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Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE CAPITANI ET CAMPANELLA c. ITALIE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 3
Articoli:
Numero: 24920/07/2011
Stato: Italia
Data: 2011-05-17 00:00:00
Organo: Sezione Seconda
Testo Originale

SECONDA SEZIONE
CAUSA CAPITANI E CAMPANELLA C. ITALIA
( Richiesta no 24920/07)
SENTENZA
STRASBURGO
17 maggio 2011
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.

Nella causa Capitani e Campanella c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Danutė Jočienė, Dragoljub Popović, Giorgio Malinverni, Işıl Karakaş, Guido Raimondi, Paulo Pinto di Albuquerque, giudici,
e da Stanley Naismith, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 12 aprile 2011,
Rende la sentenza che ha adottata in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 24920/07) diretta contro la Repubblica italiana e in cui quattro cittadini di questo Stato, OMISSIS (“i richiedenti”), hanno investito la Corte l’ 11 giugno 2007 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. I richiedenti sono rappresentati da F. F., avvocato a Teramo. Il governo italiano (“il Governo”) è rappresentato dal suo agente, la Sig.ra E. Spatafora.
3. Il 31 agosto 2008, la presidentessa della seconda sezione ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Come permette l’articolo 29 § 1 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la camera si sarebbe pronunciata sull’ammissibilità ed il merito allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
4. I richiedenti sono nati rispettivamente nel 1951, 1946, 1978 e 1976 e risiedono a Castellalto.
5. Nel 2004, in ragione dei sospetti che pesavano sui richiedenti, che davano a pensare che erano membri di un’organizzazione criminale che praticava l’uso e il riciclaggio di denaro, la procura di Teramo iniziò un procedimento in vista dell’applicazione delle misure di prevenzione stabilite dalla legge no 575 del 1965, come modificata dalla legge no 646 del 13 settembre 1982.
6. In seguito, il procedimento dinnanzi al tribunale di Teramo si svolse in camera del consiglio. I richiedenti erano assistiti da un avvocato di loro scelta.
7. Con un’ordinanza del 21 giugno 2004, il tribunale decise di sottoporre i richiedenti ad una misura di libertà sotto controllo della polizia. Il tribunale ordinò inoltre la confisca di parecchi beni appartenenti ai richiedenti. Nell’elenco dei beni confiscati figuravano parecchi immobili, terreni, automobili e somme di denaro.
8. Il tribunale affermò che, alla luce di numerosi indizi, c’era luogo di sospettare la partecipazione dei richiedenti alle attività di un’associazione di malviventi ed il pericolo sociale che rappresentavano. Sostenne inoltre che le attività esercitate ed i redditi dichiarati dai richiedenti non potevano giustificare l’acquisizione dei beni di cui erano i proprietari.
9. Gli interessati interposero appello contro l’ordinanza del 21 giugno 2004, sostenendo, sotto differenti aspetti, l’illegittimità della confisca dei loro beni. Addussero in particolare, la violazione del principio ne bis in idem al loro scapito. Il procedimento si svolse in camera del consiglio.
10. Con un’ordinanza del 9 dicembre 2005, la corte di appello di L’Aquila respinse l’appello. Confermò la legittimità della confisca dei beni ordinata dal tribunale ed affermò che non c’era nessuna incomprensione del principio ne bis in idem nello specifico.
11. Il 18 gennaio 2006, i richiedenti ricorsero in cassazione. Il procedimento si svolse in camera del consiglio.
12. Con una sentenza del 25 gennaio 2007, depositato il 19 marzo 2007, la Corte di cassazione dichiarò il ricorso inammissibile perché i richiedenti non adducevano la violazione di una o parecchie disposizioni di legge ma miravano ad ottenere un nuovo esame della fondatezza della causa.
