Conclusione Violazione dell’art. 6-1; danno materiale – domanda respinta; Danno morale – risarcimento
SECONDA SEZIONE
CAUSA C.G.I.L. E COFFERATI C. ITALIA
(Richiesta no 46967/07)
SENTENZA
STRASBURGO
24 febbraio 2009
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa C.G.I.L. e Cofferati c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Ireneu Cabral Barreto, Vladimiro Zagrebelsky, Danutė Jočienė, Dragoljub Popović, András Sajó, Işıl Karakaş, giudici,
e di Sally Dollé, cancelliera di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 27 gennaio 2009,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data,:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 46967/07) diretta contro la Repubblica italiana e in cui un cittadino di questo Stato, il Sig. S. C. ed un’associazione sindacale la Confederazione Generale Italiana del Lavoro (“la C.G.I.L. “, qui di seguito, “i richiedenti”), hanno investito la Corte il 19 ottobre 2007 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. I richiedenti sono rappresentati da F. C., avvocato a Roma. Il governo italiano (“il Governo”) è rappresentato dal suo agente, la Sig.ra E. Spatafora, e dal suo co-agente, il Sig. F. Crisafulli.
3. I richiedenti adducono un attentato al loro diritto di accesso ad un tribunale.
4. Il 28 novembre 2007, la presidentessa della seconda sezione della Corte ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Avvalendosi delle disposizioni dell’articolo 29 § 3 della Convenzione, ha deciso che sarebbero state esaminate l’ammissibilità e la fondatezza della causa allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
5. Il richiedente è un’associazione sindacale che ha la sua sede a Roma. Il richiedente è nato nel 1948 e ha risieduto a Bologna.
6. Nel 2002, il richiedente era il segretario generale della C.I.G.L.
7. Il 19 marzo 2002, il Sig. M. B., un professore di diritto che era il consulente del ministro del Lavoro, fu assassinato dalle brigate rosse. Il Sig. B. aveva sostenuto la necessità di introdurre una flessibilità più grande nei contratti di lavoro. Le sue idee erano state contestate dai richiedenti che adducevano che avrebbero condotto alla precarietà ed ad un abbassamento delle rimunerazioni per i lavoratori.
8. Il 20 marzo 2002, una seduta della Camera dei deputati fu consacrata alle dichiarazioni del ministro delle Cause Interne in quanto all’assassinio di M. B.. Un dibattito parlamentare seguì. Parecchi interventi fecero riferimento al presunto collegamento esistente tra terrorismo, questioni sociali e lotte sindacali in quanto alla riforma del diritto del lavoro.
9. Il 23 marzo 2002, si tenne a Roma una manifestazione organizzata dalla C.I.G.L. e che mirava a protestare contro l’intenzione del Governo di abrogare l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori, disposizione ai termini della quale se un licenziamento viene giudicato ingiustificato, il lavoratore può chiedere di essere reintegrato nella sua posizione.
10. Il 25 marzo 2002, il quotidiano Il Messaggero pubblicò un articolo, firmato dal Sig. M. C., intitolato “Senza le riforme il Governo, è morto. Bossi: le menzogne della C.I.G.L. hanno creato l’alibi che ha condotto all’omicidio Biagi.” Questo articolo che riferiva le affermazioni fatte all’epoca di un’intervista col Sig. U. B., ministro per le Riforme e deputato, si legge come segue:
“”Da prima la sinistra ha creato il clima, poi qualcuno l’ha ucciso, infine sono stati abbastanza furbi da appropriarsi questa morte.” Sempre lo stesso, U. B. utilizza le parole come le pietre. Ma bisogna sempre interpretarlo ad un punto come B. ha invitato tale da non prenderlo alla lettera. Così i termini “l’hanno ucciso”, in riferimento al professore B., hanno un colore tutto politico. B. fa di tutta la sinistra un fascio: per lui, i partiti, il sindacato ed i terroristi che si qualificano come sinistroidi, sono la stessa cosa.
Ministro B., che cosa pensa della manifestazione sindacale di sabato?
“Ma quale sindacato, quello è un partito. Un partito che oramai non può più negoziare perché è prigioniero delle menzogne (balle) che ha raccontato fino ad adesso.”
Pensa anche che il destino di C. sia scritto e che sarà il prossimo leader della sinistra?
“Affinché diventi leader, gli altri, D’A. e F., devono perdere le elezioni amministrative e, poi, per C., la strada sarà libera. Nel mese di maggio lui e M. diranno “spostatevi.” Questa è politica, non sindacale e per l’istante la politica delle menzogne li ha condotti al terrorismo.”
Pensa che, all’epoca della riunione di domani con gli interlocutori sociali, il Governo si presenterà con qualche novità?
“Si vedrà quale atteggiamento sarà adottato a questo tavolo. Ciò che noto è che la piccola impresa muore col mercato globale se non le si toglie la corda dal collo, e l’articolo 18 è una corda intorno al collo. Ce ne sono poi altri. La riforma è fatta senza oneri per i lavoratori, ci sono forse degli oneri per il sindacato che vuole difendere il suo pane quotidiano(la propria pagnotta) fatto di intermediazione.”
La manifestazione di sabato, porterà ad una modifica della linea del Governo?
“Non penso, ma l’ultima parola appartiene a B. e M. [rispettivamente, Presidente del Consiglio dei ministri e ministro del Lavoro all’epoca dei fatti]. Sabato, un partito è sceso in strada. Cofferati ha visto che la sinistra era debole senza un’idea e senza una bandiera, si è recato nelle fabbriche dicendo delle menzogne, come quello che si licenzia i lavoratori. Questo ha portato al terrorismo. Sono peraltro, a sinistra, anche furbi, da prima l’hanno ucciso… e poi si sono appropriati di questa morte. Sono molto più furbi di noi.”
Cioè?
“Da prima l’hanno ucciso. Non si [potrebbe pensare] che fosse chiunque. Viene da questo mondo e l’alibi sono le menzogne che Cofferati ha detto in fabbrica.”
Sta dicendo che c’è intesa (contiguità) tra sindacato e gruppi (frange) estremisti?
“Non so se c’è intesa, ciò che vedo è che le menzogne proferite dalla C.G.I.L. hanno creato l’alibi per l’assassinio di B.. Passeggiare dicendo “guarda, sarai licenziato” ti farà diventare segretario della sinistra, di un certo tipo di sinistra fuori dalla storia, ma socchiudi la porta ad una connivenza con le persone implicate nel terrorismo.”
B. dice che con B. il Governo è stato colpito. Siete di accordo?
“Si è colpito il Governo perché questo è un Governo che vuole cambiare, e loro, il sindacato, non vogliono cambiamenti.”
Il libro bianco scritto da B. non parla solo dell’articolo 18. Quale sarà la prossima riforma che desiderate fare?
“Non so. Bisogna il chiedere a M.. Ciò che vogliamo è liberare la piccola impresa che, in un mercato globale, ha bisogno di togliere i legami che la soffocano. Ci sono molte cose che non vanno bene nello statuto dei lavoratori. Lo statuto dei lavoratori, con la grande crisi petrolifera, ha provocato negli anni settanta una grande crisi economica. A questa epoca, le grandi imprese hanno creato una serie di piccole imprese per sfuggire ai costi di mercato. Adesso, il mercato globale rischia di cancellarle e noi dobbiamo salvare assolutamente la piccola impresa.”
C. [il Presidente della Repubblica all’epoca dei fatti] continua ad invitare al dialogo tra maggioranza ed opposizioni, in particolare adesso visto il ritorno della minaccia terroristica. Siete di accordo?
