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Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE CENI c. ITALIE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 2
Articoli: 41, 13, 35, P1-1
Numero: 25376/06/2014
Stato: Italia
Data: 2014-02-04 00:00:00
Organo: Sezione Seconda
Testo Originale

Conclusioni: Parzialmente inammissibile Violazione dell’articolo 1 del Protocollo n° 1 – Protezione della proprietà, articolo 1 del Protocollo n° 1 – Obblighi positivi articolo 1 al. 1 del Protocollo n° 1 – Rispetto dei beni, Violazione dell’articolo 13+P1-1 – Diritto ad un ricorso effettivo, Articolo 13 – Ricorso effettivo, (articolo 1 del Protocollo n° 1 – Protezione della proprietà Obblighi positivi, Soddisfazione equa riservata,

SECONDA SEZIONE

CAUSA CENI C. ITALIA

(Richiesta no 25376/06)

SENTENZA

(merito)

STRASBURGO

4 febbraio 2014

Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.

Nel causa Ceni c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Işıl Karakaş, presidentessa,
Guido Raimondi,
Dragoljub Popović,
András Sajó,
Nebojša Vučinić,
Paulo Pinto di Albuquerque,
Egidijus Kūris, juges,et
di Stanley Naismith, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 7 gennaio 2014,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 25376/06) diretta contro la Repubblica italiana e in cui una cittadina di questo Stato, OMISSIS (“il richiedente”), ha investito la Corte il 17 giugno 2006 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente è stato rappresentato da OMISSIS, avvocato a Firenze. Il governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo agente, la Sig.ra E. Spatafora, e col suo co-agente, il Sig. G.M. Pellegrini.
3. Il richiedente adduce che la decisione di rescindere un contratto preliminare di vendita immobiliare nel quale era parte, presa dal liquidatore giudiziale nella cornice del procedimento di fallimento che riguardava il suo co-contraente , ha recato offesa ai suoi diritti garantiti con gli articoli 6, 8 e 13 della Convenzione e con l’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione.
4. Il 22 marzo 2013, la richiesta è stata comunicata al Governo. Siccome lo permette l’articolo 29 § 1 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la camera si sarebbe pronunciata sull’ammissibilità e sul merito della causa allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
5. Il richiedente è nato nel 1953 e risiede a Firenze.
6. Nel giugno 1992, decise di acquistare dall’impresa X un appartamento in costruzione al prezzo di 310 000 000 lire italiane (ITL), o circa 160 101 euro (EUR). Il 13 giugno 1992, versò un acconto di 10 000 000 ITL, circa 5 164 EUR, a titolo di garanzia. Il 3 luglio 1992, il richiedente firmò un contratto preliminare di vendita. Versò un acconto ulteriore di 36 500 000 ITL, circa 18 850 EUR. Effettuò di altri pagamenti scaglionati in funzione dell’avanzamento dei lavori di costruzione. Versò così all’impresa X l’intimo totale di 415 577 434 ITL, circa 214 627 EUR, superiora al prezzo di vendita convenuta.
7. Nel marzo 1995, il richiedente traslocò nell’appartamento in questione e stabilisce la sua residenza principale.
8. Il 14 marzo 1997, basandosi sull’articolo 2932 del codice civile (“il CC”), il richiedente citò il rappresentante dell’impresa X che negava di firmare il contratto di vendita definitiva, dinnanzi al tribunale di Firenze per ottenere il trasferimento di proprietà con la via giudiziale.
9. Il 26 novembre 1997, l’impresa X fu dichiarato in stato di fallimento, ciò che provocò l’interruzione di giuro del procedimento civile impegnato col richiedente.
10. Il 3 febbraio 1998, il liquidatore giudiziale designato nella cornice del procedimento di fallimento comunicò al richiedente la sua decisione di rescindere il contratto preliminare di vendita, in applicazione dell’articolo 72 § 4 della legge sul fallimento, decreto reale no 267 del 16 marzo 1942.
11. Il 5 maggio 1998, informò l’interessata che i beni immobiliari che costituiscono l’attivo del fallimento andavano essere venduti alle aste e l’invitò a restituire l’appartamento che occupava senza titolo. In seguito a trattative impegnate dal richiedente, indicò a questa ultima che, per evitare l’asta pubblica di questo appartamento, doveva versare la somma di 324 000 000 ITL, circa 167 332 EUR. Il richiedente che non dispone di questa somma, gli fu chiesto, il 21 gennaio 1999, di pagare un’indennità di occupazione mensile di 700 000 ITL, circa 361 EUR, e questo da dicembre 1997, o al totale l’intimo di 9 100 000 ITL, circa 4 699 EUR.
12. Il 25 febbraio 1999, l’appartamento fu venduto alle aste. Il richiedente afferma non avere ricevuto nessuna comunicazione a questo motivo. Il bene in questione fu acquistato dagli sposi al prezzo di 227 000 000 ITL, circa 117 235 EUR, e l’iscrizione dell’azione introdotta dal richiedente ai termini dell’articolo 2932 del CC fu cancellata dei registri fondiari.
13. Il 18 maggio 1999, il richiedente introdusse un’azione in giustizia per ottenere l’annullamento della decisione del liquidatore giudiziale di rescindere il contratto preliminare di vendita e del trasferimento di proprietà dell’appartamento allo sposi Y.
14. Il 25 maggio 1999, il richiedente chiese l’iscrizione al passivo del fallimento delle somme che aveva pagato all’impresa X. Il 22 luglio 1999, chiese al giudice delegato al fallimento di revocare la radiazione della sua azione fondata sull’articolo 2932 del CC.
15. Il 12 luglio 1999, gli sposi avevano intimato nel frattempo, C’a il richiedente di lasciare l’appartamento controverso entro dieci giorni. L’interessata fece opposizione all’esecuzione del suo sfratto, al motivo che le azioni giudiziali che cadono sul titolo di proprietà di questo bene erano pendenti. Il giudice di istanza di Pontassieve (Firenze) accettò di sospendere suddetta esecuzione temporaneamente, contro pagamento col richiedente di una garanzia di 5 000 000 ITL, circa 2 582 EUR.
16. Nell’intervallo, alla domanda del richiedente, il procedimento impegnato da lei sul fondamento dell’articolo 2932 del CC era stato ripreso.
17. Con un giudizio del 4 ottobre 1999, depositato il 23 ottobre 1999, il tribunale di Firenze respinse l’azione in annullamento del richiedente alla cancelleria.
18. Osservò che, ai termini dell’articolo 72 § 4 della legge sul fallimento, se la proprietà del bene venduto non era stata trasferita all’acquirente, il liquidatore giudiziale aveva la scelta tra le esecuzioni del contratto e la sua risoluzione. Precisò che, secondo la dottrina e la giurisprudenza nazionale, questa scelta poteva essere effettuata anche se un’azione fondata sull’articolo 2932 del CC era pendente. Peraltro, rilevò che, se il liquidatore giudiziale optava per la risoluzione, non era più possibile pronunciare un giudizio fondato su questo articolo. Aggiunse che, nell’occorrenza, il contratto firmato il 3 luglio 1992 era un contratto preliminare di vendita e che, a prescindere della presa di possesso dell’appartamento e del pagamento del prezzo di vendita col richiedente, non aveva per effetto di trasferire la proprietà. Il richiedente avendo invocato l’articolo 47 della Costituzione, relativo alla protezione del diritto all’acquisizione dell’abitazione principale, per eccepire di un incostituzionalità dell’articolo 72 § 4 della legge sul fallimento, il tribunale di Firenze allontanò questa eccezione di incostituzionalità come manifestamente male fondata, dato che era lecito al legislatore di mettere in bilancia questo diritto con altri motivi di interesse pubblico.
19. Il richiedente interpose appello. Il 12 novembre 1999, chiese inoltre, alla procura di Firenze di indagare sull’esistenza degli eventuali reati penali di cui sarebbe potuta essere vittima; non ricevè nessuna risposta a questa richiesta.
20. Con una sentenza del 10 luglio 2001, depositato il 14 agosto 2001, la corte di appello di Firenze confermò il giudizio di prima istanza alla cancelleria. Stimò che il tribunale di Firenze aveva motivato debitamente tutti i punti controversi. Osservò mentre la risoluzione di contratti simili a quello firmato dal richiedente era spesso una sorgente di danni finanziari molto importanti perché, in caso di fallimento dei costruttori, gli acquirenti rischiavano di perdere non solo i loro beni immobiliari ma anche l’è versata da essi. Indicò che poteva desiderare solamente a questo riguardo un intervento del legislatore.
21. Il richiedente si ricorse in cassazione.
22. Con una sentenza del 21 settembre 2005, depositato alla cancelleria il 22 dicembre 2005, la Corte di cassazione, stimando che la corte di appello aveva motivato in modo logica e corretta tutti i punti controversi, respinse il richiedente.
23. Il 26 giugno 2001, il tribunale di Pontassieve aveva respinto nel frattempo, l’opposizione formata dal richiedente all’esecuzione del suo sfratto. Questo giudizio fu confermato in appello il 23 aprile 2004. Il richiedente ricevè parecchie visite di un ufficiale giudiziario di giustizia ed una parte del suo stipendio fu investita.
24. Nell’intervallo, il 25 febbraio 2004, il richiedente aveva presentato anche una notizia chiedo di sospensione del suo sfratto per ragioni di salute, ed il giudice aveva fissato allora poi l’udienza al 9 marzo al 29 marzo 2004.
25. A questa ultima dato, gli sposi proposero al richiedente di vendergli l’appartamento al prezzo di 190 000 EUR.
26. L’esecuzione costretta dello sfratto, fissata al 28 luglio 2004, non arriva e fu rinviata al 22 ottobre 2004 al motivo che il prefetto non aveva autorizzato l’ufficiale giudiziario di giustizia a farsi assistere con la forza pubblica. Lo sfratto fu rinviato poi di tre mesi in tre mesi, l’ufficiale giudiziario che si presenta ad ogni volta non accompagnato di agenti della forza pubblica.
27. Nel maggio 2005, il richiedente firmò con gli sposi una promessa di vendita mediante il prezzo di 190 000 EUR. Il contratto di vendita fu firmato il 6 ottobre 2005, data alla quale il richiedente diventò proprietario dell’appartamento dove risiedeva.
28. Il richiedente indica che, non avendo accesso al prestito bancario, si è dovuta indebitare presso della sua famiglia e dei suoi amici per raccogliere la somma richiesta, e che suo marito è stato costretto di accettare un lavoro in Siberia per ottenere un rientro di denaro più importante.
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
29. L’articolo 2932 del CC è formulato così:
“Se quello che è tenuto di concludere un contratto non esegue il suo obbligo, l’altra parte, quando ciò è possibile e non è escluso dal titolo [che detiene], può ottenere un giudizio che produce gli effetti del contratto non concluso.
Se si tratta di contratti che hanno per oggetto il trasferimento di proprietà di una cosa determinata o la costituzione o il trasferimento di un altro diritto, la domanda non può essere accolta se la parte che l’ha fatta non esegue la sua prestazione o non fa un’offerta formale [in questo senso] secondo le modalità stabilite dalla legge, a meno che la prestazione non sia ancora esigibile. “
30. Come in vigore all’epoca dei fatti, l’articolo 72 § 4 della legge sul fallimento, decreto reale no 267 del 16 marzo 1942, si leggeva come segue:
“In caso di fallimento del venditore, se la proprietà della cosa venduta è stata trasferita all’acquirente, il contratto non è rescisso. Se la proprietà della cosa venduta non è stata trasferita all’acquirente, il liquidatore giudiziale ha la scelta tra le esecuzioni del contratto e la sua risoluzione. In caso di risoluzione del contratto, l’acquirente ha il diritto di fare iscrivere il suo credito al passivo [del fallimento], senza avere diritto al risarcimento dei danni subiti. “
31. La legge sul fallimento è stata modificata poi da parecchi interventi del legislatore, decreto legislativo no 5 del 9 gennaio 2006, decreto legislativo no 169 del 12 settembre 2007 e legge no 134 del 7 agosto 2012. Nelle sue parti pertinenti nello specifico, l’articolo 72 di suddetta legge si legge oramai come segue:
“Se un contratto non è stato eseguito ancora o non è stato eseguito interamente dalle parti, quando lo stato di fallimento è stato dichiarato contro una di esse, la sua esecuzione, è sospesa finché il liquidatore giudiziale, con l’autorizzazione del comitato dei creditori, dichiara [o] sostituire si nei diritti dello fallito nel contratto, assumendo tutti gli obblighi relativi, [o] liberarsi [di suddetto contratto], a meno che, nei contratti che portano su dei diritti reali, il trasferimento del diritto [in causa] abbia avuto luogo già.
Ogni parte al contratto può mettere in casa il liquidatore giudiziale, facendo fissare al suo carico, col giudice delegato [al fallimento], un termine non superiore a sessanta giorni alla scadenza del quale il contratto è considerato come essendo rescisso.
Le disposizioni del primo paragrafo si applicano anche al contratto preliminare di vendita, eccetto ciò che è contemplato 72 bis all’articolo. In caso di risoluzione, la parte [richiedente] ha il diritto [di fare] iscrivere al passivo [del fallimento] il credito che deriva dell’inadempimento [del contratto], senza avere diritto al risarcimento dei danni subiti.
(…)
In caso di risoluzione del contratto preliminare di vendita immobiliare, conformemente all’articolo 2645 bis del codice civile, l’acquirente ha il diritto [di fare] iscrivere il suo credito al passivo [del fallimento], senza avere diritto al risarcimento dei danni subiti, e [egli] gode del privilegio descrive 2775 bis all’articolo del codice civile, purché gli effetti della registrazione del contratto preliminare di vendita non abbiano cessato prima della data di dichiarazione del fallimento.
Le disposizioni del primo paragrafo non si applicano al contratto preliminare di vendita registrata conformemente all’articolo 2645 bis del codice civile e cadendo su un immobile ad uso di abitazione destinata ad essere l’abitazione principale dell’acquirente o di membri della sua famiglia fino al terzo grado o su un immobile di un uso altro destinato ad essere la sede principale, dell’attività, dell’impresa dell’acquirente. “
32. Il legislatore ha aggiunto anche 72 bis un articolo a questa legge, intitolata “contratti relativi ad un immobile in costruzione”, ai termini del quale:
“I contratti descritti all’articolo 5 del decreto legislativo no 122 del 20 giugno 2005 sono rescissi se, prima che il liquidatore giudiziale non comunica la sua scelta tra esecuzione e risoluzioni [del contratto], l’acquirente ha ottenuto la fideiussione ( escusso la fideiussione) in garanzia della restituzione delle somme pagate al costruttore e ne ha informato il liquidatore giudiziale. Ad ogni modo, la fideiussione non può essere ottenuta dopo [la] comunicazione col liquidatore giudiziale della sua decisione di dare esecuzione al contratto. “
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 1 ALLA CONVENZIONE
33. Il richiedente considera che la decisione del liquidatore giudiziale di rescindere il contratto preliminare di vendita immobiliare al quale era partire ha violato l’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione, così formulata,:
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non a causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non recano offesa al diritto che possiedono gli Stati di mettere in vigore le leggi che giudicano necessarie per regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale o per garantire il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle multe. “
34. Il Governo contesta questa tesi.
A. Sull’ammissibilità
1. L’eccezione del Governo derivata dell’inapplicabilità dell’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione
a) L’eccezione del Governo