II. IL DIRITTO E LA PRATICA INTERNA PERTINENTI
13. Il diritto interno pertinente è descritto nella causa Bocellari e Rizza c. Italia, no 399/02, §§ 25 e 26, 13 novembre 2007.
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
14. I richiedenti si lamentano della mancanza di pubblicità del procedimento di applicazione delle misure di prevenzione. Invocano l’articolo 6 § 1 della Convenzione che, nelle sue parti pertinenti, si legge come segue:
“Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia equamente sentita, pubblicamente, da un tribunale indipendente ed imparziale, stabilito dalla legge che deciderà, delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile. Il giudizio deve essere reso pubblicamente, ma l’accesso della sala dell’ udienza può essere vietato alla stampa ed al pubblico durante la totalità o una parte del processo nell’interesse della moralità, dell’ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una società democratica, quando gli interessi dei minori o la protezione della vita privata delle parti al processo lo esigono, o nella misura giudicata rigorosamente necessaria dal tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicità sarebbe di natura tale da recare offesa agli interessi della giustizia.”
15. Il Governo si oppone a questa tesi.
A. Sull’ammissibilità
16. Il Governo eccepisce della tardività della richiesta sotto un doppio aspetto. Innanzitutto, considera che i richiedenti avrebbero dovuto introdurre la loro richiesta entro sei mesi a contare dal 9 dicembre 2005, ossia la data della sentenza della corte di appello di L’Aquila. Facendo valere che il difetto di pubblicità delle udienze nel procedimento di cassazione non può essere messo in causa dinnanzi alla Corte, sostiene che questa ultima fase del procedimento nazionale non dovrebbe entrare in fila di conto nel calcolo del termine dei sei mesi. In secondo luogo, il Governo rileva che, sebbene la prima comunicazione dei richiedenti con la Corte data 11 giugno 2007, il formulario di richiesta porta la data del 26 febbraio 2008. Invita la Corte a considerare questa ultima data come data di introduzione della richiesta ed a respingere questa in quanto tardiva.
17. I richiedenti si oppongono.
18. Trattandosi del primo risvolto dell’eccezione di tardività del Governo, la Corte ricorda che in virtù dell’articolo 35 § 1 della Convenzione, può essere investita di una causa solo “entro sei mesi a partire dalla data della decisione interna definitiva” cioè dall’atto che chiude il processo
d’”esaurimento delle vie di ricorso interne”, ai sensi della stessa disposizione (Kadiÿis c. Lettonia (no 2) (déc.), no 62393/00, 25 settembre 2003).
19. Nello specifico, osserva che il procedimento controverso si è svolto in tre fasi, conformemente alle regole del sistema giudiziale italiano, e si è concluso dinnanzi alla Corte di cassazione. La Corte considera che la “decisione interna definitiva” è la sentenza dell’alta giurisdizione italiana del 25 gennaio 2007, depositata alla cancelleria il 19 marzo 2007.
20. In quanto al secondo risvolto dell’eccezione, la Corte constata che la richiesta è stata introdotta in una prima lettera dell’ 11 giugno 2007 con la quale gli interessati avevano sollevato in modo dettagliato le loro lamentele. Il 4 gennaio 2008, hanno mandato poi, il loro formulario di richiesta debitamente compilato.
21. La Corte ricorda la sua pratica consolidata che vuole a questo proposito che la data di introduzione di una richiesta sia quella della prima lettera con la quale il richiedente formula il motivo di appello che intende sollevare (Nee c. Irlanda (dec.), no 52787/99, 30 gennaio 2003; Ataman c. Turchia, (dec.), no 46252/99, 11 settembre 2001). Certo, uno scarto troppo importante tra il momento della prima comunicazione inviata alla Corte e la formalizzazione della richiesta potrebbe porre dei problemi in quanto alla determinazione della data di introduzione di questa.
22. Però, la Corte considera che il termine impiegato dai richiedenti per formalizzare la loro richiesta non è irragionevole. Pertanto, la data da prendere in considerazione nello specifico come data di introduzione della richiesta è quella della prima suddetta lettera.
