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Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE C.G.I.L. ET COFFERATI c. ITALIE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 2
Articoli: 41, 6
Numero: 46967/07/2009
Stato: Italia
Data: 2009-02-24 00:00:00
Organo: Sezione Seconda
Testo Originale

Conclusione Violazione dell’art. 6-1; danno materiale – domanda respinta; Danno morale – risarcimento
SECONDA SEZIONE
CAUSA C.G.I.L. E COFFERATI C. ITALIA
(Richiesta no 46967/07)
SENTENZA
STRASBURGO
24 febbraio 2009
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.

Nella causa C.G.I.L. e Cofferati c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Ireneu Cabral Barreto, Vladimiro Zagrebelsky, Danutė Jočienė, Dragoljub Popović, András Sajó, Işıl Karakaş, giudici,
e di Sally Dollé, cancelliera di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 27 gennaio 2009,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data,:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 46967/07) diretta contro la Repubblica italiana e in cui un cittadino di questo Stato, il Sig. S. C. ed un’associazione sindacale la Confederazione Generale Italiana del Lavoro (“la C.G.I.L. “, qui di seguito, “i richiedenti”), hanno investito la Corte il 19 ottobre 2007 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. I richiedenti sono rappresentati da F. C., avvocato a Roma. Il governo italiano (“il Governo”) è rappresentato dal suo agente, la Sig.ra E. Spatafora, e dal suo co-agente, il Sig. F. Crisafulli.
3. I richiedenti adducono un attentato al loro diritto di accesso ad un tribunale.
4. Il 28 novembre 2007, la presidentessa della seconda sezione della Corte ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Avvalendosi delle disposizioni dell’articolo 29 § 3 della Convenzione, ha deciso che sarebbero state esaminate l’ammissibilità e la fondatezza della causa allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
5. Il richiedente è un’associazione sindacale che ha la sua sede a Roma. Il richiedente è nato nel 1948 e ha risieduto a Bologna.
6. Nel 2002, il richiedente era il segretario generale della C.I.G.L.
7. Il 19 marzo 2002, il Sig. M. B., un professore di diritto che era il consulente del ministro del Lavoro, fu assassinato dalle brigate rosse. Il Sig. B. aveva sostenuto la necessità di introdurre una flessibilità più grande nei contratti di lavoro. Le sue idee erano state contestate dai richiedenti che adducevano che avrebbero condotto alla precarietà ed ad un abbassamento delle rimunerazioni per i lavoratori.
8. Il 20 marzo 2002, una seduta della Camera dei deputati fu consacrata alle dichiarazioni del ministro delle Cause Interne in quanto all’assassinio di M. B.. Un dibattito parlamentare seguì. Parecchi interventi fecero riferimento al presunto collegamento esistente tra terrorismo, questioni sociali e lotte sindacali in quanto alla riforma del diritto del lavoro.
9. Il 23 marzo 2002, si tenne a Roma una manifestazione organizzata dalla C.I.G.L. e che mirava a protestare contro l’intenzione del Governo di abrogare l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori, disposizione ai termini della quale se un licenziamento viene giudicato ingiustificato, il lavoratore può chiedere di essere reintegrato nella sua posizione.
10. Il 25 marzo 2002, il quotidiano Il Messaggero pubblicò un articolo, firmato dal Sig. M. C., intitolato “Senza le riforme il Governo, è morto. Bossi: le menzogne della C.I.G.L. hanno creato l’alibi che ha condotto all’omicidio Biagi.” Questo articolo che riferiva le affermazioni fatte all’epoca di un’intervista col Sig. U. B., ministro per le Riforme e deputato, si legge come segue:
“”Da prima la sinistra ha creato il clima, poi qualcuno l’ha ucciso, infine sono stati abbastanza furbi da appropriarsi questa morte.” Sempre lo stesso, U. B. utilizza le parole come le pietre. Ma bisogna sempre interpretarlo ad un punto come B. ha invitato tale da non prenderlo alla lettera. Così i termini “l’hanno ucciso”, in riferimento al professore B., hanno un colore tutto politico. B. fa di tutta la sinistra un fascio: per lui, i partiti, il sindacato ed i terroristi che si qualificano come sinistroidi, sono la stessa cosa.
Ministro B., che cosa pensa della manifestazione sindacale di sabato?
“Ma quale sindacato, quello è un partito. Un partito che oramai non può più negoziare perché è prigioniero delle menzogne (balle) che ha raccontato fino ad adesso.”
Pensa anche che il destino di C. sia scritto e che sarà il prossimo leader della sinistra?
“Affinché diventi leader, gli altri, D’A. e F., devono perdere le elezioni amministrative e, poi, per C., la strada sarà libera. Nel mese di maggio lui e M. diranno “spostatevi.” Questa è politica, non sindacale e per l’istante la politica delle menzogne li ha condotti al terrorismo.”
Pensa che, all’epoca della riunione di domani con gli interlocutori sociali, il Governo si presenterà con qualche novità?
“Si vedrà quale atteggiamento sarà adottato a questo tavolo. Ciò che noto è che la piccola impresa muore col mercato globale se non le si toglie la corda dal collo, e l’articolo 18 è una corda intorno al collo. Ce ne sono poi altri. La riforma è fatta senza oneri per i lavoratori, ci sono forse degli oneri per il sindacato che vuole difendere il suo pane quotidiano(la propria pagnotta) fatto di intermediazione.”
La manifestazione di sabato, porterà ad una modifica della linea del Governo?
“Non penso, ma l’ultima parola appartiene a B. e M. [rispettivamente, Presidente del Consiglio dei ministri e ministro del Lavoro all’epoca dei fatti]. Sabato, un partito è sceso in strada. Cofferati ha visto che la sinistra era debole senza un’idea e senza una bandiera, si è recato nelle fabbriche dicendo delle menzogne, come quello che si licenzia i lavoratori. Questo ha portato al terrorismo. Sono peraltro, a sinistra, anche furbi, da prima l’hanno ucciso… e poi si sono appropriati di questa morte. Sono molto più furbi di noi.”
Cioè?
“Da prima l’hanno ucciso. Non si [potrebbe pensare] che fosse chiunque. Viene da questo mondo e l’alibi sono le menzogne che Cofferati ha detto in fabbrica.”
Sta dicendo che c’è intesa (contiguità) tra sindacato e gruppi (frange) estremisti?
“Non so se c’è intesa, ciò che vedo è che le menzogne proferite dalla C.G.I.L. hanno creato l’alibi per l’assassinio di B.. Passeggiare dicendo “guarda, sarai licenziato” ti farà diventare segretario della sinistra, di un certo tipo di sinistra fuori dalla storia, ma socchiudi la porta ad una connivenza con le persone implicate nel terrorismo.”
B. dice che con B. il Governo è stato colpito. Siete di accordo?
“Si è colpito il Governo perché questo è un Governo che vuole cambiare, e loro, il sindacato, non vogliono cambiamenti.”
Il libro bianco scritto da B. non parla solo dell’articolo 18. Quale sarà la prossima riforma che desiderate fare?
“Non so. Bisogna il chiedere a M.. Ciò che vogliamo è liberare la piccola impresa che, in un mercato globale, ha bisogno di togliere i legami che la soffocano. Ci sono molte cose che non vanno bene nello statuto dei lavoratori. Lo statuto dei lavoratori, con la grande crisi petrolifera, ha provocato negli anni settanta una grande crisi economica. A questa epoca, le grandi imprese hanno creato una serie di piccole imprese per sfuggire ai costi di mercato. Adesso, il mercato globale rischia di cancellarle e noi dobbiamo salvare assolutamente la piccola impresa.”
C. [il Presidente della Repubblica all’epoca dei fatti] continua ad invitare al dialogo tra maggioranza ed opposizioni, in particolare adesso visto il ritorno della minaccia terroristica. Siete di accordo?
“Siamo contrari agli espedienti politici (consociativismo). Quelle cose non hanno nessuna altra origine che quella di sinistra. Non c’è dialogo. Si può fare delle conferenze sul terrorismo, d’accordo. Ma mi ricordo del passato quando i sostenitori delle larghe intese (gli inciucisti) portavano, da un lato, agli accordi dubbi (all’inciucio) e, dell’altro, all’espansione del terrorismo. Il terrorismo deve essere fermato richiamando alle responsabilità coloro che le detengono.”
B. ha detto chiaramente che il Governo proseguirà, ma se non arriva a fare le riforme promesse, che cosa farà la Lega [il partito a cui M. Bossi appartiene]?
“Perché non dovremmo fare le riforme? B. è morto se non facciamo le riforme. Se non facciamo le cose, i democratici cristiani, quelli che giocano su due tavoli allo stesso tempo, ritorneranno. Quale interesse ha a fare ritornare la Democrazia cristiana B.? Per lui, ciò sarebbe la morte.”
È vero che vi si è data di nuovo una scorta?
“Non vero, non l’ho mai avuta. Passeggio coi miei uomini. Così, se uccidono ciò vuole dire che sono contro il nord. Ciò vuole dire che la sinistra sceglie di essere contro il nord. Se un membro della Lega è colpito, è il nord che va a mettersi a caccia della sinistra.”
M. resterà al ministero del Lavoro anche dopo il piccolo rimaneggiamento (mini rimpasto)?
“Certo, si resta là. Non dei democratici cristiani su questa poltrona. Andate, fuori, toglietevi di mezzo (Via, sciò, sgombrare).””
11. All’epoca della seduta del 26 marzo 2002, il Governo informò la Camera dei deputati in quanto a certe dichiarazioni dei suoi membri concernenti la manifestazione sindacale organizzata dalla C.G.I.L. La seduta del 26 giugno 2002 fu consacrata alle risposte del Governo in quanto ad un’interrogazione di un deputato riguardante delle dichiarazioni di certi ministri a riguardo della C.G.I.L. Infine, delle riflessioni analoghe a quelle sviluppate dal Sig. B. nell’intervista precitata furono fatte da certi deputati all’epoca della seduta del 3 luglio 2002.
12. Stimando che le affermazioni del Sig. B. recavano offesa alla loro reputazione, il 15 maggio 2002, i richiedenti citarono questo ultimo, il Sig. C., il direttore del quotidiano Il Messagero e la sua casa editrice dinnanzi al tribunale civile di Roma per ottenere il risarcimento dei danni subiti. I richiedenti adducevano che l’articolo incriminato tendeva a suggerire che c’era una relazione di causa ad effetto tra le attività di difesa dei lavoratori condotti dal sindacato ed il suo segretario generale e l’assassinio del Sig. B., e che il sindacato costituiva l’ambiente da dove provenivano i terroristi.
13. Il 30 luglio 2003, la Camera dei deputati, confermando una proposta formulata dalla commissione per le immunità parlamentari (Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari) stimò che le affermazioni incriminate del Sig. B. costituivano delle opinioni espresse da una parlamentare nella cornice delle sue funzioni. Il Sig. B. beneficiava di conseguenza, a questo riguardo dell’immunità contemplata all’articolo 68 § 1 della Costituzione.
14. Con un’ordinanza del 10 febbraio 2005, il tribunale di Roma investì la Corte costituzionale di un conflitto tra poteri dello stato e sospese il procedimento civile iniziato dai richiedenti. Chiese l’annullamento della deliberazione della Camera dei deputati del 30 luglio 2003.
15. Il tribunale osservò che la commissione per le immunità parlamentari aveva giustificato la sua proposta coi seguenti elementi: a) le dichiarazioni del Sig. B. erano legate rigorosamente al dibattito politico nato dopo l’assassinio del Sig. B.; b) questo omicidio aveva dato adito a dibattito parlamentare, nel corso del quale certi membri della maggioranza avevano messo in evidenza il legame esistente tra il reato e il dibattito politico sulla riforma del mercato del lavoro; c) in quanto ministro, il Sig. B. aveva espresso delle opinioni in quanto alla politica del Governo.
16. Però, agli occhi del tribunale, le opinioni del Sig. B. non erano state espresse nell’esercizio delle sue funzioni parlamentari, come previsto dall’articolo 68 § 1 della Costituzione, letto anche alla luce della legge no 140 del 20 giugno 2003 (vedere qui di seguito sotto “Il diritto e le pratica interne pertinenti”). Difatti, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, l’immunità poteva essere concessa solamente se c’era un’ “identità sostanziale” (corrispondenza sostanziale) tra un atto parlamentare e le dichiarazioni incriminate.
17. Nello specifico, non risultava dalla pratica che il Sig. B. era intervenuto al Parlamento a proposito dell’assassinio del Sig. B. o nella cornice della riforma del mercato del lavoro affrontando la questione dei rapporti tra il sindacato ed i terrorismi. In più, le affermazioni del Sig. B. erano ben differenti rispetto alle dichiarazioni fatte da altri deputati all’epoca dei dibattimenti parlamentari. Peraltro, la circostanza che il Sig. B. fosse un ministro era senza importanza, dato che questa qualità non implicava nessuna immunità.
18. Il tribunale notò infine che, nella sua sentenza Di Jorio c. Italia (no 73936/01, 3 giugno 2004,) la Corte europea dei diritti dell’uomo aveva giudicato che la concessione dell’immunità parlamentare rispetto alle dichiarazioni fatte all’epoca di un’intervista con la stampa e non legate all’esercizio di funzioni parlamentari stricto sensu violava il diritto di accesso ad un tribunale di una persona che si stimava diffamata.
19. La Camera dei deputati ,che chiese il rigetto del ricorso, ed i richiedenti che si dichiararono a favore delle tesi del tribunale di Roma, appellandosi, tra l’altro , alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, si costituirono nel procedimento dinnanzi alla Corte costituzionale.
20. Con una sentenza no 305 del 10 luglio 2007 il cui il testo fu depositato alla cancelleria il 20 luglio 2007, la Corte costituzionale dichiarò inammissibile il conflitto tra poteri dello stato sollevato dal tribunale di Roma.
21. Osservò che la Camera dei deputati aveva eccepito dell’inammissibilità del ricorso, al motivo che le affermazioni presunte diffamatorie del Sig. B. non erano state citate esplicitamente dal tribunale di Roma nella sua ordinanza del 10 febbraio 2005. Questa eccezione doveva essere accolta perché, ai termini della giurisprudenza costituzionale, la mancanza di sviluppo di un base dei fatti impediva la Corte di stabilire se ci fosse un “legame funzionale” (nesso funzionale) tra le dichiarazioni di un deputato ed un atto parlamentare. Nello specifico, il tribunale si era limitato a riferire certi passaggi dell’atto introduttivo di istanza dei querelanti. Era vero che il tribunale aveva citato la data di uscita dell’articolo de Il Messaggero. Questo, però, non permetteva di colmare la lacuna.
22. La sentenza della Corte costituzionale fu pubblicata sulla gazzetta ufficiale del 25 luglio 2007.
23. Ai termini dell’articolo 297 del codice di procedimento civile (“il CPC”), quando un procedimento civile viene sospeso, le parti devono chiedere la determinazione di una nuova udienza per la ripresa del procedimento nei sei mesi a partire dal giorno in cui la ragione della sospensione ha smesso di esistere. Secondo le informazione fornite dal Governo il 7 aprile 2008, a questa data nessuna domanda di determinazione di udienza era giunta alla cancelleria del tribunale di Roma.