35. Il Governo considera che questo motivo di appello è incompatibile ratione materiae con le disposizioni dell’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione. Sottolinea che, in dritto italiano, un contratto preliminare di vendita non opera un trasferimento di proprietà della cosa che non ha luogo che all’epoca dell’eventuale conclusione di un contratto futuro e differente detto “contratto definitivo”, contratto definitivo. Indica che l’effetto più importante del contratto preliminare è di obbligare le parti a firmare il contratto definitivo. Sostiene che, nello specifico, la cosa venduta non esisteva al momento della conclusione del contratto preliminare poiché l’appartamento non era stato costruito ancora e che, quindi, le parti avevano contemplato un trasferimento di proprietà ulteriore. Aggiunge che, quando tutte le condizioni contemplate nel contratto preliminare sono assolte, ogni parte può chiedere la conclusione del contratto definitivo e che, se una delle parti nega di concludere questo ultimo contratto, l’altro partito può chiedere il trasferimento di proprietà con la via giudiziale in virtù dell’articolo 2932 del CC. Invocando l’articolo 72 § 4 del decreto-reale no 267 di 1942, stima mentre un tale trasferimento non può avere luogo se il venditore è stato dichiarato in stato di fallimento e se il liquidatore giudiziale designato decide di rescindere i contratti preliminari firmati dal venditore. Aggiunge che questa disposizione è coerente con la finalità del procedimento di fallimento, a sapere la liquidazione di tutti i debiti, così come coi suoi effetti, a sapere la gestione del patrimonio dello fallito col liquidatore giudiziale.
36. Alla luce di ciò che precede, il Governo stima che il richiedente non era titolare di un “bene” ai termini dell’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione. Considera di conseguenza che, con la firma del contratto preliminare di vendita, non era diventata la proprietaria dell’appartamento, ma che aveva acquisito semplicemente il diritto di obbligare il venditore a concludere il contratto definitivo.
b) La replica del richiedente
37. Il richiedente dichiara che ha concluso un contratto preliminare di vendita con l’impresa X e che ha pagato un prezzo superiore al prezzo fissato in questo. Considera che aveva il diritto di diventare la proprietaria dell’appartamento in questione dunque e che il solo elemento che il ne impediva era la no-firma di un atto notarile di vendita. Aggiunge che abitava nell’appartamento che era diventato così il suo domicilio ed il centro della sua vita familiare ed affettiva.
c) Valutazione della Corte
i. Principi generali
38. La Corte ricorda che la nozione di “beni” menzionati alla prima parte dell’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione ha una portata autonoma che non si limita alla proprietà di beni corporali e che è indipendente delle qualifiche formali del diritto interno: certi altri diritti ed interessi costituenti degli attivi possono passare anche per “diritti patrimoniali” e dunque dei “beni” ai fini di questa disposizione. In ogni caso, importa esaminare se le circostanze, considerate nel loro insieme, hanno reso il richiedente titolare di un interesse sostanziale protetto da questo articolo, Iatridis c. Grecia [GC], no 31107/96, § 54, CEDH 1999-II, Beyeler c. Italia [GC], no 33202/96, § 100, CEDH 2000-I, e Depalle c. Francia [GC], no 34044/02, § 62, 29 marzo 2010. L’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione non garantisce un diritto ad acquisire dei beni, Slivenko ed altri c. Lettonia [GC], déc.), no 48321/99, § 121, CEDH 2002-II,; però, il fatto che un diritto di proprietà sia revocabile in certe condizioni non l’impedisce di essere considerato come un “bene” al senso di questa disposizione, almeno fino alla sua revoca (Beyeler, precitata, § 105, e Moskal c. Polonia, no 10373/05, §§ 38 e 40, 15 settembre 2009.
39. La Corte ricorda anche che la nozione di “beni” può ricoprire sia i “beni reali” che i valori patrimoniali, ivi compreso dei crediti, in virtù dalle quali il richiedente può pretendere avere almeno una “speranza legittima” di ottenere il godimento effettivo di un diritto di proprietà (vedere, tra altre, Pressos Companía Naviera S.p.A. c. Belgio, 20 novembre 1995, § 31, serie A no 332, Kopecký c. Slovacchia [GC], no 44912/98, § 35, CEDH 2004-IX, ed Associazione nazionale degli orfani di guerra c. Francia, déc.), no 22718/08, 6 ottobre 2009. La speranza legittimo di potere continuare a godere del bene deve fondarsi su una “base sufficiente in diritto interno”, per esempio quando è confermata da una giurisprudenza ben convalidata dei tribunali o quando è fondata su una disposizione legislativa o su un atto legale concernente l’interesse patrimoniale in questione (Kopecky, precitata, § 52, Depalle, precitata, § 63, e Saghinadze ed altri c. Georgia, no 18768/05, § 103, 27 maggio 2010. Dal momento che ciò è acquisito, il nozione d ‘ “speranza legittima” può entrare in gioco, Maurice c. Francia [GC], no 11810/03, § 63, CEDH 2005-IX.
40. In compenso, la Corte stima che la speranza di vedere riconoscere un diritto di proprietà che si è nell’impossibilità di esercitare infatti non può essere considerato come un “bene” al senso dell’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione, e che ne va parimenti di un credito condizionale che si estingue a causa del mancata realizzazione della condizione, Malhous c. Repubblica ceca, déc.), no 33071/96, CEDH 2000-XII, Principe Hans-Adamo II c. Germania [GC], no 42527/98, § 85, CEDH 2001-VIII, e Nerva c. Regno Unito, no 42295/98, § 43, 24 settembre 2002.
41. Parimenti, la Corte precisa che il diritto di abitare in una residenza determinata di cui si non fa il proprietario, non costituire un “bene” al senso dell’articolo suddetto, Panchenko c. Ucraina, no 10911/05, § 50, 10 dicembre 2010, H.F,. c. Slovacchia, déc.), no 54797/00, 9 dicembre 2003, Kovalenok c. Lettonia, déc.), no 54264/00, 15 febbraio 2001, e J.L.S. c. Spagna, déc.), no 41917/98, 27 aprile 1999. Però, nel causa Saghinadze ed altri precitate (§§ 104-108), ha qualificato come “bene” il diritto di utilizzare una casetta che era stato esercitato in buona fede e con la tolleranza delle autorità per più di dieci anni, in dispetto della mancanza di un titolo di proprietà regolarmente registrata.
ii. Applicazione di questi principi nello specifico
42. La Corte rileva che non è contestato entra le parti che il richiedente non ha avuto mai, ai termini del contratto preliminare di vendita conclusa con lei con l’impresa X, di diritto di proprietà sull’appartamento controverso. Questo contratto preliminare di vendita non conferiva un tale diritto all’interessata, poiché contemplava un semplice impegno alla conclusione di un altro contratto, dice “definitivo” che avrebbe operato il trasferimento di proprietà del bene nel futuro. La Corte nota mentre questo ultimo contratto non è potuto essere firmato in ragione del rifiuto del rappresentante dell’impresa X di rendersi presso di un notaio per procedere alla sua conclusione, e che la dichiarazione di fallimento di suddetta impresa, foderata della decisione del liquidatore giudiziale di rescindere il contratto preliminare, non ha permesso al richiedente di ottenere il pronunziato di un giudizio che opera il trasferimento di proprietà con la via giudiziale conformemente all’articolo 2932 del CC. A questo riguardo, nota che il Governo sottolinea a buon diritto questo punto, paragrafi 35-36 sopra.
43. Peraltro, la Corte osserva che non ne rimane meno che, dopo avere firmato il contratto preliminare di vendita, versato degli acconti ed effettuato i seguenti pagamenti in funzione dell’avanzamento dei lavori, paragrafo 6 sopra, il richiedente aveva traslocato nell’appartamento ed aveva stabilito la sua residenza principale nel marzo 1995, paragrafo 7 sopra. Nota anche che, avendo eseguito interamente il suo obbligo di pagare il prezzo della cosa venduta, il richiedente sapeva che il rappresentante dell’impresa X aveva l’obbligo, sulla base del contratto preliminare, di firmare il contratto definitivo e che in caso di rifiuto da parte sua poteva rivolgersi ad un giudice per ottenere un giudizio che ordina il trasferimento di proprietà. Ne deduce dunque che il richiedente aveva la speranza legittima di diventare la proprietaria dell’appartamento o, a difetto, di ottenere la restituzione delle somme versate da lei. Constata che è solamente a causa di una serie di avvenimenti che sfuggono interamente al suo controllo, a sapere il fallimento dell’impresa X e le decisioni prese dal liquidatore giudiziale, che il richiedente si è trovato nell’impossibilità di diventare la proprietaria del bene che aveva pagato e per che aveva firmato il contratto preliminare di vendita.
44. In conclusione, la Corte considera che, nelle circostanze particolari della presente causa, la speranza legittimo del richiedente, annessa agli interessi patrimoniali come il pagamento integrale del prezzo di vendita e la presa di possesso dell’appartamento, era sufficientemente importante per costituire un interesse sostanziale, dunque un “bene” al senso dell’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione che è di conseguenza applicabile nello specifico (vedere, mutatis mutandis, Stretch c. Regno Unito, no 44277/98, §§ 32-35, 24 giugno 2003, Bozcaada Kimisis Teodoku Rum Ortodoks Kilisesi Vakfi c,. Turchia, nostri 37639/03, 37655/03, 26736/04 e 42670/04, § 50, 3 marzo 2009, Plalam S.P.A,. c. Italia, no 16021/02, § 42, 18 maggio 2010, e Di Marco c. Italia, no 32521/05, § 53, 26 aprile 2011.
45. L’eccezione del Governo non saprebbe essere considerata dunque.
2. Altri motivi di inammissibilità
46. Constatando che questo motivo di appello non è manifestamente male fondato al senso dell’articolo 35 § 3 ha, della Convenzione e che non cozza contro nessuno altro motivo di inammissibilità, la Corte lo dichiara ammissibile.
B. Sul fondo
1. Argomenti delle parti
ha, Il richiedente
47. Il richiedente dichiara di essere stata privata del suo diritto di diventare proprietario dell’appartamento controverso, e questo senza indennizzo, in ragione della decisione discrezionale del liquidatore giudiziale di rescindere unilateralmente il contratto preliminare di vendita. Considera che il liquidatore giudiziale ha arricchito così il patrimonio dello fallito di un attivo immobiliare pure impoverendo il suo, dato che, ha perso secondo lei, al tempo stesso la sua abitazione principale e l’è versata da lei al costruttore.
48. Aggiunge che il contratto preliminare firmato da lei datava del 1992, o di cinque anni prima della dichiarazione di fallimento dell’impresa X, che indicava un prezzo completamente conforme al valore del mercato dell’appartamento e che non era fraudolento dunque.
49. Precisa anche che, conformemente alla risoluzione del contratto preliminare, gli era stato solamente possibile fare iscrivere il suo credito al passivo del fallimento e che, trattandosi di un credito non privilegiata, le probabilità di ricoprire, non fu ciò che parzialmente, l’è versata da lei si erano rivelate minimi. A questo riguardo, indica che, secondo l’ultimo piano di ripartizione, l’importo dei crediti privilegiati tra che raffiguravano queste delle banche superava largamente l’attivo del fallimento. Considera così come l’interesse generale invocato dal Governo corrisponde in realtà ad un interesse privato buono specifico, a sapere quello delle banche che finanziano l’attività di costruzione, e che questo interesse ha prevalso su quello degli acquirenti che, secondo lei, hanno contribuito anche al finanziamento di questa attività.
50. In queste condizioni, il richiedente stima che un giusto equilibra è stato non mantenuto non tra le esigenze dell’interesse generale della comunità (o, ai suoi occhi, la protezione dei diritti dei creditori, e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo. Afferma peraltro che questo stato dei fatti è stato riconosciuto dalla corte di appello di Firenze, dato che questa giurisdizione ha indicato che la facoltà di risoluzione del liquidatore giudiziale era spesso sorgente di molto gravi problemi per gli acquirenti di un appartamento nello stato futuro di completamento. Sostiene di miro più di questa facoltà a permettere al liquidatore giudiziale di ricuperare un massimo di attivi a distribuire ai creditori e che la parcella di suddetto liquidatore è stabilito in funzione dell’attivo totale del fallimento.
51. Inoltre, il richiedente sottolinea che il legislatore è intervenuto per riformare il diritto del fallimento e modificare i poteri dei liquidatori giudiziali. Precisa che, da questa riforma, questi ultimi non possono rescindere i più contratti preliminari di vendita immobiliare registrata e cadendo sull’abitazione principale o la sede dell’impresa dell’acquirente, paragrafi 31-32 sopra, e che, al momento della firma del compromesso di vendita, i costruttori sono obbligati ad aderire un’assicurazione contro il fallimento in favore dell’acquirente.
52. Precisando che il rappresentante dell’impresa X aveva negato di rendersi dinnanzi ad un notaio per procedere alla conclusione di un contratto definitivo, il richiedente indica che non ha potuto beneficiare della riforma suddetta al motivo che, ai termini della decreto-legge no 669 del 31 dicembre 1996, soli gli atti notarili o i giudizi possono essere registrati, e non le scritture private tale il contratto preliminare firmato da lei. Aggiunge che, all’epoca dell’entrata in vigore di questa riforma, aveva intrapreso già secondo lei il solo passo possibile, a sapere un’azione per ottenere il trasferimento di proprietà con la via giudiziale, paragrafo 8 sopra. Su questo ultimo spunta, il Governo afferma che questa azione sarebbe potuta essere introdotta presto più, e questo fin da 1995. Il richiedente replica che l’impresa X non aveva ottenuto ancora a questa epoca l’autorizzazione urbanistica di costruzione che unica avrebbe permesso al notaio di redigere l’atto di vendita, e che l’individualizzazione dell’appartamento controverso nei registri del catasto risaliva solamente al 17 gennaio 1997. Inoltre, trattandosi dell’esistenza di un’ipoteca iscritta da una banca, l’interessata precisa che questa garanzia non cadeva sull’appartamento in questione ma sull’insieme dei beni immobiliari che appartengono al costruttore. Indica peraltro che, come tutte le imprese di costruzione immobiliare in Italia, l’impresa X era totalmente dipendente delle banche di un punto di vista finanziaria e che, fin dalla firma del contratto preliminare di vendita, questa aveva fatto iscrivere delle ipoteche sui terreni destinati alla costruzione. Ne deduce che nel 1995 l’impresa X aveva già di numerosi debiti e che un’eventuale azione in giustizia contro lei aveva poche probabilità di arrivare.
53. Di più, il richiedente stima che il liquidatore giudiziale deve essere considerato come un agente dello stato convenuto poiché è nominato dal giudice delegato al fallimento e poiché è una “ausiliare di giustizia” che esercita una funzione pubblica. Aggiunge che la sua funzione consiste in soddisfare per quanto possibile i creditori così come ad amministrare e liquidare il patrimonio dello fallito e che, nella cornice dei suoi poteri fissati dalla legge, propone delle misure ed esegua queste stimato col giudice delegato al fallimento.
54. Riferendosi poi ai principi stabiliti dalla Corte nel suo sentenza Kotov c. Russia ([GC], no 54522/00, §§ 109-115, 3 aprile 2012, il richiedente sostiene che, nella cornice del procedimento di fallimento, il Governo non ha soddisfatto ai suoi obblighi positivi che derivano dell’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione.
55. A questo titolo, il richiedente constata che lo stato ha creato un sciolgo per le vittime di fallimenti immobiliari, questo che, secondo lei, può essere considerato come una misura positiva in favore delle persone nella stessa situazione che lei. Menziona mentre le famiglie di cui la pratica è stata accettata da questi fondi, al numero di 12 071 e tra che si trova la sua, aspettano sempre il primo versamento corrispondente al loro indennizzo. Afferma che questo sciolgo dispongo di circa 60 milioni EUR, ciò che permetterebbe secondo lei di versare il 8% delle indennità riconosciute da lui, e lei aggiungo che queste indennità ammontano ad un importo di 778 730 939 EUR. Indica anche che l’attività di questi fondi essendo limitata a 2020, la promessa di indennizzo lei concernente è completamente insignificante rispetto al danno che stima avere subito, dato che, secondo lei, potrebbe ottenere il versamento di una somma che ammonta a 13 617,63 EUR per un’indennità riconosciuta di 167 498,53 EUR.
