefetto di Sondrio revocava il permesso di soggiorno che gli era stato concesso il 19 gennaio 2000 per una durata indeterminata. Questa decisione poteva essere contestata dinnanzi al TAR del Lazio entro sessanta giorni.
12. Prima di essere condotto alla prefettura, il primo richiedente avrebbe telefonato alla richiedente, informandolo che la polizia l’aveva fermato. Questa avrebbe provato in seguito a più riprese a contattarlo, ma senza successo. Gli avrebbe potuto parlare solamente la sera, mentre era in strada verso l’aeroporto in vista del suo rimpatrio.
13. Secondo il racconto fatto dalla richiedente di questa comunicazione telefonica, il primo richiedente avrebbe supplicato che non lo si rimpatriasse, spiegando che temeva per la sua vita, ed avrebbe chiesto di contattare un avvocato. Qualcuno gli avrebbe risposto che niente poteva essere fatto, poi la linea sarebbe stata tagliata.
14. Questa versione dei fatti è contestata dal Governo che ha prodotto una nota della prefettura di Sondrio datata 3 luglio 2007. Secondo questa nota, dopo avere notificato al primo richiedente l’ordinanza d’espulsione, il personale della prefettura gli avrebbe chiesto se avesse desiderato contattare qualcuno prima che l’espulsione venisse posta in esecuzione. L’interessato avrebbe telefonato a due riprese alla richiedente. Gli sarebbe stato chiesto allora se avesse avuto bisogno di altro, ed egli avrebbe risposto negativamente, aggiungendo solamente che certi suoi effetti personali ed una certa somma di denaro dovevano essere dati a sua moglie. Infine, una volta arrivati all’aeroporto di Milano, avrebbe telefonato una terza volta alla richiedente.
15. Verso 21h10, la richiedente avrebbe fatto una richiesta di asilo politico a nome di suo marito. Questa richiesta non fu esaminata perché il primo richiedente era già stato imbarcato su un volo per Tunisi che sarebbe decollato alle 21h20. Però, il suo nome non figurava sull’elenco dei passeggeri di questo volo, e nessun lasciapassare gli era stato concesso. A questo riguardo, i richiedenti sottolineano che il passaporto del primo richiedente non era più valido, avendo negato da molto le autorità tunisine di rinnovarlo.
16. Secondo i richiedenti, la polizia di Milano avrebbe esercitato delle pressioni sul primo richiedente, invitandolo a “collaborare”.
17. Il 5 gennaio 2007, un agente della prefettura di Sondrio avrebbe dichiarato alla richiedente: “per noi, Signora, vostro marito è libero; la Digos di Milano gli ha chiesto di collaborare e non ha dato la risposta auspicata.”
18. Il primo richiedente arrivò a Tunisi in compagnia di un altro cittadino tunisino il cui nome non è conosciuto. Questo non fu privato della sua libertà. Secondo i richiedenti, il Sig. C., in compenso, fu incarcerato e torturato fino al 15 gennaio 2007 nei locali del ministero delle Cause interne di Tunisi.
19. Il 22 gennaio 2007, i richiedenti hanno indicato che il primo richiedente era detenuto presso il penitenziario civile di Tunisi, dove era stato posto “sotto la responsabilità” delle autorità militari; e che i membri della sua famiglia non avevano nessuno contatto con lui.
20. La famiglia del primo richiedente avrebbe nominato un avvocato per rappresentarlo in Tunisia. Però, questo avvocato non avrebbe potuto ottenere alcuna copia degli atti del procedimento né avrebbe potuto conoscere in modo preciso le accuse portate contro il suo cliente.
21. Nel frattempo, l’ 11 gennaio 2007, il richiedente ed il secondo richiedente avevano fatto una richiesta alla Corte di misura provvisoria in virtù dell’articolo 39 dell’ordinamento. Chiedevano che l’Italia fosse invitata a produrre delle garanzie in quanto al rispetto della vita e dell’integrità fisica del primo richiedente ed a sforzarsi di ottenere la sua rimessa in libertà immediata, il suo ritorno in Italia, così come la possibilità per lui di nominare un avvocato di sua scelta in Tunisia e di comunicare con la sua famiglia. Il 12 gennaio 2007, gli avvocati dei richiedenti furono informati che la loro istanza era stata respinta. Alcune nuove istanze che miravano ad ottenere la misura di emergenza della sospensione dell’ordinanza d’espulsione, introdotte il 23 maggio e il 2 luglio 2007, furono considerate come al di fuori dal campo di applicazione dell’articolo 39 e non furono quindi sottomesse per una decisione al presidente della camera.
22. In una data non precisata, la richiedente investì il tribunale regionale amministrativo (“TAR”) del Lazio per ottenere l’annullamento dell’ordinanza d’espulsione e della revoca del permesso di soggiorno di suo marito. Chiese inoltre la sospensione dell’esecuzione delle decisioni controverse. Con un’ordinanza del 26 aprile 2007, il TAR del Lazio respinse l’istanza di sospensione. Osservò da prima che la richiedente non sembrava avere il locus standi per attaccare degli atti che riguardavano suo marito e che questo ultimo non aveva nominato un avvocato per rappresentarlo; poi che il primo richiedente era detenuto a Tunisi, il che rendeva impossibile, di fatto, il suo ritorno in Italia; ed infine che l’interesse dello stato a proteggere la sicurezza nazionale sembrava destinato a prevalere sull’interesse particolare dei richiedenti. La conclusione del ricorso per annullamento dinnanzi al TAR non è conosciuta.