II. IL DIRITTO E LE PRATICA INTERNA PERTINENTI
24. L’articolo 68 § 1 della Costituzione e la giurisprudenza della Corte costituzionale in materia di immunità parlamentare sono descritti nelle sentenze Cordova c. Italia, numeri 1 e 2, (rispettivamente, no 40877/98, §§ 22-27, CEDH 2003-I, e no 45649/99, §§ 26-31, CEDH 2003-I).
25. La legge no 140 del 20 giugno 2003, intitolata “Disposizioni per l’esecuzione dell’articolo 68 della Costituzione ed in materia di processi penali contro le alte funzioni dello stato” hanno precisato il campo di applicazione di questa disposizione. Nelle sue parti pertinenti, l’articolo 3 di questa legge si legge così:
“1. L’articolo 68 § 1 della Costituzione si applica ad ogni modo per la presentazione di progetti e proposte di legge, emendamenti, ordini del giorno, risoluzioni, (…), per ogni atto parlamentare, attività di ispezione, di divulgazione, di critica e di denuncia politica legata alla funzione parlamentare, condotta anche all’infuori del Parlamento.
2. Quando in un procedimento giudiziale l’applicazione dell’articolo 68 § 1 della Costituzione viene affermata o eccepita , il giudice ordina, anche d’ufficio, all’occorrenza, la separazione immediata del procedimento di queste che, eventualmente, [erano state] unite.
(…). “
26. Ai termini dell’articolo 137 § 3 della Costituzione, nessuno appello può essere interposto contro le decisioni della Corte costituzionale. Con una sentenza no 29 del 1998, la Corte costituzionale ha confermato il carattere assoluto di questa limitazione che copre ogni istanza che mira ad ottenere l’annullamento o la modifica di una delle sue decisioni.
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
27. I richiedenti si lamentano di un attentato al loro diritto di accesso ad un tribunale, come garantito dall’articolo 6 § 1 della Convenzione.
Nelle sue parti pertinenti, questa disposizione si legge così:
“1. Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia sentita da un tribunale che deciderà delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile “
28. Il Governo si oppone a questa tesi.
A. Sull’ammissibilità
1. L’eccezione del Governo derivata dal difetto manifesto di fondamento della richiesta o dalla mancanza di qualità di vittime dei richiedenti
a) Eccezione del Governo
29. Il Governo osserva che l’azione civile iniziata dai richiedenti non era diretta unicamente contro il Sig. B., ma anche contro il Sig. C.i, il direttore del quotidiano Il Messagero e la sua casa editrice. L’ostacolo procedurale riguardante il Sig. B. non impediva la decisione sul merito nei confronti degli altri convenuti. Ora, l’articolo 6 della Convenzione non garantirebbe in particolare il diritto di ottenere una decisione giudiziale contro una persona. Il diritto di accesso ad un tribunale viene soddisfatto quando un richiedente che rivendica un credito può agire civilmente in modo effettivo contro una o l’altra delle persone responsabili. Quindi, o il motivo di appello del richiedente viene manifestamente privato di fondamento, o gli interessati non possono definirsi “vittime” dei fatti che denunciano.
30. Peraltro, non è vero che i giornalisti, direttori ed editori di quotidiani sono scaricati da ogni responsabilità quando riferiscono in modo fedele i propositi di una personalità pubblica intervistata. Al contrario, secondo una sentenza resa dalle sezioni riunite della Corte di cassazione il 30 maggio 2001 (no 37140), appartiene al giudice del merito di valutare, in ogni caso specifico, se il giornalista si è limitato a riportare il fatto o se si è reso egli stesso “strumento” della diffamazione o “coautore” delle dichiarazioni diffamatorie. Ad ogni modo, il fatto di avere riportato “alla lettera” le dichiarazioni del soggetto intervistato, quando hanno obiettivamente un carattere ingiurioso o diffamatorio, non è di per sé una causa di giustificazione.
31. Il Governo nota anche che la tesi dei richiedenti-secondo cui avrebbero citato a comparire solamente il Sig. C. ed il direttore del giornale nell’ipotesi in cui M. B. avrebbe negato di avere pronunciato le frasi stimate offensive (paragrafo 32 qui di seguito)-è poco credibile. I richiedenti sarebbero stati difatti esposti al pagamento degli oneri di giustizia sostenuti da questi difensori e risulta dai documenti del procedimento interno che l’azione per diffamazione era diretta solidalmente contro tutti i difensori.
b) Argomenti dei richiedenti
32. I richiedenti adducono innanzitutto che le osservazioni del Governo sono inammissibili per tardività, essendo giunte alla cancelleria della Corte il 10 aprile 2008, o tre giorni dopo la scadenza del termine fissato a questo proposito, il 7 aprile 2008. Osservano poi che sarebbe stato inutile continuare il procedimento civile per danno-interessi contro il Sig. C., del direttore del quotidiano Il Messagero e della sua casa editrice. Difatti, ogni giornalista ha il diritto di intervistare dei politici ed è responsabile di diffamazione solamente se riferisce delle dichiarazioni false o inesistenti. I richiedenti hanno citato a comparire solamente il Sig. C. ed il direttore del giornale nell’ipotesi in cui M. B. avrebbe negato di avere pronunciato le frasi stimate offensive, il che non è stato il caso nello specifico.
c) Valutazione della Corte
33. La Corte osserva che l’azione iniziata dai richiedenti contro il Sig. B. aveva un oggetto differente rispetto a quella diretta contro il Sig. C., il direttore del quotidiano Il Messagero e la sua casa editrice. Nella prima, il convenuto era citato in giustizia per la responsabilità derivante dai propositi, presunti diffamatori, che aveva tenuto; nel secondo, il fatto rimproverato ai convenuti era di avere diffuso le dichiarazioni altrui.
34. I richiedenti sostengono peraltro che la seconda azione era stata intentata solo a titolo che supplementare, nell’ipotesi in cui M. B. avrebbe negato avere pronunciato le frasi che gli erano state attribuite. Il Governo contesta questa tesi, adducendo che in dritto italiano una responsabilità civile può sorgere dalla diffusione di dichiarazioni altrui che hanno obiettivamente un carattere ingiurioso o diffamatorio.
35. La Corte non stima necessario dedicarsi a questa questione di dritto interno. Si limita ad osservare che la questione sottoposta all’attenzione delle giurisdizioni italiane era quella di sapere se, tenuto conto del contesto politico e dei fatti in cui erano state fatte, le dichiarazioni del Sig. B. potevano essere interpretate come recanti offesa alla reputazione dei richiedenti attribuendo loro una responsabilità giuridica per l’assassinio del Sig. B.. Ne deriva che, supponendo che le frasi incriminate fossero state pronunciate effettivamente dal Sig. B., l’azione dei richiedenti contro il Sig. C., il direttore del quotidiano Il Messagero e la sua casa editrice sembrava avere ad ogni modo poche probabilità di giungere a conclusione positiva.
36. In più, la Corte ricorda che ai termini della sua giurisprudenza, “sanzionare un giornalista per avere aiutato la diffusione di dichiarazioni provenienti da un terzo, ostacolerebbe gravemente il contributo della stampa alle discussioni di problemi di interesse generale e non potrebbe concepirsi senza ragioni particolarmente serie” (Thoma c. Lussemburgo, no 38432/97, § 62, CEDH 2001-III, e Jersild c. Danimarca, 23 settembre 1994, § 35, serie A no 298).
37. In queste circostanze, la Corte stima che la possibilità teorica di inseguire l’azione per diffamazione contro il Sig. C., il direttore del quotidiano Il Messagero e la sua casa editrice non ha privato i richiedenti del loro requisito di “vittime” rispetto all’immunità concessa al Sig. B. e non potrebbe analizzarsi in un fattore che porta a concludere al difetto manifesto di fondamento della richiesta.
38. L’eccezione del Governo non potrebbe pertanto essere considerata.
2. L’eccezione del Governo derivata dal non-esaurimento delle vie di ricorso interne
a) Eccezione del Governo
39. Il Governo osserva che, malgrado la deliberazione parlamentare controversa, il tribunale di Roma si sarebbe potuto pronunciare sul merito dei motivi di appello dei richiedenti contro il Sig. C., il direttore del quotidiano Il Messagero e la sua casa editrice. Però, i richiedenti non hanno chiesto, in tempo utile, la determinazione di un’udienza dinnanzi a questo tribunale per riattivare il procedimento. Questo passo era necessario per evitare che la causa venisse cancellata dal ruolo. La deliberazione parlamentare e la sentenza della Corte costituzionale avrebbero, certo, condizionato in parte la conclusione della controversia, in particolare per ciò che riguarda il Sig. B., ma non impediva la ripresa del processo principale e la decisione di un giudizio di prima istanza. Per di più, i richiedenti avrebbero potuto interporre appello contro questo ultimo. Come risulta in materia della giurisprudenza interna, il procedimento di appello avrebbe offerto una seconda occasione per sollevare-in modo corretto- un conflitto tra poteri dello stato dinnanzi alla Corte costituzionale. Il Governo ne deduce che i richiedenti hanno omesso di esaurire le vie di ricorso che erano aperte loro in dritto italiano.
40. Il Governo ricorda che, a differenza delle cause Cordova precitate, nel presente caso la giurisdizione interna di prima istanza aveva stimato necessario sollevare un conflitto tra poteri dello stato che è stato dichiarato inammissibile solamente in ragione di un difetto procedurale. Di conseguenza, è molto probabile che la giurisdizione di appello avrebbe sollevato anche simile conflitto facendo attenzione ad evitare lo stesso errore di procedimento.
41. È vero che le sentenze della Corte costituzionale non possono essere l’oggetto di nessun appello. Però, ciò significa unicamente che sarebbe stato impossibile contestare la fondatezza della decisione di inammissibilità o sollevare di nuovo il conflitto tra poteri dello stato se la Corte costituzionale si fosse dedicata alla fondatezza di questo. Nello specifico, la Corte costituzionale si è fermata dinnanzi ad un ostacolo procedurale e non si è pronunciata sulla validità della deliberazione parlamentare controversa. Se questa questione gli fosse stata posta di nuovo e nelle forme adeguate dalla giurisdizione di appello, niente le avrebbe impedito di deciderla. Infine, la giurisprudenza interna vieta di sollevare un stesso conflitto nello stesso grado di giurisdizione, ma non durante un’istanza ulteriore dello stesso procedimento.
b,)Argomenti dei richiedenti
42. I richiedenti osservano che dopo la sentenza con cui la Corte costituzionale ha deciso di non annullare la deliberazione che concedeva l’immunità parlamentare, il procedimento civile per danno-interessi non aveva nessuna possibilità di arrivare a buon fine. Era dunque inutile sollecitarne la ripresa. Peraltro, suddetta sentenza della Corte costituzionale non poteva essere oggetto di nessuno ricorso, come risulta dall’articolo 137 § 3 della Costituzione e dalla sentenza no 29 del 1998 (paragrafo 26 sopra). Non era possibile dunque sollevare, in appello, un nuovo conflitto tra poteri dello stato.
c) Valutazione della Corte
43. Per ciò che riguarda la possibilità di continuare l’azione iniziata contro il Sig. C., il direttore del quotidiano Il Messagero e la sua casa editrice, la Corte può reiterare solamente le osservazioni che ha sviluppato per respingere l’eccezione derivata dalla mancanza di qualità di “vittime” dei richiedenti (paragrafi 33-38 sopra).
44. Per ciò che riguarda la possibilità di sollecitare la decisione di un giudizio di prima istanza che riconoscesse l’immunità di cui il Sig. B. beneficiava per interporre appello contro questo giudizio e di invitare la giurisdizione di seconda istanza a sollevare un nuovo conflitto tra poteri dello stato, la Corte ricorda che nella cornice del dispositivo di protezione dei diritti dell’uomo, la regola dell’esaurimento delle vie di ricorso interne deve applicarsi con una certa flessibilità e senza formalismo eccessivo. Allo stesso tempo, obbliga, in principio, a sollevare dinnanzi alle giurisdizioni nazionali adeguate, almeno in sostanza, nelle forme e nei termini prescritti dal diritto interno, i motivi di appello che si intende formulare in seguito a livello internazionale (vedere, tra molte altre, Azinas c. Cipro [GC], no 56679/00, § 38, CEDH 2004-III, e Fressoz e Roire c. Francia [GC], no 29183/95, § 37, CEDH 1999-I).
45. Però, l’obbligo derivante dall’articolo 35 § 1 si limita a quello di fare verosimilmente un uso normale di ricorsi efficaci, sufficienti ed accessibili (Sofri ed altri c. Italia,( déc.), no 37235/97, CEDH 2003-VIII). In particolare, la Convenzione prescrive l’esaurimento solo di ricorsi al tempo stesso relativi alle violazioni incriminate, disponibili ed adeguati. Devono esistere non solo ad un grado sufficiente di certezza in teoria ma anche in pratica, mancando loro altrimenti l’effettività e l’accessibilità volute (Dalia c. Francia, 19 febbraio 1998, § 38, Raccolta delle sentenze e decisioni 1998-I). In più, secondo i “principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti”, certe circostanze particolari possono dispensare il richiedente dall’obbligo di esaurire le vie di ricorso interne che si offrono a lui ( Aksoy c. Turchia, Raccolta 1996-VI, § 52, 18 dicembre 1996).
46. Nello specifico, i richiedenti dunque avrebbero dovuto sollecitare la ripresa di un procedimento di prima istanza che, nella misura in cui era diretto contro il Sig. B., era destinato al fallimento. Avrebbero anche, in seguito, dovuto interporre appello al giudizio del tribunale di Roma al solo scopo di sollecitare la giurisdizione di seconda istanza a sollevare un nuovo conflitto tra poteri dello stato, sperando che, a dispetto della sentenza della Corte costituzionale no 305 del 10 luglio 2007 e della formula dell’articolo 137 § 3 della Costituzione, i giudici di appello avrebbero stimato tale passo necessario.
47. Agli occhi della Corte, obbligare un richiedente ad iniziare tali passi in presenza di una decisione negativa di una giurisdizione Suprema equivale ad imporgli di fare ricorso ad artifici di procedimento le cui probabilità di successo sembrano inesistenti, per sollecitare un riesame della sua causa. Questo sembra andare al di là dell’uso “normale” dei ricorsi interni richiesto dall’articolo 35 § 1 della Convenzione.
48. Ad ogni modo, conviene ricordare che “nel sistema giuridico italiano, un individuo non gode di un accesso diretto alla Corte costituzionale: ha solo la facoltà di investire, su richiesta di una parte in causa o d’ufficio, una giurisdizione che conosce il merito di una causa. Quindi, simile questione non potrebbe analizzarsi come un ricorso di cui la Convenzione esige l’esaurimento” (vedere, mutatis mutandis e tra molte altre, Brozicek c. Italia, 19 dicembre 1989, § 34, serie Ano 67).
49. In queste circostanze, c’è luogo di respingere l’eccezione di non-esaurimento del Governo.
3. Altri motivi di inammissibilità
50. La Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente mal fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. La Corte rileva peraltro che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararlo ammissibile.