23. Ne segue che i due risvolti dell’eccezione di tardività del Governo non possono essere considerati. La Corte constata peraltro che questa parte della richiesta non è manifestamente mal fondata ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione e che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararla ammissibile.
B. Sul merito
24. I richiedenti adducono che il procedimento controverso si è svolto in camera del consiglio, e dunque in modo non pubblico.
25. Il Governo afferma che i richiedenti hanno beneficiato di un procedimento equo.
26. La Corte osserva che il presente caso è simile a parecchie cause in cui ha esaminato la compatibilità dei procedimenti di applicazione delle misure di prevenzione con le esigenze del processo equo previsto dall’articolo 6 della Convenzione (Bocellari e Rizza c. Italia, no 399/02, 13 novembre 2007; Perre ed altri c. Italia, no 1905/05, 8 luglio 2008; Leone c. Italia, no 30506/07, 2 febbraio 2010).
27. In suddette cause, la Corte ha osservato che lo svolgimento in camera del consiglio dei procedimenti che prevedono l’applicazione delle misure di prevenzione, tanto in prima istanza che in appello, è previsto espressamente dall’articolo 4 della legge no 1423 del 1956 e che le parti non hanno la possibilità di chiedere e di ottenere un’udienza pubblica.
28. Pure ammettendo che gli interessi superiori ed il grado elevato di tecnicità possono entrare in gioco in questo genere di procedimenti talvolta, la Corte ha giudicato essenziale, tenuto conto in particolare della posta dei procedimenti di applicazione delle misure di prevenzione e degli effetti che sono suscettibili di produrre sulla situazione personale delle persone implicate, che i giudicabili si vedono offrire perlomeno la possibilità di sollecitare un’udienza pubblica dinnanzi alle camere specializzate dei tribunali e dei corsi di appello.
29. La Corte considera che la presente causa non presenta elementi suscettibili di distinguerla dalle cause precitate.
30. Conclude, di conseguenza, alla violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.
II. SUçLE ALTRE VIOLAZIONI ADDOTTE
31. I richiedenti affermano che la confisca delle loro proprietà ha recato offesa al diritto al rispetto dei loro beni ed al principio ne bis in idem. Invocano gli articoli 1 del Protocollo no 1 e 4 del Protocollo no 7 che, nelle loro parti pertinenti, si leggono così:
Articolo 1 del Protocollo no 1
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non a causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non recano offesa al diritto che possiedono gli Stati di mettere in vigore le leggi che giudicano necessarie per regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale o per garantire il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle multe. “
Articolo 4 del Protocollo no 7
“1. Nessuno può essere perseguito o punito penalmente dalle giurisdizioni dello stesso Stato in ragione di una violazione per la quale è stato già prosciolto o condannato con un giudizio definitivo conformemente alla legge ed al procedimento penale di questo Stato. “
32. In quanto al motivo di appello derivato dall’articolo 1 del Protocollo no 1, la Corte ricorda di avere constatato già che l’ingerenza controversa, ossia la confisca di beni basata sull’articolo 2 ter della legge del 1965, tende ad impedire un uso illecito e pericoloso per la società di beni la cui provenienza legittima non è stata dimostrata. Considera dunque che l’ingerenza che ne risulta prevede uno scopo che corrisponda all’interesse generale (Arcuri e tre altri c. Italia, (dec.), no 52024/99, CEDH 2001-VII; Riela ed altri c. Italia, (dec.), no 52439/99, 4 settembre 2001; Raimondo c. Italia del 22 febbraio 1994, § 30, serie A no 281-A).