56. Alla luce di ciò che precede, il richiedente considera avere dovuto sopportare un carico eccessivo ed esorbitante: afferma avere subito la vendita costretta dell’appartamento che aveva pagato, avere sborsato una seconda volta il prezzo di vendita di questo bene pagando una somma una volta e metà superiore alla somma che il liquidatore giudiziale aveva iscritto all’attivo del fallimento, ed avere dovuto fare a fronte a numerosi procedimenti giudiziali senza ricevere il minimo indennizzo.
b) Il Governo
57. Il Governo indica che, quando, siccome nello specifico, il liquidatore giudiziale si avvale della facoltà di risoluzione che gli riconosce l’articolo 72 § 4 della legge sul fallimento, l’acquirente avendo firmato un contratto preliminare di vendita non è privato di tutti i suoi diritti. Precisa che, anche se questo ultimo non ha nessuno diritto sulla cosa promessa alla vendita, può, nella cornice del procedimento di fallimento e sulla base del principio di uguaglianza di trattamento dei creditori, con condicio creditorum, ricuperare l’è eventualmente già versate con lui. Aggiunge che, per garantire i diritti dell’acquirente, la decreto-legge no 669 del 31 dicembre 1996 ha contemplato la possibilità di registrare il contratto preliminare di vendita di un bene immobiliare nei registri pubblici. A questo riguardo, sottolinea che, in virtù dell’articolo 2775 bis del CC, se una tale registrazione ha avuto luogo prima della dichiarazione di fallimento, l’acquirente ha il diritto di essere preferito agli altri creditori nella ripartizione dei profitti dell’asta pubblica del bene controverso. Nello specifico, afferma che il richiedente non ha proceduto a simile registrazione e che deve così assumere i rischi che derivano della situazione del venditore.
58. Il Governo nota poi che un’ipoteca per un importo di 300 000 000 ITL, circa 154 937 EUR, o della quasi -totalità del prezzo di vendita dell’appartamento, era stata iscritta da una banca creditore dell’impresa X. ne deduce che, anche se il liquidatore giudiziale aveva scelto di dare esecuzione al contratto preliminare di vendita, il richiedente non sarebbe potuto diventare proprietario dell’appartamento in questione senza gli oneri addizionali. Considera che, al contrario, avrebbe dovuto scegliere tra le perdite dell’appartamento ed il pagamento della somma che corrisponde all’ipoteca o ai crediti delle banche. Infine, espone non comprendere perché il richiedente che risiedeva in questo appartamento da marzo 1995 e che aveva pagato secondo lui il 80% del prezzo di vendita di questo bene, ha aspettato due anni prima di introdurre un’azione in giustizia sulla base dell’articolo 2932 del CC. Su questo ultimo spunta, aggiunge che, nel marzo 1995, il fallimento del venditore non era stato dichiarato ancora, che un’azione in giustizia impegnata dal richiedente a questa epoca avrebbe avuto probabilmente una conclusione favorevole, e che l’interessata avrebbe potuto opporre poi il suo diritto di proprietà ottenuta dalla via giudiziale al liquidatore giudiziale. Di più, nota che il richiedente indica che, all’epoca del versamento delle somme con lei, il costruttore non aveva ottenuto ancora l’autorizzazione urbanistica di costruzione, ciò che notifica agli occhi del Governo che sapeva o avrebbe dovuto sapere che la costruzione era illegale e che doveva assumere i rischi.
59. Alla luce di ciò che precede, il Governo stima che la decisione del liquidatore giudiziale di rescindere il contratto preliminare di vendita ha rispettato un giusto equilibro tra i diritti del richiedente e gli interessi della società nel suo insieme.
2. Valutazione della Corte
a) Sull’esistenza di un’ingerenza nel diritto del richiedente al rispetto dei suoi beni
60. La Corte rileva che, conformemente alla scelta del liquidatore giudiziale di rescindere il contratto preliminare di vendita, il richiedente ha perso il suo diritto di ottenere il trasferimento di proprietà dell’appartamento con la via giudiziale. Osserva che l’appartamento in questione è stato venduto alle aste e che il richiedente è stato costretto di iscrivere il suo credito relativo alle somme che aveva pagato al passivo del fallimento, paragrafo 14 sopra. Nota anche che, tenuto conto dell’importo dei debiti dell’impresa X, paragrafo 49 sopra, e del carattere non privilegiato del credito dell’interessata, le probabilità di questa per ricuperare il suo credito sono state ridotte considerevolmente. Di più, constata che il richiedente ha dovuto fare fronte ad una domanda di pagamento di un’indennità di occupazione, paragrafo 11 sopra, così come al sequestro di una parte del suo stipendio, paragrafo 23 sopra, ed a numerose visite di un ufficiale giudiziario di giustizia in vista del suo sfratto, paragrafi 23 e 26 sopra, e che questo sta pagando solamente una seconda volta il prezzo di vendita del bene controverso che è diventata alla fine proprietario, paragrafo 27 sopra.
61. In queste circostanze, la Corte stima che la scelta incriminata ha realizzato un’ingerenza nel diritto del richiedente al rispetto dei suoi beni.
b) Sulla questione di sapere se questa ingerenza può essere imputata direttamente allo stato
62. La Corte rileva poi che la scelta in questione è stata effettuata dal liquidatore giudiziale. È così necessario determinare se le azioni di questo e l’ingerenza che ne è risultato possono essere imputate allo stato. Per ciò, la Corte deve rispondere alla questione di sapere se il liquidatore giudiziale ha agito in quanto agente dello stato o in quanto particolare.
63. Nel suo sentenza Kotov (precitata, §§ 91-107, la Grande Camera della Corte ha stimato che, allo visto delle regole pertinenti del diritto russo e del ruolo del liquidatore giudiziale, ed in particolare della sua indipendenza operativa ed istituzionale, questo non poteva essere considerato come un agente dello stato convenuto che, di conseguenza, non poteva essere tenuto per direttamente responsabile delle irregolarità commesse da lui.
64. La Corte nota che, per il richiedente, il liquidatore giudiziale deve essere considerato come un agente dello stato. Rileva che l’interessata fa osservare a questo riguardo che il liquidatore giudiziale è nominato dal giudice delegato al fallimento, che è una “ausiliare di giustizia” che esercita una funzione pubblica nella cornice dell’amministrazione della giustizia e che i suoi poteri sono fissati dalla legge, paragrafo 53 sopra.
65. La Corte stima mentre gli elementi avanzati dal richiedente non gli permettono di differenziare chiaramente il ruolo del liquidatore giudiziale in Italia di quello del liquidatore in dritto russo. Nota a questo riguardo che in Russia la designazione del liquidatore era confermata dai tribunali che questi ultimi esercitavano un controllo di legalità sulle azioni del primo e che le funzioni del liquidatore russo erano simili a queste del liquidatore giudiziale italiano (Kotov, precitata, §§ 101, 102, 105 e 106. In queste circostanze, la Corte stima nello specifico che lo stato convenuto non può essere tenuto per direttamente responsabile delle azioni del liquidatore giudiziale.
66. Questa conclusione non esonera però lo stato di ogni responsabilità sotto l’angolo dell’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione: ancora bisogna verificare se si è conformato agli obblighi positivi che gli spettavano nello specifico.
c) Sulla questione di sapere se lo stato ha rispettato gli obblighi positivi che gli toccavano nella cornice del procedimento di fallimento
67. Nella causa Kotov precitata (§§ 109-115), la Grande Camera ha riassunto così i principi generali in materia di natura e di superficie degli obblighi positivi dello stato nella cornice dei procedimenti di fallimento:
“109. La Corte ha detto a più riprese che l’articolo 1 del Protocollo no 1 rinchiude anche certi obblighi positivi. Così, nel sentenza Öneryıldız c. Turchia ([GC], no 48939/99, § 134, CEDH 2004-XII che riguardava la distruzione dei beni del richiedente in seguito ad un’esplosione di gas, ha detto che l’esercizio reale ed efficace del diritto garantito da questa disposizione non dipende unicamente dal dovere dello stato di astenersi di ogni ingerenza ma può esigere delle misure positive di protezione, particolarmente là dove esiste un legame diretto tra le misure che un richiedente potrebbe aspettare legittimamente delle autorità ed il godimento effettivo con l’interessato dei suoi beni. Nella cornice di relazioni orizzontali può avere anche ci delle considerazioni di interesse pubblico suscettibile di imporre certi obblighi allo stato. Così, nel sentenza Broniowski c. Polonia ([GC], no 31443/96, § 143, CEDH 2004-V, la Corte ha detto che gli obblighi positivi che derivano dell’articolo 1 del Protocollo no 1 possono provocare per lo stato certe misure necessarie per proteggere il diritto di proprietà. Quindi, delle considerazioni di interesse generale suscettibile di imporre certi obblighi allo stato possono entrare in gioco stesso nella cornice di relazioni orizzontali.
110. La frontiera tra gli obblighi positivi e gli obblighi negativi dello stato a titolo dell’articolo 1 del Protocollo no 1 non suscita una definizione precisa, ma i principi applicabili non ne sono meno comparabili. Che si analizza la causa sotto l’angolo dell’obbligo positivo dello stato o sotto quello dell’ingerenza dei poteri pubblici che deve essere giustificata, i criteri ad applicare non sono differenti in sostanza. In un caso come nell’altro, bisogna avere esattamente riguardo equilibrio a predisporre tra gli interessi concorrenti dell’individuo e della società nel suo insieme. È anche vero che gli obiettivi enumerati in questa disposizione possono sostenere un certo ruolo nella valutazione della questione di sapere se un equilibrio è stato predisposto tra le esigenze dell’interesse pubblico ed il diritto fondamentali del richiedente alla proprietà. Nei due casi, lo stato gode di un certo margine di valutazione per determinare le misure a prendere per garantire il rispetto della Convenzione (vedere, mutatis mutandis, Hatton ed altri c. Regno Unito [GC], no 36022/97, §§ 98 e suiv., CEDH 2003-VIII, e Broniowski [GC], precitata, § 144.
111. La natura e la superficie degli obblighi positive dello stato variano secondo le circostanze. Per esempio, nella causa Öneryıldız precitata, la privazione di proprietà subita dal richiedente aveva per origine una negligenza manifesta delle autorità in una situazione particolarmente pericolosa. In compenso, quando sono in causa delle relazioni commerciali ordinarie tra individui, questi obblighi positivi sono migliori limitate. Così, la Corte ha sottolineato a numerose riprese che l’articolo 1 del Protocollo no 1 non può essere interpretato come facendo pesare sugli Stati contraenti un obbligo generale di assumere i debiti di entità private (vedere, mutatis mutandis, la decisione Shestakov precitata [Shestakov c. Russia, déc.), no 48757/99, 18 giugno 2002] e la sentenza Scollo precitata [Scollo c. Italia, 28 settembre 1995, serie Ha no 315-C], § 44; vedere in particolare il ragionamento della Corte nel decisione Anokhin c. Russia, déc.), no 25867/02, 31 maggio 2007.
112. La Corte ha detto tuttavia, anche che, in certe circostanze, l’articolo 1 del Protocollo no 1 può imporre “certe misure necessarie per proteggere il diritto di proprietà, anche nei casi dove si tratta di una controversia tra le persone fisiche o giuridiche”, Sovtransavto Holding precitata [Sovtransavto Holding c. Ucraina, no 48553/99, CEDH 2002-VII], § 96. Questo principio è stato applicato largamente nel contesto di procedimenti di esecuzione diretta contro i debitori privati, Fuklev precitata [Fuklev c. Ucraina, no 71186/01, 7 giugno 2005], §§ 89-91, Kesyan precitata [Kesyan c. Russia, no 36496/02, 19 ottobre 2006], §§ 79-80; vedere anche Kin-Stib e Majkić c. Serbia, no 12312/05, § 84, 20 aprile 2010, Marčić ed altri c. Serbia, no 17556/05, § 56, 30 ottobre 2007, e, mutatis mutandis, Matheus c. Francia, no 62740/00, §§ 68 e suiv., 31 marzo 2005.
113. Nel suo sentenza Blumberga c. Lettonia, no 70930/01, § 67, 14 ottobre 2008, la Corte ha detto: “[t]oute attentato al diritto al rispetto dei beni commessi da un individuo fa nascere per lo stato l’obbligo positivo di garantire nel suo ordine giuridico interno che il diritto di proprietà sarà protetto sufficientemente dalla legge e che i ricorsi adeguati permetteranno alla vittima di simile attentato di fare valere i suoi diritti, in particolare, all’occorrenza, chiedendo risarcimento del danno subito.” Segue che lo stato può essere tenuto di prendere in simili circostanze sia delle misure preventive, o delle misure di risarcimento.
114. Tra le misure di risarcimento che lo stato può essere tenuto di prendere in certe circostanze, c’è il collocamento in posto di vie di diritto adeguato che permette alla parte lesa di avvalersi infatti dei suoi diritti. L’esistenza di obblighi positive di natura procedurale sul terreno dell’articolo 1 del Protocollo no 1, malgrado il silenzio di questa disposizione su questo punto, è stata riconosciuta anche bene dalla Corte nelle cause concernente le autorità dello stato, Jokela c. Finlandia, no 28856/95, § 45, CEDH 2002-IV; vedere anche Zehentner c. Austria, no 20082/02, § 73, 16 luglio 2009 che nelle cause che portano, siccome nello specifico, su una controversia oppositore unicamente degli individui. Così, in una causa che rileva della seconda categoria, la Corte ha giudicato che lo stato aveva l’obbligo di contemplare giudiziale offerente un procedimento le garanzie procedurali necessarie e permettendo così ai tribunali nazionali di decidere efficacemente ed equamente ogni controversia eventuale tra individui, Sovtransavto Holding, precitata, § 96; vedere anche Anheuser-Busch Inc. c. Portogallo [GC], no 73049/01, § 83, CEDH 2007-I, e Freitag c. Germania, no 71440/01, § 54, 19 luglio 2007.
115. La Corte ricorda infine che, quando controlla il rispetto dell’articolo 1 del Protocollo no 1, deve concedersi ad un esame globale dei diversi interessi in gioco tenendo allo spirito che la Convenzione mira a salvaguardare dei diritti concreti ed effettivi. Deve andare al di là delle apparenze e deve informarsi delle realtà della situazione denunciata, Plechanow precitata [Plechanow c. Polonia, no 22279/04, 7 luglio 2009], § 101. “
68. Facendo applicazione di questi principi al presente genere, la Corte nota che, pagando interamente il prezzo dell’appartamento all’impresa X, il richiedente ha preso certi rischi, in particolare legati alla possibilità di un fallimento di questa impresa. Lo stato non aveva ad assumere a questo riguardo la minima responsabilità civile (vedere, mutatis mutandis, Kotov, precitata, § 116. Non ne rimane meno che, come la corte di appello di Firenze l’ha sottolineato a buon diritto, il potere discrezionale di risoluzione conferita al liquidatore giudiziale era spesso una sorgente di danni finanziari molto importanti, in caso di fallimento dei costruttori, per gli acquirenti di appartamenti nello stato futuro di completamento. Gli acquirenti rischiavano in fatto di perdere non solo i loro beni, ma anche i prezzi versati da essi, paragrafo 20 sopra.
69. In queste condizioni, la Corte stima che, a titolo degli obblighi che derivano dell’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione, lo stato era tenuto di instaurare una cornice legislativa adeguata, previdente una protezione minimale degli interessi degli acquirenti di buona fede (vedere, mutatis mutandis, Kotov, precitata, § 117.
