Conclusioni: Parzialmente inammissibile Violazione dell’articolo 1 del Protocollo n° 1 – Protezione della proprietà, articolo 1 del Protocollo n° 1 – Obblighi positivi articolo 1 al. 1 del Protocollo n° 1 – Rispetto dei beni, Violazione dell’articolo 13+P1-1 – Diritto ad un ricorso effettivo, Articolo 13 – Ricorso effettivo, (articolo 1 del Protocollo n° 1 – Protezione della proprietà Obblighi positivi, Soddisfazione equa riservata,
SECONDA SEZIONE
CAUSA CENI C. ITALIA
(Richiesta no 25376/06)
SENTENZA
(merito)
STRASBURGO
4 febbraio 2014
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nel causa Ceni c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Işıl Karakaş, presidentessa,
Guido Raimondi,
Dragoljub Popović,
András Sajó,
Nebojša Vučinić,
Paulo Pinto di Albuquerque,
Egidijus Kūris, juges,et
di Stanley Naismith, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 7 gennaio 2014,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 25376/06) diretta contro la Repubblica italiana e in cui una cittadina di questo Stato, OMISSIS (“il richiedente”), ha investito la Corte il 17 giugno 2006 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente è stato rappresentato da OMISSIS, avvocato a Firenze. Il governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo agente, la Sig.ra E. Spatafora, e col suo co-agente, il Sig. G.M. Pellegrini.
3. Il richiedente adduce che la decisione di rescindere un contratto preliminare di vendita immobiliare nel quale era parte, presa dal liquidatore giudiziale nella cornice del procedimento di fallimento che riguardava il suo co-contraente , ha recato offesa ai suoi diritti garantiti con gli articoli 6, 8 e 13 della Convenzione e con l’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione.
4. Il 22 marzo 2013, la richiesta è stata comunicata al Governo. Siccome lo permette l’articolo 29 § 1 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la camera si sarebbe pronunciata sull’ammissibilità e sul merito della causa allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
5. Il richiedente è nato nel 1953 e risiede a Firenze.
6. Nel giugno 1992, decise di acquistare dall’impresa X un appartamento in costruzione al prezzo di 310 000 000 lire italiane (ITL), o circa 160 101 euro (EUR). Il 13 giugno 1992, versò un acconto di 10 000 000 ITL, circa 5 164 EUR, a titolo di garanzia. Il 3 luglio 1992, il richiedente firmò un contratto preliminare di vendita. Versò un acconto ulteriore di 36 500 000 ITL, circa 18 850 EUR. Effettuò di altri pagamenti scaglionati in funzione dell’avanzamento dei lavori di costruzione. Versò così all’impresa X l’intimo totale di 415 577 434 ITL, circa 214 627 EUR, superiora al prezzo di vendita convenuta.
7. Nel marzo 1995, il richiedente traslocò nell’appartamento in questione e stabilisce la sua residenza principale.
8. Il 14 marzo 1997, basandosi sull’articolo 2932 del codice civile (“il CC”), il richiedente citò il rappresentante dell’impresa X che negava di firmare il contratto di vendita definitiva, dinnanzi al tribunale di Firenze per ottenere il trasferimento di proprietà con la via giudiziale.
9. Il 26 novembre 1997, l’impresa X fu dichiarato in stato di fallimento, ciò che provocò l’interruzione di giuro del procedimento civile impegnato col richiedente.
10. Il 3 febbraio 1998, il liquidatore giudiziale designato nella cornice del procedimento di fallimento comunicò al richiedente la sua decisione di rescindere il contratto preliminare di vendita, in applicazione dell’articolo 72 § 4 della legge sul fallimento, decreto reale no 267 del 16 marzo 1942.
11. Il 5 maggio 1998, informò l’interessata che i beni immobiliari che costituiscono l’attivo del fallimento andavano essere venduti alle aste e l’invitò a restituire l’appartamento che occupava senza titolo. In seguito a trattative impegnate dal richiedente, indicò a questa ultima che, per evitare l’asta pubblica di questo appartamento, doveva versare la somma di 324 000 000 ITL, circa 167 332 EUR. Il richiedente che non dispone di questa somma, gli fu chiesto, il 21 gennaio 1999, di pagare un’indennità di occupazione mensile di 700 000 ITL, circa 361 EUR, e questo da dicembre 1997, o al totale l’intimo di 9 100 000 ITL, circa 4 699 EUR.
12. Il 25 febbraio 1999, l’appartamento fu venduto alle aste. Il richiedente afferma non avere ricevuto nessuna comunicazione a questo motivo. Il bene in questione fu acquistato dagli sposi al prezzo di 227 000 000 ITL, circa 117 235 EUR, e l’iscrizione dell’azione introdotta dal richiedente ai termini dell’articolo 2932 del CC fu cancellata dei registri fondiari.
13. Il 18 maggio 1999, il richiedente introdusse un’azione in giustizia per ottenere l’annullamento della decisione del liquidatore giudiziale di rescindere il contratto preliminare di vendita e del trasferimento di proprietà dell’appartamento allo sposi Y.
14. Il 25 maggio 1999, il richiedente chiese l’iscrizione al passivo del fallimento delle somme che aveva pagato all’impresa X. Il 22 luglio 1999, chiese al giudice delegato al fallimento di revocare la radiazione della sua azione fondata sull’articolo 2932 del CC.
15. Il 12 luglio 1999, gli sposi avevano intimato nel frattempo, C’a il richiedente di lasciare l’appartamento controverso entro dieci giorni. L’interessata fece opposizione all’esecuzione del suo sfratto, al motivo che le azioni giudiziali che cadono sul titolo di proprietà di questo bene erano pendenti. Il giudice di istanza di Pontassieve (Firenze) accettò di sospendere suddetta esecuzione temporaneamente, contro pagamento col richiedente di una garanzia di 5 000 000 ITL, circa 2 582 EUR.
16. Nell’intervallo, alla domanda del richiedente, il procedimento impegnato da lei sul fondamento dell’articolo 2932 del CC era stato ripreso.
17. Con un giudizio del 4 ottobre 1999, depositato il 23 ottobre 1999, il tribunale di Firenze respinse l’azione in annullamento del richiedente alla cancelleria.
18. Osservò che, ai termini dell’articolo 72 § 4 della legge sul fallimento, se la proprietà del bene venduto non era stata trasferita all’acquirente, il liquidatore giudiziale aveva la scelta tra le esecuzioni del contratto e la sua risoluzione. Precisò che, secondo la dottrina e la giurisprudenza nazionale, questa scelta poteva essere effettuata anche se un’azione fondata sull’articolo 2932 del CC era pendente. Peraltro, rilevò che, se il liquidatore giudiziale optava per la risoluzione, non era più possibile pronunciare un giudizio fondato su questo articolo. Aggiunse che, nell’occorrenza, il contratto firmato il 3 luglio 1992 era un contratto preliminare di vendita e che, a prescindere della presa di possesso dell’appartamento e del pagamento del prezzo di vendita col richiedente, non aveva per effetto di trasferire la proprietà. Il richiedente avendo invocato l’articolo 47 della Costituzione, relativo alla protezione del diritto all’acquisizione dell’abitazione principale, per eccepire di un incostituzionalità dell’articolo 72 § 4 della legge sul fallimento, il tribunale di Firenze allontanò questa eccezione di incostituzionalità come manifestamente male fondata, dato che era lecito al legislatore di mettere in bilancia questo diritto con altri motivi di interesse pubblico.
19. Il richiedente interpose appello. Il 12 novembre 1999, chiese inoltre, alla procura di Firenze di indagare sull’esistenza degli eventuali reati penali di cui sarebbe potuta essere vittima; non ricevè nessuna risposta a questa richiesta.
