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Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE CHERIF ET AUTRES c. ITALIE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 2
Articoli: 37, 8
Numero: 1860/07/2009
Stato: Italia
Data: 2009-04-07 00:00:00
Organo: Sezione Seconda
Testo Originale

Conclusione Radiazione dal ruolo; Parzialmente inammissibile; Non – violazione dell’art. 8 (espulsione)
SECONDA SEZIONE
CAUSA CHERIF ED ALTRI C. ITALIA
( Richiesta no 1860/07)
SENTENZA
STRASBURGO
7 aprile 2009
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.

Nella causa Cherif ed altri c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Ireneu Cabral Barreto, Vladimiro Zagrebelsky, Danutė Jočienė, Dragoljub Popović, András Sajó, Nona Tsotsoria, giudici,
e di Francesca Elens-Passos, cancelliera collaboratrice di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 10 marzo 2009,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data,:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 1860/07) diretta contro la Repubblica italiana e in cui due cittadini tunisini, i Sigg. F. B. F. C. e K. C., ed una cittadina italiana, la Sig.ra S. B. (“i richiedenti”), hanno investito la Corte il 10 gennaio 2006 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. I richiedenti sono rappresentati da A. B., avvocato a Genova. Il governo italiano (“il Governo”) è rappresentato dal suo agente, la Sig.ra E. Spatafora e dal suo co-agente aggiunto, il Sig. N. Lettieri.
3. I richiedenti invocano una violazione del loro diritto di ricorso individuale ed adducono che il collocamento in esecuzione della decisione di espellere il primo richiedente ha ignorato gli articoli 3, 6, 8, 13 e 34 della Convenzione e l’articolo 1 del Protocollo no 7.
4. Il 13 marzo 2007, la presidentessa della seconda sezione ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Come permesso dall’articolo 29 § 3 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la camera si sarebbe pronunciata sull’ammissibilità e sul merito della causa allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
5. Il primo richiedente è un cittadino tunisino nato nel 1970 e residente attualmente in Tunisia. Il richiedente è la moglie del primo richiedente. Cittadina italiana, è nata nel 1964 e ha risieduto a Dazio (Sondrio). Il secondo richiedente è il fratello del primo richiedente. È un cittadino tunisino. La sua data di nascita ed il suo luogo di residenza non sono conosciuti.
A. L’espulsione del primo richiedente
6. Nel gennaio 1993, il primo richiedente si stabilì in Italia. Traslocò con la richiedente, che sposò il 24 maggio 1996, ed ebbe con lei tre bambini, nati rispettivamente l’ 11 dicembre 1996, il 28 agosto 2001 ed il 21 giugno 2004. Ottenne un permesso di soggiorno regolare.
7. I richiedenti affermano che il primo richiedente non è mai stato accusato di nessuna violazione penale in Italia. Sarebbe stato condannato in compenso in contumacia ad otto anni di detenzione dal tribunale militare di Tunisi. I richiedenti non hanno prodotto alcuna copia di questo giudizio.
8. Il 13 luglio 2005, degli agenti della prefettura (Questura) di Sondrio perquisirono la casa del primo richiedente. Risulta dal verbale della perquisizione che una “fonte confidenziale credibile” aveva dato degli indizi che portavano a credere che l’interessato detenesse illegalmente delle armi, delle munizioni o delle materie esplosive. Tuttavia, nessuno di questi oggetti fu trovato presso il suo domicilio.
9. Con un’ordinanza del 4 gennaio 2007, il ministro delle Cause interne ordinò l’espulsione del primo richiedente verso la Tunisia, in applicazione delle disposizioni del decreto-legge no 144 del 27 luglio 2005 (decreto intitolato “misure urgenti per combattere il terrorismo internazionale”) e convertito nella legge no 155 del 31 luglio 2005. Osservando che “risultava dagli atti” che il primo richiedente intratteneva delle relazioni seguite con degli elementi di primo piano dell’integralismo islamico in Italia che avevano giocato un ruolo nei progetti terroristici, il ministro spiegò che tenuto conto del “contesto reale del terrorismo di tipo islamico”, aveva delle ragioni di pensare che con la sua presenza in Italia, il primo richiedente potesse prestare assistenza alle organizzazioni o a delle attività terroristiche.
10. Il ministro precisò che il primo richiedente avrebbe potuto ritornare in Italia solo sulla base di un’autorizzazione ministeriale ad hoc e che la prefettura di Sondrio era incaricata dell’esecuzione dell’ordinanza di espulsione. Indicò inoltre che questa ordinanza poteva essere attaccata dinnanzi al tribunale amministrativo (“TAR”) del Lazio entro sessanta giorni.
11. Il 4 gennaio 2007, verso le 16, il primo richiedente fu interpellato dalla polizia e fu condotto alla prefettura (Questura) di Milano, dove si vide notificare l’ordinanza di espulsione così come un’ordinanza con cui il prefetto di Sondrio revocava il permesso di soggiorno che gli era stato concesso il 19 gennaio 2000 per una durata indeterminata. Questa decisione poteva essere contestata dinnanzi al TAR del Lazio entro sessanta giorni.
12. Prima di essere condotto alla prefettura, il primo richiedente avrebbe telefonato alla richiedente, informandolo che la polizia l’aveva fermato. Questa avrebbe provato in seguito a più riprese a contattarlo, ma senza successo. Gli avrebbe potuto parlare solamente la sera, mentre era in strada verso l’aeroporto in vista del suo rimpatrio.
13. Secondo il racconto fatto dalla richiedente di questa comunicazione telefonica, il primo richiedente avrebbe supplicato che non lo si rimpatriasse, spiegando che temeva per la sua vita, ed avrebbe chiesto di contattare un avvocato. Qualcuno gli avrebbe risposto che niente poteva essere fatto, poi la linea sarebbe stata tagliata.
14. Questa versione dei fatti è contestata dal Governo che ha prodotto una nota della prefettura di Sondrio datata 3 luglio 2007. Secondo questa nota, dopo avere notificato al primo richiedente l’ordinanza d’espulsione, il personale della prefettura gli avrebbe chiesto se avesse desiderato contattare qualcuno prima che l’espulsione venisse posta in esecuzione. L’interessato avrebbe telefonato a due riprese alla richiedente. Gli sarebbe stato chiesto allora se avesse avuto bisogno di altro, ed egli avrebbe risposto negativamente, aggiungendo solamente che certi suoi effetti personali ed una certa somma di denaro dovevano essere dati a sua moglie. Infine, una volta arrivati all’aeroporto di Milano, avrebbe telefonato una terza volta alla richiedente.
15. Verso 21h10, la richiedente avrebbe fatto una richiesta di asilo politico a nome di suo marito. Questa richiesta non fu esaminata perché il primo richiedente era già stato imbarcato su un volo per Tunisi che sarebbe decollato alle 21h20. Però, il suo nome non figurava sull’elenco dei passeggeri di questo volo, e nessun lasciapassare gli era stato concesso. A questo riguardo, i richiedenti sottolineano che il passaporto del primo richiedente non era più valido, avendo negato da molto le autorità tunisine di rinnovarlo.
16. Secondo i richiedenti, la polizia di Milano avrebbe esercitato delle pressioni sul primo richiedente, invitandolo a “collaborare”.
17. Il 5 gennaio 2007, un agente della prefettura di Sondrio avrebbe dichiarato alla richiedente: “per noi, Signora, vostro marito è libero; la Digos di Milano gli ha chiesto di collaborare e non ha dato la risposta auspicata.”
18. Il primo richiedente arrivò a Tunisi in compagnia di un altro cittadino tunisino il cui nome non è conosciuto. Questo non fu privato della sua libertà. Secondo i richiedenti, il Sig. C., in compenso, fu incarcerato e torturato fino al 15 gennaio 2007 nei locali del ministero delle Cause interne di Tunisi.
19. Il 22 gennaio 2007, i richiedenti hanno indicato che il primo richiedente era detenuto presso il penitenziario civile di Tunisi, dove era stato posto “sotto la responsabilità” delle autorità militari; e che i membri della sua famiglia non avevano nessuno contatto con lui.
20. La famiglia del primo richiedente avrebbe nominato un avvocato per rappresentarlo in Tunisia. Però, questo avvocato non avrebbe potuto ottenere alcuna copia degli atti del procedimento né avrebbe potuto conoscere in modo preciso le accuse portate contro il suo cliente.
21. Nel frattempo, l’ 11 gennaio 2007, il richiedente ed il secondo richiedente avevano fatto una richiesta alla Corte di misura provvisoria in virtù dell’articolo 39 dell’ordinamento. Chiedevano che l’Italia fosse invitata a produrre delle garanzie in quanto al rispetto della vita e dell’integrità fisica del primo richiedente ed a sforzarsi di ottenere la sua rimessa in libertà immediata, il suo ritorno in Italia, così come la possibilità per lui di nominare un avvocato di sua scelta in Tunisia e di comunicare con la sua famiglia. Il 12 gennaio 2007, gli avvocati dei richiedenti furono informati che la loro istanza era stata respinta. Alcune nuove istanze che miravano ad ottenere la misura di emergenza della sospensione dell’ordinanza d’espulsione, introdotte il 23 maggio e il 2 luglio 2007, furono considerate come al di fuori dal campo di applicazione dell’articolo 39 e non furono quindi sottomesse per una decisione al presidente della camera.
22. In una data non precisata, la richiedente investì il tribunale regionale amministrativo (“TAR”) del Lazio per ottenere l’annullamento dell’ordinanza d’espulsione e della revoca del permesso di soggiorno di suo marito. Chiese inoltre la sospensione dell’esecuzione delle decisioni controverse. Con un’ordinanza del 26 aprile 2007, il TAR del Lazio respinse l’istanza di sospensione. Osservò da prima che la richiedente non sembrava avere il locus standi per attaccare degli atti che riguardavano suo marito e che questo ultimo non aveva nominato un avvocato per rappresentarlo; poi che il primo richiedente era detenuto a Tunisi, il che rendeva impossibile, di fatto, il suo ritorno in Italia; ed infine che l’interesse dello stato a proteggere la sicurezza nazionale sembrava destinato a prevalere sull’interesse particolare dei richiedenti. La conclusione del ricorso per annullamento dinnanzi al TAR non è conosciuta.
23. In una nota del 2 luglio 2007, il ministero delle Cause interne precisò che, contrariamente a ciò che era stato affermato dai richiedenti (vedere sopra il paragrafo 7), il primo richiedente aveva numerosi precedenti giudiziali in Italia. In particolare, con un giudizio dell’ 11 aprile 1996 che aveva acquisito poi forza di cosa giudicata, il tribunale di Milano l’aveva condannato a dieci mesi di detenzione per possesso di stupefacenti; il 22 marzo 1999, questo stesso tribunale aveva pronunciato una condanna per possesso e spaccio di stupefacenti ad un anno ed un mese di detenzione. Questa ultima condanna era diventata definitiva il 17 gennaio 2004, ed il rinvio dell’esecuzione della pena, concesso all’epoca della prima condanna, era stato revocato. In più, nel giugno 1999 e nel luglio 2001, il richiedente era stato arrestato ed era stato perseguito per oltraggio e resistenza ad un pubblico ufficiale; nel 1997 e nel 2002, dei perseguimenti erano stati iniziati a suo carico per rissa, percosse e lesioni, degradazione di cosa altrui e porto proibito di un oggetto che poteva essere utilizzato come un’arma.
24. In una nota del 4 luglio 2007, lo stesso ministero indicò che la pericolosità del primo richiedente era stata dedotta dal fatto che frequentava, dal 2002, numerosi cittadini stranieri implicati nelle cause che erano oggetto di inchieste giudiziarie.