B. Sul merito
1. Argomenti delle parti
a) Il Governo
51. Il Governo stima innanzitutto che non c’è stata ingerenza nel diritto dei richiedenti ad avere accesso ad un tribunale. Reitera la sua osservazione secondo la quale i richiedenti avrebbero potuto continuare la loro azione civile contro il Sig. C., il direttore del quotidiano Il Messagero e la sua casa editrice. In più, per ciò che riguarda il Sig. B., i richiedenti hanno avuto la possibilità di intervenire nel procedimento dinnanzi alla Corte costituzionale, dove hanno potuto presentare degli argomenti che miravano ad ottenere l’annullamento della deliberazione parlamentare controversa. Questa possibilità, da sola, ha costituito una forma adeguata di accesso ad un tribunale. È vero che nello specifico non si è potuto raggiungere il risultato previsto dai richiedenti in ragione di un difetto di formulazione del ricorso che sollevava il conflitto tra poteri dello stato. La Corte costituzionale ha affermato peraltro costantemente che questo ricorso deve contenere un “riferimento preciso agli elementi indispensabili all’identificazione delle ragioni del conflitto”, il che mancava nello specifico. Non è meno che, essendosi fermata dinnanzi ad un ostacolo di natura procedurale, la Corte costituzionale non ha confermato la validità della deliberazione parlamentare controversa. Questo avrebbe permesso che un nuovo conflitto venisse sollevato in appello. L’azione civile contro il Sig. B. non era dunque “paralizzata”.
52. Supponendo anche che ci sia stata ingerenza in uno dei diritti garantiti dall’articolo 6, questa era prevista dalla legge ed inseguiva gli scopi legittimi di garantire la separazione dei poteri dello stato, l’indipendenza del potere legislativo, la libertà del dibattito parlamentare e la libera espressione dei rappresentanti del popolo. In più, era proporzionata a questi scopi.
53. In quanto protagonisti del gioco politica, gli eletti dal popolo devono godere di una più grande latitudine nella libertà di espressione. Nelle precedenti cause di immunità parlamentare, la Corte non ha tenuto debitamente conto di questo. Quando in un procedimento per diffamazione un’eccezione di immunità viene sollevata, il giudice del merito si deve confrontare con una scelta che dipende da una pluralità di fattori. Se l’attività rimproverata al deputato entra manifestamente nella nozione di esercizio della funzione parlamentare, il giudice potrà mettere fine al procedimento. Se invece sorge un dubbio a questo riguardo, il giudice potrà, in principio, sollevare un conflitto tra poteri dello stato, ma conserva in materia una certa scelta discrezionale, tenendo conto delle esigenze costituzionali e convenzionali. Il giudice deve chiedersi, in particolare, quale sarà l’utilità concreta di scatenare un procedimento lungo e complesso dinnanzi alla Corte costituzionale, implicando la sospensione dell’esame della causa. A questo riguardo, dovrà tenere anche conto della necessità di rispettare il “termine ragionevole.” In particolare, se il giudice è persuaso che, dal punto di vista del diritto interno o sotto l’angolo della Convenzione, l’azione per diffamazione non abbia fortuna reale di arrivare ad un successo, gli sarà lecito proseguire l’esame della causa senza interpellare la Corte costituzionale.
54. L’immunità parlamentare ritorna in gioco solo se gli atti incriminati sono riprovevoli; se, in compenso, costituiscono una manifestazione legittima della libertà di espressione, l’immunità non ha nessuno ruolo da giocare. In questo ultimo caso, non si potrebbe riconoscere a quello che si stima a torto diffamato un diritto di accesso ad un tribunale per invocare dei diritti che non sono, in modo difendibile, riconosciuti dalla legislazione interna. Peraltro, quando un deputato esercita, anche all’infuori del suo mandato parlamentare, la sua libertà di espressione in modo legittimo, la sua eventuale condanna violerebbe l’articolo 10 della Convenzione. Questa ultima disposizione e la giurisprudenza che ne fa applicazione sostengono un ruolo cruciale nella valutazione di un’ingerenza nel diritto di accesso ad un tribunale. Se nessuno diritto sostanziale esiste, o se la controversia non è atta a garantirne direttamente la realizzazione, l’articolo 6 della Convenzione non si trova ad applicare.
55. Affinché un’istanza per diffamazione venga accolta, occorre che le espressioni controverse siano intrinsecamente diffamatorie e che non costituiscano un esercizio legittimo del diritto alla libertà di espressione. La Corte dovrebbe concedersi ad una valutazione delle dichiarazioni del Sig. B. per valutare dunque se fossero protette dall’articolo 10 della Convenzione.
56. Nello specifico, sollevando un conflitto tra poteri dello stato, il tribunale di Roma ha espresso implicitamente un dubbio in quanto al peso rispettivo che bisognava assegnare, da una parte, alla libertà di espressione del Sig. B. e, dall’altra parte, ai diritti rivendicati dai richiedenti. La Corte non è legata però da questa valutazione del giudice interno. Nell’occorrenza il diritto rivendicato dai richiedenti doveva cedere difatti, di fronte alla libertà di espressione esercitata dal Sig. B.. Questo ultimo è un politico di primo piano in Italia, capo di una formazione rappresentata al Parlamento italiano ed europeo.
57. Qualunque fosse il loro legame con un’attività parlamentare specifica, le dichiarazioni controverse si inserivano nel dibattito pubblico scatenato dall’assassinio del Sig. B. con un gruppo terroristico. Questo crimine era motivato dalle posizioni prese ed il lavoro effettuato dalla vittima nel campo del diritto del lavoro. In questo dibattito di interesse pubblico, certi sostenevano che le posizioni del sindacato e la critica virulenta delle idee della vittima avevano contribuito a creare il clima che aveva favorito la nascita del progetto criminale dei terroristi. Tale era, in sostanza, la tesi difesa dal Sig. B., ricorrendo ad una certa dose di esagerazione e di veemenza polemica. In queste circostanze, anche in mancanza di un’immunità parlamentare, il procedimento al merito sarebbe potuto arrivare solamente ad una decisione di rigetto dell’istanza dei richiedenti. In una nota annessa alle osservazioni del Governo, il servizio legale (avvocatura) della Camera dei deputati afferma che le dichiarazioni del Sig. B. erano legate ad un’attività parlamentare preliminare, ossia i dibattimenti che avevano avuto luogo in seno alla camera legislativa il 20 e 26 marzo, 26 giugno e 3 luglio 2002 (paragrafi 8 e 11 sopra). Peraltro, ogni opinione che ha una connessione con la “politica parlamentare” dovrebbe essere considerata come legata ad un’attività parlamentare.
b) I richiedenti,
58. I richiedenti ricordano che la loro richiesta riguarda la questione di sapere se c’è stata ingerenza nel loro diritto di accesso ad un tribunale e se tale ingerenza fosse proporzionata. La questione di sapere se c’è stato un giusto equilibrio tra le libertà di espressione di una parlamentare e la protezione del diritto all’onore delle persone che si stimano offese da lui potrebbe porsi unicamente se ci fosse stata decisione sul merito dell’azione per diffamazione. I richiedenti non hanno avuto l’opportunità di convincere i giudici del merito che le dichiarazioni del Sig. B. superavano i limiti di una critica legittima e si sono analizzati in offese gratuite.
59. Ad ogni modo, il Sig. B. ha, in sostanza, imputato ai richiedenti di essere politicamente e moralmente responsabili di un omicidio. Questo costituisce un’accusa specifica non provata che ha portato un attentato ingiustificato alla loro reputazione, e permette di distinguere il presente caso dalle cause in cui la Corte ha concluso alla violazione dell’articolo 10 della Convenzione in ragione della condanna per diffamazione di un eletto del popolo.
60. I richiedenti notano ulteriormente che il meccanismo previsto dal sistema italiano per controllare la legittimità di una deliberazione che concede l’immunità parlamentare è di natura tale da rendere difficile la protezione dei diritti dei terzi. La persona che si stima diffamata da un membro del Parlamento può intervenire nel procedimento per la concessione dell’immunità e deve convincere poi il giudice a sollevare, nelle forme appropriate, un conflitto tra poteri dello stato; infine, ha la facoltà di intervenire nel procedimento dinnanzi alla Corte costituzionale. Nello specifico, per ragioni che non potrebbero essere imputate ai richiedenti, il giudice del merito non ha rispettato le formalità richieste dalla Corte costituzionale ed il loro intervento dinnanzi a questa ultima è stato privato di ogni effetto utile.
61. I richiedenti osservano che in ragione della deliberazione della Camera dei deputati e della sentenza della Corte costituzionale, il procedimento civile che hanno iniziato contro il Sig. B. dovrà fermarsi. Quindi, non avranno nessuna possibilità di ottenere una decisione sul merito della loro azione per diffamazione. Peraltro, pronunciate nella cornice di interviste con la stampa, le dichiarazioni controverse non erano legate all’esercizio di funzioni parlamentari. Il Sig. B. non è difatti mai intervenuto mai in modo scritto od orale, in seno ad una camera legislativa a proposito dell’assassinio del Sig. B.. In più, non esiste nessuno atto parlamentare preliminare con cui M. B. avrebbe mostrato la sua intenzione di accusare i richiedenti di essere gli ispiratori morali o politici di questo omicidio. Gli atti citati dalla Camera dei deputati erano stati presentati da altri membri del Parlamento; del resto la maggior parte sono posteriori all’intervista del Sig. B. e nessuno di essi accusa, sia anche solo moralmente, i richiedenti dell’omicidio.
2. Valutazione della Corte
62. La Corte stima che la richiesta pone innanzitutto la questione di sapere se i richiedenti hanno potuto esercitare il loro diritto, garantito dall’articolo 6 della Convenzione, ad accesso ad un tribunale (Golder c. Regno Unito, 21 febbraio 1975, §§ 35-36, serie A no 18, Cordova (no 2), precitata, § 48, e Di Jorio c. Italia, no 73936/01, § 40, 3 giugno 2004).
a) Sull’esistenza di un’ingerenza nell’esercizio da parte dei richiedenti del loro diritto ad accesso ad un tribunale
63. La Corte nota che, con la sua deliberazione del 30 luglio 2003, la Camera dei deputati ha dichiarato che le affermazioni del Sig. B. erano coperte dall’immunità consacrata dall’articolo 68 § 1 della Costituzione, il che impediva di continuare ogni procedimento penale o civile che mirasse a stabilire la responsabilità del deputato in questione ed ad ottenere il risarcimento dei danni subiti.
64. È vero che la legittimità di suddetta deliberazione è stata oggetto di un esame da prima del tribunale di Roma (paragrafi 14-18 sopra) poi della Corte costituzionale che, nella sua sentenza no 305 del 10 luglio 2007, ha dichiarato il conflitto tra poteri dello stato inammissibile per i motivi procedurali (paragrafi 20-21 sopra).
65. Non si saprebbe confrontare tuttavia delle simili valutazioni ad una decisione sul diritto dei richiedenti alla protezione della loro reputazione, né considerare che un grado di accesso al giudice limitato alla facoltà di porre una questione preliminare bastasse per garantire ai richiedenti il “diritto ad un tribunale”, avuto riguardo al principio della preminenza del diritto in una società democratica (Cordova, numeri 1 e 2, precitate, rispettivamente § 52 e § 53, Di Jorio, precitata, § 53, e, mutatis mutandis, Waite e Kennedy c. Germania [GC], no 26083/94, § 58, CEDH 1999-I). A questo motivo, conviene ricordare che l’effettività del diritto in questione richiede che un individuo goda di una possibilità chiara e concreta di contestare un atto recante offesa ai suoi diritti (Bellet c. Francia, 4 dicembre 1995, § 36, serie A no 333-B). Nella presente causa, in seguito alla deliberazione del 30 luglio 2003, duplicata dalla decisione della Corte costituzionale di dichiarare inammissibile il conflitto tra poteri dello stato, l’azione civile iniziata contro il Sig. B. è stata paralizzata, ed i richiedenti si sono visti privare della possibilità di ottenere qualsiasi forma di risarcimento per il loro danno addotto (vedere, mutatis mutandis, Ielo c. Italia, no 23053/02, §§ 43-44, 6 dicembre 2005).
66. In quanto alle affermazioni del Governo concernenti la possibilità di proseguire l’azione civile contro il Sig. C., il direttore del quotidiano Il Messaggero e la sua casa editrice (paragrafo 51 sopra) la Corte può solamente reiterare le osservazioni che l’hanno portata a respingere le eccezioni preliminari (paragrafi 35-38 e 43 sopra).
67. In queste condizioni, la Corte considera che i richiedenti hanno subito un’ingerenza nel loro diritto all’ accesso ad un tribunale (vedere, mutatis mutandis, Cordova, numeri 1 e 2, precitate, rispettivamente §§ 52-53 e §§ 53-54; Di Jorio precitata, §§ 45-47; Patrono, Cascini e Stefanelli c. Italia, no 10180/04, §§ 55-58, 20 aprile 2006).
68. Ricorda comunque che questo diritto non è assoluto, ma può dare adito a limitazioni implicitamente ammesse. Tuttavia, queste limitazioni non potrebbero restringere l’accesso aperto all’individuo un modo o ad un punto tale che il diritto risulti toccato nella sua stessa sostanza. Inoltre, si conciliano con l’articolo 6 § 1 solo se inseguono un scopo legittimo e se esiste un rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo previsto (vedere, tra molte altre, Khalfaoui c. Francia, no 34791/97, §§ 35-36, CEDH 1999-IX, e Papon c. Francia, no 54210/00, § 90, 25 luglio 2002; vedere anche il richiamo dei principi pertinenti in Fayed c. Regno Unito, 21 settembre 1994, § 65, serie A no 294-B).
b) Scopo dell’ingerenza
69. La Corte rileva che generalmente il fatto per gli Stati di accordare un’immunità più o meno distesa ai membri del Parlamento costituisce una pratica di lunga data che mira a permettere la libera espressione dei rappresentanti del popolo ed ad impedire che dei perseguimenti partigiani possano recare offesa alla funzione parlamentare. In queste condizioni, la Corte stima che l’ingerenza in questione che era prevista dall’articolo 68 § 1 della Costituzione, perseguiva degli scopi legittimi, ossia la protezione del libero dibattito parlamentare ed il mantenimento della separazione dei poteri legislativi e giudiziali (A. c. Regno Unito, no 35373/97, §§ 75-77, CEDH 2002-X; Cordova, numeri 1 e 2, precitata, rispettivamente § 55 e § 56; Di Jorio precitata, § 49; Patrono, Cascini e Stefanelli, precitato, § 59).
70. Resta da verificare se le conseguenze subite dai richiedenti fossero proporzionate agli scopi legittimi previsti.
c) Proporzionalità dell’ingerenza
71. Trattandosi dei principi generali concernenti la proporzionalità delle ingerenze in materia di immunità parlamentare, la Corte rinvia innanzitutto alla giurisprudenza che è emanata nelle cause Cordova c. Italia, Cordova, numeri 1 e 2, precitate, rispettivamente §§ 57-61 e §§ 58-62).
72. Nello specifico, la Corte rileva che, pronunciate nella cornice di interviste con la stampa, e dunque all’infuori di una camera legislativa, le dichiarazioni controverse del Sig. B. non erano legate all’esercizio di funzioni parlamentari stricto sensu. È vero che nel corso delle sedute del 20 e 26 marzo, 26 giugno e 3 luglio 2002, un dibattito parlamentare ha avuto luogo in seno alla Camera dei deputati a proposito dell’omicidio del Sig. B, (paragrafi 8 e 11 sopra). E’ altrettanto vero che non risulta dalla pratica che il Sig. B. sia intervenuto, in modo scritto od orale, in seno ad una camera legislativa a questo motivo o abbia menzionato una responsabilità morale o politica dei richiedenti per l’assassinio in causa. I richiedenti lo sottolineano a buon diritto (paragrafo 61 sopra) ed il Governo non ha contestato questa affermazione. Conviene anche notare che le sedute parlamentari del 26 marzo, 26 giugno e 3 luglio 2002 hanno avuto luogo dopo l’intervista del Sig. B. alla stampa.