23. In una nota del 2 luglio 2007, il ministero delle Cause interne precisò che, contrariamente a ciò che era stato affermato dai richiedenti (vedere sopra il paragrafo 7), il primo richiedente aveva numerosi precedenti giudiziali in Italia. In particolare, con un giudizio dell’ 11 aprile 1996 che aveva acquisito poi forza di cosa giudicata, il tribunale di Milano l’aveva condannato a dieci mesi di detenzione per possesso di stupefacenti; il 22 marzo 1999, questo stesso tribunale aveva pronunciato una condanna per possesso e spaccio di stupefacenti ad un anno ed un mese di detenzione. Questa ultima condanna era diventata definitiva il 17 gennaio 2004, ed il rinvio dell’esecuzione della pena, concesso all’epoca della prima condanna, era stato revocato. In più, nel giugno 1999 e nel luglio 2001, il richiedente era stato arrestato ed era stato perseguito per oltraggio e resistenza ad un pubblico ufficiale; nel 1997 e nel 2002, dei perseguimenti erano stati iniziati a suo carico per rissa, percosse e lesioni, degradazione di cosa altrui e porto proibito di un oggetto che poteva essere utilizzato come un’arma.
24. In una nota del 4 luglio 2007, lo stesso ministero indicò che la pericolosità del primo richiedente era stata dedotta dal fatto che frequentava, dal 2002, numerosi cittadini stranieri implicati nelle cause che erano oggetto di inchieste giudiziarie.
B. Le assicurazioni diplomatiche ottenute dalle autorità italiane
25. Il 29 agosto 2008, l’ambasciata d’Italia a Tunisi indirizzò al ministero tunisino delle Cause estere una nota verbale (no 3124) nella quale sollecitò delle assicurazioni diplomatiche. Il contenuto di questa nota si trova nella sentenza Soltana c. Italia, no 37336/06, § 19, 24 marzo 2009.
26. Il 5 novembre 2008, le autorità tunisine fecero pervenire la loro risposta, firmata dall’avvocato generale alla direzione generale dei servizi giudiziali. Nelle sue parti pertinenti, questa risposta si legge come segue:
“Nella sua nota verbale in data del 29 agosto 2008, come completata dalla sua nota verbale datata del 4 settembre 2008, l’ambasciata dell’Italia a Tunisi ha sollecitato, dalle autorità tunisine, le assicurazioni, qui di seguito enumerate, concernenti i cittadini tunisini F. C. [ed altri] nel caso dovessero essere espulsi verso la Tunisia. (…)
II. Trattandosi dello denominato F. C., le autorità tunisine sottolineano che in seguito alla sua espulsione verso la Tunisia, è stato tradotto in giustizia a capo di violazioni terroristiche riguardanti la sua adesione, fuori dal territorio della repubblica tunisina, ad un’intesa in rapporto con le violazioni terroristiche e la raccolta di fondi di cui egli [sa] che sono destinati a finanziare delle persone, delle organizzazioni e delle attività terroristiche.
L’interessato ha beneficiato di un processo equo nel corso del quale ha potuto fare valere tutti i suoi mezzi di difesa. È stato riconosciuto colpevole di concessione di contributi pecuniari ai membri di una banda di malviventi e condannato, sotto questo capo, ad un anno di detenzione e [egli] ha beneficiato di un non luogo a procedere per la violazione di adesione ad un’organizzazione terroristica.
F. C. è stato liberato nel corso del mese di gennaio 2008, dopo [avere scontato la sua pena]. È da notare che ha beneficiato, nella struttura penitenziaria, di un programma di sostegno psicologico e di un programma di riabilitazione che gli ha permesso di apprendere un mestiere in modo da facilitare il suo reinserimento nella società.
(…)
La garanzia del diritto di ricevere delle visite:
detenuti dalla legge del 14 maggio 2001 relativa all’organizzazione delle prigioni. Questa legge consacra il diritto di ogni prevenuto a ricevere la visita dell’avvocato incaricato della sua difesa, senza la presenza di un agente della prigione così come la visita dei membri delle loro famiglie. Se il loro arresto [viene] deciso, gli interessati godranno di questo diritto conformemente alla regolamentazione, in vigore e senza restrizione nessuna.
Concernente la domanda di visita degli interessati da parte degli avvocati che li rappresentano nel procedimento in corso dinnanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo, le autorità tunisine osservano che tale visita non può essere autorizzata in mancanza di convenzione o di cornice legale interna che l’autorizzi.
Difatti la legge relativa alle prigioni determina le persone abilitate ad esercitare questo diritto: si tratta in particolare dei membri della famiglia del detenuto e del suo avvocato tunisino.
La Convenzione di aiuto giudiziale concluso tra la Tunisia e l’Italia il 15 novembre 1967 non contempla la possibilità per gli avvocati italiani di rendere visita ai detenuti tunisini. Tuttavia gli interessati potranno, se lo desiderano, incaricare degli avvocati tunisini di loro scelta [di] rendere loro visita e di procedere, coi loro omologhi italiani, al coordinamento delle loro azioni nella preparazione degli elementi della loro difesa dinnanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo.
(…) .”