70. Del parere della Corte, una differenza deve essere fatta tra le vendite di beni immobiliari esistenti e la vendita di appartamenti nello stato futuro di completamento. Nel primo caso, il prezzo è versato normalmente dall’acquirente al momento della conclusione dell’atto notarile di vendita, e l’interessato beneficio dunque della garanzia che il trasferimento di proprietà si effettua al momento del pagamento. Nel secondo caso, dei pagamenti sono realizzati spesso secondo l’avanzamento dei lavori, ed il prezzo è versato interamente o quasi interamente con l’acquirente prima della firma dell’atto definitivo di vendita. Resta a determinare se in questo ultimo caso, all’epoca dei fatti e relativamente al presente genere, il diritto italiano offriva una protezione adeguata agli acquirenti che si trovano in una situazione simile a quella del richiedente.
71. La Corte prende nota dell’argomento del Governo secondo che, ai termini della decreto-legge no 669 del 31 dicembre 1996, il contratto preliminare di vendita di un bene immobiliare può essere registrato nei registri pubblici, questo che, secondo il Governo, da’ all’acquirente il diritto di essere preferito agli altri creditori nella ripartizione dei profitti dell’asta pubblica del bene in questione, articolo 2775 bis del CC-paragrafo 57 sopra. Però, constata che questa riforma legislativa è entrata in vigore dopo la conclusione del contratto preliminare di vendita firmata dal richiedente, che non si applicava per di più a questo dato che non si trattava di un atto notarile, e che l’affermazione del richiedente su questo punto, paragrafo 52 sopra, non è stata smentita dal Governo. Osserva che ne va parimenti per le altre riforme legislative adottate in materia, concernente l’impossibilità di rescindere i contratti preliminari di vendita immobiliare registrata ed avendo per oggetto l’abitazione principale dell’acquirente, e concernente l’obbligo per i costruttori di aderire un’assicurazione contro il fallimento-paragrafi 31-32 e 51 sopra che sono entrate in vigore dopo il fallimento dell’impresa X ed il pronunziato della sentenza della Corte di cassazione nella presente causa, paragrafo 22 sopra.
72. In quanto alla possibilità per il richiedente di essere indennizzata dai fondi per le vittime di fallimenti immobiliari, la Corte nota che, secondo le informazione fornite dall’interessata, paragrafo 55 sopra, e non smentite dal Governo, lo sciolgo ancora in questione non ha versato di indennizzi e che, allo visto delle risorse di cui dispone, sarebbe in grado di versare solamente il 8% al richiedente dell’indennità che gli è stata riconosciuta, ammontando a 167 498,53 EUR. Considera dunque che un tale indennizzo è aleatorio ed in ogni caso insufficiente per riparare il danno subito.
73. Di più, la Corte constata che, faccia al rifiuto del rappresentante dell’impresa X di firmare l’atto notarile definitivo di vendita, il richiedente ha intrapreso il solo passo legale che si apriva a lei, a sapere l’introduzione di un’azione che mira ad ottenere il trasferimento di proprietà con la via giudiziale conformemente all’articolo 2932 del CC. Stima che l’interessata ha fornito delle giustificazioni pertinenti per esporre le ragioni che l’hanno impedita di introdurre questa azione fin da 1995, paragrafo 52 sopra. Rileva anche che la sua iniziativa è stata resa inefficace con la scelta del liquidatore giudiziale di rescindere il contratto preliminare di vendita, dato che le giurisdizioni italiane hanno giudicato che una tale scelta poteva essere fatta e stava costringendo anche quando, siccome nello specifico, un’azione che mira ad ottenere il trasferimento di proprietà con la via giudiziale era pendente, paragrafo 18 sopra. Ne deduce che il richiedente è stato così privato di ogni protezione effettiva contro la perdita dell’appartamento e delle somme versato da lei per la sua acquisizione, e che è stata obbligata a sopportare un carico eccessivo ed esorbitante.
74. Peraltro, la Corte nota che il richiedente non disponeva del nessuno ricorso al difetto del quale avrebbe potuto fare esaminare l’opportunità e la proporzionalità della scelta del liquidatore giudiziale, dato che questo aveva esercitato un potere discrezionale che non poteva essere sottomessi ad un controllo giurisdizionale alla domanda delle parti del contratto rescisso.
d) Conclusione
75. Alla luce di ciò che precede, la Corte considera che nello specifico lo stato non ha soddisfatto gli obblighi positivi che derivano dell’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione. Ne segue che c’è stata violazione di questa disposizione.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE
76. Il richiedente si lamenta di avere subito delle pressioni finanziarie e delle minacce di sfratto del suo domicilio. Denuncia una violazione dell’articolo 8 della Convenzione, così formulata,:
“1. “1. Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza .
2. Non può esserci ingerenza di un’autorità pubblica nell’esercizio di questo diritto se non per quanto questa ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, sia necessaria alla sicurezza nazionale, alla sicurezza pubblica, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine ed alla prevenzione delle violazioni penali, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e libertà altrui. “
77. Il Governo contesta questa tesi.
78. La Corte rileva che questo motivo di appello è legato a quell’esaminato sopra e che deve essere dichiarato dunque anche ammissibile.
A. Argomenti delle parti
1. Il richiedente
79. Il richiedente afferma che, per evitare di essere espulsa, è stata costretta di ricomprare il “suo” appartamento ad un prezzo buono superiore al prezzo di asta pubblica, indebitandosi presso di membri della sua famiglia e dei suoi amici. Aggiunge che è stata sottoposta così ad una tensione che, secondo lei, gli ha provocato dei problemi di salute e che, per ottenere un rientro di denaro basti, suo marito è stato costretto di partire lavorare in Siberia, paragrafo 28 sopra. Stima che le regole esistenti non gli hanno garantito la protezione che la sua situazione vulnerabile avrebbe esatto.
80. Inoltre, il richiedente indica che le pressioni e le minacce di sfratto che dice avere subito si analizzano in un’ingerenza nel suo diritto al rispetto del suo domicilio e della sua vita privata. Precisa che il liquidatore giudiziale gli aveva proposto una transazione inaccettabile ai suoi occhi che, faccia al suo rifiuto, un’indennità di occupazione equivalente ad un affitto gli era stata imposta, e che i nuovi acquirenti del bene gli avevano mandato regolarmente ed a più riprese un ufficiale giudiziario di giustizia per ingiungergli di lasciare i luoghi.
81. Di più, il richiedente afferma che non è stata in grado di potere intervenire nel procedimento di asta pubblica dell’appartamento; il liquidatore giudiziale non l’ha informato secondo lei, debitamente del collocamento alle aste di questo bene e non gli ha notificato l’importo delle aste, paragrafo 12 sopra. L’interessata precisa che possedeva bene il di buona fede e lei constato che non era anche titolare di un diritto di prelazione su questo bene.
2. Il Governo
82. Il Governo indica che, in caso di risoluzione del contratto preliminare di vendita, l’acquirente deve restituire la cosa promessa alla vendita di cui aveva potuto avere eventualmente la disponibilità. Aggiunge che, nello specifico, l’appartamento doveva essere restituito al liquidatore giudiziale, e che non è sorprendente dunque che questo ultimo abbia offerto la possibilità al richiedente di ricomprare pagandolo una seconda volta il suo prezzo. Considera che il fatto che questa aveva pagato già il prezzo di vendita all’impresa X non gli conferiva un privilegio nei confronti gli altri creditori ma semplicemente il diritto di chiedere ne la restituzione nella cornice del procedimento di fallimento.
83. Il Governo indica anche che risulta della pratica che, il 5 maggio 1998, il liquidatore giudiziale ha informato il richiedente della sua intenzione di vendere l’appartamento. Stima che era comunque ragionevole pensare che l’appartamento in questione andava essere venduto alle aste e che gli avvocati che hanno assistito il richiedente tutto lungo i procedimenti giudiziali avrebbero potuto peraltro informarla a questo motivo.
84. Trattandosi della domanda di pagamento di un’indennità di occupazione fatta dal liquidatore giudiziale al richiedente, il Governo precisa che questa è stato formulato solamente un anno dopo la risoluzione del contratto preliminare ed al motivo che il richiedente negava di lasciare l’appartamento dove risiedeva oramai senza avere diritto.
B. Valutazione della Corte
85. La Corte è di parere che le lamentele presentate dal richiedente sotto l’angolo dell’articolo 8 della Convenzione si confondono in un larghe misuro con queste che ha appena esaminato sotto l’angolo dell’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione. Avuto riguardo alla constatazione relativa a questa ultima disposizione, paragrafo 75 sopra, la Corte stima che non c’è luogo di esaminare se c’è stato, nello specifico, violazione dell’articolo 8 della Convenzione.
III. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE IN RAGIONE DI UN DIFETTO DI ACCESSO AD UN TRIBUNALE, COSÌ COME DELL’ARTICOLO 13 DELLA CONVENZIONE, COMBINATO CON L’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 1 ALLA CONVENZIONE,
86. Invocando gli articoli 6 § 1 e 13 della Convenzione, il richiedente si lamenta di non avere disposto, in dritto italiano, di un accesso ad un tribunale o di un ricorso effettivo per fare valere i suoi motivi di appello tirati dell’articolo 8 della Convenzione e dell’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione.
Nelle loro parti pertinenti nello specifico, queste disposizioni si leggono come segue:
Articolo 6 § 1
“1. Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia sentita ed in un termine ragionevole da un tribunale che deciderà delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile. “
Articolo 13
“Ogni persona i cui i diritti e libertà riconosciuti nella Convenzione sono stati violati, ha diritto alla concessione di un ricorso effettivo dinnanzi ad un’istanza nazionale, anche se la violazione fosse stata commessa da persone agendo nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali. “
87. Il Governo contesta questa tesi.
A. Sull’ammissibilità
88. Constatando che questo motivo di appello non è manifestamente male fondato al senso dell’articolo 35 § 3 ha, della Convenzione e che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità, la Corte lo dichiara ammissibile.
B. Sul fondo
1. Argomenti delle parti
a) Il richiedente
89. Il richiedente afferma che il giudice delegato al fallimento ha evitato di esaminare al fondo le scelte effettuate secondo lei dal liquidatore giudiziale, questo giudice che si limita, a sospendere l’azione in annullamento della risoluzione del contratto preliminare di vendita impegnata da lei e la sua domanda di iscrizione del suo credito al passivo del fallimento. Considera che il tribunale e la corte di appello di Firenze così come la Corte di cassazione si sono limitate a prendere atto della scelta del liquidatore giudiziale. A questo riguardo, stima che il comportamento delle giurisdizioni nazionali si analizza in un diniego di giustizia che ha contribuito a svuotare della sua sostanza il suo credito.
b) Il Governo
90. Il Governo indica che la validità della decisione del liquidatore giudiziale di rescindere il contratto preliminare è stata esaminata in dettaglio col tribunale e la corte di appello di Firenze e con la Corte di cassazione. Precisa che, nella sua sentenza, questa ultima ha chiarito su 25 pagine le ragioni del rigetto della domanda del richiedente.
91. Peraltro, il Governo afferma che non c’è nessuna prova che l’azione del richiedente in annullamento della risoluzione del contratto preliminare sia stata sospesa e che questa sospensione addotta abbia recato danno all’interessata.
2. Valutazione della Corte
92. La Corte considera che questo motivo di appello si presta di prima ad un esame sotto l’angolo dell’articolo 13 della Convenzione.
93. Ricorda che questo articolo garantisce l’esistenza in diritto interno di un ricorso che permette di avvalersi dei diritti e libertà della Convenzione come sono consacrati. Questa disposizione ha per conseguenza di esigere un ricorso interno che abilita ad esaminare il contenuto di un “motivo di appello difendibile” fondato sulla Convenzione dunque ed ad offrire ne la correzione appropriata, Di Souza Ribeiro c. Francia [GC], no 22689/07, § 78, 13 dicembre 2012.
94. Nello specifico, la Corte ha appena concluso che la scelta del liquidatore giudiziale di rescindere il contratto preliminare ha realizzato un’ingerenza nel diritto del richiedente al rispetto dei suoi beni, paragrafo 61 sopra, e che lo stato non ha soddisfatto agli obblighi positivi che gli toccavano nella cornice del procedimento di fallimento, paragrafo 75 sopra. Segue che il richiedente disponeva di un motivo di appello difendibile sotto l’angolo dell’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione, e che l’articolo 13 della Convenzione trova ad applicarsi nello specifico.
95. Resta a determinare se il richiedente aveva, in dritto italiano, un ricorso effettivo al difetto del quale avrebbe potuto denunciare la violazione del suo diritto al rispetto dei suoi beni.
96. A questo riguardo, la Corte ricorda che la portata dell’obbligo che l’articolo 13 della Convenzione fa pesare sugli Stati contraenti varia in funzione della natura del motivo di appello del richiedente. Gli Stati godono di un certo margine di valutazione in quanto al modo di conformarsi agli obblighi che impongono loro questa disposizione, Jabari c, difatti. Turchia, no 40035/98, § 48, CEDH 2000-VIII. Tuttavia, il ricorso esatto da questo articolo deve essere “effettivo” in pratica come in diritto, Kudła c. Polonia [GC], no 30210/96, § 157, CEDH 2000-XI.
97. La Corte sottolinea che l’effettività di un ricorso al senso dell’articolo 13 della Convenzione non dipende dalla certezza di una conclusione favorevole per il richiedente. Parimenti, l ‘ “istanza” di cui parla questa disposizione non è necessariamente giurisdizionale. Però, i suoi poteri e le garanzie procedurali che presenta entrano in fila di conto per determinare se il ricorso è effettivo, Klass ed altri c. Germania, 6 settembre 1978, § 67, serie Ha no 28. Inoltre, l’insieme dei ricorsi offerti dal diritto interno può assolvere le esigenze dell’articolo 13 della Convenzione, anche se nessuno di essi risponde non ci per intero solo a lui, Rotaru c. Romania [GC], no 28341/95, § 69, CEDH 2000-V, e Di Souza Ribeiro, precitata, § 79.
98. Nello specifico, la Corte nota che il richiedente ha potuto introdurre un’azione in giustizia per ottenere l’annullamento della scelta del liquidatore giudiziale di rescindere il contratto preliminare di vendita, paragrafo 13 sopra, e che il suo ricorso è stato esaminato da tre giurisdizioni, a sapere il tribunale e la corte di appello di Firenze così come la Corte di cassazione. Però, osserva che, nella cornice dell’esame di questo ricorso, le giurisdizioni in questione si sono limitate a constatare che il liquidatore giudiziale aveva fatto uso di un potere discrezionale di risoluzione e che questo potere era previsto sopra dall’articolo 72 § 4 della legge sul fallimento (paragrafi 18) 20 e 22. Rileva in particolare che queste giurisdizioni non si sono stimate competenti per giudicare se la scelta del liquidatore giudiziale aveva provocato un carico eccessivo ed esorbitante per il richiedente e se ci fosse stato nello specifico un collocamento in bilancia equa degli interessi pubblici e privati in gioco.
99. In queste circostanze, la Corte stima che le giurisdizioni italiane erano unicamente competenti per esaminare la legalità formale della misura incriminata, senza potere dedicarsi sulla sua necessità e proporzionalità alla luce dei principi enunciati all’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione, così come interpretati con la giurisprudenza della Corte. Quindi, il sistema