20. Con una sentenza del 10 luglio 2001, depositato il 14 agosto 2001, la corte di appello di Firenze confermò il giudizio di prima istanza alla cancelleria. Stimò che il tribunale di Firenze aveva motivato debitamente tutti i punti controversi. Osservò mentre la risoluzione di contratti simili a quello firmato dal richiedente era spesso una sorgente di danni finanziari molto importanti perché, in caso di fallimento dei costruttori, gli acquirenti rischiavano di perdere non solo i loro beni immobiliari ma anche l’è versata da essi. Indicò che poteva desiderare solamente a questo riguardo un intervento del legislatore.
21. Il richiedente si ricorse in cassazione.
22. Con una sentenza del 21 settembre 2005, depositato alla cancelleria il 22 dicembre 2005, la Corte di cassazione, stimando che la corte di appello aveva motivato in modo logica e corretta tutti i punti controversi, respinse il richiedente.
23. Il 26 giugno 2001, il tribunale di Pontassieve aveva respinto nel frattempo, l’opposizione formata dal richiedente all’esecuzione del suo sfratto. Questo giudizio fu confermato in appello il 23 aprile 2004. Il richiedente ricevè parecchie visite di un ufficiale giudiziario di giustizia ed una parte del suo stipendio fu investita.
24. Nell’intervallo, il 25 febbraio 2004, il richiedente aveva presentato anche una notizia chiedo di sospensione del suo sfratto per ragioni di salute, ed il giudice aveva fissato allora poi l’udienza al 9 marzo al 29 marzo 2004.
25. A questa ultima dato, gli sposi proposero al richiedente di vendergli l’appartamento al prezzo di 190 000 EUR.
26. L’esecuzione costretta dello sfratto, fissata al 28 luglio 2004, non arriva e fu rinviata al 22 ottobre 2004 al motivo che il prefetto non aveva autorizzato l’ufficiale giudiziario di giustizia a farsi assistere con la forza pubblica. Lo sfratto fu rinviato poi di tre mesi in tre mesi, l’ufficiale giudiziario che si presenta ad ogni volta non accompagnato di agenti della forza pubblica.
27. Nel maggio 2005, il richiedente firmò con gli sposi una promessa di vendita mediante il prezzo di 190 000 EUR. Il contratto di vendita fu firmato il 6 ottobre 2005, data alla quale il richiedente diventò proprietario dell’appartamento dove risiedeva.
28. Il richiedente indica che, non avendo accesso al prestito bancario, si è dovuta indebitare presso della sua famiglia e dei suoi amici per raccogliere la somma richiesta, e che suo marito è stato costretto di accettare un lavoro in Siberia per ottenere un rientro di denaro più importante.
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
29. L’articolo 2932 del CC è formulato così:
“Se quello che è tenuto di concludere un contratto non esegue il suo obbligo, l’altra parte, quando ciò è possibile e non è escluso dal titolo [che detiene], può ottenere un giudizio che produce gli effetti del contratto non concluso.
Se si tratta di contratti che hanno per oggetto il trasferimento di proprietà di una cosa determinata o la costituzione o il trasferimento di un altro diritto, la domanda non può essere accolta se la parte che l’ha fatta non esegue la sua prestazione o non fa un’offerta formale [in questo senso] secondo le modalità stabilite dalla legge, a meno che la prestazione non sia ancora esigibile. “
30. Come in vigore all’epoca dei fatti, l’articolo 72 § 4 della legge sul fallimento, decreto reale no 267 del 16 marzo 1942, si leggeva come segue:
“In caso di fallimento del venditore, se la proprietà della cosa venduta è stata trasferita all’acquirente, il contratto non è rescisso. Se la proprietà della cosa venduta non è stata trasferita all’acquirente, il liquidatore giudiziale ha la scelta tra le esecuzioni del contratto e la sua risoluzione. In caso di risoluzione del contratto, l’acquirente ha il diritto di fare iscrivere il suo credito al passivo [del fallimento], senza avere diritto al risarcimento dei danni subiti. “
31. La legge sul fallimento è stata modificata poi da parecchi interventi del legislatore, decreto legislativo no 5 del 9 gennaio 2006, decreto legislativo no 169 del 12 settembre 2007 e legge no 134 del 7 agosto 2012. Nelle sue parti pertinenti nello specifico, l’articolo 72 di suddetta legge si legge oramai come segue:
“Se un contratto non è stato eseguito ancora o non è stato eseguito interamente dalle parti, quando lo stato di fallimento è stato dichiarato contro una di esse, la sua esecuzione, è sospesa finché il liquidatore giudiziale, con l’autorizzazione del comitato dei creditori, dichiara [o] sostituire si nei diritti dello fallito nel contratto, assumendo tutti gli obblighi relativi, [o] liberarsi [di suddetto contratto], a meno che, nei contratti che portano su dei diritti reali, il trasferimento del diritto [in causa] abbia avuto luogo già.
Ogni parte al contratto può mettere in casa il liquidatore giudiziale, facendo fissare al suo carico, col giudice delegato [al fallimento], un termine non superiore a sessanta giorni alla scadenza del quale il contratto è considerato come essendo rescisso.
Le disposizioni del primo paragrafo si applicano anche al contratto preliminare di vendita, eccetto ciò che è contemplato 72 bis all’articolo. In caso di risoluzione, la parte [richiedente] ha il diritto [di fare] iscrivere al passivo [del fallimento] il credito che deriva dell’inadempimento [del contratto], senza avere diritto al risarcimento dei danni subiti.
(…)
In caso di risoluzione del contratto preliminare di vendita immobiliare, conformemente all’articolo 2645 bis del codice civile, l’acquirente ha il diritto [di fare] iscrivere il suo credito al passivo [del fallimento], senza avere diritto al risarcimento dei danni subiti, e [egli] gode del privilegio descrive 2775 bis all’articolo del codice civile, purché gli effetti della registrazione del contratto preliminare di vendita non abbiano cessato prima della data di dichiarazione del fallimento.
Le disposizioni del primo paragrafo non si applicano al contratto preliminare di vendita registrata conformemente all’articolo 2645 bis del codice civile e cadendo su un immobile ad uso di abitazione destinata ad essere l’abitazione principale dell’acquirente o di membri della sua famiglia fino al terzo grado o su un immobile di un uso altro destinato ad essere la sede principale, dell’attività, dell’impresa dell’acquirente. “
32. Il legislatore ha aggiunto anche 72 bis un articolo a questa legge, intitolata “contratti relativi ad un immobile in costruzione”, ai termini del quale:
“I contratti descritti all’articolo 5 del decreto legislativo no 122 del 20 giugno 2005 sono rescissi se, prima che il liquidatore giudiziale non comunica la sua scelta tra esecuzione e risoluzioni [del contratto], l’acquirente ha ottenuto la fideiussione ( escusso la fideiussione) in garanzia della restituzione delle somme pagate al costruttore e ne ha informato il liquidatore giudiziale. Ad ogni modo, la fideiussione non può essere ottenuta dopo [la] comunicazione col liquidatore giudiziale della sua decisione di dare esecuzione al contratto. “
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 1 ALLA CONVENZIONE
33. Il richiedente considera che la decisione del liquidatore giudiziale di rescindere il contratto preliminare di vendita immobiliare al quale era partire ha violato l’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione, così formulata,:
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non a causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non recano offesa al diritto che possiedono gli Stati di mettere in vigore le leggi che giudicano necessarie per regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale o per garantire il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle multe. “
34. Il Governo contesta questa tesi.
A. Sull’ammissibilità
1. L’eccezione del Governo derivata dell’inapplicabilità dell’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione
a) L’eccezione del Governo
35. Il Governo considera che questo motivo di appello è incompatibile ratione materiae con le disposizioni dell’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione. Sottolinea che, in dritto italiano, un contratto preliminare di vendita non opera un trasferimento di proprietà della cosa che non ha luogo che all’epoca dell’eventuale conclusione di un contratto futuro e differente detto “contratto definitivo”, contratto definitivo. Indica che l’effetto più importante del contratto preliminare è di obbligare le parti a firmare il contratto definitivo. Sostiene che, nello specifico, la cosa venduta non esisteva al momento della conclusione del contratto preliminare poiché l’appartamento non era stato costruito ancora e che, quindi, le parti avevano contemplato un trasferimento di proprietà ulteriore. Aggiunge che, quando tutte le condizioni contemplate nel contratto preliminare sono assolte, ogni parte può chiedere la conclusione del contratto definitivo e che, se una delle parti nega di concludere questo ultimo contratto, l’altro partito può chiedere il trasferimento di proprietà con la via giudiziale in virtù dell’articolo 2932 del CC. Invocando l’articolo 72 § 4 del decreto-reale no 267 di 1942, stima mentre un tale trasferimento non può avere luogo se il venditore è stato dichiarato in stato di fallimento e se il liquidatore giudiziale designato decide di rescindere i contratti preliminari firmati dal venditore. Aggiunge che questa disposizione è coerente con la finalità del procedimento di fallimento, a sapere la liquidazione di tutti i debiti, così come coi suoi effetti, a sapere la gestione del patrimonio dello fallito col liquidatore giudiziale.