C. La rappresentanza dei richiedenti dinnanzi alla Corte
27. Al momento dell’introduzione della loro richiesta, il 10 gennaio 2007, la richiedente ed il secondo richiedente avevano firmato una procura a favore di due avvocati del foro di Milano, i Sig. S. C. e B. M.. Nessuna procura era stata firmata dal primo richiedente che a questa epoca era stato appena espulso verso la Tunisia. Il formulario di richiesta era firmato dai Sig. C. e M..
28. Con un fax del 2 aprile 2007, A. B. informò la Corte che era la nuova rappresentate dei richiedenti, e che ogni corrispondenza relativa alla presente richiesta doveva essere indirizzata al suo studio a Genova. Con una lettera del 13 aprile 2007, la cancelleria della Corte trasmise a B. un modulo di procura, invitandola a farlo pervenire alla Corte, debitamente compilato, il più presto possibile. Allo stesso tempo, la cancelleria informò i Sig. C. e M. del fax di B. e precisò che, salvo indicazione contraria da parte loro, si sarebbe ritenuto che solo questa ultima rappresentava i richiedenti. Nessuna risposta fu ricevuta dai Sig. C. e M..
29. Con un fax del 27 aprile 2007, B. fece pervenire alla cancelleria della Corte una procura a suo favore firmata dal richiedente. Il primo e il secondo richiedente non firmarono nessuna simile procura.
30. In seguito, B. produsse il seguente documento, datato 9 febbraio 2007, ed in fondo al quale figura una firma illeggibile:
“Io sottoscritto F. B. F. C., nato a Tunisi il 31 maggio 1970, nomina in quanto avvocato di mia scelta A. B. del foro di Genova affinché mi rappresenti e mi difenda dinnanzi al TAR [del] Lazio rispetto alla revoca del [mio] permesso di soggiorno e [alla mia] espulsione dall’Italia. Eleggo domicilio presso il suo studio a Genova, Salita Viale no 5-2. “
IN DIRITTO
I. SULLA RICHIESTA INTRODOTTA A NOME DEL PRIMO RICHIEDENTE
31. La Corte osserva al primo colpo che il formulario di richiesta è stato compilato anche a nome del primo richiedente che sosterrebbe che il collocamento in esecuzione della decisione di espellerlo abbia violato gli articoli 3, 6, 8, 13 e 34 della Convenzione e 1 del Protocollo no 7.
32. Il Governo contesta i suddetti motivi di appello.
33. Arguisce innanzitutto che il primo richiedente non ha mai incaricato alcun avvocato per rappresentarlo dinnanzi alla Corte, essendo stata introdotta la presente richiesta unicamente da sua moglie e da suo fratello (la richiedente ed il secondo richiedente) che non avevano il potere di rappresentarlo. Indica poi che il giorno dell’espulsione, la notifica dell’ordinanza ministeriale ha avuto luogo alle 16, mentre il volo per Tunisi su cui il primo richiedente è stato imbarcato sarebbe decollato solamente alle 21h20: l’interessato avrebbe dunque disposto di più di cinque ore per fare appello ai servizi di un avvocato.
34. I richiedenti affermano che il primo richiedente è stato portato con la forza alla prefettura di Milano, dove non ha avuto la possibilità di contattare un avvocato di sua scelta. Sarebbe stato condotto poi all’aeroporto in vista dell’esecuzione della sua espulsione. Una persona che si è presentata come un ispettore di polizia avrebbe telefonato peraltro al richiedente, e gli avrebbe detto che era inutile chiamare un avvocato, essendo stato espulso il primo richiedente. La rappresentante dei richiedenti dinnanzi alla Corte avrebbe chiesto alle autorità tunisine l’autorizzazione a visitare il primo richiedente al penitenziario di Tunisi, ma questa autorizzazione le sarebbe stata rifiutata, allo stesso modo dei funzionari dell’ambasciata di Italia a Tunisi. Solo la richiedente avrebbe potuto vedere suo marito in Tunisia, e questo perché avrebbe ottenuto una procura firmata dall’interessato in sua presenza. Il tenore di questa procura figura sopra al paragrafo 30.
35. La Corte ricorda che ai termini dell’articolo 36 § 1 del suo ordinamento, “[le] persone fisiche possono sottoporre inizialmente delle richieste agendo o da [sole], o tramite un rappresentante.” Inoltre, una volta notificata la richiesta alla Parte contraente convenuta, ogni richiedente deve, salvo decisione contraria del presidente della camera, essere rappresentato da un consigliere abilitato ad esercitare per conto di una qualsiasi delle Parti contraenti e residente sul territorio di una di queste (vedere i paragrafi 2 e 4 a) dell’articolo 36 precitato). Ogni richiesta formulata in virtù dell’articolo 34 della Convenzione deve essere presentata infine, per iscritto e deve essere firmata dal richiedente o dal suo rappresentante; quando un richiedente è rappresentato, il suo o i suoi rappresentanti devono produrre una procura o un potere scritto (articolo 45 §§ 1 e 3 dell’ordinamento della Corte).
36. Nel presente caso, nessuno dei richiedenti ha presentato la sua richiesta agendo da solo; gli interessati sono passati tramite uno o parecchi rappresentanti, ossia inizialmente i Sigg. C. e M., difatti e poi, a partire dall’ aprile 2007, B.. Quindi, suddetti rappresentati erano tenuti di produrre una procura o un potere scrive firmati dai loro clienti.
37. Ora, le sole procure scritte concernenti il procedimento dinnanzi alla Corte che sono giunte alla cancelleria sono state firmate dalla richiedente e dal secondo richiedente, questo ultimo essendosi limitato a nominare i Sigg. C. e M.. Nessuna simile procura è stata prodotta a nome del primo richiedente (vedere sopra i paragrafi 27 e 29).