33. In quanto alla proporzionalità dell’ingerenza, la Corte osserva che, per decidere dell’applicazione delle misure di prevenzione, i giudici nazionali si sono basati su numerosi indizi a carico dei richiedenti, che davano a pensare che erano membri di un’organizzazione criminale che praticava l’utilizzo e il riciclaggio di denaro. Dopo avere analizzato la situazione finanziaria dei richiedenti, hanno concluso che l’acquisizione dei beni confiscati aveva potuto avere luogo solo con l’impiego dei profitti illeciti di questi.
34. Peraltro, nel loro appello e nel loro ricorso in cassazione, i richiedenti avevano contestato la confisca dei loro beni. I loro argomenti sono stati esaminati dunque anche dalle giurisdizioni interne. Agli occhi della Corte, il procedimento contraddittorio che si è svolto dinnanzi alle giurisdizioni italiane offriva ai richiedenti un’occasione adeguata di esporre il loro caso alle autorità competenti.
35. In queste circostanze, tenuto conto del margine di valutazione che spetta agli Stati nel regolamentare “l’uso dei beni conformemente all’interesse generale”, in particolare nella cornice di una politica criminale tesa a combattere il fenomeno della grande criminalità, la Corte conclude che l’ingerenza nel diritto dei richiedenti al rispetto dei loro beni non è sproporzionata rispetto allo scopo legittimo perseguito.
36. Ne segue che questo motivo di appello deve essere respinto come manifestamente mal fondato, in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
37. Infine, per ciò che riguarda l’ultimo motivo di appello dei richiedenti, la Corte ricorda che le misure di prevenzione previste dalle leggi italiane del 1956 e 1965 non implicano un giudizio di colpevolezza, ma mirano ad impedire il compimento di atti criminali (vedere la decisione della Corte nella causa Arcuri, precitata, così come, mutatis mutandis, la sentenza Raimondo, precitata, p. 20, § 43). Inoltre, la loro imposta non è tributaria della pronunzia preliminare di una condanna per una violazione penale (vedere, a contrario e sotto l’angolo dell’articolo 7 della Convenzione, la sentenza Welch c. Regno Unito del 9 febbraio 1995, §§ 28-29, serie A no 307-A). Non potrebbero confrontarsi con una pena dunque.
38. Di conseguenza, i richiedenti non potrebbero affermare di essere “stati perseguiti o puniti penalmente” nella cornice del procedimento controverso.
39. Ne segue che questa parte della richiesta è incompatibile ratione materiae con le disposizioni della Convenzione ai sensi dell’articolo 35 § 3.
III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
40. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
Danno
41. Per il danno patrimoniale, i richiedenti richiedono il rimborso del valore dei beni confiscati. Inoltre, rimettendosi alla saggezza della Corte, chiedono una somma a titolo di danno morale.
42. Il Governo contesta queste pretese.
43. La Corte non vede legame di causalità tra la violazione constatata ed il danno patrimoniale addotto e respinge questa richiesta. In quanto al danno morale subito dai richiedenti, la Corte stima che, nelle circostanze particolari dello specifico, si trova riparata sufficientemente dalla constatazione di violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione alla quale giunge (vedere, tra numerosi altre, Leone c. Italia, precitata, § 42).
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile in quanto al motivo di appello tratto dall’articolo 6 § 1 ed inammissibile per il surplus;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
3. Stabilisce che la constatazione di violazione fornisce in sé una soddisfazione equa sufficiente per il danno morale subito dai richiedenti;
4. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 17 maggio 2011, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Stanley Naismith Francesca Tulkens
Cancelliere Presidentessa

Testo Tradotto

DEUXIÈME SECTION
AFFAIRE CAPITANI ET CAMPANELLA c. ITALIE
(Requête no 24920/07)
ARRÊT
STRASBOURG
17 mai 2011
Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l’article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire Capitani et Campanella c. Italie,
La Cour européenne des droits de l’homme (deuxième section), siégeant en une chambre composée de :
Françoise Tulkens, présidente,
Danutė Jočienė,
Dragoljub Popović,
Giorgio Malinverni,
Işıl Karakaş,
Guido Raimondi,
Paulo Pinto de Albuquerque, juges,
et de Stanley Naismith, greffier de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 12 avril 2011,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 24920/07) dirigée contre la République italienne et dont quatre ressortissants de cet État, Mme OMISSIS (« les requérants »), ont saisi la Cour le 11 juin 2007 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (« la Convention »).
