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Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE BROSSET-TRIBOULET ET AUTRES c. FRANCE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 1
Articoli: P1-1
Numero: 34078/02/2010
Stato: Francia
Data: 2010-03-29 00:00:00
Organo: Grande Camera
Testo Originale

Conclusione Non-violazione di P1-1
GRANDE CAMERA
CAUSA BROSSET-TRIBOULET ED ALTRI C. FRANCIA
( Richiesta no 34078/02)
SENTENZA
STRASBURGO
29 marzo 2010
Questa sentenza è definitiva. Può subire dei ritocchi di forma.

Nella causa Brosset-Triboulet ed altri c. Francia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, riunendosi in una Grande Camera composta da:
Nicolas Bratza, presidente, Jean-Paul Costa, Peer Lorenzen, Francesca Tulkens, Josep Casadevall, Karel Jungwiert, Nina Vajić, Rait Maruste, Anatoly Kovler, Ljiljana Mijović,,,
Renate Jaeger, Davide Thór Björgvinsson, Ineta Ziemele, Marco Villiger, Isabelle Berro-Lefèvre, George Nicolaou, Zdravka Kalaydjieva, giudici,
e da Michael O’Boyle, cancelliere aggiunto,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio l’ 11 febbraio 2009 e il 3 febbraio 2010,
Rende la sentenza che ha adottato in questa ultima data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 34078/02) diretta contro la Repubblica francese e in cui due cittadine di questo Stato, le Sig.re I. B.-T. ed E. B.-P. (“le richiedenti”), hanno investito la Corte il 4 settembre 2002 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
Il 26 novembre 2008, il cancelliere è stato informato ́del decesso della richiedente E. B.-P. il 14 maggio 2008, poi del desiderio delle sue figlie, la Sig.ra S. E. e la Sig.na E. P., di proseguire il procedimento al suo posto.
2. Le richiedenti sono rappresentate da P. B., avvocato al Consiglio di stato ed alla Corte di cassazione. Il governo francese (“il Governo”) è rappresentato dal suo agente, la Sig.ra E. Belliard, direttrice delle cause giuridiche al ministero delle Cause estere.
3. Le richiedenti adducevano in particolare che il rifiuto delle autorità francesi di autorizzarle a continuare ad occupare un appezzamento del demanio pubblico su cui è edificata una casa che appartiene alla loro famiglia dal 1945 e l’ingiunzione che è stata fatta loro di distruggerla porta attentato al loro diritto di proprietà garantito dall’articolo 1 del Protocollo no 1 ed al rispetto del loro domicilio ai senso dell’articolo 8 della Convenzione.
4. La richiesta è stata assegnata alla seconda sezione della Corte (articolo 52 § 1 dell’ordinamento). Il 14 giugno 2005, la richiesta è stata dichiarata in parte inammissibile da una camera di suddetta sezione composta dai giudici Ireneu Cabral Barreto, Jean-Paul Costa, Karel Jungwiert, Volodymyr Butkevych, Mindia Ugrekhelidze, Antonella Mularoni, Elisabet Fura-Sandström, così come da Sally Dollé, cancelliera di sezione. Il 29 aprile 2008, in seguito ad un cambiamento di sezione, la richiesta è stata dichiarata ammissibile sotto l’angolo degli articoli 1 del Protocollo no 1 e 8 della Convenzione da una camera della quinta sezione, composta dai giudici Peer Lorenzen, Snejana Botoucharova, Jean-Paul Costa, Karel Jungwiert, Rait Maruste, Marco Villiger, Isabelle Berro-Lefèvre, così come di Claudia Westerdiek, cancelliera di sezione. Il 25 settembre 2008, la camera di suddetta sezione, composta dai giudici Peer Lorenzen, Rait Maruste, Jean-Paul Costa, Karel Jungwiert, Renate Jaeger, Marco Villiger, Isabelle Berro-Lefèvre, così come di Claudia Westerdieck, cancelliera di sezione, si è sciolta a profitto della Grande Camera, nessuna delle parti essendovisi opposta (articoli 30 della Convenzione e 72 dell’ordinamento).