“Siamo contrari agli espedienti politici (consociativismo). Quelle cose non hanno nessuna altra origine che quella di sinistra. Non c’è dialogo. Si può fare delle conferenze sul terrorismo, d’accordo. Ma mi ricordo del passato quando i sostenitori delle larghe intese (gli inciucisti) portavano, da un lato, agli accordi dubbi (all’inciucio) e, dell’altro, all’espansione del terrorismo. Il terrorismo deve essere fermato richiamando alle responsabilità coloro che le detengono.”
B. ha detto chiaramente che il Governo proseguirà, ma se non arriva a fare le riforme promesse, che cosa farà la Lega [il partito a cui M. Bossi appartiene]?
“Perché non dovremmo fare le riforme? B. è morto se non facciamo le riforme. Se non facciamo le cose, i democratici cristiani, quelli che giocano su due tavoli allo stesso tempo, ritorneranno. Quale interesse ha a fare ritornare la Democrazia cristiana B.? Per lui, ciò sarebbe la morte.”
È vero che vi si è data di nuovo una scorta?
“Non vero, non l’ho mai avuta. Passeggio coi miei uomini. Così, se uccidono ciò vuole dire che sono contro il nord. Ciò vuole dire che la sinistra sceglie di essere contro il nord. Se un membro della Lega è colpito, è il nord che va a mettersi a caccia della sinistra.”
M. resterà al ministero del Lavoro anche dopo il piccolo rimaneggiamento (mini rimpasto)?
“Certo, si resta là. Non dei democratici cristiani su questa poltrona. Andate, fuori, toglietevi di mezzo (Via, sciò, sgombrare).””
11. All’epoca della seduta del 26 marzo 2002, il Governo informò la Camera dei deputati in quanto a certe dichiarazioni dei suoi membri concernenti la manifestazione sindacale organizzata dalla C.G.I.L. La seduta del 26 giugno 2002 fu consacrata alle risposte del Governo in quanto ad un’interrogazione di un deputato riguardante delle dichiarazioni di certi ministri a riguardo della C.G.I.L. Infine, delle riflessioni analoghe a quelle sviluppate dal Sig. B. nell’intervista precitata furono fatte da certi deputati all’epoca della seduta del 3 luglio 2002.
12. Stimando che le affermazioni del Sig. B. recavano offesa alla loro reputazione, il 15 maggio 2002, i richiedenti citarono questo ultimo, il Sig. C., il direttore del quotidiano Il Messagero e la sua casa editrice dinnanzi al tribunale civile di Roma per ottenere il risarcimento dei danni subiti. I richiedenti adducevano che l’articolo incriminato tendeva a suggerire che c’era una relazione di causa ad effetto tra le attività di difesa dei lavoratori condotti dal sindacato ed il suo segretario generale e l’assassinio del Sig. B., e che il sindacato costituiva l’ambiente da dove provenivano i terroristi.
13. Il 30 luglio 2003, la Camera dei deputati, confermando una proposta formulata dalla commissione per le immunità parlamentari (Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari) stimò che le affermazioni incriminate del Sig. B. costituivano delle opinioni espresse da una parlamentare nella cornice delle sue funzioni. Il Sig. B. beneficiava di conseguenza, a questo riguardo dell’immunità contemplata all’articolo 68 § 1 della Costituzione.
14. Con un’ordinanza del 10 febbraio 2005, il tribunale di Roma investì la Corte costituzionale di un conflitto tra poteri dello stato e sospese il procedimento civile iniziato dai richiedenti. Chiese l’annullamento della deliberazione della Camera dei deputati del 30 luglio 2003.
15. Il tribunale osservò che la commissione per le immunità parlamentari aveva giustificato la sua proposta coi seguenti elementi: a) le dichiarazioni del Sig. B. erano legate rigorosamente al dibattito politico nato dopo l’assassinio del Sig. B.; b) questo omicidio aveva dato adito a dibattito parlamentare, nel corso del quale certi membri della maggioranza avevano messo in evidenza il legame esistente tra il reato e il dibattito politico sulla riforma del mercato del lavoro; c) in quanto ministro, il Sig. B. aveva espresso delle opinioni in quanto alla politica del Governo.
16. Però, agli occhi del tribunale, le opinioni del Sig. B. non erano state espresse nell’esercizio delle sue funzioni parlamentari, come previsto dall’articolo 68 § 1 della Costituzione, letto anche alla luce della legge no 140 del 20 giugno 2003 (vedere qui di seguito sotto “Il diritto e le pratica interne pertinenti”). Difatti, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, l’immunità poteva essere concessa solamente se c’era un’ “identità sostanziale” (corrispondenza sostanziale) tra un atto parlamentare e le dichiarazioni incriminate.
17. Nello specifico, non risultava dalla pratica che il Sig. B. era intervenuto al Parlamento a proposito dell’assassinio del Sig. B. o nella cornice della riforma del mercato del lavoro affrontando la questione dei rapporti tra il sindacato ed i terrorismi. In più, le affermazioni del Sig. B. erano ben differenti rispetto alle dichiarazioni fatte da altri deputati all’epoca dei dibattimenti parlamentari. Peraltro, la circostanza che il Sig. B. fosse un ministro era senza importanza, dato che questa qualità non implicava nessuna immunità.
18. Il tribunale notò infine che, nella sua sentenza Di Jorio c. Italia (no 73936/01, 3 giugno 2004,) la Corte europea dei diritti dell’uomo aveva giudicato che la concessione dell’immunità parlamentare rispetto alle dichiarazioni fatte all’epoca di un’intervista con la stampa e non legate all’esercizio di funzioni parlamentari stricto sensu violava il diritto di accesso ad un tribunale di una persona che si stimava diffamata.
19. La Camera dei deputati ,che chiese il rigetto del ricorso, ed i richiedenti che si dichiararono a favore delle tesi del tribunale di Roma, appellandosi, tra l’altro , alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, si costituirono nel procedimento dinnanzi alla Corte costituzionale.
20. Con una sentenza no 305 del 10 luglio 2007 il cui il testo fu depositato alla cancelleria il 20 luglio 2007, la Corte costituzionale dichiarò inammissibile il conflitto tra poteri dello stato sollevato dal tribunale di Roma.
21. Osservò che la Camera dei deputati aveva eccepito dell’inammissibilità del ricorso, al motivo che le affermazioni presunte diffamatorie del Sig. B. non erano state citate esplicitamente dal tribunale di Roma nella sua ordinanza del 10 febbraio 2005. Questa eccezione doveva essere accolta perché, ai termini della giurisprudenza costituzionale, la mancanza di sviluppo di un base dei fatti impediva la Corte di stabilire se ci fosse un “legame funzionale” (nesso funzionale) tra le dichiarazioni di un deputato ed un atto parlamentare. Nello specifico, il tribunale si era limitato a riferire certi passaggi dell’atto introduttivo di istanza dei querelanti. Era vero che il tribunale aveva citato la data di uscita dell’articolo de Il Messaggero. Questo, però, non permetteva di colmare la lacuna.
22. La sentenza della Corte costituzionale fu pubblicata sulla gazzetta ufficiale del 25 luglio 2007.
23. Ai termini dell’articolo 297 del codice di procedimento civile (“il CPC”), quando un procedimento civile viene sospeso, le parti devono chiedere la determinazione di una nuova udienza per la ripresa del procedimento nei sei mesi a partire dal giorno in cui la ragione della sospensione ha smesso di esistere. Secondo le informazione fornite dal Governo il 7 aprile 2008, a questa data nessuna domanda di determinazione di udienza era giunta alla cancelleria del tribunale di Roma.