2. Les requérants sont représentés par Me F. F., avocat à Teramo. Le gouvernement italien (« le Gouvernement ») est représenté par son agent, Mme E. Spatafora.
3. Le 31 août 2008, la présidente de la deuxième section a décidé de communiquer la requête au Gouvernement. Comme le permet l’article 29 § 1 de la Convention, il a en outre été décidé que la chambre se prononcerait en même temps sur la recevabilité et le fond.
EN FAIT
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
4. Les requérants sont nés respectivement en 1951, 1946, 1978 et 1976 et résident à Castellalto.
5. En 2004, en raison des soupçons qui pesaient sur les requérants, donnant à penser qu’ils étaient membres d’une organisation criminelle pratiquant l’usure et le blanchiment d’argent, le parquet de Teramo entama une procédure en vue de l’application des mesures de prévention établies par la loi no 575 de 1965, telle que modifiée par la loi no 646 du 13 septembre 1982.
6. Par la suite, la procédure devant le tribunal de Teramo se déroula en chambre du conseil. Les requérants étaient assistés par un avocat de leur choix.
7. Par une ordonnance du 21 juin 2004, le tribunal décida de soumettre les requérants à une mesure de liberté sous contrôle de police. Le tribunal ordonna en outre la confiscation de plusieurs biens appartenant aux requérants. Dans la liste des biens confisqués figuraient plusieurs immeubles, terrains, voitures et sommes d’argent.
8. Le tribunal affirma que, à la lumière de nombreux indices, il y avait lieu de soupçonner la participation des requérants aux activités d’une association de malfaiteurs et le danger social qu’ils représentaient. Il soutint en outre que les activités exercées et les revenus déclarés par les requérants ne pouvaient pas justifier l’acquisition des biens dont ils étaient propriétaires.
9. Les intéressés interjetèrent appel contre l’ordonnance du 21 juin 2004, soutenant, sous différents aspects, l’illégitimité de la confiscation de leurs biens. En particulier, ils alléguèrent la violation du principe ne bis in idem à leur détriment. La procédure se déroula en chambre du conseil.
10. Par une ordonnance du 9 décembre 2005, la cour d’appel de L’Aquila rejeta l’appel. Elle confirma la légitimité de la confiscation des biens ordonnée par le tribunal et affirma qu’il n’y avait aucune méconnaissance du principe ne bis in idem en l’espèce.
11. Le 18 janvier 2006, les requérants se pourvurent en cassation. La procédure se déroula en chambre du conseil.
12. Par un arrêt du 25 janvier 2007, déposé le 19 mars 2007, la Cour de cassation déclara le recours irrecevable car les requérants n’alléguaient pas la violation d’une ou plusieurs dispositions de loi mais visaient à obtenir un nouvel examen du bien-fondé de l’affaire.
II. LE DROIT ET LA PRATIQUE INTERNES PERTINENTS
13. Le droit interne pertinent est décrit dans l’affaire Bocellari et Rizza c. Italie, no 399/02, §§ 25 et 26, 13 novembre 2007.