73. La Corte ha esaminato le dichiarazioni di questo ultimo, come riferite dal quotidiano Il Messaggero. Stima che tendevano a sostenere, in sostanza che con la loro azione di contestazione delle riforme programmate dal Governo nel campo del diritto del lavoro, i richiedenti fossero, almeno in parte, responsabili del clima di tensione sociale che aveva condotto all’omicidio del Sig. B.. Ora, in tale caso, non si potrebbe giustificare un diniego di accesso alla giustizia per il solo motivo che la lite avrebbe potuto essere di natura politica o legata ad un’attività politica (vedere, mutatis mutandis, Cordova, no 2, precitata, § 63, Di Jorio, precitata, § 53, e Patrono, Cascini e Stefanelli, precitata, § 62).
74. Secondo la Corte, la mancanza di un legame evidente con un’attività parlamentare chiama un’interpretazione stretta della nozione di proporzionalità tra lo scopi previsto ed i mezzi impiegati. E’ particolarmente così quando le restrizioni al diritto di accesso derivano da una deliberazione di un organo politico. Concludere diversamente equivarrebbe a restringere in modo incompatibile con l’articolo 6 § 1 della Convenzione il diritto di accesso ad un tribunale degli individui ogni volta che i propositi attaccati in giustizia sono stati emessi da un membro del Parlamento (Cordova, numeri 1 e 2, precitate, rispettivamente § 63 e § 64, e Di Jorio, precitata, § 54).
75. La Corte stima che nello specifico la deliberazione della Camera dei deputati del 30 luglio 2003 concedendo l’immunità al Sig. B. che ha avuto come conseguenza di paralizzare l’azione dei richiedenti tendente a garantire la protezione della loro reputazione, non ha rispettato il giusto equilibro che deve regnare in materia tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo.
76. La Corte lega anche importanza al fatto che dopo la deliberazione in questione e la sentenza della Corte costituzionale no 305 del 2007, i richiedenti non disponessero di altre vie ragionevoli per proteggere efficacemente i loro diritti garantiti dalla Convenzione (vedere Patrono, Cascini e Stefanelli precitata, § 65, e, a contrario, Waite e Kennedy, precitata, §§ 68-70, ed A. c. Regno Unito, precitata, § 86).
77. A questo riguardo, la Corte ricorda che nelle cause Cordova ed Jorio, aveva notato che la giurisprudenza della Corte costituzionale aveva conosciuto una certa evoluzione e che l’alta giurisdizione italiana stimava oramai illegittimo che l’immunità venisse estesa ai propositi che non avevano rapporto sostanziale con gli atti parlamentari preliminari di cui il rappresentante riguardato potrebbe passare per essersi fatto eco (Cordova numeri 1 e 2, precitate, rispettivamente § 65 e § 66, e Di Jorio, precitata, § 56). E’ anche vero che nella presente causa la Corte costituzionale, rilevando l’esistenza di un ostacolo di natura procedurale posto con la formula dell’ordinanza del tribunale di Roma del 10 febbraio 2005, ha negato di esaminare se i propositi del Sig. B. rientravano nell’esercizio di “funzioni parlamentari” ed erano coperti dall’articolo 68 § 1 della Costituzione (vedere, mutatis mutandis, Jelo, precitata, § 54).
78. Non appartiene alla Corte di dedicarsi all’esattezza di questa interpretazione in diritto interno. Difatti, appartiene al primo capo alle autorità nazionali, ed in particolare spetta ai corsi ed ai tribunali, interpretare la legislazione interna (Edificaciones March Gallego S.p.A. c. Spagna, Raccolta 1998-I, § 33, 19 febbraio 1998, e Pérez di Rada Cavanilles c. Spagna, 28 ottobre 1998, § 43, Raccolta 1998-VIII). In compenso, il ruolo della Corte è quello di verificare la compatibilità con la Convenzione degli effetti di simile interpretazione (Cordova (no 1), precitata, § 57, Kaufmann c. Italia, no 14021/02, § 33, 19 maggio 2005, ed Ielo, precitata, § 55). Senza esaminare in abstracto la legislazione e la pratica pertinente, deve ricercare se il modo in cui hanno toccato i richiedenti ha infranto la Convenzione (vedere, mutatis mutandis, Padovani c. Italia, 26 febbraio 1993, § 24, serie A no 257-B). Ora, come la Corte ha appena costatato (paragrafo 75 sopra) l’ostacolo al diritto di accesso alla giustizia dei richiedenti non è stato, nello specifico, proporzionata agli scopi legittimi perseguiti.
79. Infine, per ciò che riguarda l’argomento del Governo secondo il quale, dato che i propositi del Sig. B. si analizzavano in un esercizio legittimo della sua libertà di espressione, il procedimento al merito sarebbe potuto arrivare solamente ad una decisione di rigetto dell’istanza dei richiedenti (paragrafi 53-57 sopra) la Corte osserva che non è chiamata a pronunciarsi sul punto di sapere se, nello specifico, c’era stata diffamazione. Nella cornice della presente richiesta, la questione che le viene sottoposta è quella di valutare se i richiedenti che avevano introdotto dinnanzi ad un tribunale internano un’azione per diffamazione non manifestamente priva di serietà, abbiano potuto beneficiare di un accesso alla giustizia che soddisfacesse le esigenze della Convenzione. Ora, tale non è stato il caso nello specifico.
80. Quindi, c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.
II. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
81. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
82. I richiedenti chiedono la concessione di un “risarcimento pecuniario per il danno morale e materiale” che avrebbero subito.
83. Il Governo sottolinea che i richiedenti non hanno valutato le loro pretese e che le loro richieste di soddisfazione equa hanno un carattere molto vago, il che dovrebbe condurre a respingerle. In mancanza dell’indicazione, anche approssimativa, di una somma giudicata adeguata, il Governo non è in grado di formulare dei commenti adeguati. In queste condizioni, fare diritto alla domanda dei richiedenti si tradurrebbe in un’incomprensione del diritto del Governo di disporre degli elementi necessari per esporre le sue tesi e difendersi.
84. La Corte stima che i richiedenti non hanno fornito nessuna prova del danno materiale che si presume abbiano subito. Quindi, nessuna somma può essere concessa a questo titolo. Giudica in compenso che gli interessati abbiano subito un torto morale certo. Avuto riguardo alle circostanze della causa e deliberando in equità come vuole l’articolo 41 della Convenzione, decide di concedere ad ogni richiedente la somma di 8 000 EUR. La somma globale da versare ai richiedenti a questo titolo ammonta dunque a 16 000 EUR.
B. Oneri e spese
85. I richiedenti non hanno fatto richiesta a titolo di oneri e spese ai quali avrebbero dovuto fare fronte a livello interno o dinnanzi alla Corte. Pertanto, la Corte stima che non c’è luogo di concedere lro alcuna somma a questo titolo.
C. Interessi moratori
86. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE,
1. Dichiara, all’unanimità, la richiesta ammissibile,;
2. Stabilisce, per cinque voci contro due, che c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
3. Stabilisce, per cinque voci contro due,
a) che lo stato convenuto deve versare ad ogni richiedente, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, 8 000 EUR (ottomila euro) per danno morale, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale,;
4. Respinge, all’unanimità, la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 24 febbraio 2009, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Sally Dollé Francesca Tulkens
Cancelliera Presidentessa
Alla presente sentenza si trova unita, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 dell’ordinamento, l’esposizione dell’opinione si separata dei giudici Sajó e Karakaş.
F.T.
S.D.

OPINIONE DISSIDENTE COMUNE AI GIUDICI
SAJÓ E KARAKAŞ
Non condividiamo il parere della maggioranza secondo cui c’è stata in questa causa violazione dell’articolo 6 della Convenzione.
Bisogna ricordare innanzitutto che l’immunità riconosciuta ai membri del Parlamento per i loro voti ed opinioni ha per scopo di garantire agli interessati, nell’esercizio delle loro funzioni, la libertà di espressione più ampia possibile affinché possano dibattere liberamente di ogni questione concernente la vita pubblica senza dover temere persecuzioni o eventuali conseguenze giudiziali.
Secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale italiana relativa alle opinioni espresse fuori dal Parlamento, bisogna verificare l’esistenza di un legame con le attività parlamentari: deve esserci particolarmente una corrispondenza sostanziale tra le opinioni in causa ed un atto parlamentare preliminare (Cordova c. Italia (no 2), no 45649/99, CEDH 2003-I).
Nella presente causa, secondo la maggioranza, le dichiarazioni del Sig. B. pubblicate su Il Messaggero il 25 marzo 2002, espresse all’infuori di una camera legislativa, non erano legate all’esercizio delle funzioni parlamentari stricto sensu.
Pensiamo da parte nostra che questa causa si distingue delle altre cause italiane concernenti l’immunità parlamentare in cui la Corte ha constatato la violazione dell’articolo 6 (Cordova (no 2)) precitata; Di Jorio c. Italia, no 73936/01, 3 giugno 2004).
Le osservazioni in causa non riguardano un individuo nella sua sfera privata; contrariamente alle dichiarazioni controverse nella causa Di Jorio (§ 53), le dichiarazioni qui in causa non sembrano iscriversi nella cornice di una lite tra individui.” Il richiedente è un’importante associazione sindacale, ed il richiedente è membro di questa che partecipa al dibattito politico, con tutte le possibilità di reazione appartenenti alle entità pubbliche dotate di un certo potere.
Nell’occorrenza, la pubblicazione dell’intervista del Sig. B. il 25 marzo 2002 ebbe luogo dopo il dibattito parlamentare del 20 marzo 2002 sull’assassinio del Sig. B., il terrorismo e la lotta dei sindacati nel contesto della riforma del diritto del lavoro. Il 23 marzo si tenne una manifestazione organizzata dal sindacato in causa che protestava contro la riforma prevista dal Governo. In quanto ministro delle Riforme e deputato, il Sig. B. rilasciò un’intervista su queste questioni, probabilmente il 23 o 24 marzo, che il quotidiano Il Messaggero pubblicò il 25 marzo. L’indomani il 26 marzo, il Governo informò la Camera dei deputati in quanto a certe dichiarazioni dei suoi membri sulla manifestazione organizzata dal sindacato. Una seduta consacrata alle risposte del Governo a questo motivo fu fissata al 26 giugno 2002.
Le date che corrispondono alle circostanze della causa ci mostrano il legame tra le attività parlamentari, contrariamente alla maggioranza, noi non pensiamo che il fatto che M. B. non abbia preso la parola durante i dibattimenti parlamentari sia un elemento decisivo, e le opinioni che l’interessato ha espresso all’infuori del Parlamento.
Non si può considerare poi, nello specifico che i propositi del Sig. B. si inseriscano nella cornice di una lite tra individui (in questo senso, vedere Di Jorio, precitata, § 53). Al contrario, le dichiarazioni del Sig. B. erano un contributo ad un dibattito di interesse pubblico, nella cornice dell’esercizio legittimo della sua libertà di espressione.
In una società moderna dove regna la comunicazione di massa, le funzioni parlamentari e la presa di parola legata a queste funzioni non potrebbero essere limitate alle dichiarazioni fatte in seno al Parlamento; sono legate strettamente ai propositi che sono tenuti nei media a proposito del dibattito parlamentare. Questo dibattito non riguarda unicamente altri deputati ma anche l’insieme dell’opinione pubblica. Nello specifico, l’intervista accordata al quotidiano faceva parte di un dibattito parlamentare più vasto e, a questo titolo, era legata stricto sensu a questo.
Permettere i procedimenti penali e civili contro i deputati spetterebbe ad accettare ogni effetto inibitore che questi procedimenti hanno inevitabilmente sul discorso politica. Anche se in fin dei conti l’autore delle dichiarazioni controverse viene prosciolto o un altro modo vince il processo, gli oneri di giustizia, il tempo trascorso e altre costrizioni avranno nel frattempo ostacolato un vero dibattito. Se non si protegge l’irresponsabilità dei principali eletti politici per i propositi che tengono, è l’essenza stessa del discorso politica che è in gioco. La protezione dell’articolo 10 della Convenzione perde la sua effettività se viene applicata a posteriori, dopo un lungo procedimento. Anche l’immunità assoluta dei deputati è stata giudicata legittima, perché permette a questi di partecipare in modo costruttivo ai dibattimenti parlamentari e di rappresentare i loro elettori su delle questioni di interesse pubblico formulando liberamente i loro propositi o le loro opinioni, senza rischio di perseguimenti dinnanzi ad un tribunale o un’altra autorità (vedere, in particolare, A. c. Regno Unito, no 35373/97, § 75, CEDH 2002-X).
È vero che il richiedente ha subito un attentato al suo diritto di accesso ad un tribunale. Ma questo diritto non è assoluto e può dare adito a limitazioni implicitamente ammesse. Queste limitazioni non potrebbero restringere tuttavia l’accesso aperto all’individuo in un modo o ad un punto tale che il diritto venga toccato nella sua stessa sostanza. Inoltre, si conciliano con l’articolo 6 § 1 solo se inseguono un scopo legittimo e se esiste un rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo previsto (vedere, tra molte altre, Khalfaoui c. Francia, no 34791/97, §§ 35-36, CEDH 1999-IX, e Papon c. Francia, no 54210/00, § 90, CEDH 2002-VII; vedere anche il richiamo dei principi pertinenti in Fayed c. Regno Unito, 21 settembre 1994, § 65, serie A no 294-B).
La Camera dei deputati ha stimato che le dichiarazioni del Sig. B. costituivano delle opinioni espresse da una parlamentare nella cornice delle sue funzioni. L’interessato ha beneficiato dunque a questo riguardo dell’immunità contemplata all’articolo 68 della Costituzione. La legittimità della deliberazione della Camera dei deputati è stata esaminata dal tribunale di Roma e dalla Corte costituzionale in virtù del diritto interno.
Condividiamo il parere secondo cui l’ingerenza in causa nello specifico perseguiva degli scopi legittimi ed era proporzionale nella cornice dell’immunità concessa per l’esercizio di funzioni parlamentari, soprattutto per un dibattito libero ed aperto su una questione pertinente della società che non riguardava una lite tra individui.
Quindi, concludiamo che non c’è stata violazione dell’articolo 6.

Testo Tradotto

Conclusion Violation de l’art. 6-1 ; Dommage matériel – demande rejetée ; Préjudice moral – réparation
DEUXIÈME SECTION
AFFAIRE C.G.I.L. ET COFFERATI c. ITALIE
(Requête no 46967/07)
ARRÊT
STRASBOURG
24 février 2009
Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l’article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire C.G.I.L. et Cofferati c. Italie,
La Cour européenne des droits de l’homme (deuxième section), siégeant en une chambre composée de :
Françoise Tulkens, présidente,
Ireneu Cabral Barreto,
Vladimiro Zagrebelsky,
Danutė Jočienė,
Dragoljub Popović,
András Sajó,
Işıl Karakaş, juges,
et de Sally Dollé, greffière de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 27 janvier 2009,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 46967/07) dirigée contre la République italienne et dont un ressortissant de cet Etat, M. S. C. et une association syndicale, la Confederazione Generale Italiana del Lavoro (« la C.G.I.L. », ci-après, « les requérants »), ont saisi la Cour le 19 octobre 2007 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (« la Convention »).