II. IL DIRITTO E LE PRATICA INTERNA PERTINENTI
24. L’articolo 68 § 1 della Costituzione e la giurisprudenza della Corte costituzionale in materia di immunità parlamentare sono descritti nelle sentenze Cordova c. Italia, numeri 1 e 2, (rispettivamente, no 40877/98, §§ 22-27, CEDH 2003-I, e no 45649/99, §§ 26-31, CEDH 2003-I).
25. La legge no 140 del 20 giugno 2003, intitolata “Disposizioni per l’esecuzione dell’articolo 68 della Costituzione ed in materia di processi penali contro le alte funzioni dello stato” hanno precisato il campo di applicazione di questa disposizione. Nelle sue parti pertinenti, l’articolo 3 di questa legge si legge così:
“1. L’articolo 68 § 1 della Costituzione si applica ad ogni modo per la presentazione di progetti e proposte di legge, emendamenti, ordini del giorno, risoluzioni, (…), per ogni atto parlamentare, attività di ispezione, di divulgazione, di critica e di denuncia politica legata alla funzione parlamentare, condotta anche all’infuori del Parlamento.
2. Quando in un procedimento giudiziale l’applicazione dell’articolo 68 § 1 della Costituzione viene affermata o eccepita , il giudice ordina, anche d’ufficio, all’occorrenza, la separazione immediata del procedimento di queste che, eventualmente, [erano state] unite.
(…). “
26. Ai termini dell’articolo 137 § 3 della Costituzione, nessuno appello può essere interposto contro le decisioni della Corte costituzionale. Con una sentenza no 29 del 1998, la Corte costituzionale ha confermato il carattere assoluto di questa limitazione che copre ogni istanza che mira ad ottenere l’annullamento o la modifica di una delle sue decisioni.
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
27. I richiedenti si lamentano di un attentato al loro diritto di accesso ad un tribunale, come garantito dall’articolo 6 § 1 della Convenzione.
Nelle sue parti pertinenti, questa disposizione si legge così:
“1. Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia sentita da un tribunale che deciderà delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile “
28. Il Governo si oppone a questa tesi.
A. Sull’ammissibilità
1. L’eccezione del Governo derivata dal difetto manifesto di fondamento della richiesta o dalla mancanza di qualità di vittime dei richiedenti
a) Eccezione del Governo
29. Il Governo osserva che l’azione civile iniziata dai richiedenti non era diretta unicamente contro il Sig. B., ma anche contro il Sig. C.i, il direttore del quotidiano Il Messagero e la sua casa editrice. L’ostacolo procedurale riguardante il Sig. B. non impediva la decisione sul merito nei confronti degli altri convenuti. Ora, l’articolo 6 della Convenzione non garantirebbe in particolare il diritto di ottenere una decisione giudiziale contro una persona. Il diritto di accesso ad un tribunale viene soddisfatto quando un richiedente che rivendica un credito può agire civilmente in modo effettivo contro una o l’altra delle persone responsabili. Quindi, o il motivo di appello del richiedente viene manifestamente privato di fondamento, o gli interessati non possono definirsi “vittime” dei fatti che denunciano.
30. Peraltro, non è vero che i giornalisti, direttori ed editori di quotidiani sono scaricati da ogni responsabilità quando riferiscono in modo fedele i propositi di una personalità pubblica intervistata. Al contrario, secondo una sentenza resa dalle sezioni riunite della Corte di cassazione il 30 maggio 2001 (no 37140), appartiene al giudice del merito di valutare, in ogni caso specifico, se il giornalista si è limitato a riportare il fatto o se si è reso egli stesso “strumento” della diffamazione o “coautore” delle dichiarazioni diffamatorie. Ad ogni modo, il fatto di avere riportato “alla lettera” le dichiarazioni del soggetto intervistato, quando hanno obiettivamente un carattere ingiurioso o diffamatorio, non è di per sé una causa di giustificazione.
31. Il Governo nota anche che la tesi dei richiedenti-secondo cui avrebbero citato a comparire solamente il Sig. C. ed il direttore del giornale nell’ipotesi in cui M. B. avrebbe negato di avere pronunciato le frasi stimate offensive (paragrafo 32 qui di seguito)-è poco credibile. I richiedenti sarebbero stati difatti esposti al pagamento degli oneri di giustizia sostenuti da questi difensori e risulta dai documenti del procedimento interno che l’azione per diffamazione era diretta solidalmente contro tutti i difensori.
b) Argomenti dei richiedenti
32. I richiedenti adducono innanzitutto che le osservazioni del Governo sono inammissibili per tardività, essendo giunte alla cancelleria della Corte il 10 aprile 2008, o tre giorni dopo la scadenza del termine fissato a questo proposito, il 7 aprile 2008. Osservano poi che sarebbe stato inutile continuare il procedimento civile per danno-interessi contro il Sig. C., del direttore del quotidiano Il Messagero e della sua casa editrice. Difatti, ogni giornalista ha il diritto di intervistare dei politici ed è responsabile di diffamazione solamente se riferisce delle dichiarazioni false o inesistenti. I richiedenti hanno citato a comparire solamente il Sig. C. ed il direttore del giornale nell’ipotesi in cui M. B. avrebbe negato di avere pronunciato le frasi stimate offensive, il che non è stato il caso nello specifico.
c) Valutazione della Corte
33. La Corte osserva che l’azione iniziata dai richiedenti contro il Sig. B. aveva un oggetto differente rispetto a quella diretta contro il Sig. C., il direttore del quotidiano Il Messagero e la sua casa editrice. Nella prima, il convenuto era citato in giustizia per la responsabilità derivante dai propositi, presunti diffamatori, che aveva tenuto; nel secondo, il fatto rimproverato ai convenuti era di avere diffuso le dichiarazioni altrui.
34. I richiedenti sostengono peraltro che la seconda azione era stata intentata solo a titolo che supplementare, nell’ipotesi in cui M. B. avrebbe negato avere pronunciato le frasi che gli erano state attribuite. Il Governo contesta questa tesi, adducendo che in dritto italiano una responsabilità civile può sorgere dalla diffusione di dichiarazioni altrui che hanno obiettivamente un carattere ingiurioso o diffamatorio.
35. La Corte non stima necessario dedicarsi a questa questione di dritto interno. Si limita ad osservare che la questione sottoposta all’attenzione delle giurisdizioni italiane era quella di sapere se, tenuto conto del contesto politico e dei fatti in cui erano state fatte, le dichiarazioni del Sig. B. potevano essere interpretate come recanti offesa alla reputazione dei richiedenti attribuendo loro una responsabilità giuridica per l’assassinio del Sig. B.. Ne deriva che, supponendo che le frasi incriminate fossero state pronunciate effettivamente dal Sig. B., l’azione dei richiedenti contro il Sig. C., il direttore del quotidiano Il Messagero e la sua casa editrice sembrava avere ad ogni modo poche probabilità di giungere a conclusione positiva.
36. In più, la Corte ricorda che ai termini della sua giurisprudenza, “sanzionare un giornalista per avere aiutato la diffusione di dichiarazioni provenienti da un terzo, ostacolerebbe gravemente il contributo della stampa alle discussioni di problemi di interesse generale e non potrebbe concepirsi senza ragioni particolarmente serie” (Thoma c. Lussemburgo, no 38432/97, § 62, CEDH 2001-III, e Jersild c. Danimarca, 23 settembre 1994, § 35, serie A no 298).
37. In queste circostanze, la Corte stima che la possibilità teorica di inseguire l’azione per diffamazione contro il Sig. C., il direttore del quotidiano Il Messagero e la sua casa editrice non ha privato i richiedenti del loro requisito di “vittime” rispetto all’immunità concessa al Sig. B. e non potrebbe analizzarsi in un fattore che porta a concludere al difetto manifesto di fondamento della richiesta.