5. La composizione della Grande Camera è stata stabilita conformemente agli articoli 27 §§ 2 e 3 della Convenzione e 24 dell’ordinamento.
6. Tanto le richiedenti che il Governo hanno depositato delle osservazioni scritte.
7. Un’udienza si è svolta in pubblico al Palazzo dei diritti dell’uomo, a Strasburgo, l’ 11 febbraio 2009 (articolo 59 § 3 dell’ordinamento). Sono comparsi:
– per il Governo
La Sig.ra E. Belliard, direttrice delle cause giuridiche al ministero delle Cause estere, agente, la
Sig.ra A. – F. Tissier, vicedirettrice dei diritti dell’uomo alla Direzione delle cause giuridiche del ministero delle Cause estere,
Sig.ra Sig. – G. Merloz, redattrice alla sotto-direzione dei diritti dell’uomo della direzione delle cause giuridiche del ministero delle Cause estere, la Sig.ra C. Stoven, incaricata degli studi per lo sviluppo economico e turistico delle spiagge ed incaricata del contenzioso del demanio pubblico marittimo naturale del ministero dell’ecologia, dell’energia, dello Sviluppo duraturo e della pianificazione duratura,
La Sig.ra D. Medjaed, ascoltatrice di giustizia in stage alla direzione delle cause giuridiche del ministero delle Cause estere,
Il Sig. P. Bourreau, direttore dipartimentale, ufficio carico delle missioni demaniali della direzione generale delle finanze pubbliche del ministero del Bilancio,consiglieri;
– per le richiedenti
P. B., avvocato al Consiglio di stato ed alla Corte di cassazione,
consigliere.
La Corte ha ascoltato nelle loro dichiarazioni B. e la Sig.ra Belliard.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
8. Le richiedenti sono nate rispettivamente nel 1935 e 1938 e risiedono a Sainte-Croix-Grand-Tonne e Caen.
A. La casa controversa
9. Il 26 maggio 1909, A. acquisì da R., con contratto firmato dinnanzi al notaio, l’isola di Irus situata nel golfo del Morbihan.
10. Con un’ordinanza del 25 settembre 1909, il prefetto del Morbihan autorizzò A. ad edificare un terrapieno su un appezzamento del demanio pubblico marittimo situato sulla circoscrizione comunale del comune di Arradon per stabilire una rampa d’accesso di quattro metri per quattro metri che permetteva di imbarcarsi, in particolare verso l’isola di Irus.
11. Con un’ordinanza del 25 agosto 1911, il prefetto del Morbihan autorizzò A. a procedere all’ingrandimento di suddetto terrapieno. Questa ordinanza si legge, nelle sue disposizioni pertinenti, come segue:
“(…) Dal punto di vista delle buona creanza del servizio dei Ponti e Carreggiate il terrapieno, con l’ingrandimento chiesto, non può nuocere per niente alla navigazione, a condizione di essere livellato al disopra del livello delle piene marre delle acque vive, né alla circolazione sulla riva marittima, a condizione di essere accessibile in ogni tempo al pubblico;
Dal punto di vista del canone da imporre il licenziatario pagherà un canone annuo di 30 franchi 40. (…)
In caso di revoca, il licenziatario dovrà se ne venisse richiesto, fare ristabilire i luoghi nel loro stato primitivo e nel caso non assolvesse questo obbligo, si provvederebbe a cura dell’amministrazione, d’ ufficio e a sue spese. L’importo degli anticipi fatti sarebbe rimborsato dal convittore per mezzo di ruoli resi esecutivi dal Prefetto “
12. Il 2 maggio 1921, un atto di vendita, firmato dinnanzi a M., fu pubblicato all’ufficio delle ipoteche di Vannes. Con questo atto, A. trasmise la proprietà dell’isola di Irus al Signore S.