B. Le assicurazioni diplomatiche ottenute dalle autorità italiane
25. Il 29 agosto 2008, l’ambasciata d’Italia a Tunisi indirizzò al ministero tunisino delle Cause estere una nota verbale (no 3124) nella quale sollecitò delle assicurazioni diplomatiche. Il contenuto di questa nota si trova nella sentenza Soltana c. Italia, no 37336/06, § 19, 24 marzo 2009.
26. Il 5 novembre 2008, le autorità tunisine fecero pervenire la loro risposta, firmata dall’avvocato generale alla direzione generale dei servizi giudiziali. Nelle sue parti pertinenti, questa risposta si legge come segue:
“Nella sua nota verbale in data del 29 agosto 2008, come completata dalla sua nota verbale datata del 4 settembre 2008, l’ambasciata dell’Italia a Tunisi ha sollecitato, dalle autorità tunisine, le assicurazioni, qui di seguito enumerate, concernenti i cittadini tunisini F. C. [ed altri] nel caso dovessero essere espulsi verso la Tunisia. (…)
II. Trattandosi dello denominato F. C., le autorità tunisine sottolineano che in seguito alla sua espulsione verso la Tunisia, è stato tradotto in giustizia a capo di violazioni terroristiche riguardanti la sua adesione, fuori dal territorio della repubblica tunisina, ad un’intesa in rapporto con le violazioni terroristiche e la raccolta di fondi di cui egli [sa] che sono destinati a finanziare delle persone, delle organizzazioni e delle attività terroristiche.
L’interessato ha beneficiato di un processo equo nel corso del quale ha potuto fare valere tutti i suoi mezzi di difesa. È stato riconosciuto colpevole di concessione di contributi pecuniari ai membri di una banda di malviventi e condannato, sotto questo capo, ad un anno di detenzione e [egli] ha beneficiato di un non luogo a procedere per la violazione di adesione ad un’organizzazione terroristica.
F. C. è stato liberato nel corso del mese di gennaio 2008, dopo [avere scontato la sua pena]. È da notare che ha beneficiato, nella struttura penitenziaria, di un programma di sostegno psicologico e di un programma di riabilitazione che gli ha permesso di apprendere un mestiere in modo da facilitare il suo reinserimento nella società.
(…)
La garanzia del diritto di ricevere delle visite:
detenuti dalla legge del 14 maggio 2001 relativa all’organizzazione delle prigioni. Questa legge consacra il diritto di ogni prevenuto a ricevere la visita dell’avvocato incaricato della sua difesa, senza la presenza di un agente della prigione così come la visita dei membri delle loro famiglie. Se il loro arresto [viene] deciso, gli interessati godranno di questo diritto conformemente alla regolamentazione, in vigore e senza restrizione nessuna.
Concernente la domanda di visita degli interessati da parte degli avvocati che li rappresentano nel procedimento in corso dinnanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo, le autorità tunisine osservano che tale visita non può essere autorizzata in mancanza di convenzione o di cornice legale interna che l’autorizzi.
Difatti la legge relativa alle prigioni determina le persone abilitate ad esercitare questo diritto: si tratta in particolare dei membri della famiglia del detenuto e del suo avvocato tunisino.
La Convenzione di aiuto giudiziale concluso tra la Tunisia e l’Italia il 15 novembre 1967 non contempla la possibilità per gli avvocati italiani di rendere visita ai detenuti tunisini. Tuttavia gli interessati potranno, se lo desiderano, incaricare degli avvocati tunisini di loro scelta [di] rendere loro visita e di procedere, coi loro omologhi italiani, al coordinamento delle loro azioni nella preparazione degli elementi della loro difesa dinnanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo.
(…) .”
C. La rappresentanza dei richiedenti dinnanzi alla Corte
27. Al momento dell’introduzione della loro richiesta, il 10 gennaio 2007, la richiedente ed il secondo richiedente avevano firmato una procura a favore di due avvocati del foro di Milano, i Sig. S. C. e B. M.. Nessuna procura era stata firmata dal primo richiedente che a questa epoca era stato appena espulso verso la Tunisia. Il formulario di richiesta era firmato dai Sig. C. e M..
28. Con un fax del 2 aprile 2007, A. B. informò la Corte che era la nuova rappresentate dei richiedenti, e che ogni corrispondenza relativa alla presente richiesta doveva essere indirizzata al suo studio a Genova. Con una lettera del 13 aprile 2007, la cancelleria della Corte trasmise a B. un modulo di procura, invitandola a farlo pervenire alla Corte, debitamente compilato, il più presto possibile. Allo stesso tempo, la cancelleria informò i Sig. C. e M. del fax di B. e precisò che, salvo indicazione contraria da parte loro, si sarebbe ritenuto che solo questa ultima rappresentava i richiedenti. Nessuna risposta fu ricevuta dai Sig. C. e M..
29. Con un fax del 27 aprile 2007, B. fece pervenire alla cancelleria della Corte una procura a suo favore firmata dal richiedente. Il primo e il secondo richiedente non firmarono nessuna simile procura.
30. In seguito, B. produsse il seguente documento, datato 9 febbraio 2007, ed in fondo al quale figura una firma illeggibile:
“Io sottoscritto F. B. F. C., nato a Tunisi il 31 maggio 1970, nomina in quanto avvocato di mia scelta A. B. del foro di Genova affinché mi rappresenti e mi difenda dinnanzi al TAR [del] Lazio rispetto alla revoca del [mio] permesso di soggiorno e [alla mia] espulsione dall’Italia. Eleggo domicilio presso il suo studio a Genova, Salita Viale no 5-2. “
IN DIRITTO
I. SULLA RICHIESTA INTRODOTTA A NOME DEL PRIMO RICHIEDENTE
31. La Corte osserva al primo colpo che il formulario di richiesta è stato compilato anche a nome del primo richiedente che sosterrebbe che il collocamento in esecuzione della decisione di espellerlo abbia violato gli articoli 3, 6, 8, 13 e 34 della Convenzione e 1 del Protocollo no 7.
32. Il Governo contesta i suddetti motivi di appello.
33. Arguisce innanzitutto che il primo richiedente non ha mai incaricato alcun avvocato per rappresentarlo dinnanzi alla Corte, essendo stata introdotta la presente richiesta unicamente da sua moglie e da suo fratello (la richiedente ed il secondo richiedente) che non avevano il potere di rappresentarlo. Indica poi che il giorno dell’espulsione, la notifica dell’ordinanza ministeriale ha avuto luogo alle 16, mentre il volo per Tunisi su cui il primo richiedente è stato imbarcato sarebbe decollato solamente alle 21h20: l’interessato avrebbe dunque disposto di più di cinque ore per fare appello ai servizi di un avvocato.
34. I richiedenti affermano che il primo richiedente è stato portato con la forza alla prefettura di Milano, dove non ha avuto la possibilità di contattare un avvocato di sua scelta. Sarebbe stato condotto poi all’aeroporto in vista dell’esecuzione della sua espulsione. Una persona che si è presentata come un ispettore di polizia avrebbe telefonato peraltro al richiedente, e gli avrebbe detto che era inutile chiamare un avvocato, essendo stato espulso il primo richiedente. La rappresentante dei richiedenti dinnanzi alla Corte avrebbe chiesto alle autorità tunisine l’autorizzazione a visitare il primo richiedente al penitenziario di Tunisi, ma questa autorizzazione le sarebbe stata rifiutata, allo stesso modo dei funzionari dell’ambasciata di Italia a Tunisi. Solo la richiedente avrebbe potuto vedere suo marito in Tunisia, e questo perché avrebbe ottenuto una procura firmata dall’interessato in sua presenza. Il tenore di questa procura figura sopra al paragrafo 30.
35. La Corte ricorda che ai termini dell’articolo 36 § 1 del suo ordinamento, “[le] persone fisiche possono sottoporre inizialmente delle richieste agendo o da [sole], o tramite un rappresentante.” Inoltre, una volta notificata la richiesta alla Parte contraente convenuta, ogni richiedente deve, salvo decisione contraria del presidente della camera, essere rappresentato da un consigliere abilitato ad esercitare per conto di una qualsiasi delle Parti contraenti e residente sul territorio di una di queste (vedere i paragrafi 2 e 4 a) dell’articolo 36 precitato). Ogni richiesta formulata in virtù dell’articolo 34 della Convenzione deve essere presentata infine, per iscritto e deve essere firmata dal richiedente o dal suo rappresentante; quando un richiedente è rappresentato, il suo o i suoi rappresentanti devono produrre una procura o un potere scritto (articolo 45 §§ 1 e 3 dell’ordinamento della Corte).
36. Nel presente caso, nessuno dei richiedenti ha presentato la sua richiesta agendo da solo; gli interessati sono passati tramite uno o parecchi rappresentanti, ossia inizialmente i Sigg. C. e M., difatti e poi, a partire dall’ aprile 2007, B.. Quindi, suddetti rappresentati erano tenuti di produrre una procura o un potere scrive firmati dai loro clienti.
37. Ora, le sole procure scritte concernenti il procedimento dinnanzi alla Corte che sono giunte alla cancelleria sono state firmate dalla richiedente e dal secondo richiedente, questo ultimo essendosi limitato a nominare i Sigg. C. e M.. Nessuna simile procura è stata prodotta a nome del primo richiedente (vedere sopra i paragrafi 27 e 29).
38. La Corte non potrebbe aderire alla tesi del Governo secondo cui l’interessato disponeva del tempo e delle facilità necessarie per cercare e nominare un rappresentante nelle poche ore che hanno seguito la sua interpellanza e preceduto il collocamento in esecuzione della decisione di espellerlo. A questo riguardo, ricorda che il 4 gennaio 2007, il primo richiedente è stato condotto alla prefettura di Milano verso 16 ore (vedere sopra il paragrafo 11), e che è stato imbarcato su un volo per Tunisi che è decollato alle 21h20 (vedere sopra il paragrafo 15). Nella misura in cui si è trovato allora in una situazione che doveva percepire come drammatica e in cui non era avvezzo agli arcani dei procedimenti giudiziali, non si potrebbe rimproverargli di non avere pensato, in un termine anche breve, ad intraprendere i passi giuridici che gli permettevano di essere rappresentato da un consigliere dinnanzi alla Corte.
39. Ne va diversamente, però, per il periodo seguente al collocamento ad esecuzione dell’espulsione. Risulta difatti dalle assicurazioni diplomatiche date dalle autorità tunisine che in prigione, il Sig. F. C. avrebbe avuto la possibilità di ricevere delle visite dal suo avvocato e dai membri della sua famiglia (vedere sopra il paragrafo 26). Difatti, la richiedente stessa ammette di avere potuto incontrare suo marito al penitenziario di Tunisi. Avrebbe ottenuto anche, il 9 febbraio 2007, una procura firmata dall’interessato. Questa procura però non riguarda il procedimento dinnanzi al TAR, e non menziona il procedimento dinnanzi alla Corte (vedere sopra il paragrafo 30).
40. In più, è stato indicato così dalle autorità tunisine senza che i richiedenti lo contestassero, il primo richiedente è stato liberato nel gennaio 2008 (vedere sopra il paragrafo 26). A partire da questa data, niente gli impediva di contattare sua moglie o l’avvocato italiano che la rappresentava e di far giungere loro, tramite corrispondenza o fax, una procura scritta.
41. La Corte lega anche importanza al fatto che, fin dall’ aprile 2007, la cancelleria di Strasburgo aveva invitato B. a produrre una procura debitamente compilata e firmata dai suoi clienti (vedere sopra il paragrafo 28). Inoltre, B. ha ricevuto una copia delle osservazioni del Governo che eccepiva della mancanza di procura a riguardo del primo richiedente. Non ha prodotto però simile procura, ma si è limitata a fare pervenire alla cancelleria il documento del 9 febbraio 2007, non valido ai fini della rappresentanza dinnanzi alla Corte (vedere sopra i paragrafi 30 e 39).