38. L’eccezione del Governo non potrebbe pertanto essere considerata.
2. L’eccezione del Governo derivata dal non-esaurimento delle vie di ricorso interne
a) Eccezione del Governo
39. Il Governo osserva che, malgrado la deliberazione parlamentare controversa, il tribunale di Roma si sarebbe potuto pronunciare sul merito dei motivi di appello dei richiedenti contro il Sig. C., il direttore del quotidiano Il Messagero e la sua casa editrice. Però, i richiedenti non hanno chiesto, in tempo utile, la determinazione di un’udienza dinnanzi a questo tribunale per riattivare il procedimento. Questo passo era necessario per evitare che la causa venisse cancellata dal ruolo. La deliberazione parlamentare e la sentenza della Corte costituzionale avrebbero, certo, condizionato in parte la conclusione della controversia, in particolare per ciò che riguarda il Sig. B., ma non impediva la ripresa del processo principale e la decisione di un giudizio di prima istanza. Per di più, i richiedenti avrebbero potuto interporre appello contro questo ultimo. Come risulta in materia della giurisprudenza interna, il procedimento di appello avrebbe offerto una seconda occasione per sollevare-in modo corretto- un conflitto tra poteri dello stato dinnanzi alla Corte costituzionale. Il Governo ne deduce che i richiedenti hanno omesso di esaurire le vie di ricorso che erano aperte loro in dritto italiano.
40. Il Governo ricorda che, a differenza delle cause Cordova precitate, nel presente caso la giurisdizione interna di prima istanza aveva stimato necessario sollevare un conflitto tra poteri dello stato che è stato dichiarato inammissibile solamente in ragione di un difetto procedurale. Di conseguenza, è molto probabile che la giurisdizione di appello avrebbe sollevato anche simile conflitto facendo attenzione ad evitare lo stesso errore di procedimento.
41. È vero che le sentenze della Corte costituzionale non possono essere l’oggetto di nessun appello. Però, ciò significa unicamente che sarebbe stato impossibile contestare la fondatezza della decisione di inammissibilità o sollevare di nuovo il conflitto tra poteri dello stato se la Corte costituzionale si fosse dedicata alla fondatezza di questo. Nello specifico, la Corte costituzionale si è fermata dinnanzi ad un ostacolo procedurale e non si è pronunciata sulla validità della deliberazione parlamentare controversa. Se questa questione gli fosse stata posta di nuovo e nelle forme adeguate dalla giurisdizione di appello, niente le avrebbe impedito di deciderla. Infine, la giurisprudenza interna vieta di sollevare un stesso conflitto nello stesso grado di giurisdizione, ma non durante un’istanza ulteriore dello stesso procedimento.
b,)Argomenti dei richiedenti
42. I richiedenti osservano che dopo la sentenza con cui la Corte costituzionale ha deciso di non annullare la deliberazione che concedeva l’immunità parlamentare, il procedimento civile per danno-interessi non aveva nessuna possibilità di arrivare a buon fine. Era dunque inutile sollecitarne la ripresa. Peraltro, suddetta sentenza della Corte costituzionale non poteva essere oggetto di nessuno ricorso, come risulta dall’articolo 137 § 3 della Costituzione e dalla sentenza no 29 del 1998 (paragrafo 26 sopra). Non era possibile dunque sollevare, in appello, un nuovo conflitto tra poteri dello stato.
c) Valutazione della Corte
43. Per ciò che riguarda la possibilità di continuare l’azione iniziata contro il Sig. C., il direttore del quotidiano Il Messagero e la sua casa editrice, la Corte può reiterare solamente le osservazioni che ha sviluppato per respingere l’eccezione derivata dalla mancanza di qualità di “vittime” dei richiedenti (paragrafi 33-38 sopra).
44. Per ciò che riguarda la possibilità di sollecitare la decisione di un giudizio di prima istanza che riconoscesse l’immunità di cui il Sig. B. beneficiava per interporre appello contro questo giudizio e di invitare la giurisdizione di seconda istanza a sollevare un nuovo conflitto tra poteri dello stato, la Corte ricorda che nella cornice del dispositivo di protezione dei diritti dell’uomo, la regola dell’esaurimento delle vie di ricorso interne deve applicarsi con una certa flessibilità e senza formalismo eccessivo. Allo stesso tempo, obbliga, in principio, a sollevare dinnanzi alle giurisdizioni nazionali adeguate, almeno in sostanza, nelle forme e nei termini prescritti dal diritto interno, i motivi di appello che si intende formulare in seguito a livello internazionale (vedere, tra molte altre, Azinas c. Cipro [GC], no 56679/00, § 38, CEDH 2004-III, e Fressoz e Roire c. Francia [GC], no 29183/95, § 37, CEDH 1999-I).
45. Però, l’obbligo derivante dall’articolo 35 § 1 si limita a quello di fare verosimilmente un uso normale di ricorsi efficaci, sufficienti ed accessibili (Sofri ed altri c. Italia,( déc.), no 37235/97, CEDH 2003-VIII). In particolare, la Convenzione prescrive l’esaurimento solo di ricorsi al tempo stesso relativi alle violazioni incriminate, disponibili ed adeguati. Devono esistere non solo ad un grado sufficiente di certezza in teoria ma anche in pratica, mancando loro altrimenti l’effettività e l’accessibilità volute (Dalia c. Francia, 19 febbraio 1998, § 38, Raccolta delle sentenze e decisioni 1998-I). In più, secondo i “principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti”, certe circostanze particolari possono dispensare il richiedente dall’obbligo di esaurire le vie di ricorso interne che si offrono a lui ( Aksoy c. Turchia, Raccolta 1996-VI, § 52, 18 dicembre 1996).
46. Nello specifico, i richiedenti dunque avrebbero dovuto sollecitare la ripresa di un procedimento di prima istanza che, nella misura in cui era diretto contro il Sig. B., era destinato al fallimento. Avrebbero anche, in seguito, dovuto interporre appello al giudizio del tribunale di Roma al solo scopo di sollecitare la giurisdizione di seconda istanza a sollevare un nuovo conflitto tra poteri dello stato, sperando che, a dispetto della sentenza della Corte costituzionale no 305 del 10 luglio 2007 e della formula dell’articolo 137 § 3 della Costituzione, i giudici di appello avrebbero stimato tale passo necessario.
47. Agli occhi della Corte, obbligare un richiedente ad iniziare tali passi in presenza di una decisione negativa di una giurisdizione Suprema equivale ad imporgli di fare ricorso ad artifici di procedimento le cui probabilità di successo sembrano inesistenti, per sollecitare un riesame della sua causa. Questo sembra andare al di là dell’uso “normale” dei ricorsi interni richiesto dall’articolo 35 § 1 della Convenzione.
48. Ad ogni modo, conviene ricordare che “nel sistema giuridico italiano, un individuo non gode di un accesso diretto alla Corte costituzionale: ha solo la facoltà di investire, su richiesta di una parte in causa o d’ufficio, una giurisdizione che conosce il merito di una causa. Quindi, simile questione non potrebbe analizzarsi come un ricorso di cui la Convenzione esige l’esaurimento” (vedere, mutatis mutandis e tra molte altre, Brozicek c. Italia, 19 dicembre 1989, § 34, serie Ano 67).
49. In queste circostanze, c’è luogo di respingere l’eccezione di non-esaurimento del Governo.
3. Altri motivi di inammissibilità
50. La Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente mal fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. La Corte rileva peraltro che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararlo ammissibile.