Testo Tradotto

Conclusions
Partiellement irrecevable
Violation de l’article 1 du Protocole n° 1 – Protection de la propriété (article 1 du Protocole n° 1 – Obligations positives
article 1 al. 1 du Protocole n° 1 – Respect des biens Biens)
Violation de l’article 13+P1-1 – Droit à un recours effectif (Article 13 – Recours effectif) (article 1 du Protocole n° 1 – Protection de la propriété Obligations positives) Satisfaction équitable réservée

DEUXIÈME SECTION

AFFAIRE CENI c. ITALIE

(Requête no 25376/06)

ARRÊT

(fond)

STRASBOURG

4 février 2014

Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l’article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire Ceni c. Italie,
La Cour européenne des droits de l’homme (deuxième section), siégeant en une chambre composée de :
Işıl Karakaş, présidente,
Guido Raimondi,
Dragoljub Popović,
András Sajó,
Nebojša Vučinić,
Paulo Pinto de Albuquerque,
Egidijus Kūris, juges,
et de Stanley Naismith, greffier de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 7 janvier 2014,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 25376/06) dirigée contre la République italienne et dont une ressortissante de cet État, OMISSIS (« la requérante »), a saisi la Cour le 17 juin 2006 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (« la Convention »).
2. La requérante a été représentée par OMISSIS, avocate à Florence. Le gouvernement italien (« le Gouvernement ») a été représenté par son agente, Mme E. Spatafora, et par son co-agent, M. G.M. Pellegrini.
3. La requérante allègue que la décision de résilier un contrat préliminaire de vente immobilière auquel elle était partie, prise par le liquidateur judiciaire dans le cadre de la procédure de faillite concernant son cocontractant, a porté atteinte à ses droits garantis par les articles 6, 8 et 13 de la Convention et par l’article 1 du Protocole no 1 à la Convention.
4. Le 22 mars 2013, la requête a été communiquée au Gouvernement. Comme le permet l’article 29 § 1 de la Convention, il a en outre été décidé que la chambre se prononcerait en même temps sur la recevabilité et sur le fond de l’affaire.
EN FAIT
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
5. La requérante est née en 1953 et réside à Florence.
6. En juin 1992, elle décida d’acheter à l’entreprise X un appartement en construction au prix de 310 000 000 lires italiennes (ITL), soit environ 160 101 euros (EUR). Le 13 juin 1992, elle versa un acompte de 10 000 000 ITL (environ 5 164 EUR) à titre de caution. Le 3 juillet 1992, la requérante signa un contrat préliminaire de vente. Elle versa un acompte ultérieur de 36 500 000 ITL (environ 18 850 EUR). Elle effectua d’autres paiements échelonnés en fonction de l’avancement des travaux de construction. Elle versa ainsi à l’entreprise X la somme totale de 415 577 434 ITL (environ 214 627 EUR), supérieure au prix de vente convenu.
7. En mars 1995, la requérante emménagea dans l’appartement en question et y établit sa résidence principale.
8. Le 14 mars 1997, se fondant sur l’article 2932 du code civil (« le CC »), la requérante assigna le représentant de l’entreprise X, lequel refusait de signer le contrat de vente définitif, devant le tribunal de Florence afin d’obtenir le transfert de propriété par la voie judiciaire.
9. Le 26 novembre 1997, l’entreprise X fut déclarée en état de faillite, ce qui provoqua l’interruption de jure de la procédure civile engagée par la requérante.
10. Le 3 février 1998, le liquidateur judiciaire désigné dans le cadre de la procédure de faillite communiqua à la requérante sa décision de résilier le contrat préliminaire de vente, en application de l’article 72 § 4 de la loi sur la faillite (décret royal no 267 du 16 mars 1942).
11. Le 5 mai 1998, il informa l’intéressée que les biens immobiliers constituant l’actif de la faillite allaient être vendus aux enchères et il l’invita à restituer l’appartement qu’elle occupait sans titre. A la suite de pourparlers engagés par la requérante, il indiqua à cette dernière que, afin d’éviter la vente aux enchères de cet appartement, elle devait verser la somme de 324 000 000 ITL (environ 167 332 EUR). La requérante ne disposant pas de cette somme, il lui fut demandé, le 21 janvier 1999, de payer une indemnité d’occupation mensuelle de 700 000 ITL (environ 361 EUR), et ce depuis décembre 1997, soit au total la somme de 9 100 000 ITL (environ 4 699 EUR).
12. Le 25 février 1999, l’appartement fut vendu aux enchères. La requérante affirme n’avoir reçu aucune communication à ce sujet. Le bien en question fut acheté par les époux Y au prix de 227 000 000 ITL (environ 117 235 EUR), et l’inscription de l’action introduite par la requérante aux termes de l’article 2932 du CC fut rayée des registres fonciers.
13. Le 18 mai 1999, la requérante introduisit une action en justice afin d’obtenir l’annulation de la décision du liquidateur judiciaire de résilier le contrat préliminaire de vente et du transfert de propriété de l’appartement aux époux Y.
14. Le 25 mai 1999, la requérante demanda l’inscription au passif de la faillite des sommes qu’elle avait payées à l’entreprise X. Le 22 juillet 1999, elle demanda au juge délégué à la faillite de révoquer la radiation de son action fondée sur l’article 2932 du CC.
15. Entre-temps, le 12 juillet 1999, les époux Y avaient intimé à la requérante de quitter l’appartement litigieux dans un délai de dix jours. L’intéressée fit opposition à l’exécution de son expulsion, au motif que des actions judiciaires portant sur le titre de propriété de ce bien étaient pendantes. Le juge d’instance de Pontassieve (Florence) accepta de suspendre temporairement ladite exécution, contre paiement par la requérante d’une caution de 5 000 000 ITL (environ 2 582 EUR).
16. Dans l’intervalle, à la demande de la requérante, la procédure engagée par elle sur le fondement de l’article 2932 du CC avait été reprise.
17. Par un jugement du 4 octobre 1999, déposé au greffe le 23 octobre 1999, le tribunal de Florence rejeta l’action en annulation de la requérante.
18. Il observa que, aux termes de l’article 72 § 4 de la loi sur la faillite, si la propriété du bien vendu n’avait pas été transférée à l’acheteur, le liquidateur judiciaire avait le choix entre l’exécution du contrat et sa résiliation. Il précisa que, selon la doctrine et la jurisprudence nationales, ce choix pouvait être effectué même si une action fondée sur l’article 2932 du CC était pendante. Par ailleurs, il releva que, si le liquidateur judiciaire optait pour la résiliation, il n’était plus possible de prononcer un jugement fondé sur cet article. Il ajouta que, en l’occurrence, le contrat signé le 3 juillet 1992 était un contrat préliminaire de vente et que, indépendamment de la prise de possession de l’appartement et du paiement du prix de vente par la requérante, il n’avait pas pour effet de transférer la propriété. La requérante ayant invoqué l’article 47 de la Constitution, relatif à la protection du droit à l’acquisition de l’habitation principale, pour exciper d’une inconstitutionnalité de l’article 72 § 4 de la loi sur la faillite, le tribunal de Florence écarta cette exception d’inconstitutionnalité comme manifestement mal fondée, étant donné qu’il était loisible au législateur de mettre en balance ce droit avec d’autres motifs d’intérêt public.
19. La requérante interjeta appel. En outre, le 12 novembre 1999, elle demanda au parquet de Florence d’enquêter sur l’existence d’éventuelles infractions pénales dont elle aurait pu être victime ; elle ne reçut aucune réponse à cette requête.
20. Par un arrêt du 10 juillet 2001, déposé au greffe le 14 août 2001, la cour d’appel de Florence confirma le jugement de première instance. Elle estima que le tribunal de Florence avait dûment motivé tous les points controversés. Elle observa cependant que la résiliation de contrats similaires à celui signé par la requérante était souvent une source de préjudices financiers très importants car, en cas de faillite des constructeurs, les acheteurs risquaient de perdre non seulement leurs biens immobiliers mais aussi les sommes versées par eux. Elle indiqua qu’elle ne pouvait que souhaiter une intervention du législateur à cet égard.
21. La requérante se pourvut en cassation.
22. Par un arrêt du 21 septembre 2005, déposé au greffe le 22 décembre 2005, la Cour de cassation, estimant que la cour d’appel avait motivé de façon logique et correcte tous les points controversés, débouta la requérante.
23. Entre-temps, le 26 juin 2001, le tribunal de Pontassieve avait rejeté l’opposition formée par la requérante à l’exécution de son expulsion. Ce jugement fut confirmé en appel le 23 avril 2004. La requérante reçut plusieurs visites d’un huissier de justice et une partie de son salaire fut saisie.
24. Également dans l’intervalle, le 25 février 2004, la requérante avait présenté une nouvelle demande de suspension de son expulsion pour raisons de santé, et le juge avait alors fixé l’audience au 9 mars puis au 29 mars 2004.
25. A cette dernière date, les époux Y proposèrent à la requérante de lui vendre l’appartement au prix de 190 000 EUR.
26. L’exécution forcée de l’expulsion, fixée au 28 juillet 2004, n’aboutit pas et elle fut renvoyée au 22 octobre 2004 au motif que le préfet n’avait pas autorisé l’huissier de justice à se faire assister par la force publique. L’expulsion fut ensuite reportée de trois mois en trois mois, l’huissier se présentant à chaque fois non accompagné d’agents de la force publique.
27. En mai 2005, la requérante signa avec les époux Y une promesse de vente moyennant le prix de 190 000 EUR. Le contrat de vente fut signé le 6 octobre 2005, date à laquelle la requérante devint propriétaire de l’appartement où elle résidait.
28. La requérante indique que, n’ayant pas accès au prêt bancaire, elle a dû s’endetter auprès de sa famille et de ses amis pour recueillir la somme requise, et que son mari a été contraint d’accepter un travail en Sibérie afin d’obtenir une rentrée d’argent plus importante.
II. LE DROIT INTERNE PERTINENT
29. L’article 2932 du CC est ainsi libellé :
« Si celui qui est tenu de conclure un contrat n’exécute pas son obligation, l’autre partie, lorsque cela est possible et n’est pas exclu par le titre [qu’elle détient], peut obtenir un jugement produisant les effets du contrat non conclu.
S’il s’agit de contrats qui ont pour objet le transfert de propriété d’une chose déterminée ou la constitution ou le transfert d’un autre droit, la demande ne peut être accueillie si la partie qui l’a faite n’exécute pas sa prestation ou ne fait pas une offre formelle [en ce sens] selon les modalités établies par la loi, à moins que la prestation ne soit pas encore exigible. »
30. Tel qu’en vigueur à l’époque des faits, l’article 72 § 4 de la loi sur la faillite (décret royal no 267 du 16 mars 1942) se lisait comme suit :
« En cas de faillite du vendeur, si la propriété de la chose vendue a été transférée à l’acheteur, le contrat n’est pas résilié. Si la propriété de la chose vendue n’a pas été transférée à l’acheteur, le liquidateur judiciaire a le choix entre l’exécution du contrat et sa résiliation. En cas de résiliation du contrat, l’acheteur a le droit de faire inscrire sa créance au passif [de la faillite], sans avoir droit à la réparation des dommages subis. »
31. La loi sur la faillite a ensuite été modifiée par plusieurs interventions du législateur (décret législatif no 5 du 9 janvier 2006, décret législatif no 169 du 12 septembre 2007 et loi no 134 du 7 août 2012). Dans ses parties pertinentes en l’espèce, l’article 72 de ladite loi se lit désormais comme suit :
« Si un contrat n’a pas encore été exécuté ou n’a pas été entièrement exécuté par les parties, lorsque l’état de faillite a été déclaré à l’encontre de l’une d’elles, son exécution (…) est suspendue jusqu’à ce que le liquidateur judiciaire, avec l’autorisation du comité des créanciers, déclare [soit] se subroger dans les droits du failli dans le contrat, en assumant toutes les obligations y relatives, [soit] se libérer [dudit contrat], à moins que, dans les contrats portant sur des droits réels, le transfert du droit [en cause] ait déjà eu lieu.
Toute partie au contrat peut mettre en demeure le liquidateur judiciaire, en faisant fixer à son encontre, par le juge délégué [à la faillite], un délai non supérieur à soixante jours à l’expiration duquel le contrat est considéré comme étant résilié.
Les dispositions du premier paragraphe s’appliquent aussi au contrat préliminaire de vente, à l’exception de ce qui est prévu à l’article 72 bis. En cas de résiliation, la partie [requérante] a le droit [de faire] inscrire au passif [de la faillite] la créance découlant de la non-exécution [du contrat], sans avoir droit à la réparation des dommages subis.
(…)
En cas de résiliation du contrat préliminaire de vente immobilière, conformément à l’article 2645 bis du code civil, l’acheteur a le droit [de faire] inscrire sa créance au passif [de la faillite], sans avoir droit à la réparation des dommages subis, et [il] jouit du privilège décrit à l’article 2775 bis du code civil, à condition que les effets de l’enregistrement du contrat préliminaire de vente n’aient pas cessé avant la date de déclaration de la faillite.
Les dispositions du premier paragraphe ne s’appliquent pas au contrat préliminaire de vente enregistré conformément à l’article 2645 bis du code civil et portant sur un immeuble à usage d’habitation destiné à être l’habitation principale de l’acheteur ou de membres de sa famille jusqu’au troisième degré ou bien sur un immeuble d’un usage autre destiné à être le siège principal (de l’activité) de l’entreprise de l’acheteur. »
32. Le législateur a également ajouté un article 72 bis à cette loi, intitulé « contrats relatifs à un immeuble en construction », aux termes duquel :
« Les contrats décrits à l’article 5 du décret législatif no 122 du 20 juin 2005 sont résiliés si, avant que le liquidateur judiciaire ne communique son choix entre exécution et résiliation [du contrat], l’acheteur a obtenu la fidéjussion (escusso la fideiussione) en garantie de la restitution des sommes payées au constructeur et en a informé le liquidateur judiciaire. En tout état de cause, la fidéjussion ne peut pas être obtenue après [la] communication par le liquidateur judiciaire de sa décision de donner exécution au contrat. »
EN DROIT
I. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 1 DU PROTOCOLE No 1 À LA CONVENTION
33. La requérante considère que la décision du liquidateur judiciaire de résilier le contrat préliminaire de vente immobilière auquel elle était partie a violé l’article 1 du Protocole no 1 à la Convention, ainsi libellé :
« Toute personne physique ou morale a droit au respect de ses biens. Nul ne peut être privé de sa propriété que pour cause d’utilité publique et dans les conditions prévues par la loi et les principes généraux du droit international.
Les dispositions précédentes ne portent pas atteinte au droit que possèdent les États de mettre en vigueur les lois qu’ils jugent nécessaires pour réglementer l’usage des biens conformément à l’intérêt général ou pour assurer le paiement des impôts ou d’autres contributions ou des amendes. »
34. Le Gouvernement conteste cette thèse.
A. Sur la recevabilité