42. In queste circostanze, la Corte considera che il primo richiedente non intenda mantenere più la sua richiesta più e/o che non si giustifichi proseguirne l’esame ai sensi dell’articolo 37 § 1 a) e/o c) della Convenzione (vedere, mutatis mutandis, Fitzmartin ed altri, (déc.), no 34953/97 ed altri, 21 gennaio 2003). Peraltro, il rispetto dei diritti dell’uomo garantito dalla Convenzione e dai suoi Protocolli non esige il proseguimento dell’esame di suddetta richiesta. A questo riguardo, conviene notare che le questioni che solleva sono state già abbordate dalla Grande Camera nella causa Saadi c. Italia,(no 37201/06, 28 febbraio 2008) e dalle sentenze della camera in parecchie cause similari (vedere, per esempio, Ben Khemais c. Italia, no 246/07, 24 febbraio 2009).
43. Ne segue che ai termini dell’articolo 37 § 1 a) e/o c) della Convenzione, c’è luogo di cancellare la causa dal ruolo nella misura in cui è stata introdotta dal primo richiedente.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DEGLI ARTICOLI 3, 6, 13 E 34 DELLA CONVENZIONE E 1 DEL PROTOCOLLO NO 7
44. La richiedente ed il secondo richiedente adducono che l’espulsione del primo richiedente è stata eseguito a dispetto dei rischi di trattamenti disumani ai quali l’interessato sarebbe stato esposto in Tunisia. In più, adducono che il primo richiedente è stato vittima in Tunisia di un diniego di giustizia; contestano la motivazione dell’ordinanza di espulsione del 4 gennaio 2007; ed essi sostengono che era impossibile per il primo richiedente attaccare la decisione di espellerlo dinnanzi ai tribunali interni. Infine, stimano che le modalità dell’esecuzione dell’espulsione hanno recato offesa al loro diritto di ricorso individuale.
45. Invocano gli articoli 3, 6, 13 e 34 della Convenzione e 1 del Protocollo no 7.
46. Il Governo contesta questi motivi di appello.
47. La Corte ricorda che per potere formare una richiesta in virtù dell’articolo 34, una persona fisica, un’organizzazione non governativa o un gruppo di individui deve definirsi “vittima di una violazione di alcuni diritti riconosciuti nella Convenzione .” L’articolo 34 esige che un individuo richiedente si definisca leso effettivamente dalla violazione che adduce (Irlanda c. Regno Unito, 18 gennaio 1978, §§ 239-240, serie A no 25, e Klass ed altri c. Germania, 6 settembre 1978, § 33, serie A no 28); questo articolo non istituisce a profitto degli individui un tipo di actio popularis per l’interpretazione della Convenzione e non li autorizza neanche a lamentarsi di una legge al solo motivo che a loro sembra infranga la Convenzione (Norris c. Irlanda, serie A no 142, § 31, 26 ottobre 1988, e Sanles Sanles c. Spagna, (déc.), no 48335/99, CEDH 2000-XI). Questo principio si applica anche agli avvenimenti o decisioni che sarebbero contrari alla Convenzione (Fairfield c. Regno Unito, (déc.) no 24790/04, CEDH 2005-VI, ed Ada Rossi ed altri c. Italia,( déc.), numeri 55185/08 ed altri, 16 dicembre 2008).
48. La Corte riafferma anche che l’esistenza di una vittima, cioè di un individuo che viene toccato personalmente dalla violazione addotta di un diritto garantito dalla Convenzione, sia necessaria affinché venga chiuso il meccanismo di protezione previsto da questa, sebbene questo criterio non possa essere applicato in modo rigido, meccanico ed inflessibile per tutto il procedimento (Karner c. Austria, no 40016/98, § 25, CEDH 2003-IX).
49. Nello specifico, i cattivi trattamenti ed il diniego di giustizia che possono avere avuto luogo in Tunisia toccano personalmente solo il primo richiedente. Ne va parimenti per ciò che riguarda il procedimento che ha condotto all’adozione ed all’esecuzione dell’ordinanza d’espulsione. Conviene ricordare difatti che solo il primo richiedente è stato oggetto di tale procedimento.
50. In queste circostanze, la richiedente ed il secondo richiedente non potrebbero definirsi “vittime” delle violazioni degli articoli 3, 6, 13 e 34 della Convenzione e 1 del Protocollo no 7 che adducono.
51. Ne segue che questa parte della richiesta è incompatibile ratione personae con le disposizioni della Convenzione e deve essere respinta in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
III. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE
52. La richiedente ed il secondo richiedente adducono che l’espulsione del primo richiedente verso la Tunisia ha violato il loro diritto al rispetto della loro vita familiare. Invocano l’articolo 8 della Convenzione, così formulato nella sua parte pertinente,:
“1. Ogni persona ha diritto al rispetto di suo corrispondenza.
2. Non può esserci ingerenza di un’autorità pubblica nell’esercizio di questo diritto se non per quanto questa ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, sia necessaria alla sicurezza nazionale, alla sicurezza pubblica, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine ed alla prevenzione delle violazioni penali (…). “
53. Il Governo si oppone a questa tesi.
A. Sull’ammissibilità
54. La Corte osserva innanzitutto che, nella misura in cui si lamentano delle ripercussioni negative che l’espulsione del primo richiedente ha avuto sulla loro vita familiare, la richiedente ed il secondo richiedente possono addurre di essere stati toccati personalmente dai fatti che denunciano. Hanno dunque locus standi per sollevare questo motivo di appello a loro proprio nome. Constata poi che questo non è manifestamente mal fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione e che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararlo ammissibile (vedere, mutatis mutandis, Saadi, precitata, § 163).
B. Sul merito
1. Argomenti delle parti
a) I richiedenti
55. La richiedente ed il secondo richiedente adducono che la loro vita familiare è stata perturbata dall’esecuzione dell’espulsione del primo richiedente, ricordando che questo ultimo viveva con la richiedente ed i tre bambini della coppia. Aggiungono che il richiedente soffre di epatite e di broncopolmonite, e che i bambini sono anche colpiti da affezioni alle vie respiratorie e devono effettuare degli esami immunologici regolari.
56. Il primo richiedente non sarebbe mai stato oggetto di perseguimenti in Italia, il che smentirebbe la tesi che lo presenta come un elemento pericoloso per la società, e le affermazioni del Governo non si baserebbero a questo riguardo su nessuno elemento obiettivo ma si fonderebbero unicamente sul fatto che l’interessato frequentava la moschea e conosceva altri musulmani praticanti.
b) Il Governo
57. Il Governo sottolinea che l’ingerenza nella vita familiare degli interessati ha una base legale in diritto interno, ossia la legge no 155 del 2005. Sostiene che bisogna tenere primariamente conto dell’influenza negativa che il primo richiedente, per la sua personalità e l’ampiezza della minaccia terroristica, rappresentava per la sicurezza dello stato; e secondariamente dell’importanza particolare che deve essere legata alla prevenzione delle violazioni penali gravi ed al mantenimento dell’ordine pubblico. Così, l’ eventuale ingerenza nel diritto dei richiedenti al rispetto della loro vita familiare avrebbe inseguito un scopo legittimo e sarebbe stata necessaria in una società democratica. Nessun carico sproporzionato ed esorbitante sarebbe stato imposto all’unità familiare. In particolare, il Governo stima che anche se i bambini del primo richiedente erano scolarizzati in Italia ed impregnati della cultura italiana, niente impedisce loro di proseguire la loro scolarità in Tunisia, e che l’unità della vita familiare avrebbe potuto essere preservata all’infuori del territorio italiano.
2. Valutazione della Corte
a) Principi generali
58. La Corte riafferma che la Convenzione non garantisce il diritto per uno straniero di entrare o di risiedere in un particolare paese e che nell’esercizio della loro missione di mantenimento dell’ordine pubblico, gli Stati contraenti hanno la facoltà di espellere uno straniero delinquente. Tuttavia, le loro decisioni in materia, nella misura in cui recherebbero offesa ad un diritto protetto dal paragrafo 1 dell’articolo 8, devono rivelarsi necessarie in una società democratica, cioè giustificate da un bisogno sociale imperioso e, in particolare, proporzionate allo scopo legittimo perseguito (Mehemi c. Francia, Raccolta delle sentenze 1997-VI, § 34, 26 settembre 1997; Dalia c. Francia, Raccolta delle sentenze 1998-I, § 52, 19 febbraio 1998; Boultif c. Svizzera, no 54273/00, § 46, CEDH 2001-IX; Slivenko c. Lettonia [GC], no 48321/99, § 113, CEDH 2003-X).
59. Anche se un cittadino straniero possiede un statuto non precario di residente e ha raggiunto un alto grado di integrazione, la sua situazione non può essere messa sullo stesso livello di quella di un cittadino dello stato quando si tratta del potere precitato degli Stati contraenti di espellere degli stranieri (Moustaquim c. Belgio, 18 maggio 1991, § 49, serie A no 193) per una o parecchie delle ragioni enumerate al paragrafo 2 dell’articolo 8 della Convenzione. Gli Stati contraenti hanno il diritto di prendere al riguardo delle persone che sono state condannate per violazioni penali delle misure di natura tale da proteggere la società. Simili misure amministrative devono essere considerate come se rivestissero un carattere preventivo piuttosto che punitivo (Maaouia c. Francia [GC], no 39652/98, § 39, CEDH 2000-X).
60. La Corte ha enumerato i criteri che devono essere utilizzati per la valutazione della questione di sapere se una misura di espulsione fosse necessaria in una società democratica e proporzionata allo scopo legittimo perseguito (Boultif, precitata, § 40, e Üner c. Paesi Bassi [GC], no 46410/99, §§ 57-58, CEDH 2006 -..). Questi criteri sono i successivi:
-la natura e la gravità della violazione commessa dal richiedente;
-la durata del soggiorno dell’interessato nel paese da cui deve essere espulso;
-il lasso di tempo che è trascorso dalla violazione, e la condotta del richiedente durante questo periodo;
-la nazionalità delle diverse persone riguardate;
-la situazione familiare del richiedente, ed in particolare, all’occorrenza, la durata del suo matrimonio, e altri fattori che testimoniano l’effettività di una vita familiare in seno ad una coppia;
-la questione di sapere se il congiunto aveva cognizione della violazione all’epoca della creazione della relazione familiare;
-la questione di sapere se dei bambini sono nati dal matrimonio e, in questo caso, la loro età,;
-la gravità delle difficoltà che il congiunto rischia di incontrare nel paese verso cui il richiedente deve essere espulso;
– l’interesse ed il benessere dei bambini, in particolare la gravità delle difficoltà che i bambini del richiedente sono suscettibili di incontrare nel paese verso cui l’interessato deve essere espulso; e
-la solidità dei legami sociali, culturali e familiari col paese ospite e col paese di destinazione.
b) Applicazione di questi principi al caso specifico
61. Nello specifico, l’espulsione del primo richiedente si analizza in un’ingerenza nel diritto al rispetto della vita familiare della richiedente e del secondo richiedente. Non è contestato che questa ingerenza fosse prevista dalla legge, ossia il decreto-legge no 144 del 27 luglio 2005 (vedere sopra il paragrafo 9).
62. La Corte stima anche che l’ingerenza controversa perseguiva degli scopi legittimi, ossia la protezione della sicurezza pubblica, la difesa dell’ordine e la prevenzione delle violazioni penali.