B. Sul merito
1. Argomenti delle parti
a) Il Governo
51. Il Governo stima innanzitutto che non c’è stata ingerenza nel diritto dei richiedenti ad avere accesso ad un tribunale. Reitera la sua osservazione secondo la quale i richiedenti avrebbero potuto continuare la loro azione civile contro il Sig. C., il direttore del quotidiano Il Messagero e la sua casa editrice. In più, per ciò che riguarda il Sig. B., i richiedenti hanno avuto la possibilità di intervenire nel procedimento dinnanzi alla Corte costituzionale, dove hanno potuto presentare degli argomenti che miravano ad ottenere l’annullamento della deliberazione parlamentare controversa. Questa possibilità, da sola, ha costituito una forma adeguata di accesso ad un tribunale. È vero che nello specifico non si è potuto raggiungere il risultato previsto dai richiedenti in ragione di un difetto di formulazione del ricorso che sollevava il conflitto tra poteri dello stato. La Corte costituzionale ha affermato peraltro costantemente che questo ricorso deve contenere un “riferimento preciso agli elementi indispensabili all’identificazione delle ragioni del conflitto”, il che mancava nello specifico. Non è meno che, essendosi fermata dinnanzi ad un ostacolo di natura procedurale, la Corte costituzionale non ha confermato la validità della deliberazione parlamentare controversa. Questo avrebbe permesso che un nuovo conflitto venisse sollevato in appello. L’azione civile contro il Sig. B. non era dunque “paralizzata”.
52. Supponendo anche che ci sia stata ingerenza in uno dei diritti garantiti dall’articolo 6, questa era prevista dalla legge ed inseguiva gli scopi legittimi di garantire la separazione dei poteri dello stato, l’indipendenza del potere legislativo, la libertà del dibattito parlamentare e la libera espressione dei rappresentanti del popolo. In più, era proporzionata a questi scopi.
53. In quanto protagonisti del gioco politica, gli eletti dal popolo devono godere di una più grande latitudine nella libertà di espressione. Nelle precedenti cause di immunità parlamentare, la Corte non ha tenuto debitamente conto di questo. Quando in un procedimento per diffamazione un’eccezione di immunità viene sollevata, il giudice del merito si deve confrontare con una scelta che dipende da una pluralità di fattori. Se l’attività rimproverata al deputato entra manifestamente nella nozione di esercizio della funzione parlamentare, il giudice potrà mettere fine al procedimento. Se invece sorge un dubbio a questo riguardo, il giudice potrà, in principio, sollevare un conflitto tra poteri dello stato, ma conserva in materia una certa scelta discrezionale, tenendo conto delle esigenze costituzionali e convenzionali. Il giudice deve chiedersi, in particolare, quale sarà l’utilità concreta di scatenare un procedimento lungo e complesso dinnanzi alla Corte costituzionale, implicando la sospensione dell’esame della causa. A questo riguardo, dovrà tenere anche conto della necessità di rispettare il “termine ragionevole.” In particolare, se il giudice è persuaso che, dal punto di vista del diritto interno o sotto l’angolo della Convenzione, l’azione per diffamazione non abbia fortuna reale di arrivare ad un successo, gli sarà lecito proseguire l’esame della causa senza interpellare la Corte costituzionale.
54. L’immunità parlamentare ritorna in gioco solo se gli atti incriminati sono riprovevoli; se, in compenso, costituiscono una manifestazione legittima della libertà di espressione, l’immunità non ha nessuno ruolo da giocare. In questo ultimo caso, non si potrebbe riconoscere a quello che si stima a torto diffamato un diritto di accesso ad un tribunale per invocare dei diritti che non sono, in modo difendibile, riconosciuti dalla legislazione interna. Peraltro, quando un deputato esercita, anche all’infuori del suo mandato parlamentare, la sua libertà di espressione in modo legittimo, la sua eventuale condanna violerebbe l’articolo 10 della Convenzione. Questa ultima disposizione e la giurisprudenza che ne fa applicazione sostengono un ruolo cruciale nella valutazione di un’ingerenza nel diritto di accesso ad un tribunale. Se nessuno diritto sostanziale esiste, o se la controversia non è atta a garantirne direttamente la realizzazione, l’articolo 6 della Convenzione non si trova ad applicare.
55. Affinché un’istanza per diffamazione venga accolta, occorre che le espressioni controverse siano intrinsecamente diffamatorie e che non costituiscano un esercizio legittimo del diritto alla libertà di espressione. La Corte dovrebbe concedersi ad una valutazione delle dichiarazioni del Sig. B. per valutare dunque se fossero protette dall’articolo 10 della Convenzione.
56. Nello specifico, sollevando un conflitto tra poteri dello stato, il tribunale di Roma ha espresso implicitamente un dubbio in quanto al peso rispettivo che bisognava assegnare, da una parte, alla libertà di espressione del Sig. B. e, dall’altra parte, ai diritti rivendicati dai richiedenti. La Corte non è legata però da questa valutazione del giudice interno. Nell’occorrenza il diritto rivendicato dai richiedenti doveva cedere difatti, di fronte alla libertà di espressione esercitata dal Sig. B.. Questo ultimo è un politico di primo piano in Italia, capo di una formazione rappresentata al Parlamento italiano ed europeo.
57. Qualunque fosse il loro legame con un’attività parlamentare specifica, le dichiarazioni controverse si inserivano nel dibattito pubblico scatenato dall’assassinio del Sig. B. con un gruppo terroristico. Questo crimine era motivato dalle posizioni prese ed il lavoro effettuato dalla vittima nel campo del diritto del lavoro. In questo dibattito di interesse pubblico, certi sostenevano che le posizioni del sindacato e la critica virulenta delle idee della vittima avevano contribuito a creare il clima che aveva favorito la nascita del progetto criminale dei terroristi. Tale era, in sostanza, la tesi difesa dal Sig. B., ricorrendo ad una certa dose di esagerazione e di veemenza polemica. In queste circostanze, anche in mancanza di un’immunità parlamentare, il procedimento al merito sarebbe potuto arrivare solamente ad una decisione di rigetto dell’istanza dei richiedenti. In una nota annessa alle osservazioni del Governo, il servizio legale (avvocatura) della Camera dei deputati afferma che le dichiarazioni del Sig. B. erano legate ad un’attività parlamentare preliminare, ossia i dibattimenti che avevano avuto luogo in seno alla camera legislativa il 20 e 26 marzo, 26 giugno e 3 luglio 2002 (paragrafi 8 e 11 sopra). Peraltro, ogni opinione che ha una connessione con la “politica parlamentare” dovrebbe essere considerata come legata ad un’attività parlamentare.
b) I richiedenti,
58. I richiedenti ricordano che la loro richiesta riguarda la questione di sapere se c’è stata ingerenza nel loro diritto di accesso ad un tribunale e se tale ingerenza fosse proporzionata. La questione di sapere se c’è stato un giusto equilibrio tra le libertà di espressione di una parlamentare e la protezione del diritto all’onore delle persone che si stimano offese da lui potrebbe porsi unicamente se ci fosse stata decisione sul merito dell’azione per diffamazione. I richiedenti non hanno avuto l’opportunità di convincere i giudici del merito che le dichiarazioni del Sig. B. superavano i limiti di una critica legittima e si sono analizzati in offese gratuite.
59. Ad ogni modo, il Sig. B. ha, in sostanza, imputato ai richiedenti di essere politicamente e moralmente responsabili di un omicidio. Questo costituisce un’accusa specifica non provata che ha portato un attentato ingiustificato alla loro reputazione, e permette di distinguere il presente caso dalle cause in cui la Corte ha concluso alla violazione dell’articolo 10 della Convenzione in ragione della condanna per diffamazione di un eletto del popolo.