36. Alla luce di ciò che precede, il Governo stima che il richiedente non era titolare di un “bene” ai termini dell’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione. Considera di conseguenza che, con la firma del contratto preliminare di vendita, non era diventata la proprietaria dell’appartamento, ma che aveva acquisito semplicemente il diritto di obbligare il venditore a concludere il contratto definitivo.
b) La replica del richiedente
37. Il richiedente dichiara che ha concluso un contratto preliminare di vendita con l’impresa X e che ha pagato un prezzo superiore al prezzo fissato in questo. Considera che aveva il diritto di diventare la proprietaria dell’appartamento in questione dunque e che il solo elemento che il ne impediva era la no-firma di un atto notarile di vendita. Aggiunge che abitava nell’appartamento che era diventato così il suo domicilio ed il centro della sua vita familiare ed affettiva.
c) Valutazione della Corte
i. Principi generali
38. La Corte ricorda che la nozione di “beni” menzionati alla prima parte dell’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione ha una portata autonoma che non si limita alla proprietà di beni corporali e che è indipendente delle qualifiche formali del diritto interno: certi altri diritti ed interessi costituenti degli attivi possono passare anche per “diritti patrimoniali” e dunque dei “beni” ai fini di questa disposizione. In ogni caso, importa esaminare se le circostanze, considerate nel loro insieme, hanno reso il richiedente titolare di un interesse sostanziale protetto da questo articolo, Iatridis c. Grecia [GC], no 31107/96, § 54, CEDH 1999-II, Beyeler c. Italia [GC], no 33202/96, § 100, CEDH 2000-I, e Depalle c. Francia [GC], no 34044/02, § 62, 29 marzo 2010. L’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione non garantisce un diritto ad acquisire dei beni, Slivenko ed altri c. Lettonia [GC], déc.), no 48321/99, § 121, CEDH 2002-II,; però, il fatto che un diritto di proprietà sia revocabile in certe condizioni non l’impedisce di essere considerato come un “bene” al senso di questa disposizione, almeno fino alla sua revoca (Beyeler, precitata, § 105, e Moskal c. Polonia, no 10373/05, §§ 38 e 40, 15 settembre 2009.
39. La Corte ricorda anche che la nozione di “beni” può ricoprire sia i “beni reali” che i valori patrimoniali, ivi compreso dei crediti, in virtù dalle quali il richiedente può pretendere avere almeno una “speranza legittima” di ottenere il godimento effettivo di un diritto di proprietà (vedere, tra altre, Pressos Companía Naviera S.p.A. c. Belgio, 20 novembre 1995, § 31, serie A no 332, Kopecký c. Slovacchia [GC], no 44912/98, § 35, CEDH 2004-IX, ed Associazione nazionale degli orfani di guerra c. Francia, déc.), no 22718/08, 6 ottobre 2009. La speranza legittimo di potere continuare a godere del bene deve fondarsi su una “base sufficiente in diritto interno”, per esempio quando è confermata da una giurisprudenza ben convalidata dei tribunali o quando è fondata su una disposizione legislativa o su un atto legale concernente l’interesse patrimoniale in questione (Kopecky, precitata, § 52, Depalle, precitata, § 63, e Saghinadze ed altri c. Georgia, no 18768/05, § 103, 27 maggio 2010. Dal momento che ciò è acquisito, il nozione d ‘ “speranza legittima” può entrare in gioco, Maurice c. Francia [GC], no 11810/03, § 63, CEDH 2005-IX.
40. In compenso, la Corte stima che la speranza di vedere riconoscere un diritto di proprietà che si è nell’impossibilità di esercitare infatti non può essere considerato come un “bene” al senso dell’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione, e che ne va parimenti di un credito condizionale che si estingue a causa del mancata realizzazione della condizione, Malhous c. Repubblica ceca, déc.), no 33071/96, CEDH 2000-XII, Principe Hans-Adamo II c. Germania [GC], no 42527/98, § 85, CEDH 2001-VIII, e Nerva c. Regno Unito, no 42295/98, § 43, 24 settembre 2002.
41. Parimenti, la Corte precisa che il diritto di abitare in una residenza determinata di cui si non fa il proprietario, non costituire un “bene” al senso dell’articolo suddetto, Panchenko c. Ucraina, no 10911/05, § 50, 10 dicembre 2010, H.F,. c. Slovacchia, déc.), no 54797/00, 9 dicembre 2003, Kovalenok c. Lettonia, déc.), no 54264/00, 15 febbraio 2001, e J.L.S. c. Spagna, déc.), no 41917/98, 27 aprile 1999. Però, nel causa Saghinadze ed altri precitate (§§ 104-108), ha qualificato come “bene” il diritto di utilizzare una casetta che era stato esercitato in buona fede e con la tolleranza delle autorità per più di dieci anni, in dispetto della mancanza di un titolo di proprietà regolarmente registrata.
ii. Applicazione di questi principi nello specifico
42. La Corte rileva che non è contestato entra le parti che il richiedente non ha avuto mai, ai termini del contratto preliminare di vendita conclusa con lei con l’impresa X, di diritto di proprietà sull’appartamento controverso. Questo contratto preliminare di vendita non conferiva un tale diritto all’interessata, poiché contemplava un semplice impegno alla conclusione di un altro contratto, dice “definitivo” che avrebbe operato il trasferimento di proprietà del bene nel futuro. La Corte nota mentre questo ultimo contratto non è potuto essere firmato in ragione del rifiuto del rappresentante dell’impresa X di rendersi presso di un notaio per procedere alla sua conclusione, e che la dichiarazione di fallimento di suddetta impresa, foderata della decisione del liquidatore giudiziale di rescindere il contratto preliminare, non ha permesso al richiedente di ottenere il pronunziato di un giudizio che opera il trasferimento di proprietà con la via giudiziale conformemente all’articolo 2932 del CC. A questo riguardo, nota che il Governo sottolinea a buon diritto questo punto, paragrafi 35-36 sopra.
43. Peraltro, la Corte osserva che non ne rimane meno che, dopo avere firmato il contratto preliminare di vendita, versato degli acconti ed effettuato i seguenti pagamenti in funzione dell’avanzamento dei lavori, paragrafo 6 sopra, il richiedente aveva traslocato nell’appartamento ed aveva stabilito la sua residenza principale nel marzo 1995, paragrafo 7 sopra. Nota anche che, avendo eseguito interamente il suo obbligo di pagare il prezzo della cosa venduta, il richiedente sapeva che il rappresentante dell’impresa X aveva l’obbligo, sulla base del contratto preliminare, di firmare il contratto definitivo e che in caso di rifiuto da parte sua poteva rivolgersi ad un giudice per ottenere un giudizio che ordina il trasferimento di proprietà. Ne deduce dunque che il richiedente aveva la speranza legittima di diventare la proprietaria dell’appartamento o, a difetto, di ottenere la restituzione delle somme versate da lei. Constata che è solamente a causa di una serie di avvenimenti che sfuggono interamente al suo controllo, a sapere il fallimento dell’impresa X e le decisioni prese dal liquidatore giudiziale, che il richiedente si è trovato nell’impossibilità di diventare la proprietaria del bene che aveva pagato e per che aveva firmato il contratto preliminare di vendita.