38. La Corte non potrebbe aderire alla tesi del Governo secondo cui l’interessato disponeva del tempo e delle facilità necessarie per cercare e nominare un rappresentante nelle poche ore che hanno seguito la sua interpellanza e preceduto il collocamento in esecuzione della decisione di espellerlo. A questo riguardo, ricorda che il 4 gennaio 2007, il primo richiedente è stato condotto alla prefettura di Milano verso 16 ore (vedere sopra il paragrafo 11), e che è stato imbarcato su un volo per Tunisi che è decollato alle 21h20 (vedere sopra il paragrafo 15). Nella misura in cui si è trovato allora in una situazione che doveva percepire come drammatica e in cui non era avvezzo agli arcani dei procedimenti giudiziali, non si potrebbe rimproverargli di non avere pensato, in un termine anche breve, ad intraprendere i passi giuridici che gli permettevano di essere rappresentato da un consigliere dinnanzi alla Corte.
39. Ne va diversamente, però, per il periodo seguente al collocamento ad esecuzione dell’espulsione. Risulta difatti dalle assicurazioni diplomatiche date dalle autorità tunisine che in prigione, il Sig. F. C. avrebbe avuto la possibilità di ricevere delle visite dal suo avvocato e dai membri della sua famiglia (vedere sopra il paragrafo 26). Difatti, la richiedente stessa ammette di avere potuto incontrare suo marito al penitenziario di Tunisi. Avrebbe ottenuto anche, il 9 febbraio 2007, una procura firmata dall’interessato. Questa procura però non riguarda il procedimento dinnanzi al TAR, e non menziona il procedimento dinnanzi alla Corte (vedere sopra il paragrafo 30).
40. In più, è stato indicato così dalle autorità tunisine senza che i richiedenti lo contestassero, il primo richiedente è stato liberato nel gennaio 2008 (vedere sopra il paragrafo 26). A partire da questa data, niente gli impediva di contattare sua moglie o l’avvocato italiano che la rappresentava e di far giungere loro, tramite corrispondenza o fax, una procura scritta.
41. La Corte lega anche importanza al fatto che, fin dall’ aprile 2007, la cancelleria di Strasburgo aveva invitato B. a produrre una procura debitamente compilata e firmata dai suoi clienti (vedere sopra il paragrafo 28). Inoltre, B. ha ricevuto una copia delle osservazioni del Governo che eccepiva della mancanza di procura a riguardo del primo richiedente. Non ha prodotto però simile procura, ma si è limitata a fare pervenire alla cancelleria il documento del 9 febbraio 2007, non valido ai fini della rappresentanza dinnanzi alla Corte (vedere sopra i paragrafi 30 e 39).
42. In queste circostanze, la Corte considera che il primo richiedente non intenda mantenere più la sua richiesta più e/o che non si giustifichi proseguirne l’esame ai sensi dell’articolo 37 § 1 a) e/o c) della Convenzione (vedere, mutatis mutandis, Fitzmartin ed altri, (déc.), no 34953/97 ed altri, 21 gennaio 2003). Peraltro, il rispetto dei diritti dell’uomo garantito dalla Convenzione e dai suoi Protocolli non esige il proseguimento dell’esame di suddetta richiesta. A questo riguardo, conviene notare che le questioni che solleva sono state già abbordate dalla Grande Camera nella causa Saadi c. Italia,(no 37201/06, 28 febbraio 2008) e dalle sentenze della camera in parecchie cause similari (vedere, per esempio, Ben Khemais c. Italia, no 246/07, 24 febbraio 2009).
43. Ne segue che ai termini dell’articolo 37 § 1 a) e/o c) della Convenzione, c’è luogo di cancellare la causa dal ruolo nella misura in cui è stata introdotta dal primo richiedente.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DEGLI ARTICOLI 3, 6, 13 E 34 DELLA CONVENZIONE E 1 DEL PROTOCOLLO NO 7
44. La richiedente ed il secondo richiedente adducono che l’espulsione del primo richiedente è stata eseguito a dispetto dei rischi di trattamenti disumani ai quali l’interessato sarebbe stato esposto in Tunisia. In più, adducono che il primo richiedente è stato vittima in Tunisia di un diniego di giustizia; contestano la motivazione dell’ordinanza di espulsione del 4 gennaio 2007; ed essi sostengono che era impossibile per il primo richiedente attaccare la decisione di espellerlo dinnanzi ai tribunali interni. Infine, stimano che le modalità dell’esecuzione dell’espulsione hanno recato offesa al loro diritto di ricorso individuale.
45. Invocano gli articoli 3, 6, 13 e 34 della Convenzione e 1 del Protocollo no 7.
46. Il Governo contesta questi motivi di appello.
47. La Corte ricorda che per potere formare una richiesta in virtù dell’articolo 34, una persona fisica, un’organizzazione non governativa o un gruppo di individui deve definirsi “vittima di una violazione di alcuni diritti riconosciuti nella Convenzione .” L’articolo 34 esige che un individuo richiedente si definisca leso effettivamente dalla violazione che adduce (Irlanda c. Regno Unito, 18 gennaio 1978, §§ 239-240, serie A no 25, e Klass ed altri c. Germania, 6 settembre 1978, § 33, serie A no 28); questo articolo non istituisce a profitto degli individui un tipo di actio popularis per l’interpretazione della Convenzione e non li autorizza neanche a lamentarsi di una legge al solo motivo che a loro sembra infranga la Convenzione (Norris c. Irlanda, serie A no 142, § 31, 26 ottobre 1988, e Sanles Sanles c. Spagna, (déc.), no 48335/99, CEDH 2000-XI). Questo principio si applica anche agli avvenimenti o decisioni che sarebbero contrari alla Convenzione (Fairfield c. Regno Unito, (déc.) no 24790/04, CEDH 2005-VI, ed Ada Rossi ed altri c. Italia,( déc.), numeri 55185/08 ed altri, 16 dicembre 2008).