60. I richiedenti notano ulteriormente che il meccanismo previsto dal sistema italiano per controllare la legittimità di una deliberazione che concede l’immunità parlamentare è di natura tale da rendere difficile la protezione dei diritti dei terzi. La persona che si stima diffamata da un membro del Parlamento può intervenire nel procedimento per la concessione dell’immunità e deve convincere poi il giudice a sollevare, nelle forme appropriate, un conflitto tra poteri dello stato; infine, ha la facoltà di intervenire nel procedimento dinnanzi alla Corte costituzionale. Nello specifico, per ragioni che non potrebbero essere imputate ai richiedenti, il giudice del merito non ha rispettato le formalità richieste dalla Corte costituzionale ed il loro intervento dinnanzi a questa ultima è stato privato di ogni effetto utile.
61. I richiedenti osservano che in ragione della deliberazione della Camera dei deputati e della sentenza della Corte costituzionale, il procedimento civile che hanno iniziato contro il Sig. B. dovrà fermarsi. Quindi, non avranno nessuna possibilità di ottenere una decisione sul merito della loro azione per diffamazione. Peraltro, pronunciate nella cornice di interviste con la stampa, le dichiarazioni controverse non erano legate all’esercizio di funzioni parlamentari. Il Sig. B. non è difatti mai intervenuto mai in modo scritto od orale, in seno ad una camera legislativa a proposito dell’assassinio del Sig. B.. In più, non esiste nessuno atto parlamentare preliminare con cui M. B. avrebbe mostrato la sua intenzione di accusare i richiedenti di essere gli ispiratori morali o politici di questo omicidio. Gli atti citati dalla Camera dei deputati erano stati presentati da altri membri del Parlamento; del resto la maggior parte sono posteriori all’intervista del Sig. B. e nessuno di essi accusa, sia anche solo moralmente, i richiedenti dell’omicidio.
2. Valutazione della Corte
62. La Corte stima che la richiesta pone innanzitutto la questione di sapere se i richiedenti hanno potuto esercitare il loro diritto, garantito dall’articolo 6 della Convenzione, ad accesso ad un tribunale (Golder c. Regno Unito, 21 febbraio 1975, §§ 35-36, serie A no 18, Cordova (no 2), precitata, § 48, e Di Jorio c. Italia, no 73936/01, § 40, 3 giugno 2004).
a) Sull’esistenza di un’ingerenza nell’esercizio da parte dei richiedenti del loro diritto ad accesso ad un tribunale
63. La Corte nota che, con la sua deliberazione del 30 luglio 2003, la Camera dei deputati ha dichiarato che le affermazioni del Sig. B. erano coperte dall’immunità consacrata dall’articolo 68 § 1 della Costituzione, il che impediva di continuare ogni procedimento penale o civile che mirasse a stabilire la responsabilità del deputato in questione ed ad ottenere il risarcimento dei danni subiti.
64. È vero che la legittimità di suddetta deliberazione è stata oggetto di un esame da prima del tribunale di Roma (paragrafi 14-18 sopra) poi della Corte costituzionale che, nella sua sentenza no 305 del 10 luglio 2007, ha dichiarato il conflitto tra poteri dello stato inammissibile per i motivi procedurali (paragrafi 20-21 sopra).
65. Non si saprebbe confrontare tuttavia delle simili valutazioni ad una decisione sul diritto dei richiedenti alla protezione della loro reputazione, né considerare che un grado di accesso al giudice limitato alla facoltà di porre una questione preliminare bastasse per garantire ai richiedenti il “diritto ad un tribunale”, avuto riguardo al principio della preminenza del diritto in una società democratica (Cordova, numeri 1 e 2, precitate, rispettivamente § 52 e § 53, Di Jorio, precitata, § 53, e, mutatis mutandis, Waite e Kennedy c. Germania [GC], no 26083/94, § 58, CEDH 1999-I). A questo motivo, conviene ricordare che l’effettività del diritto in questione richiede che un individuo goda di una possibilità chiara e concreta di contestare un atto recante offesa ai suoi diritti (Bellet c. Francia, 4 dicembre 1995, § 36, serie A no 333-B). Nella presente causa, in seguito alla deliberazione del 30 luglio 2003, duplicata dalla decisione della Corte costituzionale di dichiarare inammissibile il conflitto tra poteri dello stato, l’azione civile iniziata contro il Sig. B. è stata paralizzata, ed i richiedenti si sono visti privare della possibilità di ottenere qualsiasi forma di risarcimento per il loro danno addotto (vedere, mutatis mutandis, Ielo c. Italia, no 23053/02, §§ 43-44, 6 dicembre 2005).
66. In quanto alle affermazioni del Governo concernenti la possibilità di proseguire l’azione civile contro il Sig. C., il direttore del quotidiano Il Messaggero e la sua casa editrice (paragrafo 51 sopra) la Corte può solamente reiterare le osservazioni che l’hanno portata a respingere le eccezioni preliminari (paragrafi 35-38 e 43 sopra).
67. In queste condizioni, la Corte considera che i richiedenti hanno subito un’ingerenza nel loro diritto all’ accesso ad un tribunale (vedere, mutatis mutandis, Cordova, numeri 1 e 2, precitate, rispettivamente §§ 52-53 e §§ 53-54; Di Jorio precitata, §§ 45-47; Patrono, Cascini e Stefanelli c. Italia, no 10180/04, §§ 55-58, 20 aprile 2006).
68. Ricorda comunque che questo diritto non è assoluto, ma può dare adito a limitazioni implicitamente ammesse. Tuttavia, queste limitazioni non potrebbero restringere l’accesso aperto all’individuo un modo o ad un punto tale che il diritto risulti toccato nella sua stessa sostanza. Inoltre, si conciliano con l’articolo 6 § 1 solo se inseguono un scopo legittimo e se esiste un rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo previsto (vedere, tra molte altre, Khalfaoui c. Francia, no 34791/97, §§ 35-36, CEDH 1999-IX, e Papon c. Francia, no 54210/00, § 90, 25 luglio 2002; vedere anche il richiamo dei principi pertinenti in Fayed c. Regno Unito, 21 settembre 1994, § 65, serie A no 294-B).
b) Scopo dell’ingerenza
69. La Corte rileva che generalmente il fatto per gli Stati di accordare un’immunità più o meno distesa ai membri del Parlamento costituisce una pratica di lunga data che mira a permettere la libera espressione dei rappresentanti del popolo ed ad impedire che dei perseguimenti partigiani possano recare offesa alla funzione parlamentare. In queste condizioni, la Corte stima che l’ingerenza in questione che era prevista dall’articolo 68 § 1 della Costituzione, perseguiva degli scopi legittimi, ossia la protezione del libero dibattito parlamentare ed il mantenimento della separazione dei poteri legislativi e giudiziali (A. c. Regno Unito, no 35373/97, §§ 75-77, CEDH 2002-X; Cordova, numeri 1 e 2, precitata, rispettivamente § 55 e § 56; Di Jorio precitata, § 49; Patrono, Cascini e Stefanelli, precitato, § 59).
70. Resta da verificare se le conseguenze subite dai richiedenti fossero proporzionate agli scopi legittimi previsti.
c) Proporzionalità dell’ingerenza
71. Trattandosi dei principi generali concernenti la proporzionalità delle ingerenze in materia di immunità parlamentare, la Corte rinvia innanzitutto alla giurisprudenza che è emanata nelle cause Cordova c. Italia, Cordova, numeri 1 e 2, precitate, rispettivamente §§ 57-61 e §§ 58-62).