44. In conclusione, la Corte considera che, nelle circostanze particolari della presente causa, la speranza legittimo del richiedente, annessa agli interessi patrimoniali come il pagamento integrale del prezzo di vendita e la presa di possesso dell’appartamento, era sufficientemente importante per costituire un interesse sostanziale, dunque un “bene” al senso dell’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione che è di conseguenza applicabile nello specifico (vedere, mutatis mutandis, Stretch c. Regno Unito, no 44277/98, §§ 32-35, 24 giugno 2003, Bozcaada Kimisis Teodoku Rum Ortodoks Kilisesi Vakfi c,. Turchia, nostri 37639/03, 37655/03, 26736/04 e 42670/04, § 50, 3 marzo 2009, Plalam S.P.A,. c. Italia, no 16021/02, § 42, 18 maggio 2010, e Di Marco c. Italia, no 32521/05, § 53, 26 aprile 2011.
45. L’eccezione del Governo non saprebbe essere considerata dunque.
2. Altri motivi di inammissibilità
46. Constatando che questo motivo di appello non è manifestamente male fondato al senso dell’articolo 35 § 3 ha, della Convenzione e che non cozza contro nessuno altro motivo di inammissibilità, la Corte lo dichiara ammissibile.
B. Sul fondo
1. Argomenti delle parti
ha, Il richiedente
47. Il richiedente dichiara di essere stata privata del suo diritto di diventare proprietario dell’appartamento controverso, e questo senza indennizzo, in ragione della decisione discrezionale del liquidatore giudiziale di rescindere unilateralmente il contratto preliminare di vendita. Considera che il liquidatore giudiziale ha arricchito così il patrimonio dello fallito di un attivo immobiliare pure impoverendo il suo, dato che, ha perso secondo lei, al tempo stesso la sua abitazione principale e l’è versata da lei al costruttore.
48. Aggiunge che il contratto preliminare firmato da lei datava del 1992, o di cinque anni prima della dichiarazione di fallimento dell’impresa X, che indicava un prezzo completamente conforme al valore del mercato dell’appartamento e che non era fraudolento dunque.
49. Precisa anche che, conformemente alla risoluzione del contratto preliminare, gli era stato solamente possibile fare iscrivere il suo credito al passivo del fallimento e che, trattandosi di un credito non privilegiata, le probabilità di ricoprire, non fu ciò che parzialmente, l’è versata da lei si erano rivelate minimi. A questo riguardo, indica che, secondo l’ultimo piano di ripartizione, l’importo dei crediti privilegiati tra che raffiguravano queste delle banche superava largamente l’attivo del fallimento. Considera così come l’interesse generale invocato dal Governo corrisponde in realtà ad un interesse privato buono specifico, a sapere quello delle banche che finanziano l’attività di costruzione, e che questo interesse ha prevalso su quello degli acquirenti che, secondo lei, hanno contribuito anche al finanziamento di questa attività.
50. In queste condizioni, il richiedente stima che un giusto equilibra è stato non mantenuto non tra le esigenze dell’interesse generale della comunità (o, ai suoi occhi, la protezione dei diritti dei creditori, e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo. Afferma peraltro che questo stato dei fatti è stato riconosciuto dalla corte di appello di Firenze, dato che questa giurisdizione ha indicato che la facoltà di risoluzione del liquidatore giudiziale era spesso sorgente di molto gravi problemi per gli acquirenti di un appartamento nello stato futuro di completamento. Sostiene di miro più di questa facoltà a permettere al liquidatore giudiziale di ricuperare un massimo di attivi a distribuire ai creditori e che la parcella di suddetto liquidatore è stabilito in funzione dell’attivo totale del fallimento.
51. Inoltre, il richiedente sottolinea che il legislatore è intervenuto per riformare il diritto del fallimento e modificare i poteri dei liquidatori giudiziali. Precisa che, da questa riforma, questi ultimi non possono rescindere i più contratti preliminari di vendita immobiliare registrata e cadendo sull’abitazione principale o la sede dell’impresa dell’acquirente, paragrafi 31-32 sopra, e che, al momento della firma del compromesso di vendita, i costruttori sono obbligati ad aderire un’assicurazione contro il fallimento in favore dell’acquirente.
52. Precisando che il rappresentante dell’impresa X aveva negato di rendersi dinnanzi ad un notaio per procedere alla conclusione di un contratto definitivo, il richiedente indica che non ha potuto beneficiare della riforma suddetta al motivo che, ai termini della decreto-legge no 669 del 31 dicembre 1996, soli gli atti notarili o i giudizi possono essere registrati, e non le scritture private tale il contratto preliminare firmato da lei. Aggiunge che, all’epoca dell’entrata in vigore di questa riforma, aveva intrapreso già secondo lei il solo passo possibile, a sapere un’azione per ottenere il trasferimento di proprietà con la via giudiziale, paragrafo 8 sopra. Su questo ultimo spunta, il Governo afferma che questa azione sarebbe potuta essere introdotta presto più, e questo fin da 1995. Il richiedente replica che l’impresa X non aveva ottenuto ancora a questa epoca l’autorizzazione urbanistica di costruzione che unica avrebbe permesso al notaio di redigere l’atto di vendita, e che l’individualizzazione dell’appartamento controverso nei registri del catasto risaliva solamente al 17 gennaio 1997. Inoltre, trattandosi dell’esistenza di un’ipoteca iscritta da una banca, l’interessata precisa che questa garanzia non cadeva sull’appartamento in questione ma sull’insieme dei beni immobiliari che appartengono al costruttore. Indica peraltro che, come tutte le imprese di costruzione immobiliare in Italia, l’impresa X era totalmente dipendente delle banche di un punto di vista finanziaria e che, fin dalla firma del contratto preliminare di vendita, questa aveva fatto iscrivere delle ipoteche sui terreni destinati alla costruzione. Ne deduce che nel 1995 l’impresa X aveva già di numerosi debiti e che un’eventuale azione in giustizia contro lei aveva poche probabilità di arrivare.
53. Di più, il richiedente stima che il liquidatore giudiziale deve essere considerato come un agente dello stato convenuto poiché è nominato dal giudice delegato al fallimento e poiché è una “ausiliare di giustizia” che esercita una funzione pubblica. Aggiunge che la sua funzione consiste in soddisfare per quanto possibile i creditori così come ad amministrare e liquidare il patrimonio dello fallito e che, nella cornice dei suoi poteri fissati dalla legge, propone delle misure ed esegua queste stimato col giudice delegato al fallimento.
54. Riferendosi poi ai principi stabiliti dalla Corte nel suo sentenza Kotov c. Russia ([GC], no 54522/00, §§ 109-115, 3 aprile 2012, il richiedente sostiene che, nella cornice del procedimento di fallimento, il Governo non ha soddisfatto ai suoi obblighi positivi che derivano dell’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione.
55. A questo titolo, il richiedente constata che lo stato ha creato un sciolgo per le vittime di fallimenti immobiliari, questo che, secondo lei, può essere considerato come una misura positiva in favore delle persone nella stessa situazione che lei. Menziona mentre le famiglie di cui la pratica è stata accettata da questi fondi, al numero di 12 071 e tra che si trova la sua, aspettano sempre il primo versamento corrispondente al loro indennizzo. Afferma che questo sciolgo dispongo di circa 60 milioni EUR, ciò che permetterebbe secondo lei di versare il 8% delle indennità riconosciute da lui, e lei aggiungo che queste indennità ammontano ad un importo di 778 730 939 EUR. Indica anche che l’attività di questi fondi essendo limitata a 2020, la promessa di indennizzo lei concernente è completamente insignificante rispetto al danno che stima avere subito, dato che, secondo lei, potrebbe ottenere il versamento di una somma che ammonta a 13 617,63 EUR per un’indennità riconosciuta di 167 498,53 EUR.
