SECONDA SEZIONE
CAUSA CAVALLERI C. ITALIA
( Richiesta no 30408/03)
SENTENZA
STRASBURGO
26 maggio 2009
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Cavalleri c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Ireneu Cabral Barreto, Vladimiro Zagrebelsky, Danutė Jočienė, Dragoljub Popović, András Sajó, Nona Tsotsoria, giudici,
e da Sally Dollé, cancelliera di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 5 maggio 2009,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 30408/03) diretta contro la Repubblica italiana e in cui un cittadino di questo Stato, il Sig. E. C. (“il richiedente”), ha investito la Corte il 12 settembre 2000 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente è rappresentato da R. V. e F. U., avvocati a Bergamo. Il governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato successivamente dai suoi agenti, il Sig. I.M. Braguglia, il Sig. R. Adam e la Sig.ra E. Spatafora, ed i suoi coagenti, i Sigg. V. Esposito e F. Crisafulli, così come dal suo coagente aggiunto, il Sig. N. Lettieri.
3. Il 15 dicembre 2005, il presidente della terza sezione ha deciso di comunicare i motivi di appello tratti dagli articoli 6 § 1, 8 e 13 della Convenzione e 1 del Protocollo no 1 e 2 del Protocollo no 4 alla Convenzione al Governo. Come permesso dall’articolo 29 § 3 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la camera si sarebbe pronunciata sull’ammissibilità ed il merito allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
4. Il richiedente è nato nel 1951 e ha risieduto ad Urgnano (Bergamo).
1. Il procedimento di fallimento
5. Con un giudizio del 23 gennaio 1986, il tribunale di Bergamo dichiarò il fallimento della società S. s.a.s. di cui il richiedente era associato accomodante, così come il fallimento personale del richiedente.
6. In seguito a questa dichiarazione, il richiedente fu sottoposto ad una serie di incapacità personali e patrimoniali, come la limitazione del suo diritto alla corrispondenza, dei suoi beni e della sua libertà di circolazione, conformemente all’articolo 48, 42 e 49 del decreto reale no 267 del 16 marzo 1942 (qui di seguito “la legge sul fallimento”) così come alla limitazione del suo diritto al voto.
7. Con una decisione del 12 settembre 2002, il tribunale restrinse il procedimento per ripartizione finale dell’attivo del fallimento.
2. Il procedimento introdotto conformemente alla legge Pinto
8. Il 19 settembre 2001, il richiedente introdusse un ricorso dinnanzi alla corte di appello di Venezia conformemente alla legge Pinto.
9. Chiese il risarcimento del danno morale che stimava di avere subito in ragione, tra l’altro, della durata del procedimento e delle incapacità derivanti dal suo collocamento in fallimento (in particolare, la limitazione del suo diritto al rispetto dei suoi beni, della sua corrispondenza e della sua libertà di circolazione, e della limitazione del suo diritto al voto).
10. Con una decisione depositata il 20 febbraio 2002, la corte di appello assegnò al richiedente 10 900 euro per risarcimento morale in ragione “della sua situazione di malessere dovuta al prolungamento, al di là del termine ragionevole del procedimento, dello statuto di fallito e delle limitazioni ivi relative riguardanti la libertà di circolazione, i diritti elettorali, la possibilità di esercitare delle libere professioni. ” La corte stimò che “la liquidazione di suddetto danno poteva avvenire solo attraverso una valutazione equa che tenesse conto, oltre la durata del procedimento, la natura particolare dei diritti della persona totalmente o parzialmente toccati”.
11. Questa decisione fu notificata al ministero di Giustizia il 7 maggio 2003 ed acquisì forza di cosa giudicata il 6 luglio 2003, cioè, sessanta giorni dopo la sua notificazione.
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
12. Il diritto interno pertinente è descritto nelle sentenze Campagnano c. Italia (no 77955/01, §§ 19-22, 23 marzo 2006), Albanese c. Italia,( no 77924/01, §§ 23-26, 23 marzo 2006) e Vitiello c. Italia (no 77962/01, §§ 17-20, 23 marzo 2006,).