2. Les requérants sont représentés par Me F. C., avocat à Rome. Le gouvernement italien (« le Gouvernement ») est représenté par son agente, Mme E. Spatafora, et par son co-agent, M. F. Crisafulli.
3. Les requérants allèguent une atteinte à leur droit d’accès à un tribunal.
4. Le 28 novembre 2007, la présidente de la deuxième section de la Cour a décidé de communiquer la requête au Gouvernement. Se prévalant des dispositions de l’article 29 § 3 de la Convention, elle a décidé que seraient examinés en même temps la recevabilité et le bien-fondé de l’affaire.
EN FAIT
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
5. La requérante est une association syndicale ayant son siège à Rome. Le requérant est né en 1948 et réside à Bologne.
6. En 2002, le requérant était le secrétaire général de la C.I.G.L.
7. Le 19 mars 2002, M. M. B., un professeur de droit qui était le consultant du ministre du Travail, fut assassiné par les brigades rouges. M. B. avait soutenu la nécessité d’introduire une plus grande flexibilité dans les contrats de travail. Ses idées avaient été contestées par les requérants, qui alléguaient qu’elles auraient conduit à la précarité et à une baisse des rémunérations pour les travailleurs.
8. Le 20 mars 2002, une séance de la Chambre des députés fut consacrée aux déclarations du ministre des Affaires Intérieures quant à l’assassinat de M. B.. Un débat parlementaire s’ensuivit. Plusieurs interventions firent référence à la liaison prétendument existante entre terrorisme, questions sociales et combats syndicaux quant à la réforme du droit du travail.
9. Le 23 mars 2002, se tint à Rome une manifestation organisée par la C.I.G.L. et visant à protester contre l’intention du Gouvernement d’abroger l’article 18 du statut des travailleurs, disposition aux termes de laquelle si un licenciement est jugé injustifié, le travailleur peut demander d’être réintégré dans son poste.
10. Le 25 mars 2002, le quotidien Il Messaggero publia un article, signé par M. M. C., intitulé « Sans les réformes le Gouvernement est mort. Bossi : les mensonges de la C.I.G.L. ont crée l’alibi qui a conduit à l’homicide Biagi ». Cet article, qui relatait les affirmations faites lors d’une interview par M. U. B., ministre pour les Réformes et député, se lit comme suit :
« “D’abord la gauche a créé le climat, puis quelqu’un l’a tué, enfin ils ont été assez malins pour s’approprier cette mort”. Toujours le même, U. B. utilise les mots comme des pierres. Mais il faut toujours l’interpréter à un point tel que B. a invité à ne pas le prendre à la lettre. Ainsi les termes “ils l’ont tué”, en référence au professeur B., ont une couleur toute politique. B. fait de toute la gauche un faisceau : pour lui, les partis, le syndicat et les terroristes, qui se qualifient de gauchistes, sont la même chose.
Ministre B., que pensez-vous de la manifestation syndicale de samedi ?
“Mais quel syndicat, celui-là est un parti. Un parti qui désormais ne peut plus négocier car il est prisonnier des mensonges (balle) qu’il a racontés jusqu’à maintenant.”
Vous aussi vous pensez que le destin de C. est écrit et qu’il sera le prochain leader de la gauche ?
“Pour qu’il devienne leader, les autres, D’A. et F., doivent perdre les élections administratives et, puis, pour C., le chemin sera libre. Au mois de mai lui et Moretti diront « déplacez-vous ». Ceci est politique, non syndical et pour l’instant la politique des mensonges les a menés au terrorisme.”
Pensez-vous que, lors de la réunion de demain avec les interlocuteurs sociaux, le Gouvernement se présentera avec quelque nouveauté ?
“On va voir quelle attitude sera adoptée à cette table. Ce que je remarque est que la petite entreprise meurt avec le marché global si on ne lui enlève pas la corde du cou, et l’article 18 est une corde autour du cou. Puis il y en a d’autres. La réforme est faite sans frais pour les travailleurs, peut-être il y a des frais pour le syndicat qui veut défendre son pain quotidien (la propria pagnotta) fait d’intermédiation.”
La manifestation de samedi, amènera-t-elle à une modification de la ligne du Gouvernement ?
“Je ne pense pas, mais le dernier mot appartient à B. et M. [respectivement, Président du Conseil des ministres et ministre du Travail à l’époque des faits]. Samedi, un parti est descendu dans la rue. C. a vu que la gauche était faible sans une idée et sans un drapeau, il s’est promené dans les usines en disant des mensonges, telle que celui qu’on licencie les travailleurs. Ceci a porté au terrorisme. Par ailleurs, à gauche, ils sont aussi malins, d’abord ils l’ont tué … et puis ils se sont appropriés cette mort. Ils sont beaucoup plus malins que nous.”
C’est-à-dire ?
“D’abord ils l’ont tué. On [ne saurait penser] que c’était n’importe qui. Il vient de ce monde-là et l’alibi sont les mensonges que C. a dit à l’usine.”
Etes-vous en train de dire qu’il y a entente (contiguità) entre syndicat et groupes (frange) extrémistes ?
“Je ne sais pas s’il y a entente, ce que je vois est que les mensonges proférés par la C.G.I.L. ont crée l’alibi pour l’assassinat de B.. Se promener en disant « regarde, tu vas être licencié » te fera devenir secrétaire de la gauche, d’un certain type de gauche hors de l’histoire, mais tu entrouvres la porte à une connivence avec des gens impliquées dans le terrorisme.”
Berlusconi dit qu’avec B. le Gouvernement a été frappé. Êtes-vous d’accord ?
“On a frappé le Gouvernement car celui-ci est un Gouvernement qui veut changer, et eux, le syndicat, ne veulent pas de changements.”
Le livre blanc écrit par B. ne parle pas que de l’article 18. Quelle sera la prochaine réforme que vous souhaitez faire ?
“Je ne sais pas. Il faut le demander à M.. Ce que nous voulons est libérer la petite entreprise qui, dans un marché global, a besoin d’enlever les liens qui l’étouffent. Il y a beaucoup de choses qui ne vont pas bien dans le statut des travailleurs. Le statut des travailleurs, avec la grande crise pétrolière, a provoqué dans les années soixante-dix une grande crise économique. A cette époque, les grandes entreprises ont crée une série de petites entreprises pour échapper aux coûts du marché. Maintenant, le marché global risque de les effacer et nous devons absolument sauver la petite entreprise.”
C. [le Président de la République à l’époque des faits] continue à inviter au dialogue entre majorité et opposition, en particulier maintenant vu le retour de la menace terroriste. Êtes-vous d’accord ?
“Nous sommes contraires aux combines politiques (consociativismo). Ces choses-là n’ont aucune autre origine que celle de gauche. Il n’y a pas de dialogue. Sur le terrorisme, d’accord, on peut faire des conférences. Mais je me souviens du passé lorsque les partisans des larges ententes (gli inciucisti) amenaient, d’un côté, aux accords douteux (all’inciucio) et, de l’autre, à l’expansion du terrorisme. Le terrorisme doit être arrêté en appelant aux responsabilités ceux qui les détiennent.”
B. a clairement dit que le Gouvernement va poursuivre, mais s’il n’arrive pas à faire les réformes promises, que fera la Ligue [le parti auquel M. B. appartenait] ?
“Pourquoi ne devrions-nous pas faire les réformes ? Berlusconi est mort si nous ne faisons pas les réformes. Si nous ne faisons pas les choses, les démocrates chrétiens, ceux qui jouent sur deux tables en même temps, vont revenir. Quel intérêt a B. à faire revenir la Démocratie chrétienne ? Pour lui, ça serait la mort.”
Est-il vrai qu’on vous a à nouveau donné une escorte ?
“Pas vrai, je ne l’ai jamais eue. Je me promène avec mes hommes. Ainsi, s’ils tuent ça veut dire qu’ils sont contre le nord. Ca veut dire que la gauche choisit d’être contre le nord. Si un membre de la Ligue est frappé, c’est le nord qui va se mettre à la chasse de la gauche.”
M. restera-t-il au ministère du Travail même après le petit remaniement (mini rimpasto) ?
“Certes, on reste là. Pas de démocrates chrétiens sur ce fauteuil. Allez, dehors, dégager (Via, sciò, sgombrare).” »
11. Lors de la séance du 26 mars 2002, le Gouvernement informa la Chambre des députés quant à certaines déclarations de ses membres concernant la manifestation syndicale organisée par la C.G.I.L. La séance du 26 juin 2002 fut consacrée aux réponses du Gouvernement quant à une interrogation d’un député portant sur les déclarations de certains ministres à l’égard de la C.G.I.L. Enfin, des réflexions analogues à celles développées par M. B. dans l’interview précitée furent faites par certains députés lors de la séance du 3 juillet 2002.
12. Estimant que les affirmations de M. B. portaient atteinte à leur réputation, le 15 mai 2002, les requérants assignèrent ce dernier, M. C., le directeur du quotidien Il Messagero et sa maison d’édition devant le tribunal civil de Rome afin d’obtenir la réparation des dommages subis. Les requérants alléguaient que l’article incriminé tendait à suggérer qu’il y avait une relation de cause à effet entre l’activité de défense des travailleurs menée par le syndicat et son secrétaire général et l’assassinat de M. B., et que le syndicat constituait le milieu d’où provenaient les terroristes.
13. Le 30 juillet 2003, la Chambre des députés, confirmant une proposition formulée par la commission pour les immunités parlementaires (Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari), estima que les affirmations incriminées de M. B. constituaient des opinions exprimées par un parlementaire dans le cadre de ses fonctions. Par conséquent, M. B. bénéficiait à cet égard de l’immunité prévue à l’article 68 § 1 de la Constitution.
14. Par une ordonnance du 10 février 2005, le tribunal de Rome saisit la Cour constitutionnelle d’un conflit entre pouvoirs de l’Etat et suspendit la procédure civile entamée par les requérants. Il demanda l’annulation de la délibération de la Chambre des députés du 30 juillet 2003.
15. Le tribunal observa que la commission pour les immunités parlementaires avait justifié sa proposition par les éléments suivants : a) les déclarations de M. B. étaient strictement liées au débat politique né après l’assassinat de M. B. ; b) cet homicide avait donné lieu à un débat parlementaire, au cours duquel certains membres de la majorité avaient mis en évidence le lien existant entre le délit et le débat politique sur la réforme du marché du travail ; c) en tant que ministre, M. B. avait exprimé des opinions quant à la politique du Gouvernement.
16. Cependant, aux yeux du tribunal, les opinions de M. B. n’avaient pas été exprimées dans l’exercice de ses fonctions parlementaires, comme prévu par l’article 68 § 1 de la Constitution, lu aussi à la lumière de la loi no 140 du 20 juin 2003 (voir ci-après, sous « Le droit et la pratique internes pertinents »). En effet, selon la jurisprudence de la Cour constitutionnelle, l’immunité pouvait être octroyée seulement s’il y avait une « identité substantielle » (corrispondenza sostanziale) entre un acte parlementaire et les déclarations incriminées.
17. En l’espèce, il ne ressortait pas du dossier que M. B. était intervenu au Parlement au sujet de l’assassinat de M. B. ou dans le cadre de la réforme du marché du travail en abordant la question des rapports entre le syndicat et le terrorisme. De plus, les affirmations de M. B. étaient bien différentes par rapport aux déclarations faites par d’autres députés lors des débats parlementaires. Par ailleurs, la circonstance que M. B. était un ministre était sans importance, étant donné que cette qualité n’impliquait aucune immunité.
18. Le tribunal nota enfin que, dans son arrêt De Jorio c. Italie (no 73936/01, 3 juin 2004), la Cour européenne des droits de l’homme avait jugé que l’octroi de l’immunité parlementaire par rapport à des déclarations faites lors d’une interview avec la presse et non liées à l’exercice de fonctions parlementaires stricto sensu violait le droit d’accès à un tribunal de la personne qui s’estimait diffamée.
19. La Chambre des députés, qui demanda le rejet du recours, et les requérants, qui plaidèrent en faveur des thèses du tribunal de Rome, s’appuyant, entre autres, sur la jurisprudence de la Cour européenne des droits de l’homme, se constituèrent dans la procédure devant la Cour constitutionnelle.
20. Par un arrêt no 305 du 10 juillet 2007, dont le texte fut déposé au greffe le 20 juillet 2007, la Cour constitutionnelle déclara irrecevable le conflit entre pouvoirs de l’Etat soulevé par le tribunal de Rome.
21. Elle observa que la Chambre des députés avait excipé de l’irrecevabilité du recours, au motif que les affirmations prétendument diffamatoires de M. B. n’avaient pas été explicitement citées par le tribunal de Rome dans son ordonnance du 10 février 2005. Cette exception devait être accueillie car, aux termes de la jurisprudence constitutionnelle, l’absence de développement d’une base factuelle empêchait la Cour d’établir s’il y avait un « lien fonctionnel » (nesso funzionale) entre les déclarations d’un député et un acte parlementaire. En l’espèce, le tribunal s’était borné à relater certains passages de l’acte introductif d’instance des plaignants. Il était vrai que le tribunal avait cité la date de parution de l’article de Il Messaggero. Ceci, cependant, ne permettait pas de combler la lacune.
22. L’arrêt de la Cour constitutionnelle fut publié au journal officiel du 25 juillet 2007.
23. Aux termes de l’article 297 du code de procédure civile (« le CPC »), lorsqu’une procédure civile est suspendue, les parties doivent demander la fixation d’une nouvelle audience pour la reprise de la procédure dans les six mois à partir du jour où la raison de la suspension a cessé d’exister. Selon les informations fournies par le Gouvernement le 7 avril 2008, à cette date aucune demande de fixation d’audience n’était parvenue au greffe du tribunal de Rome.
II. LE DROIT ET LA PRATIQUE INTERNES PERTINENTS
24. L’article 68 § 1 de la Constitution et la jurisprudence de la Cour constitutionnelle en matière d’immunité parlementaire sont décrits dans les arrêts Cordova c. Italie (nos 1 et 2) (respectivement, no 40877/98, §§ 22-27, CEDH 2003-I, et no 45649/99, §§ 26-31, CEDH 2003-I).
25. La loi no 140 du 20 juin 2003, intitulée « Dispositions pour l’exécution de l’article 68 de la Constitution et en matière de procès pénaux à l’encontre des hautes fonctions de l’Etat » a précisé le champ d’application de cette disposition. Dans ses parties pertinentes, l’article 3 de cette loi se lit ainsi :
« 1. L’article 68 § 1 de la Constitution s’applique en tout état de cause pour la présentation de projets et propositions de loi, amendements, ordres du jour, résolutions, (…), pour tout acte parlementaire, activité d’inspection, de divulgation, de critique et de dénonciation politique liés à la fonction parlementaire, menés même en dehors du Parlement.
2. Lorsque dans une procédure judiciaire l’application de l’article 68 § 1 de la Constitution est affirmée ou excipée, le juge ordonne, même d’office, le cas échéant, la séparation immédiate de la procédure de celles qui, éventuellement, [avaient été] jointes.