48. La Corte riafferma anche che l’esistenza di una vittima, cioè di un individuo che viene toccato personalmente dalla violazione addotta di un diritto garantito dalla Convenzione, sia necessaria affinché venga chiuso il meccanismo di protezione previsto da questa, sebbene questo criterio non possa essere applicato in modo rigido, meccanico ed inflessibile per tutto il procedimento (Karner c. Austria, no 40016/98, § 25, CEDH 2003-IX).
49. Nello specifico, i cattivi trattamenti ed il diniego di giustizia che possono avere avuto luogo in Tunisia toccano personalmente solo il primo richiedente. Ne va parimenti per ciò che riguarda il procedimento che ha condotto all’adozione ed all’esecuzione dell’ordinanza d’espulsione. Conviene ricordare difatti che solo il primo richiedente è stato oggetto di tale procedimento.
50. In queste circostanze, la richiedente ed il secondo richiedente non potrebbero definirsi “vittime” delle violazioni degli articoli 3, 6, 13 e 34 della Convenzione e 1 del Protocollo no 7 che adducono.
51. Ne segue che questa parte della richiesta è incompatibile ratione personae con le disposizioni della Convenzione e deve essere respinta in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
III. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE
52. La richiedente ed il secondo richiedente adducono che l’espulsione del primo richiedente verso la Tunisia ha violato il loro diritto al rispetto della loro vita familiare. Invocano l’articolo 8 della Convenzione, così formulato nella sua parte pertinente,:
“1. Ogni persona ha diritto al rispetto di suo corrispondenza.
2. Non può esserci ingerenza di un’autorità pubblica nell’esercizio di questo diritto se non per quanto questa ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, sia necessaria alla sicurezza nazionale, alla sicurezza pubblica, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine ed alla prevenzione delle violazioni penali (…). “
53. Il Governo si oppone a questa tesi.
A. Sull’ammissibilità
54. La Corte osserva innanzitutto che, nella misura in cui si lamentano delle ripercussioni negative che l’espulsione del primo richiedente ha avuto sulla loro vita familiare, la richiedente ed il secondo richiedente possono addurre di essere stati toccati personalmente dai fatti che denunciano. Hanno dunque locus standi per sollevare questo motivo di appello a loro proprio nome. Constata poi che questo non è manifestamente mal fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione e che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararlo ammissibile (vedere, mutatis mutandis, Saadi, precitata, § 163).
B. Sul merito
1. Argomenti delle parti
a) I richiedenti
55. La richiedente ed il secondo richiedente adducono che la loro vita familiare è stata perturbata dall’esecuzione dell’espulsione del primo richiedente, ricordando che questo ultimo viveva con la richiedente ed i tre bambini della coppia. Aggiungono che il richiedente soffre di epatite e di broncopolmonite, e che i bambini sono anche colpiti da affezioni alle vie respiratorie e devono effettuare degli esami immunologici regolari.
56. Il primo richiedente non sarebbe mai stato oggetto di perseguimenti in Italia, il che smentirebbe la tesi che lo presenta come un elemento pericoloso per la società, e le affermazioni del Governo non si baserebbero a questo riguardo su nessuno elemento obiettivo ma si fonderebbero unicamente sul fatto che l’interessato frequentava la moschea e conosceva altri musulmani praticanti.
b) Il Governo
57. Il Governo sottolinea che l’ingerenza nella vita familiare degli interessati ha una base legale in diritto interno, ossia la legge no 155 del 2005. Sostiene che bisogna tenere primariamente conto dell’influenza negativa che il primo richiedente, per la sua personalità e l’ampiezza della minaccia terroristica, rappresentava per la sicurezza dello stato; e secondariamente dell’importanza particolare che deve essere legata alla prevenzione delle violazioni penali gravi ed al mantenimento dell’ordine pubblico. Così, l’ eventuale ingerenza nel diritto dei richiedenti al rispetto della loro vita familiare avrebbe inseguito un scopo legittimo e sarebbe stata necessaria in una società democratica. Nessun carico sproporzionato ed esorbitante sarebbe stato imposto all’unità familiare. In particolare, il Governo stima che anche se i bambini del primo richiedente erano scolarizzati in Italia ed impregnati della cultura italiana, niente impedisce loro di proseguire la loro scolarità in Tunisia, e che l’unità della vita familiare avrebbe potuto essere preservata all’infuori del territorio italiano.