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
13. Il richiedente si lamenta della durata del procedimento di fallimento di cui è stato oggetto. Il Governo contesta questa tesi, stimando che la durata del procedimento è stata imputabile alla complessità della causa ed al comportamento del richiedente e sollevando una questione di esaurimento delle vie di ricorso in cassazione per il procedimento “Pinto.”
14. La Corte ricorda la sua giurisprudenza a proposito dell’esaurimento delle vie di ricorso (Di Sante c. Italia, no 56079/00, decisione del 24 giugno 2004) e considera che il richiedente non avrebbe potuto ricorrere efficacemente in cassazione contro la decisione della corte di appello di Venezia all’epoca dei fatti. Conviene dunque dichiarare questo motivo di appello ammissibile.
15. In quanto al merito, la Corte constata che nello specifico, il procedimento di fallimento che rivestiva una certa complessità, è cominciato il 23 gennaio 1986 e che si è concluso il 12 settembre 2002. È durato dunque più di sedici anni e sette mesi per un’istanza. Per ciò che riguarda il comportamento del richiedente, la Corte nota che non è stabilito che questo abbia contribuito all’allungamento del procedimento.
16. La Corte ha trattato a più riprese cause che sollevano delle questioni simili a quella del caso presente e ha constatato la violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione (vedere, tra molte altre, Frydlender c. Francia [GC], no 30979/96, § 43, CEDH 2000-VII). Considera che il Governo non ha esposto nessuno fatto né argomento convincente tali da poter condurla ad una conclusione differente nel caso presente. Tenuto conto della sua giurisprudenza in materia, la Corte stima che nello specifico la durata del procedimento controverso è eccessiva e non risponde all’esigenza del “termine ragionevole” (vedere Di Blasi c. Italia, precitata, §§ 19-35; Gallucci c. Italia, no 10756/02, §§ 22-30, 12 giugno 2007; Bertolini c. Italia, no 14448/03, §§ 23-33, 18 dicembre 2007).
Pertanto, c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.
17. Con una corrispondenza del 20 ottobre 2004, il richiedente adduce anche, per la prima volta, la violazione degli articoli 17 e 34 della Convenzione in ragione del fatto che, secondo la legge Pinto, il risarcimento morale potrebbe essere ottenuto solo a sostegno di prove che attestino il danno subito.
18. La Corte stima che questo motivo di appello deve essere considerato come assimilato a quello derivato dalla durata del procedimento.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE, 1 DEL PROTOCOLLO NO 1 E 2 DEL PROTOCOLLO NO 4 ALLA CONVENZIONE
19. Invocando gli articoli 8 della Convenzione, 1 del Protocollo no 1 e 2 del Protocollo no 4 alla Convenzione, il richiedente si lamenta rispettivamente della violazione del suo diritto al rispetto della sua corrispondenza (consegnata e controllata dal curatore durante il procedimento di fallimento) al rispetto dei suoi beni e della sua libertà di circolazione, in particolare in ragione della durata del procedimento. Il Governo si oppone a queste tesi.
20. Tuttavia, la Corte constata che questi motivi di appello sono ammissibili.
21. In quanto al merito, la Corte osserva di avere già trattato di cause che sollevano delle questioni simili a quella del caso di specifico e ha constatato la violazione delle disposizioni precitate (vedere Luordo c. Italia, no 32190/96, §§ 62-97, CEDH 2003-IX; Di Blasi c. Italia, precitata, §§ 36-51; Gallucci c. Italia, precitata, §§ 31-40). La Corte ha esaminato la presente causa e ha considerato che il Governo non ha fornito nessuno fatto né argomento convincente tali da condurre ad una conclusione differente nel caso presente. Stima dunque che c’è stata violazione degli articoli 8 della Convenzione, 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione e 2 del Protocollo no 4 alla Convenzione.
III. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 13 DELLA CONVENZIONE
22. Invocando l’articolo 13 della Convenzione, il richiedente si lamenta infine di non disporre di un ricorso effettivo per lamentarsi delle incapacità patrimoniali e personali che l’hanno toccato in seguito al suo collocamento in fallimento. Il Governo contesta questa tesi.