(…). »
26. Aux termes de l’article 137 § 3 de la Constitution, aucun appel ne peut être interjeté contre les décisions de la Cour constitutionnelle. Par un arrêt no 29 de 1998, la Cour constitutionnelle a confirmé le caractère absolu de cette limitation, qui couvre toute demande visant à obtenir l’annulation ou la modification de l’une de ses décisions.
EN DROIT
I. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 6 § 1 DE LA CONVENTION
27. Les requérants se plaignent d’une atteinte à leur droit d’accès à un tribunal, tel que garanti par l’article 6 § 1 de la Convention.
Dans ses parties pertinentes, cette disposition se lit ainsi :
« 1. Toute personne a droit à ce que sa cause soit entendue (…) par un tribunal (…) qui décidera (…) des contestations sur ses droits et obligations de caractère civil (…) »
28. Le Gouvernement s’oppose à cette thèse.
A. Sur la recevabilité
1. L’exception du Gouvernement tirée du défaut manifeste de fondement de la requête ou de l’absence de la qualité de victimes des requérants
a) Exception du Gouvernement
29. Le Gouvernement observe que l’action civile entamée par les requérants n’était pas dirigée uniquement à l’encontre de M. B., mais également contre M. C., le directeur du quotidien Il Messagero et sa maison d’édition. L’obstacle procédural concernant M. B. n’empêchait pas la décision sur le fond vis-à-vis les autres défendeurs. Or, l’article 6 de la Convention ne garantirait pas le droit d’obtenir une décision judiciaire à l’encontre d’une personne en particulier. Le droit d’accès à un tribunal est satisfait lorsqu’un requérant revendiquant une créance peut agir de manière effective contre l’une ou l’autre des personnes civilement responsables. Dès lors, soit le grief des requérant est manifestement dépourvu de fondement, soit les intéressés ne peuvent pas se prétendre « victimes » des faits qu’ils dénoncent.
30. Par ailleurs, il n’est pas vrai que les journalistes, directeurs et éditeurs de quotidiens sont déchargés de toute responsabilité lorsqu’ils relatent de manière fidèle les propos d’une personnalité publique interviewée. Au contraire, selon un arrêt rendu par les sections réunies de la Cour de cassation le 30 mai 2001 (no 37140), il appartient au juge du fond d’apprécier, dans chaque cas d’espèce, si le journaliste s’est borné à rapporter le fait ou s’il s’est lui-même fait « instrument » de la diffamation ou « co-auteur » des déclarations diffamatoires. En tout état de cause, le fait d’avoir rapporté « à la lettre » les déclarations du sujet interviewé, lorsqu’elles ont un caractère objectivement injurieux ou diffamatoire, n’est pas en soi une cause de justification.
31. Le Gouvernement note également que la thèse des requérants – selon laquelle ils auraient assigné à comparaître M. C. et le directeur du journal seulement dans l’hypothèse où M. B. aurait nié avoir prononcé les phrases estimées offensantes (paragraphe 32 ci-après) – est peu crédible. Les requérants auraient en effet été exposés au paiement des frais de justice encourus par ces défenseurs et il ressort des documents de la procédure interne que l’action en diffamation était dirigée solidairement contre tous les défenseurs.
b) Arguments des requérants
32. Les requérants allèguent tout d’abord que les observations du Gouvernement sont irrecevables pour tardiveté, étant parvenues au greffe de la Cour le 10 avril 2008, soit trois jours après l’échéance du délai fixé à cet effet (7 avril 2008). Ils observent ensuite qu’il aurait été inutile de continuer la procédure civile en dommages-intérêts à l’encontre de M. C., du directeur du quotidien Il Messagero et de sa maison d’édition. En effet, tout journaliste a le droit d’interviewer des hommes politiques et est responsable de diffamation seulement s’il relate des déclarations fausses ou inexistantes. Les requérants ont assigné à comparaître M. C. et le directeur du journal seulement dans l’hypothèse où M. B. aurait nié avoir prononcé les phrases estimées offensantes, ce qui n’a pas été le cas en l’espèce.
c) Appréciation de la Cour
33. La Cour observe que l’action entamée par les requérants à l’encontre de M. B. avait un objet différent par rapport à celle dirigée à l’encontre de M. C., du directeur du quotidien Il Messagero et de sa maison d’édition. Dans la première, le défendeur était assigné en justice pour la responsabilité découlant des propos, prétendument diffamatoires, qu’il avait tenus ; dans la seconde, le fait reproché aux défendeurs était d’avoir diffusé les déclarations d’autrui.
34. Les requérants soutiennent par ailleurs que la seconde action n’avait été intentée qu’à titre surabondant, dans l’hypothèse où M. B. aurait nié avoir prononcé les phrases qui lui avaient été attribuées. Le Gouvernement conteste cette thèse, alléguant qu’en droit italien une responsabilité civile peut surgir de la diffusion de déclarations d’autrui ayant un caractère objectivement injurieux ou diffamatoire.
35. La Cour n’estime pas nécessaire de se pencher sur cette question de droit interne. Elle se borne à observer que la question soumise à l’attention des juridictions italiennes était celle de savoir si, compte tenu du contexte politique et factuel dans lequel elles avaient été faites, les déclarations de M. B. pouvaient être interprétées comme portant atteinte à la réputation des requérants en leur attribuant une responsabilité morale pour l’assassinat de M. B.. Il en découle que, à supposer que les phrases incriminées eussent été effectivement prononcées par M. B., l’action des requérants à l’encontre de M. C., du directeur du quotidien Il Messagero et de sa maison d’édition semblait en tout état de cause avoir peu de chances d’aboutir.
36. De plus, la Cour rappelle qu’aux termes de sa jurisprudence, « sanctionner un journaliste pour avoir aidé à la diffusion de déclarations émanant d’un tiers (…) entraverait gravement la contribution de la presse aux discussions de problèmes d’intérêt général et ne saurait se concevoir sans raisons particulièrement sérieuses » (Thoma c. Luxembourg, no 38432/97, § 62, CEDH 2001-III, et Jersild c. Danemark, 23 septembre 1994, § 35, série A no 298).
37. Dans ces circonstances, la Cour estime que la possibilité théorique de poursuivre l’action en diffamation à l’encontre de M. C., du directeur du quotidien Il Messagero et de sa maison d’édition n’a pas privé les requérants de leur qualité de « victimes » par rapport à l’immunité octroyée à M. B. et ne saurait s’analyser en un facteur amenant à conclure au défaut manifeste de fondement de la requête.
38. L’exception du Gouvernement ne saurait partant être retenue.
2. L’exception du Gouvernement tirée du non-épuisement des voies de recours internes
a) Exception du Gouvernement
39. Le Gouvernement observe que, malgré la délibération parlementaire litigieuse, le tribunal de Rome aurait pu se prononcer sur le fond des griefs des requérants à l’encontre de M. C., du directeur du quotidien Il Messagero et de sa maison d’édition. Cependant, les requérants n’ont pas demandé, en temps utile, la fixation d’une audience devant ce tribunal afin de réactiver la procédure. Cette démarche était nécessaire pour éviter que l’affaire soit rayée du rôle. La délibération parlementaire et l’arrêt de la Cour constitutionnelle auraient, certes, conditionné en partie l’issue du litige (notamment en ce qui concerne M. B.), mais elles n’empêchaient pas la reprise du procès principal et le prononcé d’un jugement de première instance. De surcroît, les requérants auraient pu interjeter appel contre ce dernier. Comme il ressort de la jurisprudence interne en la matière, la procédure d’appel aurait offert une deuxième occasion pour soulever – de manière correcte – un conflit entre pouvoirs de l’Etat devant la Cour constitutionnelle. Le Gouvernement en déduit que les requérants ont omis d’épuiser les voies de recours qui leurs étaient ouvertes en droit italien.
40. Le Gouvernement rappelle que, à la différence des affaires Cordova précitées, en la présente espèce la juridiction interne de première instance avait estimé nécessaire de soulever un conflit entre pouvoirs de l’Etat, qui a été déclaré irrecevable seulement en raison d’un défaut procédural. Par conséquent, il est fort probable que la juridiction d’appel aurait elle aussi soulevé un tel conflit en prenant soin d’éviter la même erreur de procédure.
41. Il est vrai que les arrêts de la Cour constitutionnelle ne peuvent former l’objet d’aucun appel. Cependant, cela signifie uniquement qu’il eût été impossible de contester le bien-fondé de la décision d’irrecevabilité ou de soulever à nouveau le conflit entre pouvoirs de l’Etat si la Cour constitutionnelle s’était penchée sur le bien-fondé de celui-ci. En l’espèce, la Cour constitutionnelle s’est arrêtée devant un obstacle procédural et ne s’est pas prononcée sur la validité de la délibération parlementaire litigieuse. Si cette question lui était posée à nouveau et dans des formes appropriées par la juridiction d’appel, rien ne l’aurait empêchée de la trancher. Enfin, la jurisprudence interne interdit de soulever un même conflit dans le même degré de juridiction, mais non au cours d’une instance ultérieure de la même procédure.
b) Arguments des requérants
42. Les requérants observent qu’après l’arrêt par lequel la Cour constitutionnelle a décidé de ne pas annuler la délibération octroyant l’immunité parlementaire, la procédure civile en dommages-intérêts n’avait aucune possibilité d’aboutir. Il était donc inutile d’en solliciter la reprise. Par ailleurs, ledit arrêt de la Cour constitutionnelle ne pouvait faire l’objet d’aucun recours, comme il ressort de l’article 137 § 3 de la Constitution et de l’arrêt no 29 de 1998 (paragraphe 26 ci-dessus). Il n’était donc pas possible de soulever, en appel, un nouveau conflit entre pouvoirs de l’Etat.
c) Appréciation de la Cour
43. En ce qui concerne la possibilité de continuer l’action entamée à l’encontre de M. C., du directeur du quotidien Il Messagero et de sa maison d’édition, la Cour ne peut que réitérer les observations qu’elle a développées pour rejeter l’exception tirée du manque de la qualité de « victimes » des requérants (paragraphes 33-38 ci-dessus).
44. Pour ce qui est de la possibilité de solliciter le prononcé d’un jugement de première instance reconnaissant l’immunité dont M. B. bénéficiait afin d’interjeter appel contre ce jugement et d’inviter la juridiction de deuxième instance à soulever un nouveau conflit entre pouvoirs de l’Etat, la Cour rappelle que dans le cadre du dispositif de protection des droits de l’homme, la règle de l’épuisement des voies de recours internes doit s’appliquer avec une certaine souplesse et sans formalisme excessif. En même temps, elle oblige, en principe, à soulever devant les juridictions nationales appropriées, au moins en substance, dans les formes et délais prescrits par le droit interne, les griefs que l’on entend formuler par la suite au niveau international (voir, parmi beaucoup d’autres, Azinas c. Chypre [GC], no 56679/00, § 38, CEDH 2004-III, et Fressoz et Roire c. France [GC], no 29183/95, § 37, CEDH 1999-I).
45. Cependant, l’obligation découlant de l’article 35 § 1 se limite à celle de faire un usage normal des recours vraisemblablement efficaces, suffisants et accessibles (Sofri et autres c. Italie (déc.), no 37235/97, CEDH 2003-VIII). En particulier, la Convention ne prescrit l’épuisement que des recours à la fois relatifs aux violations incriminées, disponibles et adéquats. Ils doivent exister à un degré suffisant de certitude non seulement en théorie mais aussi en pratique, sans quoi leur manquent l’effectivité et l’accessibilité voulues (Dalia c. France, 19 février 1998, § 38, Recueil des arrêts et décisions 1998-I). De plus, selon les « principes de droit international généralement reconnus », certaines circonstances particulières peuvent dispenser le requérant de l’obligation d’épuiser les voies de recours internes qui s’offrent à lui (Aksoy c. Turquie, Recueil 1996-VI, § 52, 18 décembre 1996).
46. En l’espèce, les requérants auraient donc dû solliciter la reprise d’une procédure de première instance qui, dans la mesure où elle était dirigée contre M. B., était vouée à l’échec. Ils auraient également, par la suite, dû interjeter appel du jugement du tribunal de Rome dans le seul but de solliciter la juridiction de deuxième instance à soulever un nouveau conflit entre pouvoirs de l’Etat, en espérant que, en dépit de l’arrêt de la Cour constitutionnelle no 305 du 10 juillet 2007 et du libellé de l’article 137 § 3 de la Constitution, les juges d’appel auraient estimé une telle démarche nécessaire.
47. Aux yeux de la Cour, obliger un requérant à entamer de telles démarches en présence d’une décision négative d’une juridiction Suprême équivaut à lui imposer de faire recours à des artifices de procédure, dont les chances de succès paraissent inexistantes, pour solliciter un réexamen de son affaire. Ceci semble aller au-delà de l’usage « normal » des recours internes requis par l’article 35 § 1 de la Convention.
48. En tout état de cause, il convient de rappeler que « dans le système juridique italien, un individu ne jouit pas d’un accès direct à la Cour constitutionnelle : seule a la faculté de la saisir, à la requête d’un plaideur ou d’office, une juridiction qui connaît du fond d’une affaire. Dès lors, pareille demande ne saurait s’analyser en un recours dont (…) la Convention exige l’épuisement » (voir, mutatis mutandis et parmi beaucoup d’autres, Brozicek c. Italie, 19 décembre 1989, § 34, série A no 67).
49. Dans ces circonstances, il y a lieu de rejeter l’exception de non-épuisement du Gouvernement.
3. Autres motifs d’irrecevabilité
50. La Cour constate que ce grief n’est pas manifestement mal fondé au sens de l’article 35 § 3 de la Convention. La Cour relève par ailleurs qu’il ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité. Il convient donc de le déclarer recevable.
B. Sur le fond
1. Arguments des parties
a) Le Gouvernement
51. Le Gouvernement estime tout d’abord qu’il n’y a pas eu d’ingérence dans le droit des requérants d’avoir accès à un tribunal. Il réitère son observation selon laquelle les requérants auraient pu continuer leur action civile à l’encontre de M. C., du directeur du quotidien Il Messagero et de sa maison d’édition. De plus, en ce qui concerne M. B., les requérants ont eu la possibilité d’intervenir dans la procédure devant la Cour constitutionnelle, où ils ont pu présenter des arguments visant à obtenir l’annulation de la délibération parlementaire litigieuse. Cette possibilité, à elle seule, a constitué une forme adéquate d’accès à un tribunal. Il est vrai qu’en l’espèce le résultat visé par les requérants n’a pas pu être atteint en raison d’un défaut de formulation du recours soulevant le conflit entre pouvoirs de l’Etat. La Cour constitutionnelle a par ailleurs constamment affirmé que ce recours doit contenir une « référence précise aux éléments indispensables à l’identification des raisons du conflit », ce qui manquait en l’espèce. Il n’en demeure pas moins que, s’étant arrêtée devant un obstacle de nature procédurale, la Cour constitutionnelle n’a pas confirmé la validité de la délibération parlementaire litigieuse. Ceci aurait permis qu’un nouveau conflit soit soulevé en appel. L’action civile à l’encontre de M. B. n’était donc pas « paralysée ».