72. Nello specifico, la Corte rileva che, pronunciate nella cornice di interviste con la stampa, e dunque all’infuori di una camera legislativa, le dichiarazioni controverse del Sig. B. non erano legate all’esercizio di funzioni parlamentari stricto sensu. È vero che nel corso delle sedute del 20 e 26 marzo, 26 giugno e 3 luglio 2002, un dibattito parlamentare ha avuto luogo in seno alla Camera dei deputati a proposito dell’omicidio del Sig. B, (paragrafi 8 e 11 sopra). E’ altrettanto vero che non risulta dalla pratica che il Sig. B. sia intervenuto, in modo scritto od orale, in seno ad una camera legislativa a questo motivo o abbia menzionato una responsabilità morale o politica dei richiedenti per l’assassinio in causa. I richiedenti lo sottolineano a buon diritto (paragrafo 61 sopra) ed il Governo non ha contestato questa affermazione. Conviene anche notare che le sedute parlamentari del 26 marzo, 26 giugno e 3 luglio 2002 hanno avuto luogo dopo l’intervista del Sig. B. alla stampa.
73. La Corte ha esaminato le dichiarazioni di questo ultimo, come riferite dal quotidiano Il Messaggero. Stima che tendevano a sostenere, in sostanza che con la loro azione di contestazione delle riforme programmate dal Governo nel campo del diritto del lavoro, i richiedenti fossero, almeno in parte, responsabili del clima di tensione sociale che aveva condotto all’omicidio del Sig. B.. Ora, in tale caso, non si potrebbe giustificare un diniego di accesso alla giustizia per il solo motivo che la lite avrebbe potuto essere di natura politica o legata ad un’attività politica (vedere, mutatis mutandis, Cordova, no 2, precitata, § 63, Di Jorio, precitata, § 53, e Patrono, Cascini e Stefanelli, precitata, § 62).
74. Secondo la Corte, la mancanza di un legame evidente con un’attività parlamentare chiama un’interpretazione stretta della nozione di proporzionalità tra lo scopi previsto ed i mezzi impiegati. E’ particolarmente così quando le restrizioni al diritto di accesso derivano da una deliberazione di un organo politico. Concludere diversamente equivarrebbe a restringere in modo incompatibile con l’articolo 6 § 1 della Convenzione il diritto di accesso ad un tribunale degli individui ogni volta che i propositi attaccati in giustizia sono stati emessi da un membro del Parlamento (Cordova, numeri 1 e 2, precitate, rispettivamente § 63 e § 64, e Di Jorio, precitata, § 54).
75. La Corte stima che nello specifico la deliberazione della Camera dei deputati del 30 luglio 2003 concedendo l’immunità al Sig. B. che ha avuto come conseguenza di paralizzare l’azione dei richiedenti tendente a garantire la protezione della loro reputazione, non ha rispettato il giusto equilibro che deve regnare in materia tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo.
76. La Corte lega anche importanza al fatto che dopo la deliberazione in questione e la sentenza della Corte costituzionale no 305 del 2007, i richiedenti non disponessero di altre vie ragionevoli per proteggere efficacemente i loro diritti garantiti dalla Convenzione (vedere Patrono, Cascini e Stefanelli precitata, § 65, e, a contrario, Waite e Kennedy, precitata, §§ 68-70, ed A. c. Regno Unito, precitata, § 86).
77. A questo riguardo, la Corte ricorda che nelle cause Cordova ed Jorio, aveva notato che la giurisprudenza della Corte costituzionale aveva conosciuto una certa evoluzione e che l’alta giurisdizione italiana stimava oramai illegittimo che l’immunità venisse estesa ai propositi che non avevano rapporto sostanziale con gli atti parlamentari preliminari di cui il rappresentante riguardato potrebbe passare per essersi fatto eco (Cordova numeri 1 e 2, precitate, rispettivamente § 65 e § 66, e Di Jorio, precitata, § 56). E’ anche vero che nella presente causa la Corte costituzionale, rilevando l’esistenza di un ostacolo di natura procedurale posto con la formula dell’ordinanza del tribunale di Roma del 10 febbraio 2005, ha negato di esaminare se i propositi del Sig. B. rientravano nell’esercizio di “funzioni parlamentari” ed erano coperti dall’articolo 68 § 1 della Costituzione (vedere, mutatis mutandis, Jelo, precitata, § 54).
78. Non appartiene alla Corte di dedicarsi all’esattezza di questa interpretazione in diritto interno. Difatti, appartiene al primo capo alle autorità nazionali, ed in particolare spetta ai corsi ed ai tribunali, interpretare la legislazione interna (Edificaciones March Gallego S.p.A. c. Spagna, Raccolta 1998-I, § 33, 19 febbraio 1998, e Pérez di Rada Cavanilles c. Spagna, 28 ottobre 1998, § 43, Raccolta 1998-VIII). In compenso, il ruolo della Corte è quello di verificare la compatibilità con la Convenzione degli effetti di simile interpretazione (Cordova (no 1), precitata, § 57, Kaufmann c. Italia, no 14021/02, § 33, 19 maggio 2005, ed Ielo, precitata, § 55). Senza esaminare in abstracto la legislazione e la pratica pertinente, deve ricercare se il modo in cui hanno toccato i richiedenti ha infranto la Convenzione (vedere, mutatis mutandis, Padovani c. Italia, 26 febbraio 1993, § 24, serie A no 257-B). Ora, come la Corte ha appena costatato (paragrafo 75 sopra) l’ostacolo al diritto di accesso alla giustizia dei richiedenti non è stato, nello specifico, proporzionata agli scopi legittimi perseguiti.
79. Infine, per ciò che riguarda l’argomento del Governo secondo il quale, dato che i propositi del Sig. B. si analizzavano in un esercizio legittimo della sua libertà di espressione, il procedimento al merito sarebbe potuto arrivare solamente ad una decisione di rigetto dell’istanza dei richiedenti (paragrafi 53-57 sopra) la Corte osserva che non è chiamata a pronunciarsi sul punto di sapere se, nello specifico, c’era stata diffamazione. Nella cornice della presente richiesta, la questione che le viene sottoposta è quella di valutare se i richiedenti che avevano introdotto dinnanzi ad un tribunale internano un’azione per diffamazione non manifestamente priva di serietà, abbiano potuto beneficiare di un accesso alla giustizia che soddisfacesse le esigenze della Convenzione. Ora, tale non è stato il caso nello specifico.
80. Quindi, c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.
II. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
81. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
82. I richiedenti chiedono la concessione di un “risarcimento pecuniario per il danno morale e materiale” che avrebbero subito.
83. Il Governo sottolinea che i richiedenti non hanno valutato le loro pretese e che le loro richieste di soddisfazione equa hanno un carattere molto vago, il che dovrebbe condurre a respingerle. In mancanza dell’indicazione, anche approssimativa, di una somma giudicata adeguata, il Governo non è in grado di formulare dei commenti adeguati. In queste condizioni, fare diritto alla domanda dei richiedenti si tradurrebbe in un’incomprensione del diritto del Governo di disporre degli elementi necessari per esporre le sue tesi e difendersi.
84. La Corte stima che i richiedenti non hanno fornito nessuna prova del danno materiale che si presume abbiano subito. Quindi, nessuna somma può essere concessa a questo titolo. Giudica in compenso che gli interessati abbiano subito un torto morale certo. Avuto riguardo alle circostanze della causa e deliberando in equità come vuole l’articolo 41 della Convenzione, decide di concedere ad ogni richiedente la somma di 8 000 EUR. La somma globale da versare ai richiedenti a questo titolo ammonta dunque a 16 000 EUR.
B. Oneri e spese
85. I richiedenti non hanno fatto richiesta a titolo di oneri e spese ai quali avrebbero dovuto fare fronte a livello interno o dinnanzi alla Corte. Pertanto, la Corte stima che non c’è luogo di concedere lro alcuna somma a questo titolo.