2. Valutazione della Corte
a) Principi generali
58. La Corte riafferma che la Convenzione non garantisce il diritto per uno straniero di entrare o di risiedere in un particolare paese e che nell’esercizio della loro missione di mantenimento dell’ordine pubblico, gli Stati contraenti hanno la facoltà di espellere uno straniero delinquente. Tuttavia, le loro decisioni in materia, nella misura in cui recherebbero offesa ad un diritto protetto dal paragrafo 1 dell’articolo 8, devono rivelarsi necessarie in una società democratica, cioè giustificate da un bisogno sociale imperioso e, in particolare, proporzionate allo scopo legittimo perseguito (Mehemi c. Francia, Raccolta delle sentenze 1997-VI, § 34, 26 settembre 1997; Dalia c. Francia, Raccolta delle sentenze 1998-I, § 52, 19 febbraio 1998; Boultif c. Svizzera, no 54273/00, § 46, CEDH 2001-IX; Slivenko c. Lettonia [GC], no 48321/99, § 113, CEDH 2003-X).
59. Anche se un cittadino straniero possiede un statuto non precario di residente e ha raggiunto un alto grado di integrazione, la sua situazione non può essere messa sullo stesso livello di quella di un cittadino dello stato quando si tratta del potere precitato degli Stati contraenti di espellere degli stranieri (Moustaquim c. Belgio, 18 maggio 1991, § 49, serie A no 193) per una o parecchie delle ragioni enumerate al paragrafo 2 dell’articolo 8 della Convenzione. Gli Stati contraenti hanno il diritto di prendere al riguardo delle persone che sono state condannate per violazioni penali delle misure di natura tale da proteggere la società. Simili misure amministrative devono essere considerate come se rivestissero un carattere preventivo piuttosto che punitivo (Maaouia c. Francia [GC], no 39652/98, § 39, CEDH 2000-X).
60. La Corte ha enumerato i criteri che devono essere utilizzati per la valutazione della questione di sapere se una misura di espulsione fosse necessaria in una società democratica e proporzionata allo scopo legittimo perseguito (Boultif, precitata, § 40, e Üner c. Paesi Bassi [GC], no 46410/99, §§ 57-58, CEDH 2006 -..). Questi criteri sono i successivi:
-la natura e la gravità della violazione commessa dal richiedente;
-la durata del soggiorno dell’interessato nel paese da cui deve essere espulso;
-il lasso di tempo che è trascorso dalla violazione, e la condotta del richiedente durante questo periodo;
-la nazionalità delle diverse persone riguardate;
-la situazione familiare del richiedente, ed in particolare, all’occorrenza, la durata del suo matrimonio, e altri fattori che testimoniano l’effettività di una vita familiare in seno ad una coppia;
-la questione di sapere se il congiunto aveva cognizione della violazione all’epoca della creazione della relazione familiare;
-la questione di sapere se dei bambini sono nati dal matrimonio e, in questo caso, la loro età,;
-la gravità delle difficoltà che il congiunto rischia di incontrare nel paese verso cui il richiedente deve essere espulso;
– l’interesse ed il benessere dei bambini, in particolare la gravità delle difficoltà che i bambini del richiedente sono suscettibili di incontrare nel paese verso cui l’interessato deve essere espulso; e
-la solidità dei legami sociali, culturali e familiari col paese ospite e col paese di destinazione.
b) Applicazione di questi principi al caso specifico
61. Nello specifico, l’espulsione del primo richiedente si analizza in un’ingerenza nel diritto al rispetto della vita familiare della richiedente e del secondo richiedente. Non è contestato che questa ingerenza fosse prevista dalla legge, ossia il decreto-legge no 144 del 27 luglio 2005 (vedere sopra il paragrafo 9).
62. La Corte stima anche che l’ingerenza controversa perseguiva degli scopi legittimi, ossia la protezione della sicurezza pubblica, la difesa dell’ordine e la prevenzione delle violazioni penali.
63. A questo riguardo, nota che secondo le informazione fornite dal ministero delle Cause interne, il primo richiedente è stato condannato in Italia a due riprese a pene privative di libertà per possesso e spaccio di stupefacenti; inoltre, nel giugno 1999 e nel luglio 2001, è stato arrestato ed è stato perseguito per oltraggio e resistenza ad un pubblico ufficiale e dei perseguimenti sono stati iniziati a suo carico per numerose altre violazioni tra cui rissa e percosse e lesioni (vedere sopra il paragrafo 23). In più, il ministro delle Cause interne ha indicato di essere in possesso di elementi che portano a pensare che il primo richiedente aveva intrattenuto delle relazioni seguite con elementi di primo piano dell’integralismo islamico in Italia che avevano partecipato a progetti terroristici (vedere sopra il paragrafo 9). Del resto, la Corte osserva che la tesi dell’implicazione del primo richiedente in attività suscettibili di turbare l’ordine pubblico è corroborata anche dal fatto che l’interessato è stato accusato, in Tunisia, di adesione ad un’organizzazione terroristica e di raccolta di fondi destinati a finanziare delle persone, delle organizzazioni e delle attività terroristiche. Anche se ha beneficiato di un non luogo a procedere per la violazione di adesione ad un’organizzazione terroristica, l’interessato è stato riconosciuto colpevole di concessione di contributi pecuniari ai membri di una banda di malviventi e condannato, sotto questo capo, ad un anno di detenzione (vedere sopra il paragrafo 26).
64. L’insieme di questi elementi poteva portare ragionevolmente le autorità italiane a credere che la presenza del primo richiedente sul territorio dello stato rappresentasse un pericolo per la sicurezza pubblica.