63. A questo riguardo, nota che secondo le informazione fornite dal ministero delle Cause interne, il primo richiedente è stato condannato in Italia a due riprese a pene privative di libertà per possesso e spaccio di stupefacenti; inoltre, nel giugno 1999 e nel luglio 2001, è stato arrestato ed è stato perseguito per oltraggio e resistenza ad un pubblico ufficiale e dei perseguimenti sono stati iniziati a suo carico per numerose altre violazioni tra cui rissa e percosse e lesioni (vedere sopra il paragrafo 23). In più, il ministro delle Cause interne ha indicato di essere in possesso di elementi che portano a pensare che il primo richiedente aveva intrattenuto delle relazioni seguite con elementi di primo piano dell’integralismo islamico in Italia che avevano partecipato a progetti terroristici (vedere sopra il paragrafo 9). Del resto, la Corte osserva che la tesi dell’implicazione del primo richiedente in attività suscettibili di turbare l’ordine pubblico è corroborata anche dal fatto che l’interessato è stato accusato, in Tunisia, di adesione ad un’organizzazione terroristica e di raccolta di fondi destinati a finanziare delle persone, delle organizzazioni e delle attività terroristiche. Anche se ha beneficiato di un non luogo a procedere per la violazione di adesione ad un’organizzazione terroristica, l’interessato è stato riconosciuto colpevole di concessione di contributi pecuniari ai membri di una banda di malviventi e condannato, sotto questo capo, ad un anno di detenzione (vedere sopra il paragrafo 26).
64. L’insieme di questi elementi poteva portare ragionevolmente le autorità italiane a credere che la presenza del primo richiedente sul territorio dello stato rappresentasse un pericolo per la sicurezza pubblica.
65. Per ciò che riguarda la vita familiare del primo richiedente in Italia, la Corte osserva che l’interessato è sposato con la richiedente e che le tre figlie della coppia sono nate, rispettivamente, nel 1996, 2001 e 2004 (vedere sopra il paragrafo 6). All’epoca dell’espulsione, erano ancora giovani e dunque capaci di adattarsi. Nate di un’italiana, possiedono la nazionalità di questo Stato. Potrebbero dunque, se seguissero il loro padre in Tunisia, ritornare regolarmente in Italia per rendere visita ai membri della loro famiglia in questo paese (vedere, mutatis mutandis, Üner, precitata, § 64.)
66. La Corte non sottovaluta le difficoltà di ordine pratico che implicherebbe per la richiedente il fatto di seguire suo marito in Tunisia. Osserva però che niente prova che la malattia di cui è affetta la Sig.ra B. non potrebbe essere curata in modo efficace in questo paese. Peraltro, questa ha potuto incontrare suo marito quando era detenuto a Tunisi. Ad ogni modo, nelle circostanze particolari dello specifico, le esigenze di protezione dell’ordine pubblico e della sicurezza nazionale prevalgono sugli interessi della famiglia. In quanto al secondo richiedente, è di nazionalità tunisina e non è stato addotto che un ostacolo qualsiasi si opponga affinché si rechi in Tunisia.
67. Non è stato addotto neanche che il primo richiedente non avesse nessun legame sociale o culturale con la società tunisina. Sembrerebbe al contrario che abbia passato la maggior parte della sua vita in questo paese, e che la lingua locale sia la sua lingua madre.
68. Certo, il primo richiedente non può, senza autorizzazione ministeriale, effettuare nessuna visita, anche di corta durata, in Italia. Tuttavia, avuto riguardo alla natura ed alla gravità delle violazioni per cui è stato condannato, così come alla gravità dei sospetti che pesano su di lui, la Corte non può concludere che lo stato convenuto abbia fatto prevalere troppo largamente l’interesse pubblico sull’interesse particolare quando ha deciso di imporre questa misura.
69. Alla luce di ciò che precede, la Corte stima che l’espulsione del primo richiedente non ha rotto il giusto equilibro che deve essere predisposto in materia tra le esigenze del rispetto della vita familiare del richiedente e del secondo richiedente e gli scopi legittimi perseguiti dalle autorità. La misura incriminata era dunque necessaria in una società democratica.
70. Ne segue che il collocamento in esecuzione dell’espulsione del primo richiedente verso la Tunisia non ha violato l’articolo 8 della Convenzione.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE,
1. Decide, all’unanimità, di cancellare la richiesta dal ruolo nella misura in cui è stata introdotta dal primo richiedente;
2. Dichiara, all’unanimità, la richiesta ammissibile in quanto al motivo di appello della richiedente e del secondo richiedente derivato dall’articolo 8 della Convenzione ed inammissibile per il surplus;
3. Stabilisce, per quattro voci contro tre, che il collocamento in esecuzione della decisione di espellere il primo richiedente verso la Tunisia non ha violato l’articolo 8 della Convenzione.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 7 aprile 2009, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Francesca Elens-Passos Francesca Tulkens
Cancelliera collaboratrice Presidente
Alla presente sentenza si trova unita, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 dell’ordinamento, l’esposizione dell’opinione concordante del giudice Sajó e dell’opinione parzialmente dissidente comune dei giudici Tulkens, Jočiené e Popović.
F.T.
F.E.P.

OPINIONE CONCORDANTE DEL GIUDICE SAJÓ
(Traduzione)
Ho votato come la maggioranza ma desidero aggiungere alcune parole per spiegare certi punti del ragionamento della Corte come lo concepisco.
Il primo richiedente è stato espulso per ragioni di sicurezza nazionale ma conformemente alla legge. La Corte doveva dunque esaminare gli effetti dell’espulsione allo sguardo dell’articolo 8 ed alla luce dei criteri enunciati nelle sentenze Boultif e Üner. Nelle cause di questo tipo, deve trovare tra questi criteri il giusto equilibro tenuto conto delle circostanze proprie alla causa. I motivi dell’espulsione sono qui privi di pertinenza. Il caso specifico riguarda l’impatto dell’espulsione del richiedente sui diritti di questo e di sua moglie in virtù dell’articolo 8. I criteri Boultif/Üner hanno in particolare fatto riferimento alla natura della violazione. Per questa ragione, le condanne passate del primo richiedente devono essere valutate alla luce di elementi reali che toccano la sicurezza nazionale: la natura delle condanne passate è tale da avere un peso considerevole visto i fatti recenti che pesano sulla sicurezza nazionale. Appellarsi giudizialmente su delle considerazioni di sicurezza nazionale senza rapporto con la natura stabilita della condanna sarebbe andare al di là dei criteri Boultif/Üner.
Stimo che il comportamento del primo richiedente dopo la condanna ponga ugualmente un problema, anche se non c’è stata a questo riguardo nessuna decisione giudiziale. Secondo me, simile decisione non viene richiesta dalla giurisprudenza reale della Corte, anche se il bisogno potrebbe un giorno farsi sentire. Infine, il primo richiedente e sua moglie hanno parecchie possibilità di mantenere la loro vita familiare. Penso che a questo stadio sarebbe prematuro pronunciarsi sulle condizioni di ritorno (paragrafo 68 della sentenza) applicate al richiedente.
OPINIONE PARZIALMENTE DISSIDENTE COMUNE DEI GIUDICI TULKENS, JOČIENĖ E POPOVIĆ
Contrariamente alla maggioranza, pensiamo che il collocamento in esecuzione della decisione di espellere il primo richiedente verso la Tunisia, lasciando dietro lui una moglie e tre bambini, abbia violato l’articolo 8 della Convenzione che garantisce il diritto al rispetto della vita privata e familiare. Le nostre ragioni sono le seguenti.
1. Se gli Stati hanno “il diritto difatti, in virtù di un principio di diritto internazionale bene stabilito, di controllare l’entrata, il soggiorno e l’allontanamento dei non-nazionali »1, esercitando questo diritto, devono prendere in considerazione i diritti protetti dalla Convenzione. I diritti protetti dalla Convenzione sono anche “bene stabiliti” e nessuna gerarchia permette di porli ad un livello inferiore2”.
2. Concernente l’espulsione degli stranieri delinquenti, nelle sentenze Boultif c. Svizzera del 2 agosto 2001 e Üner c. Paesi Bassi del 18 ottobre 2006 [GC], la Corte ha enumerato i criteri che devono essere applicati per valutare se una misura di espulsione è necessaria in una società democratica e proporzionata allo scopo legittimo perseguito. Questi non ci sembrano riuniti nello specifico.
3. Per ciò che riguarda la durata del soggiorno dell’interessato nel paese da cui deve essere espulso, conviene notare che il richiedente è arrivato in Italia nel 1993 e che è titolare di un permesso di soggiorno regolare. Al momento della sua espulsione nel gennaio 2007, il richiedente aveva dunque vissuto in Italia quattordici anni, il che è una durata significativa.
4. Per ciò che riguarda la natura e la gravità delle violazioni commesse dal richiedente, non è contestato che questo è stato condannato nel 1996 a dieci mesi di detenzione col beneficio della condizionale per possesso di stupefacenti e nel 1999 ad un anno ed un mese di detenzione per possesso e spaccio di stupefacenti. Peraltro, è stato perseguito nel 1997, 1999, 2001 e 2002 per oltraggio e percosse ma senza essere condannato. Tramite paragone con altre cause di cui la Corte è stata investita, non si può sostenere ragionevolmente che il percorso delinquente del richiedente sia di una gravità tale che “le esigenze di protezione dell’ordine pubblico e della sicurezza nazionale prevalgono sugli interessi della famiglia” (paragrafo 66). Inoltre, l’ultima condanna del richiedente data 1999 ed la sua espulsione ha avuto luogo solamente nel 2007. Infine, l’affermazione del richiedente al momento della sua espulsione e manifestamente allo scopo di evitare questa secondo cui sarebbe stato condannato in contumacia ad otto anni di detenzione dal tribunale militare di Tunisi, non è stabilita nello specifico da una copia del giudizio (paragrafo 7) ed è senza pertinenza nello specifico.
Di fatto, non sono le condanne del richiedente ma bensì i sospetti che pesano su di lui che costituiscono, agli occhi della maggioranza, la vera giustificazione della sua espulsione, permettendole di concludere che lo stato non abbia troppo ampiamente fatto prevalere l’interesse pubblico sull’interesse particolare quando ha deciso di imporre questa misura (paragrafo 68). Si tratta là, nella giurisprudenza della Corte, di un criterio interamente nuovo che è suscettibile di ogni interpretazione, che rischia di aprire la via all’arbitrarietà.
Nello specifico, questi sospetti si basano su dei dati fragili e relativi. Si tratta, da una parte, della nota del ministero dell’interno che indica che la pericolosità del richiedente si deduceva dal fatto che frequentava dei cittadini esteri implicati in cause che erano oggetto di inchieste giudiziali (paragrafo 24). Si tratta, dall’altra parte, del fatto che, espulso in Tunisia, il richiedente è stato riconosciuto colpevole in questo paese della concessione di contributi pecuniari ai membri di una banda di malviventi e condannato allora sotto questo capo ad un anno di detenzione anche se ha beneficiato di un non luogo a procedere per la violazione di adesione ad un’organizzazione terroristica (paragrafo 26).
5. Infine, per ciò che riguarda la situazione familiare del richiedente, sappiamo che questo si è sposato nel 1996 con una cittadina italiana e che, da questa unione, sono nati tre bambini rispettivamente nel 1996, 2001 e 2004 e che possiedono la nazionalità italiana. Al momento dell’espulsione del richiedente nel 2007, i bambini avevano 10, 7 e 3 anni, erano scolarizzate in Italia ed avevano tutti i loro legami familiari e sociali. A titolo di paragone, nella sentenza Üner, i due bambini erano rispettivamente di 6 anni e di 18 mesi. In queste condizioni, salvo di sradicare completamente la famiglia, un trasferimento di questa in Tunisia non ci sembra un’ipotesi realistica né umana.