56. Alla luce di ciò che precede, il richiedente considera avere dovuto sopportare un carico eccessivo ed esorbitante: afferma avere subito la vendita costretta dell’appartamento che aveva pagato, avere sborsato una seconda volta il prezzo di vendita di questo bene pagando una somma una volta e metà superiore alla somma che il liquidatore giudiziale aveva iscritto all’attivo del fallimento, ed avere dovuto fare a fronte a numerosi procedimenti giudiziali senza ricevere il minimo indennizzo.
b) Il Governo
57. Il Governo indica che, quando, siccome nello specifico, il liquidatore giudiziale si avvale della facoltà di risoluzione che gli riconosce l’articolo 72 § 4 della legge sul fallimento, l’acquirente avendo firmato un contratto preliminare di vendita non è privato di tutti i suoi diritti. Precisa che, anche se questo ultimo non ha nessuno diritto sulla cosa promessa alla vendita, può, nella cornice del procedimento di fallimento e sulla base del principio di uguaglianza di trattamento dei creditori, con condicio creditorum, ricuperare l’è eventualmente già versate con lui. Aggiunge che, per garantire i diritti dell’acquirente, la decreto-legge no 669 del 31 dicembre 1996 ha contemplato la possibilità di registrare il contratto preliminare di vendita di un bene immobiliare nei registri pubblici. A questo riguardo, sottolinea che, in virtù dell’articolo 2775 bis del CC, se una tale registrazione ha avuto luogo prima della dichiarazione di fallimento, l’acquirente ha il diritto di essere preferito agli altri creditori nella ripartizione dei profitti dell’asta pubblica del bene controverso. Nello specifico, afferma che il richiedente non ha proceduto a simile registrazione e che deve così assumere i rischi che derivano della situazione del venditore.
58. Il Governo nota poi che un’ipoteca per un importo di 300 000 000 ITL, circa 154 937 EUR, o della quasi -totalità del prezzo di vendita dell’appartamento, era stata iscritta da una banca creditore dell’impresa X. ne deduce che, anche se il liquidatore giudiziale aveva scelto di dare esecuzione al contratto preliminare di vendita, il richiedente non sarebbe potuto diventare proprietario dell’appartamento in questione senza gli oneri addizionali. Considera che, al contrario, avrebbe dovuto scegliere tra le perdite dell’appartamento ed il pagamento della somma che corrisponde all’ipoteca o ai crediti delle banche. Infine, espone non comprendere perché il richiedente che risiedeva in questo appartamento da marzo 1995 e che aveva pagato secondo lui il 80% del prezzo di vendita di questo bene, ha aspettato due anni prima di introdurre un’azione in giustizia sulla base dell’articolo 2932 del CC. Su questo ultimo spunta, aggiunge che, nel marzo 1995, il fallimento del venditore non era stato dichiarato ancora, che un’azione in giustizia impegnata dal richiedente a questa epoca avrebbe avuto probabilmente una conclusione favorevole, e che l’interessata avrebbe potuto opporre poi il suo diritto di proprietà ottenuta dalla via giudiziale al liquidatore giudiziale. Di più, nota che il richiedente indica che, all’epoca del versamento delle somme con lei, il costruttore non aveva ottenuto ancora l’autorizzazione urbanistica di costruzione, ciò che notifica agli occhi del Governo che sapeva o avrebbe dovuto sapere che la costruzione era illegale e che doveva assumere i rischi.
59. Alla luce di ciò che precede, il Governo stima che la decisione del liquidatore giudiziale di rescindere il contratto preliminare di vendita ha rispettato un giusto equilibro tra i diritti del richiedente e gli interessi della società nel suo insieme.
2. Valutazione della Corte
a) Sull’esistenza di un’ingerenza nel diritto del richiedente al rispetto dei suoi beni
60. La Corte rileva che, conformemente alla scelta del liquidatore giudiziale di rescindere il contratto preliminare di vendita, il richiedente ha perso il suo diritto di ottenere il trasferimento di proprietà dell’appartamento con la via giudiziale. Osserva che l’appartamento in questione è stato venduto alle aste e che il richiedente è stato costretto di iscrivere il suo credito relativo alle somme che aveva pagato al passivo del fallimento, paragrafo 14 sopra. Nota anche che, tenuto conto dell’importo dei debiti dell’impresa X, paragrafo 49 sopra, e del carattere non privilegiato del credito dell’interessata, le probabilità di questa per ricuperare il suo credito sono state ridotte considerevolmente. Di più, constata che il richiedente ha dovuto fare fronte ad una domanda di pagamento di un’indennità di occupazione, paragrafo 11 sopra, così come al sequestro di una parte del suo stipendio, paragrafo 23 sopra, ed a numerose visite di un ufficiale giudiziario di giustizia in vista del suo sfratto, paragrafi 23 e 26 sopra, e che questo sta pagando solamente una seconda volta il prezzo di vendita del bene controverso che è diventata alla fine proprietario, paragrafo 27 sopra.
61. In queste circostanze, la Corte stima che la scelta incriminata ha realizzato un’ingerenza nel diritto del richiedente al rispetto dei suoi beni.
b) Sulla questione di sapere se questa ingerenza può essere imputata direttamente allo stato
62. La Corte rileva poi che la scelta in questione è stata effettuata dal liquidatore giudiziale. È così necessario determinare se le azioni di questo e l’ingerenza che ne è risultato possono essere imputate allo stato. Per ciò, la Corte deve rispondere alla questione di sapere se il liquidatore giudiziale ha agito in quanto agente dello stato o in quanto particolare.
63. Nel suo sentenza Kotov (precitata, §§ 91-107, la Grande Camera della Corte ha stimato che, allo visto delle regole pertinenti del diritto russo e del ruolo del liquidatore giudiziale, ed in particolare della sua indipendenza operativa ed istituzionale, questo non poteva essere considerato come un agente dello stato convenuto che, di conseguenza, non poteva essere tenuto per direttamente responsabile delle irregolarità commesse da lui.
64. La Corte nota che, per il richiedente, il liquidatore giudiziale deve essere considerato come un agente dello stato. Rileva che l’interessata fa osservare a questo riguardo che il liquidatore giudiziale è nominato dal giudice delegato al fallimento, che è una “ausiliare di giustizia” che esercita una funzione pubblica nella cornice dell’amministrazione della giustizia e che i suoi poteri sono fissati dalla legge, paragrafo 53 sopra.
65. La Corte stima mentre gli elementi avanzati dal richiedente non gli permettono di differenziare chiaramente il ruolo del liquidatore giudiziale in Italia di quello del liquidatore in dritto russo. Nota a questo riguardo che in Russia la designazione del liquidatore era confermata dai tribunali che questi ultimi esercitavano un controllo di legalità sulle azioni del primo e che le funzioni del liquidatore russo erano simili a queste del liquidatore giudiziale italiano (Kotov, precitata, §§ 101, 102, 105 e 106. In queste circostanze, la Corte stima nello specifico che lo stato convenuto non può essere tenuto per direttamente responsabile delle azioni del liquidatore giudiziale.