23. La Corte stima che conviene dichiarare questo motivo di appello ammissibile.
24. Per ciò che riguarda il merito alla luce della sua giurisprudenza (vedere, tra molte altre, Bottaro c. Italia, precitata, §§ 41-46; Campagnano c. Italia, precitata, §§ 67-77) e la mancanza di argomenti convincenti del governo tali da poter condurre ad una conclusione differente nel caso presente, la Corte stima che c’è stata violazione dell’articolo 13 della Convenzione.
IV. SULLA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 3 DEL PROTOCOLLO NO 1 ALLA CONVENZIONE
25. Il richiedente si lamenta della limitazione dei suoi diritti elettorali in seguito al suo collocamento in fallimento.
26. Il Governo contesta queste affermazioni.
27. La Corte stima che questo motivo di appello deve essere analizzato sotto l’angolo dell’articolo 3 del Protocollo no 1 alla Convenzione e nota che la perdita dei diritti elettorali in seguito al collocamento in fallimento non può superare cinque anni a partire dalla data del giudizio che dichiara il fallimento. Ora, essendo stato depositato questo giudizio il 23 gennaio 1986, il richiedente avrebbe dovuto introdurre il suo motivo di appello al più tardi il 23 luglio 1991, tenuto conto anche del termine di sei mesi previsti dall’articolo 35 § 1 della Convenzione. Essendo stata introdotta la richiesta il 12 settembre 2000, la Corte considera che questo motivo di appello è tardivo e deve essere respinto conformemente all’articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione.
V. SULL’”INCAPACITÀ D’ESERCITARE DELLE LIBERE PROFESSIONI”
28. Senza invocare nessuno articolo della Convenzione, il richiedente si lamenta della sua incapacità di esercitare delle libere professioni.
29. La Corte stima che il richiedente ha omesso di supportare questo motivo di appello e propone di respingerlo per difetto manifesto di fondamento secondo l’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
VI. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
30. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
31. Il richiedente richiede 50 000 euro (EUR) a titolo del danno materiale e morale che avrebbe subito. Si rimette alla Corte per stabilire gli oneri e le spese sostenuti dinnanzi a lei e dinnanzi alle autorità interne di cui stima avere diritto. Il Governo si oppone a queste pretese.
32. La Corte non vede alcun legame di causalità tra le violazioni constatate ed il danno materiale addotto e respinge questa richiesta. In compenso, considera che, deliberando in equità, c’è luogo di concedere al richiedente 24 000 EUR a titolo del danno morale.
33. Per ciò che riguarda gli oneri e le spese, secondo la giurisprudenza della Corte, un richiedente può ottenere il rimborso dei suoi oneri e spese solo nella misura in cui si stabilisca la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevole del loro tasso. Nello specifico e tenuto conto dei documenti in suo possesso e dei suddetti criteri, la Corte respinge la richiesta relativa agli oneri e spese del procedimento nazionale, stima ragionevole la somma di 2 000 EUR per il procedimento dinnanzi alla Corte e l’accorda al richiedente.
34. La Corte giudica appropriato abbinare la suddetta somma ad interessi moratori ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile in quanto ai motivi di appello tratti dagli articoli 6 § 1, 8 e 13 della Convenzione, 1 del Protocollo no 1 e 2 del Protocollo no 4 alla Convenzione;
2. Dichiara il restante della richiesta inammissibile;
3. Stabilisce che c’è stata violazione degli articoli 6 § 1, 8 e 13 della Convenzione;
4. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione;
5. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 2 del Protocollo no 4 alla Convenzione;
6. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare al richiedente, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
(i) 24 000 EUR ( ventiquattromila euro) per danno morale, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta;
(ii) 2 000 EUR (duemila euro) per oneri e spese, più ogni importo che può essere dovuto dal richiedente a titolo di imposta;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale,;
7. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 26 maggio 2009, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Sally Dollé Francesca Tulkens
Cancelliera Presidentessa