6. La sentenza è sensibile alla necessità di garantire la protezione contro la minaccia terroristica, ciò che comprendiamo perfettamente. Pensiamo però che la protezione più sicura contro questa minaccia risieda nel rispetto dei diritti fondamentali tra i quali la vita familiare occupa un posto preponderante. In mancanza di ciò, la violenza rischia di generare violenza.
1. Corte eur. D.H, sentenza Vilvarajah ed altri c. Regno Unito del 30 ottobre 1991, § 102.

2. S. SAROLÉA, Diritti dell’uomo e migrazioni. Dalla protezione dell’emigrante ai diritti della persona emigrata, Bruxelles, Bruylant, 2006, p,. 475.

Testo Tradotto

Conclusion Radiation du rôle ; Partiellement irrecevable ; Non-violation de l’art. 8 (expulsion)
DEUXIÈME SECTION
AFFAIRE CHERIF ET AUTRES c. ITALIE
(Requête no 1860/07)
ARRÊT
STRASBOURG
7 avril 2009
Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l’article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire Cherif et autres c. Italie,
La Cour européenne des droits de l’homme (deuxième section), siégeant en une chambre composée de :
Françoise Tulkens, présidente,
Ireneu Cabral Barreto,
Vladimiro Zagrebelsky,
Danutė Jočienė,
Dragoljub Popović,
András Sajó,
Nona Tsotsoria, juges,
et de Françoise Elens-Passos, greffière adjointe de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 10 mars 2009,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 1860/07) dirigée contre la République italienne et dont deux ressortissants tunisiens, MM. F. B. F. C. et K. C., et une ressortissante italienne, Mme S. B. (« les requérants »), ont saisi la Cour le 10 janvier 2006 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (« la Convention »).
2. Les requérants sont représentés par Me A. B., avocate à Gênes. Le gouvernement italien (« le Gouvernement ») est représenté par son agent, Mme E. Spatafora et par son co-agent adjoint, M. N. Lettieri.
3. Les requérants invoquent une violation de leur droit de recours individuel et allèguent que la mise à exécution de la décision d’expulser le premier requérant a méconnu les articles 3, 6, 8, 13 et 34 de la Convention et l’article 1 du Protocole no 7.
4. Le 13 mars 2007, la présidente de la deuxième section a décidé de communiquer la requête au Gouvernement. Comme le permet l’article 29 § 3 de la Convention, il a en outre été décidé que la chambre se prononcerait en même temps sur la recevabilité et sur le fond de l’affaire.
EN FAIT
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
5. Le premier requérant est un ressortissant tunisien né en 1970 et résidant actuellement en Tunisie. La requérante est l’épouse du premier requérant. Ressortissante italienne, elle est née en 1964 et réside à Dazio (Sondrio). Le deuxième requérant est le frère du premier requérant. C’est un ressortissant tunisien. Sa date de naissance et son lieu de résidence ne sont pas connus.
A. L’expulsion du premier requérant
6. En janvier 1993, le premier requérant s’installa en Italie. Il emménagea avec la requérante, qu’il épousa le 24 mai 1996, et eut avec elle trois enfants, nés respectivement le 11 décembre 1996, le 28 août 2001 et le 21 juin 2004. Il obtint un permis de séjour régulier.
7. Les requérants affirment que le premier requérant n’a jamais été accusé d’aucune infraction pénale en Italie. Il aurait en revanche été condamné par contumace à huit années d’emprisonnement par le tribunal militaire de Tunis. Les requérants n’ont pas produit de copie de ce jugement.
8. Le 13 juillet 2005, des agents de la préfecture (Questura) de Sondrio perquisitionnèrent la demeure du premier requérant. Il ressort du procès-verbal de la perquisition qu’une « source confidentielle crédible » avait donné des indices amenant à croire que l’intéressé détenait illégalement des armes, des munitions ou des matières explosives. Toutefois, aucun de ces objets ne fut trouvé à son domicile.
9. Par un arrêté du 4 janvier 2007, le ministre des Affaires intérieures ordonna l’expulsion du premier requérant vers la Tunisie, en application des dispositions du décret-loi no 144 du 27 juillet 2005 (décret intitulé « mesures urgentes pour combattre le terrorisme international », et converti en la loi no 155 du 31 juillet 2005). Observant qu’il « ressortait des actes » que le premier requérant entretenait des relations suivies avec des éléments de premier plan de l’intégrisme islamiste en Italie qui avaient joué un rôle dans des projets terroristes, le ministre expliqua que compte tenu du « contexte actuel du terrorisme de type islamiste », il avait des raisons de penser que par sa présence en Italie, le premier requérant pouvait prêter assistance à des organisations ou des activités terroristes.
10. Le ministre précisa que le premier requérant ne pourrait revenir en Italie que sur la base d’une autorisation ministérielle ad hoc et que la préfecture de Sondrio était chargée de l’exécution de l’arrêté d’expulsion. Il indiqua en outre que cet arrêté pouvait être attaqué devant le tribunal administratif (« TAR ») du Latium dans un délai de soixante jours.
11. Le 4 janvier 2007, vers 16 heures, le premier requérant fut interpellé par la police et conduit à la préfecture (Questura) de Milan, où il se vit notifier l’arrêté d’expulsion ainsi qu’une ordonnance par laquelle le préfet de Sondrio révoquait le permis de séjour qui lui avait été octroyé le 19 janvier 2000 pour une durée indéterminée. Cette décision pouvait être contestée devant le TAR du Latium dans un délai de soixante jours.
12. Avant d’être conduit à la préfecture, le premier requérant aurait téléphoné à la requérante, l’informant que la police l’avait interpellé. Celle-ci aurait essayé par la suite à plusieurs reprises de le contacter, mais sans succès. Elle n’aurait pu lui parler que le soir, alors qu’il était en route vers l’aéroport en vue de son rapatriement.
13. Selon le récit fait par la requérante de cette communication téléphonique, le premier requérant aurait supplié qu’on ne le rapatriât pas, expliquant qu’il craignait pour sa vie, et aurait demandé à contacter un avocat. Quelqu’un lui aurait répondu que rien ne pouvait être fait, puis la ligne aurait été coupée.
14. Cette version des faits est contestée par le Gouvernement, qui a produit une note de la préfecture de Sondrio datée du 3 juillet 2007. Selon cette note, après avoir notifié au premier requérant l’arrêté d’expulsion, le personnel de la préfecture lui aurait demandé s’il souhaitait contacter quelqu’un avant que l’expulsion fût mise à exécution. L’intéressé aurait téléphoné à deux reprises à la requérante. On lui aurait alors demandé s’il avait besoin d’autre chose, et il aurait répondu par la négative, ajoutant seulement que certains de ses effets personnels et une certaine somme d’argent devaient être donnés à sa femme. Enfin, une fois arrivé à l’aéroport de Milan, il aurait téléphoné une troisième fois à la requérante.
15. Vers 21h10, la requérante aurait présenté une demande d’asile politique au nom de son mari. Cette demande ne fut pas examinée car le premier requérant avait déjà embarqué sur un vol à destination de Tunis, qui décollait à 21h20. Cependant, son nom ne figurait pas sur la liste des passagers de ce vol, et aucun laissez-passer ne lui avait été octroyé. A cet égard, les requérants soulignent que le passeport du premier requérant n’était plus valable, les autorités tunisiennes refusant depuis longtemps de le renouveler.
16. Selon les requérants, la police de Milan aurait exercé des pressions sur le premier requérant, l’invitant à « collaborer ».
17. Le 5 janvier 2007, un agent de la préfecture de Sondrio aurait déclaré à la requérante : « pour nous, Madame, votre mari est libre ; la Digos de Milan lui a demandé de collaborer et il n’a pas donné la réponse souhaitée ».
18. Le premier requérant arriva à Tunis en compagnie d’un autre ressortissant tunisien, dont le nom n’est pas connu. Celui-ci ne fut pas privé de sa liberté. Selon les requérants, M. C., en revanche, fut incarcéré et torturé jusqu’au 15 janvier 2007 dans les locaux du ministère des Affaires intérieures de Tunis.
19. Le 22 janvier 2007, les requérants ont indiqué que le premier requérant était détenu au pénitencier civil de Tunis, où il avait été placé « sous la responsabilité » des autorités militaires ; et que les membres de sa famille n’avaient aucun contact avec lui.
20. La famille du premier requérant aurait nommé un avocat pour le représenter en Tunisie. Cependant, cet avocat ne pourrait pas obtenir de copie des actes de la procédure ni connaître de manière précise les accusations portées contre son client.
21. Entre-temps, le 11 janvier 2007, la requérante et le deuxième requérant avaient présenté à la Cour une demande de mesure provisoire en vertu de l’article 39 du règlement. Ils demandaient que l’Italie fût invitée à produire des garanties quant au respect de la vie et de l’intégrité physique du premier requérant et à s’efforcer d’obtenir sa remise en liberté immédiate, son retour en Italie, ainsi que la possibilité pour lui de nommer un avocat de son choix en Tunisie et de communiquer avec sa famille. Le 12 janvier 2007, les avocats des requérants furent informés que leur demande avait été rejeté. Des nouvelles demandes visant à obtenir la mesure d’urgence de la suspension de l’arrêté d’expulsion, introduites le 23 mai et 2 juillet 2007, furent considérées comme se situant hors du champ d’application de l’article 39 et ne furent dès lors pas soumises pour décision au président de la chambre.
22. A une date non précisée, la requérante saisit le tribunal régional administratif (« TAR ») du Latium afin d’obtenir l’annulation de l’arrêté d’expulsion et de la révocation du permis de séjour de son mari. Elle demanda en outre la suspension de l’exécution des décisions litigieuses. Par une ordonnance du 26 avril 2007, le TAR du Latium rejeta la demande de suspension. Il observa d’abord que la requérante ne semblait pas avoir le locus standi pour attaquer des actes concernant son mari et que ce dernier n’avait pas nommé un avocat pour le représenter ; ensuite que le premier requérant était détenu à Tunis, ce qui rendait impossible, en l’état, son retour en Italie ; et enfin que l’intérêt de l’Etat à protéger la sécurité nationale semblait destiné à prévaloir sur l’intérêt particulier des requérants. L’issue du recours en annulation devant le TAR n’est pas connue.
23. Dans une note du 2 juillet 2007, le ministère des Affaires intérieures précisa que, contrairement à ce qui avait été affirmé par les requérants (voir le paragraphe 7 ci-dessus), le premier requérant avait de nombreux antécédents judiciaires en Italie. En particulier, par un jugement du 11 avril 1996, qui avait ensuite acquis la force de la chose jugée, le tribunal de Milan l’avait condamné à dix mois d’emprisonnement pour possession de stupéfiants ; le 22 mars 1999, ce même tribunal avait prononcé une condamnation pour possession et vente de stupéfiants à un an et un mois d’emprisonnement. Cette dernière condamnation était devenue définitive le 17 janvier 2004, et le sursis de l’exécution de la peine, octroyé lors de la première condamnation, avait été révoqué. De plus, en juin 1999 et en juillet 2001, le requérant avait été arrêté et poursuivi pour outrage et résistance à un officier public ; en 1997 et 2002, des poursuites avaient été entamées à son encontre pour rixe, coups et blessures, dégradation de chose d’autrui et port prohibé d’un objet pouvant être utilisé comme une arme.
24. Dans une note du 4 juillet 2007, le même ministère indiqua que la dangerosité du premier requérant avait été déduite du fait qu’il fréquentait, depuis 2002, de nombreux ressortissants étrangers impliqués dans des affaires faisant l’objet d’enquêtes judicaires.