66. Questa conclusione non esonera però lo stato di ogni responsabilità sotto l’angolo dell’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione: ancora bisogna verificare se si è conformato agli obblighi positivi che gli spettavano nello specifico.
c) Sulla questione di sapere se lo stato ha rispettato gli obblighi positivi che gli toccavano nella cornice del procedimento di fallimento
67. Nella causa Kotov precitata (§§ 109-115), la Grande Camera ha riassunto così i principi generali in materia di natura e di superficie degli obblighi positivi dello stato nella cornice dei procedimenti di fallimento:
“109. La Corte ha detto a più riprese che l’articolo 1 del Protocollo no 1 rinchiude anche certi obblighi positivi. Così, nel sentenza Öneryıldız c. Turchia ([GC], no 48939/99, § 134, CEDH 2004-XII che riguardava la distruzione dei beni del richiedente in seguito ad un’esplosione di gas, ha detto che l’esercizio reale ed efficace del diritto garantito da questa disposizione non dipende unicamente dal dovere dello stato di astenersi di ogni ingerenza ma può esigere delle misure positive di protezione, particolarmente là dove esiste un legame diretto tra le misure che un richiedente potrebbe aspettare legittimamente delle autorità ed il godimento effettivo con l’interessato dei suoi beni. Nella cornice di relazioni orizzontali può avere anche ci delle considerazioni di interesse pubblico suscettibile di imporre certi obblighi allo stato. Così, nel sentenza Broniowski c. Polonia ([GC], no 31443/96, § 143, CEDH 2004-V, la Corte ha detto che gli obblighi positivi che derivano dell’articolo 1 del Protocollo no 1 possono provocare per lo stato certe misure necessarie per proteggere il diritto di proprietà. Quindi, delle considerazioni di interesse generale suscettibile di imporre certi obblighi allo stato possono entrare in gioco stesso nella cornice di relazioni orizzontali.
110. La frontiera tra gli obblighi positivi e gli obblighi negativi dello stato a titolo dell’articolo 1 del Protocollo no 1 non suscita una definizione precisa, ma i principi applicabili non ne sono meno comparabili. Che si analizza la causa sotto l’angolo dell’obbligo positivo dello stato o sotto quello dell’ingerenza dei poteri pubblici che deve essere giustificata, i criteri ad applicare non sono differenti in sostanza. In un caso come nell’altro, bisogna avere esattamente riguardo equilibrio a predisporre tra gli interessi concorrenti dell’individuo e della società nel suo insieme. È anche vero che gli obiettivi enumerati in questa disposizione possono sostenere un certo ruolo nella valutazione della questione di sapere se un equilibrio è stato predisposto tra le esigenze dell’interesse pubblico ed il diritto fondamentali del richiedente alla proprietà. Nei due casi, lo stato gode di un certo margine di valutazione per determinare le misure a prendere per garantire il rispetto della Convenzione (vedere, mutatis mutandis, Hatton ed altri c. Regno Unito [GC], no 36022/97, §§ 98 e suiv., CEDH 2003-VIII, e Broniowski [GC], precitata, § 144.
111. La natura e la superficie degli obblighi positive dello stato variano secondo le circostanze. Per esempio, nella causa Öneryıldız precitata, la privazione di proprietà subita dal richiedente aveva per origine una negligenza manifesta delle autorità in una situazione particolarmente pericolosa. In compenso, quando sono in causa delle relazioni commerciali ordinarie tra individui, questi obblighi positivi sono migliori limitate. Così, la Corte ha sottolineato a numerose riprese che l’articolo 1 del Protocollo no 1 non può essere interpretato come facendo pesare sugli Stati contraenti un obbligo generale di assumere i debiti di entità private (vedere, mutatis mutandis, la decisione Shestakov precitata [Shestakov c. Russia, déc.), no 48757/99, 18 giugno 2002] e la sentenza Scollo precitata [Scollo c. Italia, 28 settembre 1995, serie Ha no 315-C], § 44; vedere in particolare il ragionamento della Corte nel decisione Anokhin c. Russia, déc.), no 25867/02, 31 maggio 2007.
112. La Corte ha detto tuttavia, anche che, in certe circostanze, l’articolo 1 del Protocollo no 1 può imporre “certe misure necessarie per proteggere il diritto di proprietà, anche nei casi dove si tratta di una controversia tra le persone fisiche o giuridiche”, Sovtransavto Holding precitata [Sovtransavto Holding c. Ucraina, no 48553/99, CEDH 2002-VII], § 96. Questo principio è stato applicato largamente nel contesto di procedimenti di esecuzione diretta contro i debitori privati, Fuklev precitata [Fuklev c. Ucraina, no 71186/01, 7 giugno 2005], §§ 89-91, Kesyan precitata [Kesyan c. Russia, no 36496/02, 19 ottobre 2006], §§ 79-80; vedere anche Kin-Stib e Majkić c. Serbia, no 12312/05, § 84, 20 aprile 2010, Marčić ed altri c. Serbia, no 17556/05, § 56, 30 ottobre 2007, e, mutatis mutandis, Matheus c. Francia, no 62740/00, §§ 68 e suiv., 31 marzo 2005.
113. Nel suo sentenza Blumberga c. Lettonia, no 70930/01, § 67, 14 ottobre 2008, la Corte ha detto: “[t]oute attentato al diritto al rispetto dei beni commessi da un individuo fa nascere per lo stato l’obbligo positivo di garantire nel suo ordine giuridico interno che il diritto di proprietà sarà protetto sufficientemente dalla legge e che i ricorsi adeguati permetteranno alla vittima di simile attentato di fare valere i suoi diritti, in particolare, all’occorrenza, chiedendo risarcimento del danno subito.” Segue che lo stato può essere tenuto di prendere in simili circostanze sia delle misure preventive, o delle misure di risarcimento.
114. Tra le misure di risarcimento che lo stato può essere tenuto di prendere in certe circostanze, c’è il collocamento in posto di vie di diritto adeguato che permette alla parte lesa di avvalersi infatti dei suoi diritti. L’esistenza di obblighi positive di natura procedurale sul terreno dell’articolo 1 del Protocollo no 1, malgrado il silenzio di questa disposizione su questo punto, è stata riconosciuta anche bene dalla Corte nelle cause concernente le autorità dello stato, Jokela c. Finlandia, no 28856/95, § 45, CEDH 2002-IV; vedere anche Zehentner c. Austria, no 20082/02, § 73, 16 luglio 2009 che nelle cause che portano, siccome nello specifico, su una controversia oppositore unicamente degli individui. Così, in una causa che rileva della seconda categoria, la Corte ha giudicato che lo stato aveva l’obbligo di contemplare giudiziale offerente un procedimento le garanzie procedurali necessarie e permettendo così ai tribunali nazionali di decidere efficacemente ed equamente ogni controversia eventuale tra individui, Sovtransavto Holding, precitata, § 96; vedere anche Anheuser-Busch Inc. c. Portogallo [GC], no 73049/01, § 83, CEDH 2007-I, e Freitag c. Germania, no 71440/01, § 54, 19 luglio 2007.
115. La Corte ricorda infine che, quando controlla il rispetto dell’articolo 1 del Protocollo no 1, deve concedersi ad un esame globale dei diversi interessi in gioco tenendo allo spirito che la Convenzione mira a salvaguardare dei diritti concreti ed effettivi. Deve andare al di là delle apparenze e deve informarsi delle realtà della situazione denunciata, Plechanow precitata [Plechanow c. Polonia, no 22279/04, 7 luglio 2009], § 101. “
68. Facendo applicazione di questi principi al presente genere, la Corte nota che, pagando interamente il prezzo dell’appartamento all’impresa X, il richiedente ha preso certi rischi, in particolare legati alla possibilità di un fallimento di questa impresa. Lo stato non aveva ad assumere a questo riguardo la minima responsabilità civile (vedere, mutatis mutandis, Kotov, precitata, § 116. Non ne rimane meno che, come la corte di appello di Firenze l’ha sottolineato a buon diritto, il potere discrezionale di risoluzione conferita al liquidatore giudiziale era spesso una sorgente di danni finanziari molto importanti, in caso di fallimento dei costruttori, per gli acquirenti di appartamenti nello stato futuro di completamento. Gli acquirenti rischiavano in fatto di perdere non solo i loro beni, ma anche i prezzi versati da essi, paragrafo 20 sopra.