52. A supposer même qu’il y ait eu ingérence dans l’un des droits garantis par l’article 6, celle-ci était prévue par la loi et poursuivait les buts légitimes de garantir la séparation des pouvoirs de l’Etat, l’indépendance du pouvoir législatif, la liberté du débat parlementaire et la libre expression des représentants du peuple. De plus, elle était proportionnée à ces buts.
53. En tant qu’acteurs du jeu politique, les élus du peuple doivent jouir d’une plus grande latitude dans la liberté d’expression. Dans des précédentes affaires d’immunité parlementaire, la Cour n’a pas dûment tenu compte de ceci. Lorsque dans une procédure en diffamation une exception d’immunité est soulevée, le juge du fond est confronté à un choix qui dépend d’une pluralité de facteurs. Si l’activité reprochée au député entre manifestement dans la notion d’exercice de la fonction parlementaire, le juge pourra mettre fin à la procédure. Si par contre un doute surgit à cet égard, le juge pourra, en principe, soulever un conflit entre pouvoirs de l’Etat, mais il conserve un certain choix discrétionnaire en la matière, en tenant compte des exigences constitutionnelles et conventionnelles. Le juge doit se demander, en particulier, quelle sera l’utilité concrète de déclencher une procédure longue et complexe devant la Cour constitutionnelle, impliquant la suspension de l’examen de l’affaire. A cet égard, il devra tenir compte aussi de la nécessité de respecter le « délai raisonnable ». Notamment, si le juge est persuadé que, du point de vue du droit interne ou sous l’angle de la Convention, l’action en diffamation n’a pas de chance réelle d’aboutir, il lui sera loisible de poursuivre l’examen de la cause sans interpeller la Cour constitutionnelle.
54. L’immunité parlementaire ne rentre en jeu que si les actes incriminés sont répréhensibles ; si, en revanche, ils constituent une manifestation légitime de la liberté d’expression, l’immunité n’a aucun rôle à jouer. Dans ce dernier cas, on ne saurait reconnaître à celui qui s’estime à tort diffamé un droit d’accès à un tribunal pour invoquer des droits qui ne sont pas, de manière défendable, reconnus par la législation interne. Par ailleurs, lorsqu’un député exerce, même en dehors de son mandat parlementaire, sa liberté d’expression de manière légitime, son éventuelle condamnation violerait l’article 10 de la Convention. Cette dernière disposition et la jurisprudence qui en fait application jouent donc un rôle crucial dans l’appréciation d’une ingérence dans le droit d’accès à un tribunal. Si aucun droit substantiel n’existe, ou si le litige n’est pas apte à en assurer directement la réalisation, l’article 6 de la Convention ne trouve pas à s’appliquer.
55. Pour qu’une demande en diffamation soit accueillie, il faut que les expressions litigieuses soient intrinsèquement diffamatoires et qu’elles ne constituent point un exercice légitime du droit à la liberté d’expression. La Cour devrait donc se livrer à une appréciation des déclarations de M. B. afin d’évaluer si elles étaient protégées par l’article 10 de la Convention.
56. En l’espèce, en soulevant un conflit entre pouvoirs de l’Etat, le tribunal de Rome a implicitement manifesté un doute quant au poids respectif qu’il fallait attribuer, d’une part, à la liberté d’expression de M. B. et, d’autre part, aux droits revendiqués par les requérants. La Cour n’est cependant pas liée par cette appréciation du juge interne. En effet, en l’occurrence le droit revendiqué par les requérants devait céder face à la liberté d’expression exercée par M. B.. Ce dernier est un homme politique de premier plan en Italie, chef d’une formation représentée au Parlements italien et européen.
57. Quel que fût leur lien avec une activité parlementaire spécifique, les déclarations litigieuses s’inscrivaient dans le débat public déclenché par l’assassinat de M. B. par un groupe terroriste. Ce crime était motivé par les positions prises et le travail effectué par la victime dans le domaine du droit du travail. Dans ce débat d’intérêt public, certains soutenaient que les positions du syndicat et la critique virulente des idées de la victime avaient contribué à créer le climat qui avait favorisé la naissance du projet criminel des terroristes. Telle était, en substance, la thèse défendue par M. B., en recourant à une certaine dose d’exagération et de véhémence polémique. Dans ces circonstances, même en l’absence d’une immunité parlementaire, la procédure au fond n’aurait pu qu’aboutir à une décision de rejet de la demande des requérants. Dans une note annexée aux observations du Gouvernement, le service légal (avvocatura) de la Chambre des députés affirme que les déclarations de M. B. étaient liées à une activité parlementaire préalable, à savoir les débats ayant eu lieu au sein de la chambre législative les 20 et 26 mars, 26 juin et 3 juillet 2002 (paragraphes 8 et 11 ci-dessus). Par ailleurs, toute opinion ayant une connexion avec la « politique parlementaire » devrait être considérée comme étant liée à une activité parlementaire.
b) Les requérants
58. Les requérants rappellent que leur requête porte sur la question de savoir s’il y a eu ingérence dans leur droit d’accès à un tribunal et si telle ingérence était proportionnée. La question de savoir s’il y a eu un juste équilibre entre la liberté d’expression d’un parlementaire et la protection du droit à l’honneur des personnes qui s’estiment offensées par lui pourrait se poser uniquement s’il y avait eu décision sur le fond de l’action en diffamation. Les requérants n’ont pas eu l’opportunité de convaincre les juges du fond que les déclarations de M. B. dépassaient les limites d’une critique légitime et s’analysaient en des offenses gratuites.
59. En tout état de cause, M. B. a, en substance, accusé les requérants d’être politiquement et moralement responsables d’un homicide. Ceci constitue une accusation spécifique non prouvée qui a porté une atteinte injustifiée à leur réputation, et permet de distinguer la présente espèce des affaires où la Cour a conclu à la violation de l’article 10 de la Convention en raison de la condamnation pour diffamation d’un élu du peuple.
60. Les requérants notent ultérieurement que le mécanisme prévu par le système italien pour contrôler la légitimité d’une délibération octroyant l’immunité parlementaire est de nature à rendre difficile la protection des droits des tiers. La personne qui s’estime diffamée par un membre du Parlement ne peut pas intervenir dans la procédure pour l’octroi de l’immunité et doit ensuite convaincre le juge à soulever, dans des formes appropriées, un conflit entre pouvoirs de l’Etat ; enfin, elle a la faculté d’intervenir dans la procédure devant la Cour constitutionnelle. En l’espèce, pour des raisons qui ne sauraient être imputées aux requérants, le juge du fond n’a pas respecté les formalités exigées par la Cour constitutionnelle et leur intervention devant cette dernière a été privée de tout effet utile.
61. Les requérants observent qu’en raison de la délibération de la Chambre des députés et de l’arrêt de la Cour constitutionnelle, la procédure civile qu’ils ont entamée à l’encontre de M. B. devra s’arrêter. Dès lors, ils n’auront aucune possibilité d’obtenir une décision sur le fond de leur action en diffamation. Par ailleurs, prononcées dans le cadre d’interviews avec la presse, les déclarations litigieuses n’étaient pas liées à l’exercice de fonctions parlementaires. En effet, M. B. n’est jamais intervenu, de manière écrite ou orale, au sein d’une chambre législative au sujet de l’assassinat de M. B.. De plus, il n’existe aucun acte parlementaire préalable par lequel M. B. aurait montré son intention d’accuser les requérants d’être les inspirateurs moraux ou politiques de cet homicide. Les actes cités par la Chambre des députés avaient été présentés par d’autres membres du Parlement ; la plupart sont d’ailleurs postérieurs à l’interview de M. B. et aucun d’entre eux n’accuse, ne fût que moralement, les requérants du meurtre.
2. Appréciation de la Cour
62. La Cour estime que la requête pose avant tout la question de savoir si les requérants ont pu exercer leur droit, garanti par l’article 6 de la Convention, d’accès à un tribunal (Golder c. Royaume-Uni, 21 février 1975, §§ 35-36, série A no 18, Cordova (no 2), précité, § 48, et De Jorio c. Italie, no 73936/01, § 40, 3 juin 2004).
a) Sur l’existence d’une ingérence dans l’exercice par les requérants de leur droit d’accès à un tribunal
63. La Cour note que, par sa délibération du 30 juillet 2003, la Chambre des députés a déclaré que les affirmations de M. B. étaient couvertes par l’immunité consacrée par l’article 68 § 1 de la Constitution, ce qui empêchait de continuer toute procédure pénale ou civile visant à établir la responsabilité du député en question et à obtenir la réparation des dommages subis.
64. Il est vrai que la légitimité de ladite délibération a fait l’objet d’un examen d’abord du tribunal de Rome (paragraphes 14-18 ci-dessus), puis de la Cour constitutionnelle qui, dans son arrêt no 305 du 10 juillet 2007, a déclaré le conflit entre pouvoirs de l’Etat irrecevable pour des motifs procéduraux (paragraphes 20-21 ci-dessus).
65. On ne saurait toutefois comparer de telles appréciations à une décision sur le droit des requérants à la protection de leur réputation, ni considérer qu’un degré d’accès au juge limité à la faculté de poser une question préliminaire suffisait pour assurer aux requérants le « droit à un tribunal », eu égard au principe de la prééminence du droit dans une société démocratique (Cordova (nos 1 et 2), précités, respectivement § 52 et § 53, De Jorio, précité, § 53, et, mutatis mutandis, Waite et Kennedy c. Allemagne [GC], no 26083/94, § 58, CEDH 1999-I). A ce sujet, il convient de rappeler que l’effectivité du droit en question demande qu’un individu jouisse d’une possibilité claire et concrète de contester un acte portant atteinte à ses droits (Bellet c. France, 4 décembre 1995, § 36, série A no 333-B). Dans la présente affaire, à la suite de la délibération du 30 juillet 2003, doublée de la décision de la Cour constitutionnelle de déclarer irrecevable le conflit entre pouvoirs de l’Etat, l’action civile entamée contre M. B. a été paralysée, et les requérants se sont vus priver de la possibilité d’obtenir quelque forme de réparation que ce soit pour leur préjudice allégué (voir, mutatis mutandis, Ielo c. Italie, no 23053/02, §§ 43-44, 6 décembre 2005).
66. Quant aux allégations du Gouvernement concernant la possibilité de poursuivre l’action civile à l’encontre de M. C., du directeur du quotidien Il Messaggero et de sa maison d’édition (paragraphe 51 ci-dessus), la Cour ne peut que réitérer les observations l’ayant amenée à rejeter les exceptions préliminaires (paragraphes 35-38 et 43 ci-dessus).
67. Dans ces conditions, la Cour considère que les requérants ont subi une ingérence dans leur droit d’accès à un tribunal (voir, mutatis mutandis, Cordova (nos 1 et 2), précités, respectivement §§ 52-53 et §§ 53-54 ; De Jorio précité, §§ 45-47 ; Patrono, Cascini et Stefanelli c. Italie, no 10180/04, §§ 55-58, 20 avril 2006).
68. Elle rappelle cependant que ce droit n’est pas absolu, mais peut donner lieu à des limitations implicitement admises. Néanmoins, ces limitations ne sauraient restreindre l’accès ouvert à l’individu d’une manière ou à un point tels que le droit s’en trouve atteint dans sa substance même. En outre, elles ne se concilient avec l’article 6 § 1 que si elles poursuivent un but légitime et s’il existe un rapport raisonnable de proportionnalité entre les moyens employés et le but visé (voir, parmi beaucoup d’autres, Khalfaoui c. France, no 34791/97, §§ 35-36, CEDH 1999-IX, et Papon c. France, no 54210/00, § 90, 25 juillet 2002 ; voir également le rappel des principes pertinents dans Fayed c. Royaume-Uni, 21 septembre 1994, § 65, série A no 294-B).
b) But de l’ingérence
69. La Cour relève que le fait pour les Etats d’accorder généralement une immunité plus ou moins étendue aux membres du Parlement constitue une pratique de longue date, qui vise à permettre la libre expression des représentants du peuple et à empêcher que des poursuites partisanes puissent porter atteinte à la fonction parlementaire. Dans ces conditions, la Cour estime que l’ingérence en question, qui était prévue par l’article 68 § 1 de la Constitution, poursuivait des buts légitimes, à savoir la protection du libre débat parlementaire et le maintien de la séparation des pouvoirs législatif et judiciaire (A. c. Royaume-Uni, no 35373/97, §§ 75-77, CEDH 2002-X ; Cordova (nos 1 et 2) précités, respectivement § 55 et § 56 ; De Jorio précité, § 49 ; Patrono, Cascini et Stefanelli, précité, § 59).
70. Il reste à vérifier si les conséquences subies par les requérants étaient proportionnées aux buts légitimes visés.
c) Proportionnalité de l’ingérence
71. S’agissant des principes généraux concernant la proportionnalité des ingérences en matière d’immunité parlementaire, la Cour renvoie tout d’abord à la jurisprudence qu’elle a dégagée dans les affaires Cordova c. Italie (Cordova (nos 1 et 2), précités, respectivement §§ 57-61 et §§ 58-62).
72. En l’espèce, la Cour relève que, prononcées dans le cadre d’interviews avec la presse, et donc en dehors d’une chambre législative, les déclarations litigieuses de M. B. n’étaient pas liées à l’exercice de fonctions parlementaires stricto sensu. Il est vrai qu’au cours des séances des 20 et 26 mars, 26 juin et 3 juillet 2002, un débat parlementaire a eu lieu au sein de la Chambre des députés au sujet de l’homicide de M. B. (paragraphes 8 et 11 ci-dessus). Il n’en demeure pas moins qu’il ne ressort pas du dossier que M. B. soit intervenu, de manière écrite ou orale, au sein d’une chambre législative à ce sujet ou ait évoqué une responsabilité morale ou politique des requérants pour l’assassinat en cause. Les requérants le soulignent à juste titre (paragraphe 61 ci-dessus) et le Gouvernement n’a pas contesté cette affirmation. Il convient également de noter que les séances parlementaires des 26 mars, 26 juin et 3 juillet 2002 ont eu lieu après l’interview de M. B. à la presse.
73. La Cour a examiné les déclarations de ce dernier, telles que relatées par le quotidien Il Messaggero. Elle estime qu’elles tendaient à soutenir, en substance, que par leur action de contestation des réformes programmées par le Gouvernement dans le domaine du droit du travail, les requérants étaient, du moins en partie, responsables du climat de tension sociale qui avait conduit à l’homicide de M. B.. Or, dans un tel cas, on ne saurait justifier un déni d’accès à la justice par le seul motif que la querelle pourrait être de nature politique ou liée à une activité politique (voir, mutatis mutandis, Cordova (no 2) précité, § 63, De Jorio, précité, § 53, et Patrono, Cascini et Stefanelli, précité, § 62).
74. De l’avis de la Cour, l’absence d’un lien évident avec une activité parlementaire appelle une interprétation étroite de la notion de proportionnalité entre le but visé et les moyens employés. Il en est particulièrement ainsi lorsque les restrictions au droit d’accès découlent d’une délibération d’un organe politique. Conclure autrement équivaudrait à restreindre d’une manière incompatible avec l’article 6 § 1 de la Convention le droit d’accès à un tribunal des particuliers chaque fois que les propos attaqués en justice ont été émis par un membre du Parlement (Cordova (nos 1 et 2), précités, respectivement § 63 et § 64, et De Jorio, précité, § 54).