B. Les assurances diplomatiques obtenues par les autorités italiennes
25. Le 29 août 2008, l’Ambassade d’Italie à Tunis adressa au ministère tunisien des Affaires étrangères une note verbale (no 3124) dans laquelle elle sollicita des assurances diplomatiques. Le contenu de cette note se trouve dans l’arrêt Soltana c. Italie, no 37336/06, § 19, 24 mars 2009.
26. Le 5 novembre 2008, les autorités tunisiennes firent parvenir leur réponse, signée par l’avocat général à la direction générale des services judiciaires. En ses parties pertinentes, cette réponse se lit comme suit :
« Dans sa note verbale en date du 29 août 2008, telle que complétée par sa note verbale datée du 4 septembre 2008, l’ambassade d’Italie à Tunis a sollicité, des autorités tunisiennes, les assurances, ci-après énumérées, concernant les citoyens tunisiens (…) F. C. [et autres] s’ils venaient à être expulsés vers la Tunisie. (…)
II. S’agissant du dénommé F. C., les autorités tunisiennes soulignent que suite à son expulsion vers la Tunisie, il a été traduit en justice du chef d’infractions terroristes portant sur son adhésion, hors du territoire de la république tunisienne, à une entente en rapport avec des infractions terroristes et la collecte de fonds dont il [sait] qu’ils sont destinés à financer des personnes, des organisations et des activités terroristes.
L’intéressé a bénéficié d’un procès équitable au cours duquel il a pu faire valoir tous ses moyens de défense. Il a été reconnu coupable d’octroi de contributions pécuniaires aux membres d’une bande de malfaiteurs et condamné, de ce chef, à un an d’emprisonnement et [il] a bénéficié d’un non-lieu pour l’infraction d’adhésion à une organisation terroriste.
F. C. a été libéré au cours du mois de janvier 2008, après [avoir purgé sa peine]. Il est à noter qu’il a bénéficié, dans l’établissement pénitentiaire, d’un programme de soutien psychologique et d’un programme de réhabilitation qui lui a permis d’apprendre un métier de manière à faciliter sa réinsertion dans la société.
(…)
La garantie du droit de recevoir des visites :
Si l’arrestation des intéressés [est] décidée par l’autorité judiciaire compétente, ils bénéficieront des droits garantis aux détenus par la loi du 14 mai 2001 relative à l’organisation des prisons. Cette loi consacre le droit de tout prévenu à recevoir la visite de l’avocat chargé de sa défense, sans la présence d’un agent de la prison ainsi que la visite des membres de leurs familles. Si leur arrestation [est] décidée, les intéressés jouiront de ce droit conformément à la réglementation, en vigueur et sans restriction aucune.
Concernant la demande de visite des intéressés par les avocats qui les représentent dans la procédure en cours devant la Cour européenne des droits de l’homme, les autorités tunisiennes observent qu’une telle visite ne peut être autorisée en l’absence de convention ou de cadre légal interne qui l’autoriserait.
En effet la loi relative aux prisons détermine les personnes habilitées à exercer ce droit : il s’agit notamment des membres de la famille du détenu et de son avocat tunisien.
La Convention d’entraide judiciaire conclue entre la Tunisie et l’Italie le 15 novembre 1967 ne prévoit pas la possibilité pour les avocats italiens de rendre visite à des détenus tunisiens. Toutefois les intéressés pourront, s’ils le souhaitent, charger des avocats tunisiens de leur choix [de] leur rendre visite et de procéder, avec leurs homologues italiens, à la coordination de leurs actions dans la préparation des éléments de leur défense devant la Cour européenne des droits de l’homme.
(…) ».
C. La représentation des requérants devant la Cour
27. Au moment de l’introduction de leur requête (10 janvier 2007), la requérante et le deuxième requérant avaient signé une procuration en faveur de deux avocats du barreau de Milan, Mes S. C. et B. M.. Aucune procuration n’avait été signée par le premier requérant, qui à cette époque venait d’être expulsé vers la Tunisie. Le formulaire de requête était signé par Mes C. et M..
28. Par une télécopie du 2 avril 2007, Me A. B. informa la Cour qu’elle était la nouvelle représentante des requérants, et que toute correspondance relative à la présente requête devait être adressée à son cabinet à Gênes. Par une lettre du 13 avril 2007, le greffe de la Cour transmit à Me B. un formulaire de procuration, l’invitant à le faire parvenir à la Cour, dûment rempli, dans les meilleurs délais. Dans le même temps, le greffe informa Mes C. et M. de la télécopie de Me B. et précisa que, sauf indication contraire de leur part, il serait estimé que seule cette dernière représentait les requérants. Aucune réponse ne fut reçue de Mes C. et M..
29. Par une télécopie du 27 avril 2007, Me B. fit parvenir au greffe de la Cour une procuration en sa faveur signée par la requérante. Les premier et deuxième requérants ne signèrent aucune procuration semblable.
30. Par la suite, Me B. produisit le document suivant, daté du 9 février 2007, et au bas duquel figure une signature illisible :
« Je soussigné Foued Ben Fitouri Cherif, né à Tunis le 31 mai 1970, nomme en tant qu’avocat de mon choix Me Alessandra Ballerini du barreau de Gênes afin qu’elle me représente et me défende devant le TAR [du] Latium par rapport à la révocation de [mon] permis de séjour et [à mon] expulsion d’Italie. J’élis domicile dans son cabinet à Gênes, Salita Viale no 5-2. »
EN DROIT
I. SUR LA REQUÊTE INTRODUITE AU NOM DU PREMIER REQUÉRANT
31. La Cour observe d’emblée que le formulaire de requête a été rempli également au nom du premier requérant, qui soutiendrait que la mise à exécution de la décision de l’expulser a violé les articles 3, 6, 8, 13 et 34 de la Convention et 1 du Protocole no 7.
32. Le Gouvernement conteste les griefs susmentionnés.
33. Il argue tout d’abord que le premier requérant n’a jamais mandaté d’avocat pour le représenter devant la Cour, la présente requête ayant été introduite uniquement par son épouse et par son frère (la requérante et le deuxième requérant), qui n’avaient pas le pouvoir de le représenter. Il indique ensuite que le jour de l’expulsion, la notification de l’arrêté ministériel a eu lieu à 16 heures, alors que le vol pour Tunis où le premier requérant a été embarqué ne décollait qu’à 21h20 : l’intéressé aurait donc disposé de plus de cinq heures pour faire appel aux services d’un avocat.
34. Les requérants affirment que le premier requérant a été emmené de force à la préfecture de Milan, où il n’a pas eu la possibilité de contacter un avocat de son choix. Il aurait ensuite été conduit à l’aéroport en vue de l’exécution de son expulsion. Une personne se présentant comme un inspecteur de police aurait par ailleurs téléphoné à la requérante, et lui aurait dit qu’il était inutile d’appeler un avocat, le premier requérant ayant été expulsé. La représentante des requérants devant la Cour aurait demandé aux autorités tunisiennes l’autorisation de visiter le premier requérant au pénitencier de Tunis, mais cette autorisation lui aurait été refusée, de même qu’aux fonctionnaires de l’ambassade d’Italie à Tunis. Seule la requérante aurait pu voir son mari en Tunisie, et ce serait ainsi qu’elle aurait obtenu une procuration signée par l’intéressé en sa présence. La teneur de cette procuration figure au paragraphe 30 ci-dessus.
35. La Cour rappelle qu’aux termes de l’article 36 § 1 de son règlement, « [l]es personnes physiques (…) peuvent initialement soumettre des requêtes en agissant soit par [elles]-mêmes, soit par l’intermédiaire d’un représentant ». En outre, une fois la requête notifiée à la Partie contractante défenderesse, tout requérant doit, sauf décision contraire du président de la chambre, être représenté par un conseil habilité à exercer dans l’une quelconque des Parties contractantes et résidant sur le territoire de l’une d’elles (voir les paragraphes 2 et 4 a) de l’article 36 précité). Enfin, toute requête formulée en vertu de l’article 34 de la Convention doit être présentée par écrit et signée par le requérant ou son représentant ; lorsqu’un requérant est représenté, son ou ses représentants doivent produire une procuration ou un pouvoir écrit (article 45 §§ 1 et 3 du règlement de la Cour).
36. En la présente espèce, aucun des requérants n’a présenté sa requête en agissant par lui-même ; les intéressés sont en effet passés par l’intermédiaire d’un ou plusieurs représentants, à savoir initialement Mes C. et M., et ensuite, à partir d’avril 2007, Me B.. Dès lors, lesdits représentants étaient tenus de produire une procuration ou un pouvoir écrit signés par leurs clients.
37. Or, les seules procurations écrites concernant la procédure devant la Cour qui sont parvenues au greffe ont été signées par la requérante et par le deuxième requérant (ce dernier s’étant borné à nommer Mes C. et M.). Aucune procuration semblable n’a été produite au nom du premier requérant (voir les paragraphes 27 et 29 ci-dessus).
38. La Cour ne saurait souscrire à la thèse du Gouvernement selon laquelle l’intéressé disposait du temps et des facilités nécessaires pour chercher et nommer un représentant dans les quelques heures qui ont suivi son interpellation et précédé la mise à exécution de la décision de l’expulser. A cet égard, elle rappelle que le 4 janvier 2007, le premier requérant a été conduit à la préfecture de Milan vers 16 heures (voir le paragraphe 11 ci-dessus), et qu’il a été embarqué sur un vol à destination de Tunis qui a décollé à 21h20 (voir le paragraphe 15 ci-dessus). Dans la mesure où il s’est alors trouvé dans une situation qu’il devait percevoir comme dramatique et où il n’était pas rompu aux arcanes des procédures judiciaires, on ne saurait lui faire grief de ne pas avoir songé, dans un délai aussi bref, à entreprendre les démarches juridiques lui permettant d’être représenté par un conseil devant la Cour.
39. Il en va autrement, cependant, pour la période qui a suivi la mise à exécution de l’expulsion. Il ressort en effet des assurances diplomatiques données par les autorités tunisiennes qu’en prison, M. F. C. aurait eu la possibilité de recevoir des visites de son avocat et des membres de sa famille (voir le paragraphe 26 ci-dessus). En effet, la requérante elle-même admet avoir pu rencontrer son mari au pénitencier de Tunis. Elle aurait également obtenu, le 9 février 2007, une procuration signée par l’intéressé. Cette procuration ne concerne cependant que la procédure devant le TAR, et ne mentionne pas la procédure devant la Cour (voir le paragraphe 30 ci-dessus).
40. De plus, comme cela a été indiqué par les autorités tunisiennes sans que les requérants ne le contestent, le premier requérant a été libéré en janvier 2008 (voir le paragraphe 26 ci-dessus). A partir de cette date, rien ne l’empêchait de contacter sa femme ou l’avocate italienne qui la représentait et de leur faire parvenir, par courrier ou par télécopie, une procuration écrite.
41. La Cour attache également de l’importance au fait que, dès avril 2007, le greffe de Strasbourg avait invité Me B. à produire une procuration dûment remplie et signée par ses clients (voir le paragraphe 28 ci-dessus). En outre, Me B. a reçu une copie des observations du Gouvernement, qui excipait de l’absence de procuration concernant le premier requérant. Elle n’a cependant pas produit une telle procuration, mais s’est bornée à faire parvenir au greffe le document du 9 février 2007, non valide aux fins de la représentation devant la Cour (voir les paragraphes 30 et 39 ci-dessus).