69. In queste condizioni, la Corte stima che, a titolo degli obblighi che derivano dell’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione, lo stato era tenuto di instaurare una cornice legislativa adeguata, previdente una protezione minimale degli interessi degli acquirenti di buona fede (vedere, mutatis mutandis, Kotov, precitata, § 117.
70. Del parere della Corte, una differenza deve essere fatta tra le vendite di beni immobiliari esistenti e la vendita di appartamenti nello stato futuro di completamento. Nel primo caso, il prezzo è versato normalmente dall’acquirente al momento della conclusione dell’atto notarile di vendita, e l’interessato beneficio dunque della garanzia che il trasferimento di proprietà si effettua al momento del pagamento. Nel secondo caso, dei pagamenti sono realizzati spesso secondo l’avanzamento dei lavori, ed il prezzo è versato interamente o quasi interamente con l’acquirente prima della firma dell’atto definitivo di vendita. Resta a determinare se in questo ultimo caso, all’epoca dei fatti e relativamente al presente genere, il diritto italiano offriva una protezione adeguata agli acquirenti che si trovano in una situazione simile a quella del richiedente.
71. La Corte prende nota dell’argomento del Governo secondo che, ai termini della decreto-legge no 669 del 31 dicembre 1996, il contratto preliminare di vendita di un bene immobiliare può essere registrato nei registri pubblici, questo che, secondo il Governo, da’ all’acquirente il diritto di essere preferito agli altri creditori nella ripartizione dei profitti dell’asta pubblica del bene in questione, articolo 2775 bis del CC-paragrafo 57 sopra. Però, constata che questa riforma legislativa è entrata in vigore dopo la conclusione del contratto preliminare di vendita firmata dal richiedente, che non si applicava per di più a questo dato che non si trattava di un atto notarile, e che l’affermazione del richiedente su questo punto, paragrafo 52 sopra, non è stata smentita dal Governo. Osserva che ne va parimenti per le altre riforme legislative adottate in materia, concernente l’impossibilità di rescindere i contratti preliminari di vendita immobiliare registrata ed avendo per oggetto l’abitazione principale dell’acquirente, e concernente l’obbligo per i costruttori di aderire un’assicurazione contro il fallimento-paragrafi 31-32 e 51 sopra che sono entrate in vigore dopo il fallimento dell’impresa X ed il pronunziato della sentenza della Corte di cassazione nella presente causa, paragrafo 22 sopra.
72. In quanto alla possibilità per il richiedente di essere indennizzata dai fondi per le vittime di fallimenti immobiliari, la Corte nota che, secondo le informazione fornite dall’interessata, paragrafo 55 sopra, e non smentite dal Governo, lo sciolgo ancora in questione non ha versato di indennizzi e che, allo visto delle risorse di cui dispone, sarebbe in grado di versare solamente il 8% al richiedente dell’indennità che gli è stata riconosciuta, ammontando a 167 498,53 EUR. Considera dunque che un tale indennizzo è aleatorio ed in ogni caso insufficiente per riparare il danno subito.
73. Di più, la Corte constata che, faccia al rifiuto del rappresentante dell’impresa X di firmare l’atto notarile definitivo di vendita, il richiedente ha intrapreso il solo passo legale che si apriva a lei, a sapere l’introduzione di un’azione che mira ad ottenere il trasferimento di proprietà con la via giudiziale conformemente all’articolo 2932 del CC. Stima che l’interessata ha fornito delle giustificazioni pertinenti per esporre le ragioni che l’hanno impedita di introdurre questa azione fin da 1995, paragrafo 52 sopra. Rileva anche che la sua iniziativa è stata resa inefficace con la scelta del liquidatore giudiziale di rescindere il contratto preliminare di vendita, dato che le giurisdizioni italiane hanno giudicato che una tale scelta poteva essere fatta e stava costringendo anche quando, siccome nello specifico, un’azione che mira ad ottenere il trasferimento di proprietà con la via giudiziale era pendente, paragrafo 18 sopra. Ne deduce che il richiedente è stato così privato di ogni protezione effettiva contro la perdita dell’appartamento e delle somme versato da lei per la sua acquisizione, e che è stata obbligata a sopportare un carico eccessivo ed esorbitante.
74. Peraltro, la Corte nota che il richiedente non disponeva del nessuno ricorso al difetto del quale avrebbe potuto fare esaminare l’opportunità e la proporzionalità della scelta del liquidatore giudiziale, dato che questo aveva esercitato un potere discrezionale che non poteva essere sottomessi ad un controllo giurisdizionale alla domanda delle parti del contratto rescisso.
d) Conclusione
75. Alla luce di ciò che precede, la Corte considera che nello specifico lo stato non ha soddisfatto gli obblighi positivi che derivano dell’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione. Ne segue che c’è stata violazione di questa disposizione.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE
76. Il richiedente si lamenta di avere subito delle pressioni finanziarie e delle minacce di sfratto del suo domicilio. Denuncia una violazione dell’articolo 8 della Convenzione, così formulata,:
“1. “1. Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza .
2. Non può esserci ingerenza di un’autorità pubblica nell’esercizio di questo diritto se non per quanto questa ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, sia necessaria alla sicurezza nazionale, alla sicurezza pubblica, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine ed alla prevenzione delle violazioni penali, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e libertà altrui. “
77. Il Governo contesta questa tesi.
78. La Corte rileva che questo motivo di appello è legato a quell’esaminato sopra e che deve essere dichiarato dunque anche ammissibile.
A. Argomenti delle parti
1. Il richiedente
79. Il richiedente afferma che, per evitare di essere espulsa, è stata costretta di ricomprare il “suo” appartamento ad un prezzo buono superiore al prezzo di asta pubblica, indebitandosi presso di membri della sua famiglia e dei suoi amici. Aggiunge che è stata sottoposta così ad una tensione che, secondo lei, gli ha provocato dei problemi di salute e che, per ottenere un rientro di denaro basti, suo marito è stato costretto di partire lavorare in Siberia, paragrafo 28 sopra. Stima che le regole esistenti non gli hanno garantito la protezione che la sua situazione vulnerabile avrebbe esatto.
80. Inoltre, il richiedente indica che le pressioni e le minacce di sfratto che dice avere subito si analizzano in un’ingerenza nel suo diritto al rispetto del suo domicilio e della sua vita privata. Precisa che il liquidatore giudiziale gli aveva proposto una transazione inaccettabile ai suoi occhi che, faccia al suo rifiuto, un’indennità di occupazione equivalente ad un affitto gli era stata imposta, e che i nuovi acquirenti del bene gli avevano mandato regolarmente ed a più riprese un ufficiale giudiziario di giustizia per ingiungergli di lasciare i luoghi.
81. Di più, il richiedente afferma che non è stata in grado di potere intervenire nel procedimento di asta pubblica dell’appartamento; il liquidatore giudiziale non l’ha informato secondo lei, debitamente del collocamento alle aste di questo bene e non gli ha notificato l’importo delle aste, paragrafo 12 sopra. L’interessata precisa che possedeva bene il di buona fede e lei constato che non era anche titolare di un diritto di prelazione su questo bene.
2. Il Governo
82. Il Governo indica che, in caso di risoluzione del contratto preliminare di vendita, l’acquirente deve restituire la cosa promessa alla vendita di cui aveva potuto avere eventualmente la disponibilità. Aggiunge che, nello specifico, l’appartamento doveva essere restituito al liquidatore giudiziale, e che non è sorprendente dunque che questo ultimo abbia offerto la possibilità al richiedente di ricomprare pagandolo una seconda volta il suo prezzo. Considera che il fatto che questa aveva pagato già il prezzo di vendita all’impresa X non gli conferiva un privilegio nei confronti gli altri creditori ma semplicemente il diritto di chiedere ne la restituzione nella cornice del procedimento di fallimento.