65. Per ciò che riguarda la vita familiare del primo richiedente in Italia, la Corte osserva che l’interessato è sposato con la richiedente e che le tre figlie della coppia sono nate, rispettivamente, nel 1996, 2001 e 2004 (vedere sopra il paragrafo 6). All’epoca dell’espulsione, erano ancora giovani e dunque capaci di adattarsi. Nate di un’italiana, possiedono la nazionalità di questo Stato. Potrebbero dunque, se seguissero il loro padre in Tunisia, ritornare regolarmente in Italia per rendere visita ai membri della loro famiglia in questo paese (vedere, mutatis mutandis, Üner, precitata, § 64.)
66. La Corte non sottovaluta le difficoltà di ordine pratico che implicherebbe per la richiedente il fatto di seguire suo marito in Tunisia. Osserva però che niente prova che la malattia di cui è affetta la Sig.ra B. non potrebbe essere curata in modo efficace in questo paese. Peraltro, questa ha potuto incontrare suo marito quando era detenuto a Tunisi. Ad ogni modo, nelle circostanze particolari dello specifico, le esigenze di protezione dell’ordine pubblico e della sicurezza nazionale prevalgono sugli interessi della famiglia. In quanto al secondo richiedente, è di nazionalità tunisina e non è stato addotto che un ostacolo qualsiasi si opponga affinché si rechi in Tunisia.
67. Non è stato addotto neanche che il primo richiedente non avesse nessun legame sociale o culturale con la società tunisina. Sembrerebbe al contrario che abbia passato la maggior parte della sua vita in questo paese, e che la lingua locale sia la sua lingua madre.
68. Certo, il primo richiedente non può, senza autorizzazione ministeriale, effettuare nessuna visita, anche di corta durata, in Italia. Tuttavia, avuto riguardo alla natura ed alla gravità delle violazioni per cui è stato condannato, così come alla gravità dei sospetti che pesano su di lui, la Corte non può concludere che lo stato convenuto abbia fatto prevalere troppo largamente l’interesse pubblico sull’interesse particolare quando ha deciso di imporre questa misura.
69. Alla luce di ciò che precede, la Corte stima che l’espulsione del primo richiedente non ha rotto il giusto equilibro che deve essere predisposto in materia tra le esigenze del rispetto della vita familiare del richiedente e del secondo richiedente e gli scopi legittimi perseguiti dalle autorità. La misura incriminata era dunque necessaria in una società democratica.
70. Ne segue che il collocamento in esecuzione dell’espulsione del primo richiedente verso la Tunisia non ha violato l’articolo 8 della Convenzione.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE,
1. Decide, all’unanimità, di cancellare la richiesta dal ruolo nella misura in cui è stata introdotta dal primo richiedente;
2. Dichiara, all’unanimità, la richiesta ammissibile in quanto al motivo di appello della richiedente e del secondo richiedente derivato dall’articolo 8 della Convenzione ed inammissibile per il surplus;
3. Stabilisce, per quattro voci contro tre, che il collocamento in esecuzione della decisione di espellere il primo richiedente verso la Tunisia non ha violato l’articolo 8 della Convenzione.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 7 aprile 2009, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Francesca Elens-Passos Francesca Tulkens
Cancelliera collaboratrice Presidente
Alla presente sentenza si trova unita, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 dell’ordinamento, l’esposizione dell’opinione concordante del giudice Sajó e dell’opinione parzialmente dissidente comune dei giudici Tulkens, Jočiené e Popović.
F.T.
F.E.P.
OPINIONE CONCORDANTE DEL GIUDICE SAJÓ
(Traduzione)
Ho votato come la maggioranza ma desidero aggiungere alcune parole per spiegare certi punti del ragionamento della Corte come lo concepisco.
Il primo richiedente è stato espulso per ragioni di sicurezza nazionale ma conformemente alla legge. La Corte doveva dunque esaminare gli effetti dell’espulsione allo sguardo dell’articolo 8 ed alla luce dei criteri enunciati nelle sentenze Boultif e Üner. Nelle cause di questo tipo, deve trovare tra questi criteri il giusto equilibro tenuto conto delle circostanze proprie alla causa. I motivi dell’espulsione sono qui privi di pertinenza. Il caso specifico riguarda l’impatto dell’espulsione del richiedente sui diritti di questo e di sua moglie in virtù dell’articolo 8. I criteri Boultif/Üner hanno in particolare fatto riferimento alla natura della violazione. Per questa ragione, le condanne passate del primo richiedente devono essere valutate alla luce di elementi reali che toccano la sicurezza nazionale: la natura delle condanne passate è tale da avere un peso considerevole visto i fatti recenti che pesano sulla sicurezza nazionale. Appellarsi giudizialmente su delle considerazioni di sicurezza nazionale senza rapporto con la natura stabilita della condanna sarebbe andare al di là dei criteri Boultif/Üner.
Stimo che il comportamento del primo richiedente dopo la condanna ponga ugualmente un problema, anche se non c’è stata a questo riguardo nessuna decisione giudiziale. Secondo me, simile decisione non viene richiesta dalla giurisprudenza reale della Corte, anche se il bisogno potrebbe un giorno farsi sentire. Infine, il primo richiedente e sua moglie hanno parecchie possibilità di mantenere la loro vita familiare. Penso che a questo stadio sarebbe prematuro pronunciarsi sulle condizioni di ritorno (paragrafo 68 della sentenza) applicate al richiedente.