C. Interessi moratori
86. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE,
1. Dichiara, all’unanimità, la richiesta ammissibile,;
2. Stabilisce, per cinque voci contro due, che c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
3. Stabilisce, per cinque voci contro due,
a) che lo stato convenuto deve versare ad ogni richiedente, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, 8 000 EUR (ottomila euro) per danno morale, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale,;
4. Respinge, all’unanimità, la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 24 febbraio 2009, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Sally Dollé Francesca Tulkens
Cancelliera Presidentessa
Alla presente sentenza si trova unita, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 dell’ordinamento, l’esposizione dell’opinione si separata dei giudici Sajó e Karakaş.
F.T.
S.D.
OPINIONE DISSIDENTE COMUNE AI GIUDICI
SAJÓ E KARAKAŞ
Non condividiamo il parere della maggioranza secondo cui c’è stata in questa causa violazione dell’articolo 6 della Convenzione.
Bisogna ricordare innanzitutto che l’immunità riconosciuta ai membri del Parlamento per i loro voti ed opinioni ha per scopo di garantire agli interessati, nell’esercizio delle loro funzioni, la libertà di espressione più ampia possibile affinché possano dibattere liberamente di ogni questione concernente la vita pubblica senza dover temere persecuzioni o eventuali conseguenze giudiziali.
Secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale italiana relativa alle opinioni espresse fuori dal Parlamento, bisogna verificare l’esistenza di un legame con le attività parlamentari: deve esserci particolarmente una corrispondenza sostanziale tra le opinioni in causa ed un atto parlamentare preliminare (Cordova c. Italia (no 2), no 45649/99, CEDH 2003-I).
Nella presente causa, secondo la maggioranza, le dichiarazioni del Sig. B. pubblicate su Il Messaggero il 25 marzo 2002, espresse all’infuori di una camera legislativa, non erano legate all’esercizio delle funzioni parlamentari stricto sensu.
Pensiamo da parte nostra che questa causa si distingue delle altre cause italiane concernenti l’immunità parlamentare in cui la Corte ha constatato la violazione dell’articolo 6 (Cordova (no 2)) precitata; Di Jorio c. Italia, no 73936/01, 3 giugno 2004).
Le osservazioni in causa non riguardano un individuo nella sua sfera privata; contrariamente alle dichiarazioni controverse nella causa Di Jorio (§ 53), le dichiarazioni qui in causa non sembrano iscriversi nella cornice di una lite tra individui.” Il richiedente è un’importante associazione sindacale, ed il richiedente è membro di questa che partecipa al dibattito politico, con tutte le possibilità di reazione appartenenti alle entità pubbliche dotate di un certo potere.
Nell’occorrenza, la pubblicazione dell’intervista del Sig. B. il 25 marzo 2002 ebbe luogo dopo il dibattito parlamentare del 20 marzo 2002 sull’assassinio del Sig. B., il terrorismo e la lotta dei sindacati nel contesto della riforma del diritto del lavoro. Il 23 marzo si tenne una manifestazione organizzata dal sindacato in causa che protestava contro la riforma prevista dal Governo. In quanto ministro delle Riforme e deputato, il Sig. B. rilasciò un’intervista su queste questioni, probabilmente il 23 o 24 marzo, che il quotidiano Il Messaggero pubblicò il 25 marzo. L’indomani il 26 marzo, il Governo informò la Camera dei deputati in quanto a certe dichiarazioni dei suoi membri sulla manifestazione organizzata dal sindacato. Una seduta consacrata alle risposte del Governo a questo motivo fu fissata al 26 giugno 2002.
Le date che corrispondono alle circostanze della causa ci mostrano il legame tra le attività parlamentari, contrariamente alla maggioranza, noi non pensiamo che il fatto che M. B. non abbia preso la parola durante i dibattimenti parlamentari sia un elemento decisivo, e le opinioni che l’interessato ha espresso all’infuori del Parlamento.
Non si può considerare poi, nello specifico che i propositi del Sig. B. si inseriscano nella cornice di una lite tra individui (in questo senso, vedere Di Jorio, precitata, § 53). Al contrario, le dichiarazioni del Sig. B. erano un contributo ad un dibattito di interesse pubblico, nella cornice dell’esercizio legittimo della sua libertà di espressione.
In una società moderna dove regna la comunicazione di massa, le funzioni parlamentari e la presa di parola legata a queste funzioni non potrebbero essere limitate alle dichiarazioni fatte in seno al Parlamento; sono legate strettamente ai propositi che sono tenuti nei media a proposito del dibattito parlamentare. Questo dibattito non riguarda unicamente altri deputati ma anche l’insieme dell’opinione pubblica. Nello specifico, l’intervista accordata al quotidiano faceva parte di un dibattito parlamentare più vasto e, a questo titolo, era legata stricto sensu a questo.
Permettere i procedimenti penali e civili contro i deputati spetterebbe ad accettare ogni effetto inibitore che questi procedimenti hanno inevitabilmente sul discorso politica. Anche se in fin dei conti l’autore delle dichiarazioni controverse viene prosciolto o un altro modo vince il processo, gli oneri di giustizia, il tempo trascorso e altre costrizioni avranno nel frattempo ostacolato un vero dibattito. Se non si protegge l’irresponsabilità dei principali eletti politici per i propositi che tengono, è l’essenza stessa del discorso politica che è in gioco. La protezione dell’articolo 10 della Convenzione perde la sua effettività se viene applicata a posteriori, dopo un lungo procedimento. Anche l’immunità assoluta dei deputati è stata giudicata legittima, perché permette a questi di partecipare in modo costruttivo ai dibattimenti parlamentari e di rappresentare i loro elettori su delle questioni di interesse pubblico formulando liberamente i loro propositi o le loro opinioni, senza rischio di perseguimenti dinnanzi ad un tribunale o un’altra autorità (vedere, in particolare, A. c. Regno Unito, no 35373/97, § 75, CEDH 2002-X).
È vero che il richiedente ha subito un attentato al suo diritto di accesso ad un tribunale. Ma questo diritto non è assoluto e può dare adito a limitazioni implicitamente ammesse. Queste limitazioni non potrebbero restringere tuttavia l’accesso aperto all’individuo in un modo o ad un punto tale che il diritto venga toccato nella sua stessa sostanza. Inoltre, si conciliano con l’articolo 6 § 1 solo se inseguono un scopo legittimo e se esiste un rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo previsto (vedere, tra molte altre, Khalfaoui c. Francia, no 34791/97, §§ 35-36, CEDH 1999-IX, e Papon c. Francia, no 54210/00, § 90, CEDH 2002-VII; vedere anche il richiamo dei principi pertinenti in Fayed c. Regno Unito, 21 settembre 1994, § 65, serie A no 294-B).
La Camera dei deputati ha stimato che le dichiarazioni del Sig. B. costituivano delle opinioni espresse da una parlamentare nella cornice delle sue funzioni. L’interessato ha beneficiato dunque a questo riguardo dell’immunità contemplata all’articolo 68 della Costituzione. La legittimità della deliberazione della Camera dei deputati è stata esaminata dal tribunale di Roma e dalla Corte costituzionale in virtù del diritto interno.
Condividiamo il parere secondo cui l’ingerenza in causa nello specifico perseguiva degli scopi legittimi ed era proporzionale nella cornice dell’immunità concessa per l’esercizio di funzioni parlamentari, soprattutto per un dibattito libero ed aperto su una questione pertinente della società che non riguardava una lite tra individui.
Quindi, concludiamo che non c’è stata violazione dell’articolo 6.