83. Il Governo indica anche che risulta della pratica che, il 5 maggio 1998, il liquidatore giudiziale ha informato il richiedente della sua intenzione di vendere l’appartamento. Stima che era comunque ragionevole pensare che l’appartamento in questione andava essere venduto alle aste e che gli avvocati che hanno assistito il richiedente tutto lungo i procedimenti giudiziali avrebbero potuto peraltro informarla a questo motivo.
84. Trattandosi della domanda di pagamento di un’indennità di occupazione fatta dal liquidatore giudiziale al richiedente, il Governo precisa che questa è stato formulato solamente un anno dopo la risoluzione del contratto preliminare ed al motivo che il richiedente negava di lasciare l’appartamento dove risiedeva oramai senza avere diritto.
B. Valutazione della Corte
85. La Corte è di parere che le lamentele presentate dal richiedente sotto l’angolo dell’articolo 8 della Convenzione si confondono in un larghe misuro con queste che ha appena esaminato sotto l’angolo dell’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione. Avuto riguardo alla constatazione relativa a questa ultima disposizione, paragrafo 75 sopra, la Corte stima che non c’è luogo di esaminare se c’è stato, nello specifico, violazione dell’articolo 8 della Convenzione.
III. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE IN RAGIONE DI UN DIFETTO DI ACCESSO AD UN TRIBUNALE, COSÌ COME DELL’ARTICOLO 13 DELLA CONVENZIONE, COMBINATO CON L’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 1 ALLA CONVENZIONE,
86. Invocando gli articoli 6 § 1 e 13 della Convenzione, il richiedente si lamenta di non avere disposto, in dritto italiano, di un accesso ad un tribunale o di un ricorso effettivo per fare valere i suoi motivi di appello tirati dell’articolo 8 della Convenzione e dell’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione.
Nelle loro parti pertinenti nello specifico, queste disposizioni si leggono come segue:
Articolo 6 § 1
“1. Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia sentita ed in un termine ragionevole da un tribunale che deciderà delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile. “
Articolo 13
“Ogni persona i cui i diritti e libertà riconosciuti nella Convenzione sono stati violati, ha diritto alla concessione di un ricorso effettivo dinnanzi ad un’istanza nazionale, anche se la violazione fosse stata commessa da persone agendo nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali. “
87. Il Governo contesta questa tesi.
A. Sull’ammissibilità
88. Constatando che questo motivo di appello non è manifestamente male fondato al senso dell’articolo 35 § 3 ha, della Convenzione e che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità, la Corte lo dichiara ammissibile.
B. Sul fondo
1. Argomenti delle parti
a) Il richiedente
89. Il richiedente afferma che il giudice delegato al fallimento ha evitato di esaminare al fondo le scelte effettuate secondo lei dal liquidatore giudiziale, questo giudice che si limita, a sospendere l’azione in annullamento della risoluzione del contratto preliminare di vendita impegnata da lei e la sua domanda di iscrizione del suo credito al passivo del fallimento. Considera che il tribunale e la corte di appello di Firenze così come la Corte di cassazione si sono limitate a prendere atto della scelta del liquidatore giudiziale. A questo riguardo, stima che il comportamento delle giurisdizioni nazionali si analizza in un diniego di giustizia che ha contribuito a svuotare della sua sostanza il suo credito.
b) Il Governo
90. Il Governo indica che la validità della decisione del liquidatore giudiziale di rescindere il contratto preliminare è stata esaminata in dettaglio col tribunale e la corte di appello di Firenze e con la Corte di cassazione. Precisa che, nella sua sentenza, questa ultima ha chiarito su 25 pagine le ragioni del rigetto della domanda del richiedente.
91. Peraltro, il Governo afferma che non c’è nessuna prova che l’azione del richiedente in annullamento della risoluzione del contratto preliminare sia stata sospesa e che questa sospensione addotta abbia recato danno all’interessata.
2. Valutazione della Corte
92. La Corte considera che questo motivo di appello si presta di prima ad un esame sotto l’angolo dell’articolo 13 della Convenzione.
93. Ricorda che questo articolo garantisce l’esistenza in diritto interno di un ricorso che permette di avvalersi dei diritti e libertà della Convenzione come sono consacrati. Questa disposizione ha per conseguenza di esigere un ricorso interno che abilita ad esaminare il contenuto di un “motivo di appello difendibile” fondato sulla Convenzione dunque ed ad offrire ne la correzione appropriata, Di Souza Ribeiro c. Francia [GC], no 22689/07, § 78, 13 dicembre 2012.
94. Nello specifico, la Corte ha appena concluso che la scelta del liquidatore giudiziale di rescindere il contratto preliminare ha realizzato un’ingerenza nel diritto del richiedente al rispetto dei suoi beni, paragrafo 61 sopra, e che lo stato non ha soddisfatto agli obblighi positivi che gli toccavano nella cornice del procedimento di fallimento, paragrafo 75 sopra. Segue che il richiedente disponeva di un motivo di appello difendibile sotto l’angolo dell’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione, e che l’articolo 13 della Convenzione trova ad applicarsi nello specifico.
95. Resta a determinare se il richiedente aveva, in dritto italiano, un ricorso effettivo al difetto del quale avrebbe potuto denunciare la violazione del suo diritto al rispetto dei suoi beni.
96. A questo riguardo, la Corte ricorda che la portata dell’obbligo che l’articolo 13 della Convenzione fa pesare sugli Stati contraenti varia in funzione della natura del motivo di appello del richiedente. Gli Stati godono di un certo margine di valutazione in quanto al modo di conformarsi agli obblighi che impongono loro questa disposizione, Jabari c, difatti. Turchia, no 40035/98, § 48, CEDH 2000-VIII. Tuttavia, il ricorso esatto da questo articolo deve essere “effettivo” in pratica come in diritto, Kudła c. Polonia [GC], no 30210/96, § 157, CEDH 2000-XI.
97. La Corte sottolinea che l’effettività di un ricorso al senso dell’articolo 13 della Convenzione non dipende dalla certezza di una conclusione favorevole per il richiedente. Parimenti, l ‘ “istanza” di cui parla questa disposizione non è necessariamente giurisdizionale. Però, i suoi poteri e le garanzie procedurali che presenta entrano in fila di conto per determinare se il ricorso è effettivo, Klass ed altri c. Germania, 6 settembre 1978, § 67, serie Ha no 28. Inoltre, l’insieme dei ricorsi offerti dal diritto interno può assolvere le esigenze dell’articolo 13 della Convenzione, anche se nessuno di essi risponde non ci per intero solo a lui, Rotaru c. Romania [GC], no 28341/95, § 69, CEDH 2000-V, e Di Souza Ribeiro, precitata, § 79.
98. Nello specifico, la Corte nota che il richiedente ha potuto introdurre un’azione in giustizia per ottenere l’annullamento della scelta del liquidatore giudiziale di rescindere il contratto preliminare di vendita, paragrafo 13 sopra, e che il suo ricorso è stato esaminato da tre giurisdizioni, a sapere il tribunale e la corte di appello di Firenze così come la Corte di cassazione. Però, osserva che, nella cornice dell’esame di questo ricorso, le giurisdizioni in questione si sono limitate a constatare che il liquidatore giudiziale aveva fatto uso di un potere discrezionale di risoluzione e che questo potere era previsto sopra dall’articolo 72 § 4 della legge sul fallimento (paragrafi 18) 20 e 22. Rileva in particolare che queste giurisdizioni non si sono stimate competenti per giudicare se la scelta del liquidatore giudiziale aveva provocato un carico eccessivo ed esorbitante per il richiedente e se ci fosse stato nello specifico un collocamento in bilancia equa degli interessi pubblici e privati in gioco.
99. In queste circostanze, la Corte stima che le giurisdizioni italiane erano unicamente competenti per esaminare la legalità formale della misura incriminata, senza potere dedicarsi sulla sua necessità e proporzionalità alla luce dei principi enunciati all’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione, così come interpretati con la giurisprudenza della Corte. Quindi, il sistema