1. L’exception du Gouvernement tirée de l’inapplicabilité de l’article 1 du Protocole no 1 à la Convention
a) L’exception du Gouvernement
35. Le Gouvernement considère que ce grief est incompatible ratione materiae avec les dispositions de l’article 1 du Protocole no 1 à la Convention. Il souligne que, en droit italien, un contrat préliminaire de vente n’opère pas un transfert de propriété de la chose, lequel n’a lieu que lors de l’éventuelle conclusion d’un contrat futur et différent dit « contrat définitif » (contratto definitivo). Il indique que l’effet le plus important du contrat préliminaire est d’obliger les parties à signer le contrat définitif. Il soutient que, en l’espèce, la chose vendue n’existait pas au moment de la conclusion du contrat préliminaire puisque l’appartement n’avait pas encore été construit et que, dès lors, les parties avaient prévu un transfert de propriété ultérieur. Il ajoute que, lorsque toutes les conditions prévues dans le contrat préliminaire sont remplies, chaque partie peut demander la conclusion du contrat définitif et que, si l’une des parties refuse de conclure ce dernier contrat, l’autre partie peut demander le transfert de propriété par la voie judiciaire en vertu de l’article 2932 du CC. Invoquant l’article 72 § 4 du décret-royal no 267 de 1942, il estime cependant qu’un tel transfert ne peut pas avoir lieu si le vendeur a été déclaré en état de faillite et si le liquidateur judiciaire désigné décide de résilier les contrats préliminaires signés par le vendeur. Il ajoute que cette disposition est cohérente avec la finalité de la procédure de faillite, à savoir la liquidation de toutes les dettes, ainsi qu’avec ses effets, à savoir la gestion du patrimoine du failli par le liquidateur judiciaire.
36. A la lumière de ce qui précède, le Gouvernement estime que la requérante n’était pas titulaire d’un « bien » aux termes de l’article 1 du Protocole no 1 à la Convention. Il considère par conséquent que, par la signature du contrat préliminaire de vente, elle n’était pas devenue la propriétaire de l’appartement, mais qu’elle avait simplement acquis le droit d’obliger le vendeur à conclure le contrat définitif.
b) La réplique de la requérante
37. La requérante déclare qu’elle a conclu un contrat préliminaire de vente avec l’entreprise X et qu’elle a payé un prix supérieur au prix fixé dans celui-ci. Elle considère qu’elle avait donc le droit de devenir la propriétaire de l’appartement en question et que le seul élément qui l’en empêchait était la non-signature d’un acte notarié de vente. Elle ajoute qu’elle habitait dans l’appartement, lequel était devenu ainsi son domicile et le centre de sa vie familiale et affective.
c) Appréciation de la Cour
i. Principes généraux
38. La Cour rappelle que la notion de « biens » évoquée à la première partie de l’article 1 du Protocole no 1 à la Convention a une portée autonome qui ne se limite pas à la propriété de biens corporels et qui est indépendante des qualifications formelles du droit interne : certains autres droits et intérêts constituant des actifs peuvent aussi passer pour des « droits patrimoniaux » et donc des « biens » aux fins de cette disposition. Dans chaque affaire, il importe d’examiner si les circonstances, considérées dans leur ensemble, ont rendu le requérant titulaire d’un intérêt substantiel protégé par cet article (Iatridis c. Grèce [GC], no 31107/96, § 54, CEDH 1999-II, Beyeler c. Italie [GC], no 33202/96, § 100, CEDH 2000 I, et Depalle c. France [GC], no 34044/02, § 62, 29 mars 2010). L’article 1 du Protocole no 1 à la Convention ne garantit pas un droit à acquérir des biens (Slivenko et autres c. Lettonie [GC] (déc.), no 48321/99, § 121, CEDH 2002-II) ; cependant, le fait qu’un droit de propriété soit révocable dans certaines conditions ne l’empêche pas d’être considéré comme un « bien » au sens de cette disposition, au moins jusqu’à sa révocation (Beyeler, précité, § 105, et Moskal c. Pologne, no 10373/05, §§ 38 et 40, 15 septembre 2009).
39. La Cour rappelle également que la notion de « biens » peut recouvrir tant des « biens actuels » que des valeurs patrimoniales, y compris des créances, en vertu desquelles le requérant peut prétendre avoir au moins une « espérance légitime » d’obtenir la jouissance effective d’un droit de propriété (voir, entre autres, Pressos Companía Naviera S.A. c. Belgique, 20 novembre 1995, § 31, série A no 332, Kopecký c. Slovaquie [GC], no 44912/98, § 35, CEDH 2004-IX, et Association nationale des pupilles de la Nation c. France (déc.), no 22718/08, 6 octobre 2009). L’espérance légitime de pouvoir continuer à jouir du bien doit reposer sur une « base suffisante en droit interne », par exemple lorsqu’elle est confirmée par une jurisprudence bien établie des tribunaux ou lorsqu’elle est fondée sur une disposition législative ou sur un acte légal concernant l’intérêt patrimonial en question (Kopecky, précité, § 52, Depalle, précité, § 63, et Saghinadze et autres c. Géorgie, no 18768/05, § 103, 27 mai 2010). Dès lors que cela est acquis, la notion d’« espérance légitime » peut entrer en jeu (Maurice c. France [GC], no 11810/03, § 63, CEDH 2005 IX).
40. En revanche, la Cour estime que l’espoir de voir reconnaître un droit de propriété que l’on est dans l’impossibilité d’exercer effectivement ne peut être considéré comme un « bien » au sens de l’article 1 du Protocole no 1 à la Convention, et qu’il en va de même d’une créance conditionnelle s’éteignant du fait de la non-réalisation de la condition (Malhous c. République tchèque (déc.), no 33071/96, CEDH 2000 XII, Prince Hans Adam II c. Allemagne [GC], no 42527/98, § 85, CEDH 2001 VIII, et Nerva c. Royaume-Uni, no 42295/98, § 43, 24 septembre 2002).
41. De même, la Cour précise que le droit d’habiter dans une résidence déterminée, dont on n’est pas propriétaire, ne constitue pas un « bien » au sens de l’article susmentionné (Panchenko c. Ukraine, no 10911/05, § 50, 10 décembre 2010, H.F. c. Slovaquie (déc.), no 54797/00, 9 décembre 2003, Kovalenok c. Lettonie (déc.), no 54264/00, 15 février 2001, et J.L.S. c. Espagne (déc.), no 41917/98, 27 avril 1999). Cependant, dans l’affaire Saghinadze et autres précitée (§§ 104-108), elle a qualifié de « bien » le droit d’utiliser une petite maison, qui avait été exercé en bonne foi et avec la tolérance des autorités pendant plus de dix ans, en dépit de l’absence d’un titre de propriété régulièrement enregistré.
ii. Application de ces principes en l’espèce
42. La Cour relève qu’il n’est pas contesté entre les parties que la requérante n’a jamais eu, aux termes du contrat préliminaire de vente conclu par elle avec l’entreprise X, de droit de propriété sur l’appartement litigieux. Ce contrat préliminaire de vente ne conférait pas un tel droit à l’intéressée, puisqu’il prévoyait un simple engagement à la conclusion d’un autre contrat, dit « définitif », qui aurait opéré le transfert de propriété du bien dans le futur. La Cour note cependant que ce dernier contrat n’a pas pu être signé en raison du refus du représentant de l’entreprise X de se rendre auprès d’un notaire pour procéder à sa conclusion, et que la déclaration de faillite de ladite entreprise, doublée de la décision du liquidateur judiciaire de résilier le contrat préliminaire, n’a pas permis à la requérante d’obtenir le prononcé d’un jugement opérant le transfert de propriété par la voie judiciaire conformément à l’article 2932 du CC. A cet égard, elle note que le Gouvernement souligne ce point à juste titre (paragraphes 35 36 ci dessus).
43. Par ailleurs, la Cour observe qu’il n’en demeure pas moins que, après avoir signé le contrat préliminaire de vente, versé des acomptes et effectué les paiements suivants en fonction de l’avancement des travaux (paragraphe 6 ci-dessus), la requérante avait emménagé dans l’appartement et y avait établi sa résidence principale en mars 1995 (paragraphe 7 ci dessus). Elle note également que, ayant entièrement exécuté son obligation de payer le prix de la chose vendue, la requérante savait que le représentant de l’entreprise X avait l’obligation, sur la base du contrat préliminaire, de signer le contrat définitif et qu’en cas de refus de sa part elle pouvait s’adresser à un juge pour obtenir un jugement ordonnant le transfert de propriété. Elle en déduit donc que la requérante avait l’espérance légitime de devenir la propriétaire de l’appartement ou, à défaut, d’obtenir la restitution des sommes versées par elle. Elle constate que ce n’est qu’à cause d’une série d’événements échappant entièrement à son contrôle (à savoir la faillite de l’entreprise X et les décisions prises par le liquidateur judiciaire) que la requérante s’est trouvée dans l’impossibilité de devenir la propriétaire du bien qu’elle avait payé et pour lequel elle avait signé le contrat préliminaire de vente.
44. En conclusion, la Cour considère que, dans les circonstances particulières de la présente affaire, l’espérance légitime de la requérante, rattachée à des intérêts patrimoniaux tels que le paiement intégral du prix de vente et la prise de possession de l’appartement, était suffisamment importante pour constituer un intérêt substantiel, donc un « bien » au sens de l’article 1 du Protocole no 1 à la Convention, lequel est par conséquent applicable en l’espèce (voir, mutatis mutandis, Stretch c. Royaume-Uni, no 44277/98, §§ 32-35, 24 juin 2003, Bozcaada Kimisis Teodoku Rum Ortodoks Kilisesi Vakfi c. Turquie, nos 37639/03, 37655/03, 26736/04 et 42670/04, § 50, 3 mars 2009, Plalam S.P.A. c. Italie, no 16021/02, § 42, 18 mai 2010, et Di Marco c. Italie, no 32521/05, § 53, 26 avril 2011).
45. L’exception du Gouvernement ne saurait donc être retenue.
2. Autres motifs d’irrecevabilité
46. Constatant que ce grief n’est pas manifestement mal fondé au sens de l’article 35 § 3 a) de la Convention et qu’il ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité, la Cour le déclare recevable.
B. Sur le fond
1. Arguments des parties
a) La requérante
47. La requérante déclare avoir été privée de son droit de devenir propriétaire de l’appartement litigieux, et ce sans indemnisation, en raison de la décision discrétionnaire du liquidateur judiciaire de résilier unilatéralement le contrat préliminaire de vente. Elle considère que le liquidateur judiciaire a ainsi enrichi le patrimoine du failli d’un actif immobilier tout en appauvrissant le sien, étant donné que, d’après elle, elle a à la fois perdu son habitation principale et les sommes versées par elle au constructeur.
48. Elle ajoute que le contrat préliminaire signé par elle datait de 1992, soit de cinq ans avant la déclaration de faillite de l’entreprise X, qu’il indiquait un prix tout à fait conforme à la valeur du marché de l’appartement et qu’il n’était donc pas frauduleux.
49. Elle précise également que, en conséquence de la résiliation du contrat préliminaire, il lui avait été seulement possible de faire inscrire sa créance au passif de la faillite et que, s’agissant d’une créance non privilégiée, les chances de recouvrir, ne fût-ce que partiellement, les sommes versées par elle s’étaient avérées minimes. A cet égard, elle indique que, selon le dernier plan de répartition, le montant des créances privilégiées parmi lesquelles figuraient celles des banques dépassait largement l’actif de la faillite. Elle considère ainsi que l’intérêt général invoqué par le Gouvernement correspond en réalité à un intérêt privé bien spécifique, à savoir celui des banques qui financent l’activité de construction, et que cet intérêt a prévalu sur celui des acheteurs qui, selon elle, ont également contribué au financement de cette activité.
50. Dans ces conditions, la requérante estime qu’un juste équilibre n’a pas été maintenu entre les exigences de l’intérêt général de la communauté (soit, à ses yeux, la protection des droits des créanciers) et les impératifs de la sauvegarde des droits fondamentaux de l’individu. Elle affirme par ailleurs que cet état des faits a été reconnu par la cour d’appel de Florence, étant donné que cette juridiction a indiqué que la faculté de résiliation du liquidateur judiciaire était souvent source de très graves problèmes pour les acheteurs d’un appartement en l’état futur d’achèvement. Elle soutient de plus que cette faculté vise à permettre au liquidateur judiciaire de récupérer un maximum d’actifs à distribuer aux créanciers et que les honoraires dudit liquidateur sont établis en fonction de l’actif total de la faillite.
51. En outre, la requérante souligne que le législateur est intervenu pour réformer le droit de la faillite et modifier les pouvoirs des liquidateurs judiciaires. Elle précise que, depuis cette réforme, ces derniers ne peuvent plus résilier les contrats préliminaires de vente immobilière enregistrés et portant sur l’habitation principale ou le siège de l’entreprise de l’acheteur (paragraphes 31-32 ci-dessus) et que, au moment de la signature du compromis de vente, les constructeurs sont obligés de souscrire une assurance contre la faillite en faveur de l’acquéreur.
52. Précisant que le représentant de l’entreprise X avait refusé de se rendre devant un notaire pour procéder à la conclusion d’un contrat définitif, la requérante indique qu’elle n’a pu bénéficier de la réforme susmentionnée au motif que, aux termes du décret-loi no 669 du 31 décembre 1996, seuls les actes notariés ou les jugements peuvent être enregistrés, et non les actes sous seing privé tel le contrat préliminaire signé par elle. Elle ajoute que, à l’époque de l’entrée en vigueur de cette réforme, elle avait déjà entrepris la seule démarche possible d’après elle, à savoir une action pour obtenir le transfert de propriété par la voie judiciaire (paragraphe 8 ci-dessus). Sur ce dernier point, le Gouvernement affirme que cette action aurait pu être introduite plus tôt, et ce dès 1995. La requérante réplique que l’entreprise X n’avait pas encore obtenu à cette époque l’autorisation urbanistique de construction, qui seule aurait permis au notaire de rédiger l’acte de vente, et que l’individualisation de l’appartement litigieux dans les registres du cadastre remontait seulement au 17 janvier 1997. En outre, s’agissant de l’existence d’une hypothèque inscrite par une banque, l’intéressée précise que cette garantie ne portait pas sur l’appartement en question mais sur l’ensemble des biens immobiliers appartenant au constructeur. Elle indique par ailleurs que, comme toutes les entreprises de construction immobilière en Italie, l’entreprise X était totalement dépendante des banques d’un point de vue financier et que, dès la signature du contrat préliminaire de vente, celle-ci avait fait inscrire des hypothèques sur les terrains destinés à la construction. Elle en déduit qu’en 1995 l’entreprise X avait déjà de nombreuses dettes et qu’une éventuelle action en justice contre elle avait peu de chances d’aboutir.
53. De plus, la requérante estime que le liquidateur judiciaire doit être considéré comme un agent de l’État défendeur puisqu’il est nommé par le juge délégué à la faillite et puisqu’il est un « auxiliaire de justice » exerçant une fonction publique. Elle ajoute que sa fonction consiste à satisfaire autant que possible les créanciers ainsi qu’à administrer et liquider le patrimoine du failli et que, dans le cadre de ses pouvoirs fixés par la loi, il propose des mesures et exécute celles prises par le juge délégué à la faillite.