42. Dans ces circonstances, la Cour considère que le premier requérant n’entend plus maintenir sa requête et/ou qu’il ne se justifie pas d’en poursuivre l’examen au sens de l’article 37 § 1 a) et/ou c) de la Convention (voir, mutatis mutandis, Fitzmartin et autres (déc.), no 34953/97 et autres, 21 janvier 2003). Par ailleurs, le respect des droits de l’homme garantis par la Convention et ses Protocoles n’exige pas la poursuite de l’examen de ladite requête. A cet égard, il convient de noter que les questions qu’elle soulève ont déjà été abordées par la Grande Chambre dans l’affaire Saadi c. Italie (no 37201/06, 28 février 2008) et par des arrêts de chambre dans plusieurs affaires similaires (voir, par exemple, Ben Khemais c. Italie, no 246/07, 24 février 2009).
43. Il s’ensuit qu’aux termes de l’article 37 § 1 a) et/ou c) de la Convention, il y a lieu de rayer l’affaire du rôle dans la mesure où elle a été introduite par le premier requérant.
II. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DES ARTICLES 3, 6, 13 ET 34 DE LA CONVENTION ET 1 DU PROTOCOLE No 7
44. La requérante et le deuxième requérant allèguent que l’expulsion du premier requérant a été exécutée en dépit des risques de traitements inhumains auxquels l’intéressé serait exposé en Tunisie. De plus, ils allèguent que le premier requérant a été victime en Tunisie d’un déni de justice ; ils contestent la motivation de l’arrêté d’expulsion du 4 janvier 2007 ; et ils soutiennent qu’il était impossible pour le premier requérant d’attaquer la décision de l’expulser devant les tribunaux internes. Enfin, ils estiment que les modalités de l’exécution de l’expulsion ont porté atteinte à leur droit de recours individuel.
45. Ils invoquent les articles 3, 6, 13 et 34 de la Convention et 1 du Protocole no 7.
46. Le Gouvernement conteste ces griefs.
47. La Cour rappelle que pour pouvoir former une requête en vertu de l’article 34, une personne physique, une organisation non gouvernementale ou un groupe de particuliers doit se prétendre « victime d’une violation (…) des droits reconnus dans la Convention (…) ». L’article 34 exige qu’un individu requérant se prétende effectivement lésé par la violation qu’il allègue (Irlande c. Royaume-Uni, 18 janvier 1978, §§ 239-240, série A no 25, et Klass et autres c. Allemagne, 6 septembre 1978, § 33, série A no 28) ; cet article n’institue pas au profit des particuliers une sorte d’actio popularis pour l’interprétation de la Convention et ne les autorise pas non plus à se plaindre d’une loi au seul motif qu’elle leur semble enfreindre la Convention (Norris c. Irlande, série A no 142, § 31, 26 octobre 1988, et Sanles Sanles c. Espagne (déc.), no 48335/99, CEDH 2000-XI). Ce principe s’applique aussi aux événements ou décisions qui seraient contraires à la Convention (Fairfield c. Royaume-Uni, (déc.) no 24790/04, CEDH 2005-VI, et Ada Rossi et autres c. Italie (déc.), nos 55185/08 et autres, 16 décembre 2008).
48. La Cour réaffirme également que l’existence d’une victime, c’est-à-dire d’un individu qui est personnellement touché par la violation alléguée d’un droit garanti par la Convention, est nécessaire pour que soit enclenché le mécanisme de protection prévu par celle-ci, bien que ce critère ne puisse être appliqué de façon rigide, mécanique et inflexible tout au long de la procédure (Karner c. Autriche, no 40016/98, § 25, CEDH 2003-IX).
49. En l’espèce, les mauvais traitements et le déni de justice pouvant avoir lieu en Tunisie ne touchent personnellement que le premier requérant. Il en va de même en ce qui concerne la procédure ayant conduit à l’adoption et à l’exécution de l’arrêté d’expulsion. Il convient en effet de rappeler que seul le premier requérant a fait l’objet d’une telle procédure.
50. Dans ces circonstances, la requérante et le deuxième requérant ne sauraient se prétendre « victimes » des violations des articles 3, 6, 13 et 34 de la Convention et 1 du Protocole no 7 qu’ils allèguent.
51. Il s’ensuit que cette partie de la requête est incompatible ratione personae avec les dispositions de la Convention et doit être rejetée en application de l’article 35 §§ 3 et 4 de la Convention.
III. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 8 DE LA CONVENTION
52. La requérante et le deuxième requérant allèguent que l’expulsion du premier requérant vers la Tunisie a violé leur droit au respect de leur vie familiale. Ils invoquent l’article 8 de la Convention, ainsi libellé dans sa partie pertinente :
« 1. Toute personne a droit au respect de sa vie (…) familiale, (…).
2. Il ne peut y avoir ingérence d’une autorité publique dans l’exercice de ce droit que pour autant que cette ingérence est prévue par la loi et qu’elle constitue une mesure qui, dans une société démocratique, est nécessaire (…), à la sûreté publique, (…) à la défense de l’ordre et à la prévention des infractions pénales, (…). »
53. Le Gouvernement s’oppose à cette thèse.
A. Sur la recevabilité
54. La Cour observe tout d’abord que, dans la mesure où ils se plaignent des répercussions négatives que l’expulsion du premier requérant a eues sur leur vie familiale, la requérante et le deuxième requérant peuvent alléguer avoir été personnellement touchés par les faits qu’ils dénoncent. Ils ont donc locus standi pour soulever ce grief en leur nom propre. Elle constate ensuite que celui-ci n’est pas manifestement mal fondé au sens de l’article 35 § 3 de la Convention et qu’il ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité. Il convient donc de le déclarer recevable (voir, mutatis mutandis, Saadi, précité, § 163).
B. Sur le fond
1. Arguments des parties
a) Les requérants
55. La requérante et le deuxième requérant allèguent que leur vie familiale a été perturbée par l’exécution de l’expulsion du premier requérant, rappelant que ce dernier demeurait avec la requérante et les trois enfants du couple. Ils ajoutent que la requérante souffre d’hépatite et de broncho-pneumonie, et que les enfants sont également atteints de troubles des voies respiratoires et doivent effectuer des examens immunologiques réguliers.
56. Le premier requérant n’aurait jamais fait l’objet de poursuites en Italie, ce qui démentirait la thèse le présentant comme un élément dangereux pour la société, et les allégations du Gouvernement à cet égard ne se fonderaient sur aucun élément objectif mais reposeraient uniquement sur le fait que l’intéressé fréquentait la mosquée et connaissait d’autres musulmans pratiquants.
b) Le Gouvernement
57. Le Gouvernement souligne que l’ingérence dans la vie familiale des intéressés a une base légale en droit interne, à savoir la loi no 155 de 2005. Il soutient qu’il faut tenir compte premièrement de l’influence négative que le premier requérant, de par sa personnalité et l’ampleur de la menace terroriste, représentait pour la sécurité de l’Etat ; et deuxièmement de l’importance particulière qui doit être attachée à la prévention des infractions pénales graves et au maintien de l’ordre public. Ainsi, l’ingérence éventuelle dans le droit des requérants au respect de leur vie familiale aurait poursuivi un but légitime et aurait été nécessaire dans une société démocratique. Aucune charge disproportionnée et exorbitante n’aurait été imposée à la cellule familiale. En particulier, le Gouvernement estime que même si les enfants du premier requérant étaient scolarisés en Italie et imprégnés de la culture italienne, rien ne les empêche de poursuivre leur scolarité en Tunisie, et que l’unité de la vie familiale pourra être préservée en dehors du territoire italien.
2. Appréciation de la Cour
a) Principes généraux
58. La Cour réaffirme que la Convention ne garantit pas le droit pour un étranger d’entrer ou de résider dans un pays particulier et que dans l’exercice de leur mission de maintien de l’ordre public, les Etats contractants ont la faculté d’expulser un étranger délinquant. Toutefois, leurs décisions en la matière, dans la mesure où elles porteraient atteinte à un droit protégé par le paragraphe 1 de l’article 8, doivent se révéler nécessaires dans une société démocratique, c’est-à-dire justifiées par un besoin social impérieux et, notamment, proportionnées au but légitime poursuivi (Mehemi c. France, Recueil des arrêts 1997-VI, § 34, 26 septembre 1997 ; Dalia c. France, Recueil des arrêts 1998-I, § 52, 19 février 1998 ; Boultif c. Suisse, no 54273/00, § 46, CEDH 2001-IX ; Slivenko c. Lettonie [GC], no 48321/99, § 113, CEDH 2003-X).
59. Même si un ressortissant étranger possède un statut non précaire de résident et a atteint un haut degré d’intégration, sa situation ne peut être mise sur le même pied que celle d’un ressortissant de l’Etat lorsqu’il s’agit du pouvoir précité des Etats contractants d’expulser des étrangers (Moustaquim c. Belgique, 18 mai 1991, § 49, série A no 193) pour une ou plusieurs des raisons énumérées au paragraphe 2 de l’article 8 de la Convention. Les Etats contractants ont le droit de prendre à l’égard des personnes ayant été condamnées pour des infractions pénales des mesures de nature à protéger la société. Semblables mesures administratives doivent être considérées comme revêtant un caractère préventif plutôt que punitif (Maaouia c. France [GC], no 39652/98, § 39, CEDH 2000-X).
60. La Cour a énuméré les critères devant être utilisés pour l’appréciation de la question de savoir si une mesure d’expulsion était nécessaire dans une société démocratique et proportionnée au but légitime poursuivi (Boultif, précité, § 40, et Üner c. Pays-Bas [GC], no 46410/99, §§ 57-58, CEDH 2006-..). Ces critères sont les suivants :
– la nature et la gravité de l’infraction commise par le requérant ;
– la durée du séjour de l’intéressé dans le pays dont il doit être expulsé ;
– le laps de temps qui s’est écoulé depuis l’infraction, et la conduite du requérant pendant cette période ;
– la nationalité des diverses personnes concernées ;
– la situation familiale du requérant, et notamment, le cas échéant, la durée de son mariage, et d’autres facteurs témoignant de l’effectivité d’une vie familiale au sein d’un couple ;
– la question de savoir si le conjoint avait connaissance de l’infraction à l’époque de la création de la relation familiale ;
– la question de savoir si des enfants sont issus du mariage et, dans ce cas, leur âge ;
– la gravité des difficultés que le conjoint risque de rencontrer dans le pays vers lequel le requérant doit être expulsé ;
– l’intérêt et le bien-être des enfants, en particulier la gravité des difficultés que les enfants du requérant sont susceptibles de rencontrer dans le pays vers lequel l’intéressé doit être expulsé ; et
– la solidité des liens sociaux, culturels et familiaux avec le pays hôte et avec le pays de destination.
b) Application de ces principes au cas d’espèce
61. En l’espèce, l’expulsion du premier requérant s’analyse en une ingérence dans le droit au respect de la vie familiale de la requérante et du deuxième requérant. Il n’est pas contesté que cette ingérence était prévue par la loi, à savoir le décret-loi no 144 du 27 juillet 2005 (voir le paragraphe 9 ci-dessus).
62. La Cour estime également que l’ingérence litigieuse poursuivait des buts légitimes, à savoir la protection de la sûreté publique, la défense de l’ordre et la prévention des infractions pénales.