75. La Cour estime qu’en l’espèce la délibération de la Chambre des députés du 30 juillet 2003 octroyant l’immunité à M. B., qui a eu comme conséquence de paralyser l’action des requérants tendant à assurer la protection de leur réputation, n’a pas respecté le juste équilibre qui doit régner en la matière entre les exigences de l’intérêt général de la communauté et les impératifs de la sauvegarde des droits fondamentaux de l’individu.
76. La Cour attache également de l’importance au fait qu’après la délibération en question et l’arrêt de la Cour constitutionnelle no 305 de 2007, les requérants ne disposaient pas d’autres voies raisonnables pour protéger efficacement leurs droits garantis par la Convention (voir Patrono, Cascini et Stefanelli précité, § 65, et, a contrario, Waite et Kennedy, précité, §§ 68-70, et A. c. Royaume-Uni, précité, § 86).
77. A cet égard, la Cour rappelle que dans les affaires Cordova et De Jorio, elle avait noté que la jurisprudence de la Cour constitutionnelle avait connu une certaine évolution et que la haute juridiction italienne estimait désormais illégitime que l’immunité soit étendue à des propos n’ayant pas de rapport substantiel avec des actes parlementaires préalables dont le représentant concerné pourrait passer pour s’être fait l’écho (Cordova (nos 1 et 2) précités, respectivement § 65 et § 66, et De Jorio, précité, § 56). Il n’en demeure pas moins que dans la présente affaire la Cour constitutionnelle, relevant l’existence d’un obstacle de nature procédurale posé par le libellé de l’ordonnance du tribunal de Rome du 10 février 2005, a refusé d’examiner si les propos de M. B. rentraient dans l’exercice de « fonctions parlementaires » et étaient couverts par l’article 68 § 1 de la Constitution (voir, mutatis mutandis, Jelo, précité, § 54).
78. Il n’appartient pas à la Cour de se pencher sur l’exactitude de cette interprétation en droit interne. En effet, c’est au premier chef aux autorités nationales, et notamment aux cours et aux tribunaux, qu’il incombe d’interpréter la législation interne (Edificaciones March Gallego S.A. c. Espagne, Recueil 1998-I, § 33, 19 février 1998, et Pérez de Rada Cavanilles c. Espagne, 28 octobre 1998, § 43, Recueil 1998-VIII). En revanche, le rôle de la Cour est celui de vérifier la compatibilité avec la Convention des effets de pareille interprétation (Cordova (no 1), précité, § 57, Kaufmann c. Italie, no 14021/02, § 33, 19 mai 2005, et Ielo, précité, § 55). Sans examiner in abstracto la législation et la pratique pertinentes, elle doit rechercher si la manière dont elles ont touché les requérants a enfreint la Convention (voir, mutatis mutandis, Padovani c. Italie, 26 février 1993, § 24, série A no 257-B). Or, comme la Cour vient de le constater (paragraphe 75 ci-dessus), l’entrave au droit d’accès à la justice des requérants n’a pas été, en l’espèce, proportionnée aux buts légitimes poursuivis.
79. Enfin, pour ce qui est de l’argument du Gouvernement selon lequel, étant donné que les propos de M. B. s’analysaient dans un exercice légitime de sa liberté d’expression, la procédure au fond n’aurait pu qu’aboutir à une décision de rejet de la demande des requérants (paragraphes 53-57 ci-dessus), la Cour observe qu’elle n’est pas appelée à se prononcer sur le point de savoir si, en l’espèce, il y avait eu diffamation. Dans le cadre de la présente requête, la question qui lui est soumise est celle d’évaluer si les requérants, qui avaient introduit devant un tribunal interne une action en diffamation non manifestement dépourvue de sérieux, ont pu bénéficier d’un accès à la justice satisfaisant les exigences de la Convention. Or, tel n’a pas été le cas en l’espèce.
80. Dès lors, il y a eu violation de l’article 6 § 1 de la Convention.
II. SUR L’APPLICATION DE L’ARTICLE 41 DE LA CONVENTION
81. Aux termes de l’article 41 de la Convention,
« Si la Cour déclare qu’il y a eu violation de la Convention ou de ses Protocoles, et si le droit interne de la Haute Partie contractante ne permet d’effacer qu’imparfaitement les conséquences de cette violation, la Cour accorde à la partie lésée, s’il y a lieu, une satisfaction équitable. »
A. Dommage
82. Les requérants demandent l’octroi d’une « réparation pécuniaire pour le préjudice moral et matériel » qu’ils auraient subi.
83. Le Gouvernement souligne que les requérants n’ont pas chiffré leurs prétentions et que leurs demandes de satisfaction équitable ont un caractère très vague, ce qui devrait conduire à les rejeter. Faute de l’indication, même approximative, d’une somme jugée appropriée, le Gouvernement n’est pas en mesure de formuler des commentaires adéquats. Dans ces conditions, faire droit à la demande des requérants se traduirait en une méconnaissance du droit du Gouvernement de disposer des éléments nécessaires pour exposer ses thèses et se défendre.
84. La Cour estime que les requérants n’ont fourni aucune preuve du dommage matériel prétendument subi. Dès lors, aucune somme ne peut être octroyée à ce titre. Elle juge en revanche que les intéressés ont subi un tort moral certain. Eu égard aux circonstances de la cause et statuant en équité comme le veut l’article 41 de la Convention, elle décide d’octroyer à chaque requérant la somme de 8 000 EUR. La somme globale à verser aux requérants à ce titre s’élève donc à 16 000 EUR.
B. Frais et dépens
85. Les requérants n’ont présenté aucune demande au titre des frais et dépens auxquels ils auraient dû faire face au niveau interne ou devant la Cour. Partant, la Cour estime qu’il n’y a pas lieu de leur octroyer de somme à ce titre.
C. Intérêts moratoires
86. La Cour juge approprié de calquer le taux des intérêts moratoires sur le taux d’intérêt de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne majoré de trois points de pourcentage.
PAR CES MOTIFS, LA COUR,
1. Déclare, à l’unanimité, la requête recevable ;
2. Dit, par cinq voix contre deux, qu’il y a eu violation de l’article 6 § 1 de la Convention ;
3. Dit, par cinq voix contre deux,
a) que l’Etat défendeur doit verser à chaque requérant, dans les trois mois à compter du jour où l’arrêt sera devenu définitif conformément à l’article 44 § 2 de la Convention, 8 000 EUR (huit mille euros) pour dommage moral, plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt ;
b) qu’à compter de l’expiration dudit délai et jusqu’au versement, ces montants seront à majorer d’un intérêt simple à un taux égal à celui de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne applicable pendant cette période, augmenté de trois points de pourcentage ;
4. Rejette, à l’unanimité, la demande de satisfaction équitable pour le surplus.
Fait en français, puis communiqué par écrit le 24 février 2009, en application de l’article 77 §§ 2 et 3 du règlement.
Sally Dollé Françoise Tulkens
Greffière Présidente
Au présent arrêt se trouve joint, conformément aux articles 45 § 2 de la Convention et 74 § 2 du règlement, l’exposé de l’opinion séparée des juges Sajó et Karakaş.
F.T.
S.D.

OPINION DISSIDENTE COMMUNE AUX JUGES
SAJÓ ET KARAKAŞ
Nous ne partageons pas l’avis de la majorité selon lequel il y a eu dans cette affaire violation de l’article 6 de la Convention.
Il faut tout d’abord rappeler que l’immunité reconnue aux membres du Parlement pour leurs votes et opinions a pour but d’assurer aux intéressés, dans l’exercice de leurs fonctions, la liberté d’expression la plus étendue qui soit afin qu’ils puissent débattre librement de toute question concernant la vie publique sans avoir à craindre de persécutions ou d’éventuelles conséquences judiciaires.
D’après la jurisprudence de la Cour constitutionnelle italienne relative aux opinions exprimées hors du Parlement, il faut vérifier l’existence d’un lien avec les activités parlementaires : il doit notamment y avoir une correspondance substantielle entre les opinions en cause et un acte parlementaire préalable (Cordova c. Italie (no 2), no 45649/99, CEDH 2003-I).
Dans la présente affaire, selon la majorité, les déclarations de M. B. publiées dans Il Messaggero le 25 mars 2002, exprimées en dehors d’une chambre législative, n’étaient pas liées à l’exercice des fonctions parlementaires stricto sensu.
Nous pensons pour notre part que cette affaire se distingue des autres affaires italiennes concernant l’immunité parlementaire où la Cour a constaté la violation de l’article 6 (Cordova (no 2), précité ; De Jorio c. Italie, no 73936/01, 3 juin 2004).
Les remarques en cause ne concernent pas un individu dans sa sphère privée ; contrairement aux déclarations litigieuses dans l’affaire De Jorio (§ 53), les déclarations ici en cause ne paraissent pas « s’inscrire dans le cadre d’une querelle entre particuliers ». La requérante est une importante association syndicale (et le requérant est membre de celle-ci) qui participe au débat politique, avec toutes les possibilités de réaction qui appartiennent aux entités publiques dotées d’un certain pouvoir.
En l’occurrence, la publication de l’interview de M. B. le 25 mars 2002 eut lieu après le débat parlementaire du 20 mars 2002 sur l’assassinat de M. B., le terrorisme et la lutte des syndicats dans le contexte de la réforme du droit du travail. Le 23 mars se tint une manifestation organisée par le syndicat en cause, qui protestait contre la réforme prévue par le Gouvernement. En tant que ministre des Réformes et député, M. B.donna une interview sur ces questions (probablement le 23 ou 24 mars), que le quotidien Il Messaggero publia le 25 mars. Le lendemain 26 mars, le Gouvernement informa la Chambre des députés quant à certaines déclarations de ses membres sur la manifestation organisée par le syndicat. Une séance consacrée aux réponses du Gouvernement à ce sujet fut fixée au 26 juin 2002.
Les dates correspondant aux circonstances de l’affaire nous montrent le lien entre les activités parlementaires (contrairement à la majorité, nous ne pensons pas que le fait que M. B. n’ait pas pris la parole pendant les débats parlementaires soit un élément décisif) et les opinions que l’intéressé a exprimées en dehors du Parlement.
Ensuite, on ne peut pas considérer en l’espèce que les propos de M. B. s’inscrivent dans le cadre d’une querelle entre particuliers (dans ce sens, voir De Jorio, précité, § 53). Au contraire, les déclarations de M. B. étaient une contribution à un débat d’intérêt public, dans le cadre de l’exercice légitime de sa liberté d’expression.
Dans une société moderne où règne la communication de masse, les fonctions parlementaires et la prise de parole liée à ces fonctions ne sauraient être limitées aux déclarations faites au sein du Parlement ; elles sont étroitement liées aux propos qui sont tenus dans les médias au sujet du débat parlementaire. Ce débat ne concerne pas uniquement d’autres députés mais aussi l’ensemble de l’opinion publique. En l’espèce, l’interview accordée au quotidien faisait partie d’un débat parlementaire plus vaste et, à ce titre, était liée à celui-ci stricto sensu.
Permettre les procédures pénales et civiles contre les députés reviendrait à accepter tout l’effet inhibiteur que ces procédures ont inévitablement sur le discours politique. Même si en fin de compte l’auteur des déclarations litigieuses est relaxé ou d’une autre manière gagne le procès, les frais de justice, le temps écoulé et d’autres contraintes auront entre-temps fait obstacle à un véritable débat. Si l’on ne protège pas l’irresponsabilité des principaux élus politiques pour les propos qu’ils tiennent, c’est l’essence même du discours politique qui est en jeu. La protection de l’article 10 de la Convention perd de son effectivité si elle est appliquée a posteriori, après une longue procédure. Même l’immunité absolue des députés a été jugée légitime, car elle permet à ceux-ci de participer de façon constructive aux débats parlementaires et de représenter leurs électeurs sur des questions d’intérêt public en formulant librement leurs propos ou leurs opinions, sans risque de poursuites devant un tribunal ou une autre autorité (voir, notamment, A. c. Royaume-Uni, no 35373/97, § 75, CEDH 2002-X).
Il est vrai que le requérant a subi une atteinte à son droit d’accès à un tribunal. Mais ce droit n’est pas absolu et peut donner lieu à des limitations implicitement admises. Ces limitations ne sauraient toutefois restreindre l’accès ouvert à l’individu d’une manière ou à un point tel que le droit s’en trouve atteint dans sa substance même. En outre, elles ne se concilient avec l’article 6 § 1 que si elles poursuivent un but légitime et s’il existe un rapport raisonnable de proportionnalité entre les moyens employés et le but visé (voir, parmi beaucoup d’autres, Khalfaoui c. France, no 34791/97, §§ 35-36, CEDH 1999-IX, et Papon c. France, no 54210/00, § 90, CEDH 2002-VII ; voir également le rappel des principes pertinents dans Fayed c. Royaume-Uni, 21 septembre 1994, § 65, série A no 294-B).
La Chambre des députés a estimé que les déclarations de M. B.constituaient des opinions exprimées par un parlementaire dans le cadre de ses fonctions. L’intéressé a donc bénéficié à cet égard de l’immunité prévue à l’article 68 de la Constitution. La légitimité de la délibération de la Chambre des députés a été examinée par le tribunal de Rome et par la Cour constitutionnelle en vertu du droit interne.
Nous partageons l’avis selon lequel l’ingérence en cause en l’espèce poursuivait des buts légitimes et était proportionnelle dans le cadre de l’immunité octroyée pour l’exercice de fonctions parlementaires, surtout pour un débat libre et ouvert sur une question pertinente de la société qui ne concernait pas une querelle entre particuliers.
Dès lors, nous concluons qu’il n’y a pas eu violation de l’article 6.

A chi rivolgersi e i costi dell'assistenza

Il Diritto dell'Espropriazione è una materia molto complessa e poco conosciuta, che "ingloba" parti importanti di molteplici rami del diritto. Per tutelarsi è quindi essenziale farsi assistere da un Professionista (con il quale si consiglia di concordare in anticipo i costi da sostenere, come ormai consentito dalle leggi in vigore).

Se l'espropriato ha già un Professionista di sua fiducia, può comunicagli che sul nostro sito trova strumenti utili per il suo lavoro.
Per capire come funziona la procedura, quando intervenire e i costi da sostenere, si consiglia di consultare la Sezione B.6 - Come tutelarsi e i Costi da sostenere in TRE Passi.

  • La consulenza iniziale, con esame di atti e consigli, è sempre gratuita
    - Per richiederla cliccate qui: Colloquio telefonico gratuito
  • Un'eventuale successiva assistenza, se richiesta, è da concordare
    - Con accordo SCRITTO che garantisce l'espropriato
    - Con pagamento POSTICIPATO (si paga con i soldi che si ottengono dall'Amministrazione)
    - Col criterio: SE NON OTTIENI NON PAGHI

Se l'espropriato è assistito da un Professionista aderente all'Associazione pagherà solo a risultato raggiunto, "con i soldi" dell'Amministrazione. Non si deve pagare se non si ottiene il risultato stabilito. Tutto ciò viene pattuito, a garanzia dell'espropriato, con un contratto scritto. è ammesso solo un rimborso spese da concordare: ad. es. 1.000 euro per il DAP (tutelarsi e opporsi senza contenzioso) o 2.000 euro per il contenzioso. Per maggiori dettagli si veda la pagina 20 del nostro Vademecum gratuito.

La data dell'ultimo controllo di validità dei testi è la seguente: 18/09/2024