54. Se référant ensuite aux principes établis par la Cour dans son arrêt Kotov c. Russie ([GC], no 54522/00, §§ 109-115, 3 avril 2012), la requérante soutient que, dans le cadre de la procédure de faillite, le Gouvernement n’a pas satisfait à ses obligations positives découlant de l’article 1 du Protocole no 1 à la Convention.
55. A ce titre, la requérante constate que l’État a créé un fonds pour les victimes de faillites immobilières, ce qui, d’après elle, peut être considéré comme une mesure positive en faveur des personnes dans la même situation qu’elle. Elle mentionne cependant que les familles dont le dossier a été accepté par ce fonds, au nombre de 12 071 et parmi lesquelles se trouve la sienne, attendent toujours le premier versement correspondant à leur indemnisation. Elle affirme que ce fonds dispose d’environ 60 millions EUR, ce qui permettrait selon elle de verser 8 % des indemnités reconnues par lui, et elle ajoute que ces indemnités s’élèvent à un montant de 778 730 939 EUR. Elle indique également que l’activité de ce fonds étant limitée à 2020, la promesse d’indemnisation la concernant est tout à fait insignifiante par rapport au préjudice qu’elle estime avoir subi, étant donné que, d’après elle, elle pourrait obtenir le versement d’une somme s’élevant à 13 617,63 EUR pour une indemnité reconnue de 167 498,53 EUR.
56. A la lumière de ce qui précède, la requérante considère avoir dû supporter une charge excessive et exorbitante : elle affirme avoir subi la vente forcée de l’appartement qu’elle avait payé, avoir déboursé une deuxième fois le prix de vente de ce bien en payant une somme une fois et demie supérieure à la somme que le liquidateur judiciaire avait inscrit à l’actif de la faillite, et avoir dû faire face à de nombreuses procédures judiciaires sans recevoir la moindre indemnisation.
b) Le Gouvernement
57. Le Gouvernement indique que, lorsque, comme en l’espèce, le liquidateur judiciaire se prévaut de la faculté de résiliation que lui reconnaît l’article 72 § 4 de la loi sur la faillite, l’acquéreur ayant signé un contrat préliminaire de vente n’est pas privé de tous ses droits. Il précise que, même si ce dernier n’a aucun droit sur la chose promise à la vente, il peut, dans le cadre de la procédure de faillite et sur la base du principe d’égalité de traitement des créanciers (par condicio creditorum), récupérer les sommes éventuellement déjà versées par lui. Il ajoute que, afin de garantir les droits de l’acquéreur, le décret-loi no 669 du 31 décembre 1996 a prévu la possibilité d’enregistrer le contrat préliminaire de vente d’un bien immobilier dans les registres publics. A cet égard, il souligne que, en vertu de l’article 2775 bis du CC, si un tel enregistrement a eu lieu avant la déclaration de faillite, l’acquéreur a le droit d’être préféré aux autres créanciers dans la répartition des profits de la vente aux enchères du bien litigieux. En l’espèce, il affirme que la requérante n’a pas procédé à pareil enregistrement et qu’elle doit ainsi assumer les risques découlant de la situation du vendeur.
58. Le Gouvernement note ensuite qu’une hypothèque pour un montant de 300 000 000 ITL (environ 154 937 EUR), soit de la quasi-totalité du prix de vente de l’appartement, avait été inscrite par une banque créancière de l’entreprise X. Il en déduit que, même si le liquidateur judiciaire avait choisi de donner exécution au contrat préliminaire de vente, la requérante n’aurait pas pu devenir propriétaire de l’appartement en question sans des frais additionnels. Il considère que, au contraire, elle aurait dû choisir entre la perte de l’appartement et le paiement de la somme correspondant à l’hypothèque ou aux créances des banques. Enfin, il expose ne pas comprendre pourquoi la requérante, qui résidait dans cet appartement depuis mars 1995 et qui avait d’après lui payé 80% du prix de vente de ce bien, a attendu deux ans avant d’introduire une action en justice sur la base de l’article 2932 du CC. Sur ce dernier point, il ajoute que, en mars 1995, la faillite du vendeur n’avait pas encore été déclarée, qu’une action en justice engagée par la requérante à cette époque aurait probablement eu une issue favorable, et que l’intéressée aurait ensuite pu opposer son droit de propriété obtenu par la voie judiciaire au liquidateur judiciaire. De plus, il note que la requérante indique que, à l’époque du versement des sommes par elle, le constructeur n’avait pas encore obtenu l’autorisation urbanistique de construction, ce qui signifie aux yeux du Gouvernement qu’elle savait ou aurait dû savoir que la construction était illégale et qu’elle devait en assumer les risques.
59. A la lumière de ce qui précède, le Gouvernement estime que la décision du liquidateur judiciaire de résilier le contrat préliminaire de vente a respecté un juste équilibre entre les droits de la requérante et les intérêts de la société dans son ensemble.
2. Appréciation de la Cour
a) Sur l’existence d’une ingérence dans le droit de la requérante au respect de ses biens
60. La Cour relève que, en conséquence du choix du liquidateur judiciaire de résilier le contrat préliminaire de vente, la requérante a perdu son droit d’obtenir le transfert de propriété de l’appartement par la voie judiciaire. Elle observe que l’appartement en question a été vendu aux enchères et que la requérante a été contrainte d’inscrire sa créance relative aux sommes qu’elle avait payées au passif de la faillite (paragraphe 14 ci dessus). Elle note également que, compte tenu du montant des dettes de l’entreprise X (paragraphe 49 ci-dessus) et du caractère non privilégié de la créance de l’intéressée, les chances de celle-ci pour recouvrer sa créance ont été considérablement réduites. De plus, elle constate que la requérante a dû faire face à une demande de paiement d’une indemnité d’occupation (paragraphe 11 ci-dessus), ainsi qu’à la saisie d’une partie de son salaire (paragraphe 23 ci-dessus) et à de nombreuses visites d’un huissier de justice en vue de son expulsion (paragraphes 23 et 26 ci-dessus), et que ce n’est qu’en payant une deuxième fois le prix de vente du bien litigieux qu’elle en est finalement devenue propriétaire (paragraphe 27 ci-dessus).
61. Dans ces circonstances, la Cour estime que le choix incriminé a réalisé une ingérence dans le droit de la requérante au respect de ses biens.
b) Sur la question de savoir si cette ingérence peut être imputée directement à l’État
62. La Cour relève ensuite que le choix en question a été effectué par le liquidateur judiciaire. Il est ainsi nécessaire de déterminer si les actions de celui-ci et l’ingérence qui en a résulté peuvent être imputées à l’État. Pour cela, la Cour doit répondre à la question de savoir si le liquidateur judiciaire a agi en tant qu’agent de l’État ou en tant que particulier.
63. Dans son arrêt Kotov (précité, §§ 91-107), la Grande Chambre de la Cour a estimé que, au vu des règles pertinentes du droit russe et du rôle du liquidateur judiciaire, et notamment de son indépendance opérationnelle et institutionnelle, celui-ci ne pouvait pas être considéré comme un agent de l’Etat défendeur lequel, par conséquent, ne pouvait pas être tenu pour directement responsable des irrégularités commises par lui.
64. La Cour note que, pour la requérante, le liquidateur judiciaire doit être considéré comme un agent de l’État. Elle relève que l’intéressée fait observer à cet égard que le liquidateur judiciaire est nommé par le juge délégué à la faillite, qu’il est un « auxiliaire de justice » exerçant une fonction publique dans le cadre de l’administration de la justice et que ses pouvoirs sont fixés par la loi (paragraphe 53 ci-dessus).
65. La Cour estime cependant que les éléments avancés par la requérante ne lui permettent pas de différencier clairement le rôle du liquidateur judiciaire en Italie de celui du liquidateur en droit russe. Elle note à cet égard qu’en Russie la désignation du liquidateur était confirmée par les tribunaux, que ces derniers exerçaient un contrôle de légalité sur les actions du premier et que les fonctions du liquidateur russe étaient similaires à celles du liquidateur judiciaire italien (Kotov, précité, §§ 101, 102, 105 et 106). Dans ces circonstances, la Cour estime en l’espèce que l’État défendeur ne peut être tenu pour directement responsable des actions du liquidateur judiciaire.
66. Cette conclusion n’exonère cependant pas l’État de toute responsabilité sous l’angle de l’article 1 du Protocole no 1 à la Convention : encore faut-il vérifier s’il s’est conformé aux obligations positives qui lui incombaient en l’espèce.
c) Sur la question de savoir si l’État a respecté les obligations positives qui lui incombaient dans le cadre de la procédure de faillite
67. Dans l’affaire Kotov précitée (§§ 109-115), la Grande Chambre a ainsi résumé les principes généraux en matière de nature et d’étendue des obligations positives de l’État dans le cadre des procédures de faillite :
« 109. La Cour a dit à maintes reprises que l’article 1 du Protocole no 1 renferme également certaines obligations positives. Ainsi, dans l’arrêt Öneryıldız c. Turquie ([GC], no 48939/99, § 134, CEDH 2004 XII), qui concernait la destruction des biens du requérant à la suite d’une explosion de gaz, elle a dit que l’exercice réel et efficace du droit garanti par cette disposition ne dépend pas uniquement du devoir de l’État de s’abstenir de toute ingérence mais peut exiger des mesures positives de protection, notamment là où il existe un lien direct entre les mesures qu’un requérant pourrait légitimement attendre des autorités et la jouissance effective par l’intéressé de ses biens. Même dans le cadre de relations horizontales il peut y avoir des considérations d’intérêt public susceptibles d’imposer certaines obligations à l’État. Ainsi, dans l’arrêt Broniowski c. Pologne ([GC], no 31443/96, § 143, CEDH 2004 V), la Cour a dit que les obligations positives découlant de l’article 1 du Protocole no 1 peuvent entraîner pour l’État certaines mesures nécessaires pour protéger le droit de propriété. Dès lors, des considérations d’intérêt général susceptibles d’imposer certaines obligations à l’État peuvent entrer en jeu même dans le cadre de relations horizontales.
110. La frontière entre les obligations positives et les obligations négatives de l’État au titre de l’article 1 du Protocole no 1 ne se prête pas à une définition précise, mais les principes applicables n’en sont pas moins comparables. Que l’on analyse l’affaire sous l’angle de l’obligation positive de l’État ou sous celui de l’ingérence des pouvoirs publics, qui doit être justifiée, les critères à appliquer ne sont pas différents en substance. Dans un cas comme dans l’autre, il faut avoir égard au juste équilibre à ménager entre les intérêts concurrents de l’individu et de la société dans son ensemble. Il est également vrai que les objectifs énumérés dans cette disposition peuvent jouer un certain rôle dans l’appréciation de la question de savoir si un équilibre a été ménagé entre les exigences de l’intérêt public et le droit fondamental du requérant à la propriété. Dans les deux cas, l’État jouit d’une certaine marge d’appréciation pour déterminer les mesures à prendre afin d’assurer le respect de la Convention (voir, mutatis mutandis, Hatton et autres c. Royaume-Uni [GC], no 36022/97, §§ 98 et suiv., CEDH 2003 VIII, et Broniowski [GC], précité, § 144).
111. La nature et l’étendue des obligations positives de l’État varient selon les circonstances. Par exemple, dans l’affaire Öneryıldız précitée, la privation de propriété subie par le requérant avait pour origine une négligence manifeste des autorités dans une situation particulièrement dangereuse. En revanche, lorsque sont en cause des relations commerciales ordinaires entre particuliers, ces obligations positives sont bien plus limitées. Ainsi, la Cour a souligné à de nombreuses reprises que l’article 1 du Protocole no 1 ne peut être interprété comme faisant peser sur les États contractants une obligation générale d’assumer les dettes d’entités privées (voir, mutatis mutandis, la décision Shestakov précitée [Shestakov c. Russie (déc.), no 48757/99, 18 juin 2002] et l’arrêt Scollo précité [Scollo c. Italie, 28 septembre 1995, série A no 315 C], § 44 ; voir en particulier le raisonnement de la Cour dans la décision Anokhin c. Russie (déc.), no 25867/02, 31 mai 2007).
112. Toutefois, la Cour a également dit que, dans certaines circonstances, l’article 1 du Protocole no 1 peut imposer « certaines mesures nécessaires pour protéger le droit de propriété (…), même dans les cas où il s’agit d’un litige entre des personnes physiques ou morales » (Sovtransavto Holding précité [Sovtransavto Holding c. Ukraine, no 48553/99, CEDH 2002 VII], § 96). Ce principe a été largement appliqué dans le contexte de procédures d’exécution dirigées contre des débiteurs privés (Fuklev précité [Fuklev c. Ukraine, no 71186/01, 7 juin 2005], §§ 89-91, Kesyan précité [Kesyan c. Russie, no 36496/02, 19 octobre 2006], §§ 79-80 ; voir également Kin Stib et Majkić c. Serbie, no 12312/05, § 84, 20 avril 2010, Marčić et autres c. Serbie, no 17556/05, § 56, 30 octobre 2007, et, mutatis mutandis, Matheus c. France, no 62740/00, §§ 68 et suiv., 31 mars 2005).
113. Dans son arrêt Blumberga c. Lettonie (no 70930/01, § 67, 14 octobre 2008), la Cour a dit : « [t]oute atteinte au droit au respect des biens commise par un particulier fait naître pour l’État l’obligation positive de garantir dans son ordre juridique interne que le droit de propriété sera suffisamment protégé par la loi et que des recours adéquats permettront à la victime de pareille atteinte de faire valoir ses droits, notamment, le cas échéant, en demandant réparation du préjudice subi ». Il s’ensuit que l’État peut être tenu de prendre en pareilles circonstances soit des mesures préventives, soit des mesures de réparation.
114. Parmi les mesures de réparation que l’État peut être tenu de prendre dans certaines circonstances, il y a la mise en place de voies de droit adéquates permettant à la partie lésée de se prévaloir effectivement de ses droits. L’existence d’obligations positives de nature procédurale sur le terrain de l’article 1 du Protocole no 1, malgré le silence de cette disposition sur ce point, a été reconnue par la Cour aussi bien dans des affaires concernant des autorités de l’État (Jokela c. Finlande, no 28856/95, § 45, CEDH 2002 IV ; voir également Zehentner c. Autriche, no 20082/02, § 73, 16 juillet 2009) que dans des affaires portant, comme en l’espèce, sur un litige opposant uniquement des particuliers. Ainsi, dans une affaire relevant de la seconde catégorie, la Cour a jugé que l’État avait l’obligation de prévoir une procédure judiciaire offrant les garanties procédurales nécessaires et permettant ainsi aux tribunaux nationaux de trancher efficacement et équitablement tout litige éventuel entre particuliers (Sovtransavto Holding, précité, § 96 ; voir aussi Anheuser-Busch Inc. c. Portugal [GC], no 73049/01, § 83, CEDH 2007 I, et Freitag c. Allemagne, no 71440/01, § 54, 19 juillet 2007).