EN DROIT
I. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 6 § 1 DE LA CONVENTION
14. Les requérants se plaignent du manque de publicité de la procédure d’application des mesures de prévention. Ils invoquent l’article 6 § 1 de la Convention qui, dans ses parties pertinentes, se lit comme suit :
« Toute personne a droit à ce que sa cause soit entendue équitablement, publiquement (…), par un tribunal indépendant et impartial, établi par la loi, qui décidera (…) des contestations sur ses droits et obligations de caractère civil (…). Le jugement doit être rendu publiquement, mais l’accès de la salle d’audience peut être interdit à la presse et au public pendant la totalité ou une partie du procès dans l’intérêt de la moralité, de l’ordre public ou de la sécurité nationale dans une société démocratique, lorsque les intérêts des mineurs ou la protection de la vie privée des parties au procès l’exigent, ou dans la mesure jugée strictement nécessaire par le tribunal, lorsque dans des circonstances spéciales la publicité serait de nature à porter atteinte aux intérêts de la justice ».
15. Le Gouvernement s’oppose à cette thèse.
A. Sur la recevabilité
16. Le Gouvernement excipe de la tardiveté de la requête sous un double aspect. Tout d’abord, il considère que les requérants auraient dû introduire leur requête dans un délai de six mois à compter du 9 décembre 2005, à savoir la date de l’arrêt de la cour d’appel de L’Aquila. Faisant valoir que le défaut de publicité des audiences dans la procédure de cassation ne peut pas être mis en cause devant la Cour, il soutient que cette dernière phase de la procédure nationale ne devrait pas entrer en ligne de compte dans le calcul du délai des six mois. En deuxième lieu, le Gouvernement relève que, bien que la première communication des requérants avec la Cour date du 11 juin 2007, le formulaire de requête porte la date du 26 février 2008. Il invite la Cour à considérer cette dernière date comme date d’introduction de la requête et à rejeter celle-ci en tant que tardive.
17. Les requérants s’y opposent.
18. S’agissant du premier volet de l’exception de tardivité du Gouvernement, la Cour rappelle qu’en vertu de l’article 35 § 1 de la Convention, elle ne peut être saisie d’une affaire que « dans un délai de six mois à partir de la date de la décision interne définitive » c’est-à-dire de l’acte clôturant le processus d’« épuisement des voies de recours internes », au sens de la même disposition (Kadiÿis c. Lettonie (no 2) (déc.), no 62393/00, 25 septembre 2003).
19. En l’espèce, elle observe que la procédure litigieuse s’est déroulée en trois phases, conformément aux règles du système judiciaire italien, et s’est terminée devant la Cour de cassation. La Cour considère que la « décision interne définitive » est l’arrêt de la haute juridiction italienne du 25 janvier 2007, déposé au greffe le 19 mars 2007.
20. Quant au deuxième volet de l’exception, la Cour constate que la requête a été introduite dans une première lettre du 11 juin 2007, par laquelle les intéressés avaient soulevé de manière détaillée leurs doléances. Ensuite, le 4 janvier 2008, ils ont envoyé leur formulaire de requête dûment rempli.
21. La Cour rappelle à ce propos sa pratique constante qui veut que la date d’introduction d’une requête est celle de la première lettre par laquelle le requérant formule le grief qu’il entend soulever (Nee c. Irlande (déc.), no 52787/99, 30 janvier 2003 ; Ataman c. Turquie (déc.), no 46252/99, 11 septembre 2001). Certes, un écart trop important entre le moment de la première communication envoyée à la Cour et la formalisation de la requête pourrait poser des problèmes quant à la détermination de la date d’introduction de celle-ci.
22. Cependant, la Cour considère que le délai mis par les requérants pour formaliser leur requête n’est pas déraisonnable. Partant, la date à prendre en considération en l’espèce comme date d’introduction de la requête est celle de la première lettre susmentionnée.
23. Il s’ensuit que les deux volets de l’exception de tardivité du Gouvernement ne peuvent pas être retenus. La Cour constate par ailleurs que cette partie de la requête n’est pas manifestement mal fondée au sens de l’article 35 § 3 de la Convention et qu’elle ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité. Il convient donc de la déclarer recevable.
B. Sur le fond
24. Les requérants allèguent que la procédure litigieuse s’est déroulée en chambre du conseil, et donc de façon non publique.