OPINIONE PARZIALMENTE DISSIDENTE COMUNE DEI GIUDICI TULKENS, JOČIENĖ E POPOVIĆ
Contrariamente alla maggioranza, pensiamo che il collocamento in esecuzione della decisione di espellere il primo richiedente verso la Tunisia, lasciando dietro lui una moglie e tre bambini, abbia violato l’articolo 8 della Convenzione che garantisce il diritto al rispetto della vita privata e familiare. Le nostre ragioni sono le seguenti.
1. Se gli Stati hanno “il diritto difatti, in virtù di un principio di diritto internazionale bene stabilito, di controllare l’entrata, il soggiorno e l’allontanamento dei non-nazionali »1, esercitando questo diritto, devono prendere in considerazione i diritti protetti dalla Convenzione. I diritti protetti dalla Convenzione sono anche “bene stabiliti” e nessuna gerarchia permette di porli ad un livello inferiore2”.
2. Concernente l’espulsione degli stranieri delinquenti, nelle sentenze Boultif c. Svizzera del 2 agosto 2001 e Üner c. Paesi Bassi del 18 ottobre 2006 [GC], la Corte ha enumerato i criteri che devono essere applicati per valutare se una misura di espulsione è necessaria in una società democratica e proporzionata allo scopo legittimo perseguito. Questi non ci sembrano riuniti nello specifico.
3. Per ciò che riguarda la durata del soggiorno dell’interessato nel paese da cui deve essere espulso, conviene notare che il richiedente è arrivato in Italia nel 1993 e che è titolare di un permesso di soggiorno regolare. Al momento della sua espulsione nel gennaio 2007, il richiedente aveva dunque vissuto in Italia quattordici anni, il che è una durata significativa.
4. Per ciò che riguarda la natura e la gravità delle violazioni commesse dal richiedente, non è contestato che questo è stato condannato nel 1996 a dieci mesi di detenzione col beneficio della condizionale per possesso di stupefacenti e nel 1999 ad un anno ed un mese di detenzione per possesso e spaccio di stupefacenti. Peraltro, è stato perseguito nel 1997, 1999, 2001 e 2002 per oltraggio e percosse ma senza essere condannato. Tramite paragone con altre cause di cui la Corte è stata investita, non si può sostenere ragionevolmente che il percorso delinquente del richiedente sia di una gravità tale che “le esigenze di protezione dell’ordine pubblico e della sicurezza nazionale prevalgono sugli interessi della famiglia” (paragrafo 66). Inoltre, l’ultima condanna del richiedente data 1999 ed la sua espulsione ha avuto luogo solamente nel 2007. Infine, l’affermazione del richiedente al momento della sua espulsione e manifestamente allo scopo di evitare questa secondo cui sarebbe stato condannato in contumacia ad otto anni di detenzione dal tribunale militare di Tunisi, non è stabilita nello specifico da una copia del giudizio (paragrafo 7) ed è senza pertinenza nello specifico.
Di fatto, non sono le condanne del richiedente ma bensì i sospetti che pesano su di lui che costituiscono, agli occhi della maggioranza, la vera giustificazione della sua espulsione, permettendole di concludere che lo stato non abbia troppo ampiamente fatto prevalere l’interesse pubblico sull’interesse particolare quando ha deciso di imporre questa misura (paragrafo 68). Si tratta là, nella giurisprudenza della Corte, di un criterio interamente nuovo che è suscettibile di ogni interpretazione, che rischia di aprire la via all’arbitrarietà.
Nello specifico, questi sospetti si basano su dei dati fragili e relativi. Si tratta, da una parte, della nota del ministero dell’interno che indica che la pericolosità del richiedente si deduceva dal fatto che frequentava dei cittadini esteri implicati in cause che erano oggetto di inchieste giudiziali (paragrafo 24). Si tratta, dall’altra parte, del fatto che, espulso in Tunisia, il richiedente è stato riconosciuto colpevole in questo paese della concessione di contributi pecuniari ai membri di una banda di malviventi e condannato allora sotto questo capo ad un anno di detenzione anche se ha beneficiato di un non luogo a procedere per la violazione di adesione ad un’organizzazione terroristica (paragrafo 26).
5. Infine, per ciò che riguarda la situazione familiare del richiedente, sappiamo che questo si è sposato nel 1996 con una cittadina italiana e che, da questa unione, sono nati tre bambini rispettivamente nel 1996, 2001 e 2004 e che possiedono la nazionalità italiana. Al momento dell’espulsione del richiedente nel 2007, i bambini avevano 10, 7 e 3 anni, erano scolarizzate in Italia ed avevano tutti i loro legami familiari e sociali. A titolo di paragone, nella sentenza Üner, i due bambini erano rispettivamente di 6 anni e di 18 mesi. In queste condizioni, salvo di sradicare completamente la famiglia, un trasferimento di questa in Tunisia non ci sembra un’ipotesi realistica né umana.
6. La sentenza è sensibile alla necessità di garantire la protezione contro la minaccia terroristica, ciò che comprendiamo perfettamente. Pensiamo però che la protezione più sicura contro questa minaccia risieda nel rispetto dei diritti fondamentali tra i quali la vita familiare occupa un posto preponderante. In mancanza di ciò, la violenza rischia di generare violenza.
1. Corte eur. D.H, sentenza Vilvarajah ed altri c. Regno Unito del 30 ottobre 1991, § 102.
2. S. SAROLÉA, Diritti dell’uomo e migrazioni. Dalla protezione dell’emigrante ai diritti della persona emigrata, Bruxelles, Bruylant, 2006, p,. 475.