115. La Cour rappelle enfin que, lorsqu’elle contrôle le respect de l’article 1 du Protocole no 1, elle doit se livrer à un examen global des divers intérêts en jeu en gardant à l’esprit que la Convention vise à sauvegarder des droits concrets et effectifs. Elle doit aller au-delà des apparences et s’enquérir des réalités de la situation dénoncée (Plechanow précité [Plechanow c. Pologne, no 22279/04, 7 juillet 2009], § 101). »
68. Faisant application de ces principes à la présente espèce, la Cour note que, en payant entièrement le prix de l’appartement à l’entreprise X, la requérante a pris certains risques, notamment liés à la possibilité d’une faillite de cette entreprise. L’État n’avait pas à assumer la moindre responsabilité civile à cet égard (voir, mutatis mutandis, Kotov, précité, § 116). Il n’en demeure pas moins que, comme la cour d’appel de Florence l’a à juste titre souligné, le pouvoir discrétionnaire de résiliation conféré au liquidateur judiciaire était souvent une source de préjudices financiers très importants, en cas de faillite des constructeurs, pour les acheteurs d’appartements en l’état futur d’achèvement. Les acheteurs risquaient en fait de perdre non seulement leurs biens, mais aussi les prix versés par eux (paragraphe 20 ci-dessus).
69. Dans ces conditions, la Cour estime que, au titre des obligations découlant de l’article 1 du Protocole no 1 à la Convention, l’État était tenu d’instaurer un cadre législatif adéquat, prévoyant une protection minimale des intérêts des acheteurs de bonne foi (voir, mutatis mutandis, Kotov, précité, § 117).
70. De l’avis de la Cour, une différence doit être faite entre la vente de biens immobiliers existants et la vente d’appartements en l’état futur d’achèvement. Dans le premier cas, le prix est normalement versé par l’acheteur au moment de la conclusion de l’acte notarial de vente, et l’intéressé bénéficie donc de la garantie que le transfert de propriété s’effectue au moment du paiement. Dans le second cas, des paiements sont souvent réalisés au fur et à mesure de l’avancement des travaux, et le prix est versé entièrement ou presque entièrement par l’acheteur avant la signature de l’acte définitif de vente. Il reste à déterminer si dans ce dernier cas, à l’époque des faits et relativement à la présente espèce, le droit italien offrait une protection adéquate aux acheteurs se trouvant dans une situation similaire à celle de la requérante.
71. La Cour prend note de l’argument du Gouvernement selon lequel, aux termes du décret-loi no 669 du 31 décembre 1996, le contrat préliminaire de vente d’un bien immobilier peut être enregistré dans les registres publics, ce qui, d’après le Gouvernement, donne à l’acquéreur le droit d’être préféré aux autres créanciers dans la répartition des profits de la vente aux enchères du bien en question (article 2775 bis du CC – paragraphe 57 ci-dessus). Cependant, elle constate que cette réforme législative est entrée en vigueur après la conclusion du contrat préliminaire de vente signée par la requérante, qu’elle ne s’appliquait de surcroît pas à celui-ci étant donné qu’il ne s’agissait pas d’un acte notarié, et que l’affirmation de la requérante sur ce point (paragraphe 52 ci-dessus) n’a pas été démentie par le Gouvernement. Elle observe qu’il en va de même pour les autres réformes législatives adoptées en la matière (concernant l’impossibilité de résilier les contrats préliminaires de vente immobilière enregistrés et ayant pour objet l’habitation principale de l’acheteur, et concernant l’obligation pour les constructeurs de souscrire une assurance contre la faillite – paragraphes 31-32 et 51 ci-dessus), qui sont entrées en vigueur après la faillite de l’entreprise X et le prononcé de l’arrêt de la Cour de cassation dans la présente affaire (paragraphe 22 ci-dessus).
72. Quant à la possibilité pour la requérante d’être indemnisée par le fonds pour les victimes de faillites immobilières, la Cour note que, selon les informations fournies par l’intéressée (paragraphe 55 ci-dessus) et non démenties par le Gouvernement, le fonds en question n’a pas encore versé d’indemnisations et que, au vu des ressources dont il dispose, il serait en mesure de verser à la requérante seulement 8 % de l’indemnité qui lui a été reconnue (s’élevant à 167 498,53 EUR). Elle considère donc qu’une telle indemnisation est aléatoire et en tout cas insuffisante pour réparer le préjudice subi.
73. De plus, la Cour constate que, face au refus du représentant de l’entreprise X de signer l’acte notarié définitif de vente, la requérante a entrepris la seule démarche légale qui s’ouvrait à elle, à savoir l’introduction d’une action visant à obtenir le transfert de propriété par la voie judiciaire conformément à l’article 2932 du CC. Elle estime que l’intéressée a fourni des justifications pertinentes pour exposer les raisons qui l’ont empêchée d’introduire cette action dès 1995 (paragraphe 52 ci-dessus). Elle relève également que son initiative a été rendue inefficace par le choix du liquidateur judiciaire de résilier le contrat préliminaire de vente, étant donné que les juridictions italiennes ont jugé qu’un tel choix pouvait être fait et était contraignant même lorsque, comme en l’espèce, une action visant à obtenir le transfert de propriété par la voie judiciaire était pendante (paragraphe 18 ci-dessus). Elle en déduit que la requérante a ainsi été privée de toute protection effective contre la perte de l’appartement et des sommes versées par elle pour son acquisition, et qu’elle a été obligée de supporter une charge excessive et exorbitante.
74. Par ailleurs, la Cour note que la requérante ne disposait d’aucun recours au travers duquel elle aurait pu faire examiner l’opportunité et la proportionnalité du choix du liquidateur judiciaire, étant donné que celui ci avait exercé un pouvoir discrétionnaire qui ne pouvait être soumis à un contrôle juridictionnel à la demande des parties du contrat résilié.
d) Conclusion
75. A la lumière de ce qui précède, la Cour considère qu’en l’espèce l’État n’a pas satisfait aux obligations positives découlant de l’article 1 du Protocole no 1 à la Convention. Il s’ensuit qu’il y a eu violation de cette disposition.
II. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 8 DE LA CONVENTION
76. La requérante se plaint d’avoir subi des pressions financières et des menaces d’expulsion de son domicile. Elle dénonce une violation de l’article 8 de la Convention, ainsi libellé :
« 1. Toute personne a droit au respect de sa vie privée et familiale, de son domicile et de sa correspondance.
2. Il ne peut y avoir ingérence d’une autorité publique dans l’exercice de ce droit que pour autant que cette ingérence est prévue par la loi et qu’elle constitue une mesure qui, dans une société démocratique, est nécessaire à la sécurité nationale, à la sûreté publique, au bien être économique du pays, à la défense de l’ordre et à la prévention des infractions pénales, à la protection de la santé ou de la morale, ou à la protection des droits et libertés d’autrui. »
77. Le Gouvernement conteste cette thèse.
78. La Cour relève que ce grief est lié à celui examiné ci-dessus et qu’il doit donc aussi être déclaré recevable.
A. Arguments des parties
1. La requérante
79. La requérante affirme que, pour éviter d’être expulsée, elle a été contrainte de racheter « son » appartement à un prix bien supérieur au prix de vente aux enchères, en s’endettant auprès de membres de sa famille et de ses amis. Elle ajoute qu’elle a ainsi été soumise à une tension qui, d’après elle, lui a occasionné des problèmes de santé et que, afin d’obtenir une rentrée d’argent suffisante, son mari a été contraint de partir travailler en Sibérie (paragraphe 28 ci-dessus). Elle estime que les règles existantes ne lui ont pas garanti la protection que sa situation vulnérable aurait exigée.
80. En outre, la requérante indique que les pressions et les menaces d’expulsion qu’elle dit avoir subies s’analysent en une ingérence dans son droit au respect de son domicile et de sa vie privée. Elle précise que le liquidateur judiciaire lui avait proposé une transaction inacceptable à ses yeux, que, face à son refus, une indemnité d’occupation équivalente à un loyer lui avait été imposée, et que les nouveaux acquéreurs du bien lui avaient envoyé régulièrement et à plusieurs reprises un huissier de justice pour lui enjoindre de quitter les lieux.
81. De plus, la requérante affirme qu’elle n’a pas été à même de pouvoir intervenir dans la procédure de vente aux enchères de l’appartement ; d’après elle, le liquidateur judiciaire ne l’a pas dûment informée de la mise aux enchères de ce bien et il ne lui a pas notifié le montant des enchères (paragraphe 12 ci-dessus). L’intéressée précise qu’elle possédait le bien de bonne foi et elle constate qu’elle n’était même pas titulaire d’un droit de préemption sur ce bien.
2. Le Gouvernement
82. Le Gouvernement indique que, en cas de résiliation du contrat préliminaire de vente, l’acquéreur doit restituer la chose promise à la vente dont il avait éventuellement pu avoir la disponibilité. Il ajoute que, en l’espèce, l’appartement devait être restitué au liquidateur judiciaire, et qu’il n’est donc pas surprenant que ce dernier ait offert la possibilité à la requérante de le racheter en payant une deuxième fois son prix. Il considère que le fait que celle-ci avait déjà payé le prix de vente à l’entreprise X ne lui conférait pas un privilège vis-à-vis des autres créanciers mais simplement le droit d’en demander la restitution dans le cadre de la procédure de faillite.
83. Le Gouvernement indique également qu’il ressort du dossier que, le 5 mai 1998, le liquidateur judiciaire a informé la requérante de son intention de vendre l’appartement. Il estime qu’il était de toute manière raisonnable de penser que l’appartement en question allait être vendu aux enchères et que les avocats qui ont assisté la requérante tout au long des procédures judiciaires auraient par ailleurs pu la renseigner à ce sujet.
84. S’agissant de la demande de paiement d’une indemnité d’occupation faite par le liquidateur judiciaire à la requérante, le Gouvernement précise que celle-ci a été formulée seulement un an après la résiliation du contrat préliminaire et au motif que la requérante refusait de quitter l’appartement où elle résidait désormais sans y avoir droit.
B. Appréciation de la Cour
85. La Cour est d’avis que les doléances présentées par la requérante sous l’angle de l’article 8 de la Convention se confondent dans une large mesure avec celles qu’elle vient d’examiner sous l’angle de l’article 1 du Protocole no 1 à la Convention. Eu égard au constat relatif à cette dernière disposition (paragraphe 75 ci-dessus), la Cour estime qu’il n’y a pas lieu d’examiner s’il y a eu, en l’espèce, violation de l’article 8 de la Convention.
III. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 6 § 1 DE LA CONVENTION EN RAISON D’UN DÉFAUT D’ACCÈS À UN TRIBUNAL, AINSI QUE DE L’ARTICLE 13 DE LA CONVENTION, COMBINÉS AVEC L’ARTICLE 1 DU PROTOCOLE No 1 À LA CONVENTION
86. Invoquant les articles 6 § 1 et 13 de la Convention, la requérante se plaint de ne pas avoir disposé, en droit italien, d’un accès à un tribunal ou d’un recours effectif pour faire valoir ses griefs tirés de l’article 8 de la Convention et de l’article 1 du Protocole no 1 à la Convention.
En leurs parties pertinentes en l’espèce, ces dispositions se lisent comme suit :
Article 6 § 1
« 1. Toute personne a droit à ce que sa cause soit entendue (…) et dans un délai raisonnable par un tribunal (…) qui décidera (…) des contestations sur ses droits et obligations de caractère civil (…). »
Article 13
« Toute personne dont les droits et libertés reconnus dans la (…) Convention ont été violés a droit à l’octroi d’un recours effectif devant une instance nationale, alors même que la violation aurait été commise par des personnes agissant dans l’exercice de leurs fonctions officielles. »
87. Le Gouvernement conteste cette thèse.
A. Sur la recevabilité
88. Constatant que ce grief n’est pas manifestement mal fondé au sens de l’article 35 § 3 a) de la Convention et qu’il ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité, la Cour le déclare recevable.
B. Sur le fond
1. Arguments des parties
a) La requérante
89. La requérante affirme que le juge délégué à la faillite a évité d’examiner au fond les choix effectués par le liquidateur judiciaire, ce juge se bornant, d’après elle, à suspendre l’action en annulation de la résiliation du contrat préliminaire de vente engagée par elle et sa demande d’inscription de sa créance au passif de la faillite. Elle considère que le tribunal et la cour d’appel de Florence ainsi que la Cour de cassation se sont limités à prendre acte du choix du liquidateur judiciaire. A cet égard, elle estime que le comportement des juridictions nationales s’analyse en un déni de justice qui a contribué à vider de sa substance sa créance.
b) Le Gouvernement
90. Le Gouvernement indique que la validité de la décision du liquidateur judiciaire de résilier le contrat préliminaire a été examinée en détail par le tribunal et la cour d’appel de Florence et par la Cour de cassation. Il précise que, dans son arrêt, cette dernière a explicité sur 25 pages les raisons du rejet de la demande de la requérante.
91. Par ailleurs, le Gouvernement affirme qu’il n’y a aucune preuve que l’action de la requérante en annulation de la résiliation du contrat préliminaire ait été suspendue et que cette suspension alléguée ait porté préjudice à l’intéressée.
2. Appréciation de la Cour
92. La Cour considère que ce grief se prête d’abord à un examen sous l’angle de l’article 13 de la Convention.
93. Elle rappelle que cet article garantit l’existence en droit interne d’un recours permettant de se prévaloir des droits et libertés de la Convention tels qu’ils y sont consacrés. Cette disposition a donc pour conséquence d’exiger un recours interne habilitant à examiner le contenu d’un « grief défendable » fondé sur la Convention et à en offrir le redressement approprié (De Souza Ribeiro c. France [GC], no 22689/07, § 78, 13 décembre 2012).
94. En l’espèce, la Cour vient de conclure que le choix du liquidateur judiciaire de résilier le contrat préliminaire a réalisé une ingérence dans le droit de la requérante au respect de ses biens (paragraphe 61 ci-dessus) et que l’État n’a pas satisfait aux obligations positives qui lui incombaient dans le cadre de la procédure de faillite (paragraphe 75 ci-dessus). Il s’ensuit que la requérante disposait d’un grief défendable sous l’angle de l’article 1 du Protocole no 1 à la Convention, et que l’article 13 de la Convention trouve à s’appliquer en l’espèce.
95. Il reste à déterminer si la requérante avait, en droit italien, un recours effectif au travers duquel elle aurait pu dénoncer la violation de son droit au respect de ses biens.
96. A cet égard, la Cour rappelle que la portée de l’obligation que l’article 13 de la Convention fait peser sur les États contractants varie en fonction de la nature du grief du requérant. Les États jouissent en effet d’une certaine marge d’appréciation quant à la manière de se conformer aux obligations que leur impose cette disposition (Jabari c. Turquie, no 40035/98, § 48, CEDH 2000 VIII). Toutefois, le recours exigé par cet article doit être « effectif » en pratique comme en droit (Kudła c. Pologne [GC],

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