25. Le Gouvernement affirme que les requérants ont bénéficié d’une procédure équitable.
26. La Cour observe que la présente espèce est similaire à plusieurs affaires dans lesquelles elle a examiné la compatibilité des procédures d’application des mesures de prévention avec les exigences du procès équitable prévues par l’article 6 de la Convention (Bocellari et Rizza c. Italie, no 399/02, 13 novembre 2007 ; Perre et autres c. Italie, no 1905/05, 8 juillet 2008 ; Leone c. Italie, no 30506/07, 2 février 2010).
27. Dans lesdites affaires, la Cour a observé que le déroulement en chambre du conseil des procédures visant l’application des mesures de prévention, tant en première instance qu’en appel, est expressément prévu par l’article 4 de la loi no 1423 de 1956 et que les parties n’ont pas la possibilité de demander et d’obtenir une audience publique.
28. Tout en admettant que des intérêts supérieurs et le degré élevé de technicité peuvent parfois entrer en jeu dans ce genre de procédures, la Cour a jugé essentiel, compte tenu notamment de l’enjeu des procédures d’application des mesures de prévention et des effets qu’elles sont susceptibles de produire sur la situation personnelle des personnes impliquées, que les justiciables se voient pour le moins offrir la possibilité de solliciter une audience publique devant les chambres spécialisées des tribunaux et des cours d’appel.
29. La Cour considère que la présente affaire ne présente pas d’éléments susceptibles de la distinguer des affaires précitées.
30. Elle conclut, par conséquent, à la violation de l’article 6 § 1 de la Convention.
II. SUR LES AUTRES VIOLATIONS ALLÉGUÉES
31. Les requérants affirment que la confiscation de leurs propriétés a porté atteinte au droit au respect de leurs biens et au principe ne bis in idem. Ils invoquent les articles 1 du Protocole no 1 et 4 du Protocole no 7 qui, dans leurs parties pertinents, se lisent ainsi :
Article 1 du Protocole no 1
« Toute personne physique ou morale a droit au respect de ses biens. Nul ne peut être privé de sa propriété que pour cause d’utilité publique et dans les conditions prévues par la loi et les principes généraux du droit international.
Les dispositions précédentes ne portent pas atteinte au droit que possèdent les États de mettre en vigueur les lois qu’ils jugent nécessaires pour réglementer l’usage des biens conformément à l’intérêt général ou pour assurer le paiement des impôts ou d’autres contributions ou des amendes. »
Article 4 du Protocole no 7
« 1. Nul ne peut être poursuivi ou puni pénalement par les juridictions du même Etat en raison d’une infraction pour laquelle il a déjà été acquitté ou condamné par un jugement définitif conformément à la loi et à la procédure pénale de cet État. »
32. Quant au grief tiré de l’article 1 du Protocole no 1, la Cour rappelle avoir déjà constaté que l’ingérence litigieuse, à savoir la confiscation de biens basée sur l’article 2 ter de la loi de 1965, tend à empêcher un usage illicite et dangereux pour la société de biens dont la provenance légitime n’a pas été démontrée. Elle considère donc que l’ingérence qui en résulte vise un but qui correspond à l’intérêt général (Arcuri et trois autres c. Italie (déc.), no 52024/99, CEDH 2001-VII ; Riela et autres c. Italie (déc.), no 52439/99, 4 septembre 2001 ; Raimondo c. Italie du 22 février 1994, § 30, série A no 281-A).
33. Quant à la proportionnalité de l’ingérence, la Cour observe que, pour décider de l’application des mesures de prévention, les juges nationaux se sont basés sur les nombreux indices à la charge des requérants, donnant à penser qu’ils étaient membres d’une organisation criminelle pratiquant l’usure et le blanchiment d’argent. Après avoir analysé la situation financière des requérants, ils ont conclu que l’acquisition des biens confisqués n’avait pu avoir lieu que par l’emploi de profits illicites de ceux-ci.