63. A cet égard, elle note que selon les informations fournies par le ministère des Affaires intérieures, le premier requérant a été condamné en Italie à deux reprises à des peines privatives de liberté pour possession et vente de stupéfiants ; en outre, en juin 1999 et en juillet 2001, il a été arrêté et poursuivi pour outrage et résistance à un officier public et des poursuites ont été entamées à son encontre pour des nombreuses autres infractions, parmi lesquelles rixe et coups et blessures (voir le paragraphe 23 ci-dessus). De plus, le ministre des Affaires intérieures a indiqué être en possession d’éléments amenant à penser que le premier requérant avait entretenu des relations suivies avec des éléments de premier plan de l’intégrisme islamiste en Italie, qui avaient participé à des projets terroristes (voir le paragraphe 9 ci-dessus). Au demeurant, la Cour observe que la thèse de l’implication du premier requérant dans des activités susceptibles de troubler l’ordre public est également corroborée par le fait que l’intéressé a été accusé, en Tunisie, d’adhésion à une organisation terroriste et de collecte de fonds destinés à financer des personnes, des organisations et des activités terroristes. Même s’il a bénéficié d’un non-lieu pour l’infraction d’adhésion à une organisation terroriste, l’intéressé a été reconnu coupable d’octroi de contributions pécuniaires aux membres d’une bande de malfaiteurs et condamné, de ce chef, à un an d’emprisonnement (voir le paragraphe 26 ci-dessus).
64. L’ensemble de ces éléments pouvait raisonnablement amener les autorités italiennes à croire que la présence du premier requérant sur le territoire de l’Etat représentait un danger pour la sûreté publique.
65. En ce qui concerne la vie familiale du premier requérant en Italie, la Cour observe que l’intéressé est marié avec la requérante et que les trois filles du couple sont nées, respectivement, en 1996, 2001 et 2004 (voir le paragraphe 6 ci-dessus). A l’époque de l’expulsion, elles étaient donc encore jeunes et capables de s’adapter. Nées d’une Italienne, elles possèdent la nationalité de cet Etat. Elles pourraient donc, si elles suivaient leur père en Tunisie, revenir en Italie régulièrement pour rendre visite aux membres de leur famille dans ce pays (voir, mutatis mutandis, Üner, précité, § 64).
66. La Cour ne sous-estime pas les difficultés d’ordre pratique qu’impliquerait pour la requérante le fait de suivre son mari en Tunisie. Elle observe cependant que rien ne prouve que la maladie dont est atteinte Mme B. ne pourrait pas être soignée d’une manière efficace dans ce pays. Par ailleurs, celle-ci a pu rencontrer son mari lorsqu’il était détenu à Tunis. En tout état de cause, dans les circonstances particulières de l’espèce, les exigences de protection de l’ordre public et de la sécurité nationale l’emportent sur les intérêts de la famille. Quant au deuxième requérant, il est de nationalité tunisienne et il n’a pas été allégué qu’un obstacle quelconque s’opposerait à ce qu’il se rende en Tunisie.
67. Il n’a pas non plus été allégué que le premier requérant n’avait aucun lien social ou culturel avec la société tunisienne. Il semblerait au contraire qu’il ait passé l’essentiel de sa vie dans ce pays, et que la langue locale soit sa langue maternelle.
68. Certes, le premier requérant ne peut, sans autorisation ministérielle, effectuer aucune visite, même de courte durée, en Italie. Toutefois, eu égard à la nature et à la gravité des infractions pour lesquelles il a été condamné, ainsi qu’à la gravité des soupçons qui pèsent sur lui, la Cour ne peut conclure que l’Etat défendeur a fait trop largement prévaloir l’intérêt public sur l’intérêt particulier lorsqu’il a décidé d’imposer cette mesure.
69. A la lumière de ce qui précède, la Cour estime que l’expulsion du premier requérant n’a pas rompu le juste équilibre devant être ménagé en la matière entre les exigences du respect de la vie familiale de la requérante et du deuxième requérant et les buts légitimes poursuivis par les autorités. La mesure incriminée était donc nécessaire dans une société démocratique.
70. Il s’ensuit que la mise à exécution de l’expulsion du premier requérant vers la Tunisie n’a pas violé l’article 8 de la Convention.
PAR CES MOTIFS, LA COUR
1. Décide, à l’unanimité, de rayer la requête du rôle dans la mesure où elle a été introduite par le premier requérant ;
2. Déclare, à l’unanimité, la requête recevable quant au grief de la requérante et du deuxième requérant tiré de l’article 8 de la Convention et irrecevable pour le surplus ;
3. Dit, par quatre voix contre trois, que la mise à exécution de la décision d’expulser le premier requérant vers la Tunisie n’a pas violé l’article 8 de la Convention.
Fait en français, puis communiqué par écrit le 7 avril 2009, en application de l’article 77 §§ 2 et 3 du règlement.
Françoise Elens-Passos Françoise Tulkens
Greffière adjointe Présidente
Au présent arrêt se trouve joint, conformément aux articles 45 § 2 de la Convention et 74 § 2 du règlement, l’exposé de l’opinion concordante du juge Sajó et de l’opinion partiellement dissidente commune des juges Tulkens, Jočiené et Popović.
F.T.
F.E.P.

OPINION CONCORDANTE DU JUGE SAJÓ
(Traduction)
J’ai voté comme la majorité mais souhaite ajouter quelques mots afin d’expliquer certains points du raisonnement de la Cour tels que je le conçois.
Le premier requérant a été expulsé pour des raisons de sécurité nationale mais conformément à la loi. La Cour devait donc examiner les effets de l’expulsion au regard de l’article 8 et à la lumière des critères énoncés dans les arrêts Boultif et Üner. Dans les affaires de ce type, elle doit trouver entre ces critères le juste équilibre compte tenu des circonstances propres à l’affaire. Les motifs de l’expulsion sont ici dénués de pertinence. Le cas d’espèce porte sur l’impact de l’expulsion du requérant sur les droits de celui-ci et de son épouse en vertu de l’article 8. Les critères Boultif/Üner ont trait notamment à la nature de l’infraction. Pour cette raison, les condamnations passées du premier requérant doivent être appréciées à la lumière d’éléments actuels touchant à la sécurité nationale : la nature des condamnations passées est telle qu’elle a un poids considérable vu les faits récents qui pèsent sur la sécurité nationale. S’appuyer sur des considérations de sécurité nationale sans rapport avec la nature judiciairement établie de la condamnation serait aller au-delà des critères Boultif/Üner.
J’estime que le comportement du premier requérant après les condamnations pose également problème, même s’il n’y a eu aucune décision judiciaire à cet égard. A mon sens, pareille décision n’est pas requise par la jurisprudence actuelle de la Cour, même si le besoin pourrait un jour s’en faire sentir. Enfin, le premier requérant et son épouse ont plusieurs possibilités pour maintenir leur vie familiale. Je pense qu’à ce stade il serait prématuré de se prononcer sur les conditions de retour (paragraphe 68 de l’arrêt) appliquées au requérant.
OPINION PARTIELLEMENT DISSIDENTE COMMUNE DES JUGES TULKENS, JOCIENE ET POPOVIĆ
Contrairement à la majorité, nous pensons que la mise à exécution de la décision d’expulser le premier requérant vers la Tunisie, laissant derrière lui une femme et trois enfants, a violé l’article 8 de la Convention qui garantit le droit au respect de la vie privée et familiale. Nos raisons sont les suivantes.
1. Si les Etats ont en effet « le droit, en vertu d’un principe de droit international bien établi, de contrôler l’entrée, le séjour et l’éloignement des non-nationaux »1, en exerçant ce droit, ils doivent prendre en considération les droits protégés par la Convention. Les droits protégés par la Convention sont également « bien établis » et aucune hiérarchie ne permet de les placer à un niveau inférieur2.
2. Concernant l’expulsion des étrangers délinquants, dans les arrêts Boultif c. Suisse du 2 août 2001 et Üner c. Pays-Bas du 18 octobre 2006 [GC], la Cour a énuméré les critères qui doivent être appliqués pour apprécier si une mesure d’expulsion est nécessaire dans une société démocratique et proportionnée au but légitime poursuivi. Ceux-ci ne nous semblent pas réunis en l’espèce.
3. En ce qui concerne la durée du séjour de l’intéressé dans le pays dont il doit être expulsé, il convient de noter que le requérant est arrivé en Italie en 1993 et qu’il est titulaire d’un permis de séjour régulier. Au moment de son expulsion en janvier 2007, le requérant avait donc vécu en Italie quatorze ans, ce qui est une durée significative.
4. En ce qui concerne la nature et la gravité des infractions commises par le requérant, il n’est pas contesté que celui-ci a été condamné en 1996 à dix mois d’emprisonnement avec sursis pour possession de stupéfiants et en 1999 à un an et un mois d’emprisonnement pour possession et vente de stupéfiants. Par ailleurs, il a été poursuivi en 1997, 1999, 2001 et 2002 pour outrage et coups mais sans être condamné. Par comparaison avec d’autres affaires dont la Cour a été saisie, on ne peut raisonnablement soutenir que le parcours délinquant du requérant soit d’une gravité telle que « les exigences de protection de l’ordre public et de la sécurité nationale l’emportent sur les intérêts de la famille » (paragraphe 66). En outre, la dernière condamnation du requérant date de 1999 et son expulsion a eu lieu seulement en 2007. Enfin, l’allégation du requérant au moment de son expulsion et manifestement dans le but d’éviter celle-ci, selon laquelle il aurait été condamné par contumace à huit ans d’emprisonnement par le tribunal militaire de Tunis, n’est pas établie en l’espèce par une copie du jugement (paragraphe 7) et est sans pertinence en l’espèce.
En fait, ce ne sont pas les condamnations du requérant mais bien les soupçons qui pèsent sur lui qui constituent, aux yeux de la majorité, la véritable justification de son expulsion, lui permettant de conclure que l’Etat n’a pas trop largement fait prévaloir l’intérêt public sur l’intérêt particulier lorsqu’il a décidé d’imposer cette mesure (paragraphe 68). Il s’agit là, dans la jurisprudence de la Cour, d’un critère entièrement nouveau qui est susceptible de toutes les interprétations, risquant d’ouvrir la voie à l’arbitraire.
En l’espèce, ces soupçons se fondent sur des données fragiles et relatives. Il s’agit, d’une part, de la note du ministère de l’Intérieur indiquant que la dangerosité du requérant était déduite du fait qu’il fréquentait des ressortissants étrangers impliqués dans des affaires faisant l’objet d’enquêtes judiciaires (paragraphe 24). Il s’agit, d’autre part, du fait que, expulsé en Tunisie, le requérant a été reconnu coupable dans ce pays de l’octroi de contributions pécuniaires aux membres d’une bande de malfaiteurs et condamné de ce chef à un an d’emprisonnement alors même qu’il a bénéficié d’un non-lieu pour l’infraction d’adhésion à une organisation terroriste (paragraphe 26).
5. Enfin, en ce qui concerne la situation familiale du requérant, nous savons que celui-ci s’est marié en 1996 avec une ressortissante italienne et que, de cette union, sont issus trois enfants nés respectivement en 1996, 2001 et 2004 et qui possèdent la nationalité italienne. Au moment de l’expulsion du requérant en 2007, les enfants avaient 10, 7 et 3 ans, elles étaient scolarisées en Italie et y avaient toutes leurs attaches familiales et sociales. A titre de comparaison, dans l’arrêt Üner, les deux enfants étaient âgés respectivement de 6 ans et de 18 mois. Dans ces conditions, sauf à déraciner complètement la famille, un transfert de celle-ci en Tunisie ne nous paraît pas une hypothèse réaliste ni humaine.
6. L’arrêt est sensible à la nécessité d’assurer la protection contre la menace terroriste, ce que nous comprenons parfaitement. Nous pensons cependant que la protection la plus sûre contre cette menace réside dans le respect des droits fondamentaux au rang desquels la vie familiale occupe une place prépondérante. A défaut, la violence risque d’engendrer la violence.
1. Cour eur. D.H., arrêt Vilvarajah et autres c. Royaume-Uni du 30 octobre 1991, § 102.

2. S. SAROLEA, Droits de l’homme et migrations. De la protection du migrant aux droits de la personne migrante, Bruxelles, Bruylant, 2006, p. 475.

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