34. Par ailleurs, dans leur appel et leur pourvoi en cassation, les requérants avaient contesté la confiscation de leurs biens. Leurs arguments ont donc été également examinés par les juridictions internes. Aux yeux de la Cour, la procédure contradictoire qui s’est déroulée devant les juridictions italiennes offrait aux requérants une occasion adéquate d’exposer leur cause aux autorités compétentes.
35. Dans ces circonstances, compte tenu de la marge d’appréciation qui revient aux États lorsqu’ils réglementent « l’usage des biens conformément à l’intérêt général », en particulier dans le cadre d’une politique criminelle visant à combattre le phénomène de la grande criminalité, la Cour conclut que l’ingérence dans le droit des requérants au respect de leurs biens n’est pas disproportionnée par rapport au but légitime poursuivi.
36. Il s’ensuit que ce grief doit être rejeté comme manifestement mal fondé, en application de l’article 35 §§ 3 et 4 de la Convention.
37. Enfin, pour ce qui est du dernier grief des requérants, la Cour rappelle que les mesures de prévention prévues par les lois italiennes de 1956 et 1965 n’impliquent pas un jugement de culpabilité, mais visent à empêcher l’accomplissement d’actes criminels (voir la décision de la Cour dans l’affaire Arcuri, précitée, ainsi que, mutatis mutandis, l’arrêt Raimondo, précité, p. 20, § 43). En outre, leur imposition n’est pas tributaire du prononcé préalable d’une condamnation pour une infraction pénale (voir, a contrario et sous l’angle de l’article 7 de la Convention, l’arrêt Welch c. Royaume-Uni du 9 février 1995, §§ 28-29, série A no 307-A). Elles ne sauraient donc se comparer à une peine.
38. Par conséquent, les requérants ne sauraient affirmer avoir été « poursuivis ou punis pénalement » dans le cadre de la procédure litigieuse.
39. Il s’ensuit que cette partie de la requête est incompatible ratione materiae avec les dispositions de la Convention au sens de l’article 35 § 3.
III. SUR L’APPLICATION DE L’ARTICLE 41 DE LA CONVENTION
40. Aux termes de l’article 41 de la Convention,
« Si la Cour déclare qu’il y a eu violation de la Convention ou de ses Protocoles, et si le droit interne de la Haute Partie contractante ne permet d’effacer qu’imparfaitement les conséquences de cette violation, la Cour accorde à la partie lésée, s’il y a lieu, une satisfaction équitable. »
Dommage
41. Pour le préjudice matériel, les requérants réclament le remboursement de la valeur des biens confisqués. En outre, se remettant à la sagesse de la Cour, ils demandent une somme à titre de dommage moral.
42. Le Gouvernement conteste ces prétentions.
43. La Cour n’aperçoit pas de lien de causalité entre la violation constatée et le dommage matériel allégué et rejette cette demande. Quant au préjudice moral subi par les requérants, la Cour estime que, dans les circonstances particulières de l’espèce, il se trouve suffisamment réparé par le constat de violation de l’article 6 § 1 de la Convention auquel elle parvient (voir, parmi de nombreux autres, Leone c. Italie, précité, § 42).
PAR CES MOTIFS, LA COUR, À L’UNANIMITÉ,
1. Déclare la requête recevable quant au grief tiré de l’article 6 § 1 et irrecevable pour le surplus ;
2. Dit qu’il y a eu violation de l’article 6 § 1 de la Convention ;
3. Dit que le constat de violation fournit en soi une satisfaction équitable suffisante pour le dommage moral subi par les requérants ;
4. Rejette la demande de satisfaction équitable pour le surplus.
Fait en français, puis communiqué par écrit le 17 mai 2011, en application de l’article 77 §§ 2 et 3 du règlement.
Stanley Naismith Françoise Tulkens
Greffier Présidente

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