La trascrizione di questo atto da parte dell’ufficio delle ipoteche, per ciò che riguarda in particolare il terrapieno controverso, si legge come segue:
“(…) Entrata in godimento -L’acquirente sarà l’attuale proprietario dell’isola di Irus venduta a contare da questo giorno e per mezzo delle presenti ed egli avrà il godimento a contare dal primo marzo mille nove cento ventuno. (…)
Signore [A.] dichiara che con ordinanza prefettizia del Morbihan, in data del venticinque settembre mille nove cento nove e di un altro in data del venire-cinque agosto mille nove cento undici, gli è stato concesso ne luogo detto Pen-er-men una superficie di terreno di una superficie di tre cento trenta tre-metri quadrati ottantotto decimentri quadrati, riportata sul catasto del comune di Arradon, sotto il numero 137 della sezione, per stabilire un terrapieno con una ringhiera di acciaio di quattro metri per quattro metri. Che questa concessione gli è stata fatta sotto la condizione espressa che questo terrapieno fosse accessibile al pubblico e mediante un canone annuo di trenta franchi e quaranta centesimi rivedibili ogni i cinque anni. E di conseguenza il Signore [A.] rimette e sostituisci l’acquirente in tutti i suoi diritti relativi a questa concessione con tutte le costruzioni che il venditore ha edificato e ha dichiarato che non esiste nessuna altra servitù attiva o passiva “
13. Con ordinanza del 3 febbraio 1938, il prefetto accordò alla vedova di S., zia della madre delle richiedenti, un’autorizzazione di occupazione del terrapieno per cinque anni con la precisazione che il “terrapieno avrà una superficie totale di 333 m2 98 ma che la condizione di accessibilità al pubblico significa ridurre la superficie imponibile a 303 m2 98(…) sarà riservata su tutta la sua lunghezza una fascia(…) per la circolazione pubblica.”
14. La madre delle richiedenti acquisì da sua zia, tramite donazione tra vivi redatta dinnanzi a notaio e pubblicata all’ufficio delle ipoteche di Vannes il 12 novembre 1945, una casa ad uso di villeggiatura edificata sul terrapieno suddetto:
“Sono comparse
La Signora M. vedova del Signore S che ha fatto donazione tra vivi
La Signora M., vedova di M. il Generale B., la sua nipote,
della proprietà che le appartiene sul comune di Arradon e chiamata l’isola di Irus.
Designazione: l’isola di Irus presentemente data comprende la totalità di suddetta isola che comprende la totalità degli immobili costruiti e non immobili che la compongono messi al catasto per una capienza di dodici ettari
Condizioni: La donazione ha luogo sotto le seguente condizioni (…)La donataria prenderà l’immobile nello stato in cui è senza potere esercitare nessuno ricorso contro la donatrice per qualche causa questo sia attualmente e ne godrà a contare da questo giorno, fissato per l’entrata in godimento. (…) Pagherà le imposte ed i premi di assicurazione contro l’incendio a contare da questo giorno.
Stato civile-autorizzazione (…)Il prefetto del Morbihan ha autorizzato il ventuno settembre 1945 suddetta donazione. (…)”
15. Con una serie di ordinanze, in particolare emessi il 6 giugno 1951, il 29 marzo 1967, il 21 dicembre 1977, il 27 agosto 1984 e il 10 luglio 1986, il prefetto del Morbihan autorizzò l’occupazione del terrapieno controverso mediante pagamento di un canone. Quello del 1967 parla del rinnovo dell’ordinanza del 1951 che autorizzava ad occupare un terrapieno; quello del 1984 e del 1986 menzionavano il terrapieno con abitazione. L’ordinanza prefettizia del 10 luglio 1986 non autorizzava l’occupazione del demanio pubblico al di là del 31 dicembre 1990. Le ordinanze precisavano “che il terrapieno non potrà nuocere per niente alla navigazione a patto di essere livellato al di sotto del livello dei più alti mari, né alla circolazione sulla riva marittima a patto di essere accessibile al pubblico in ogni tempo.” Era precisato sui formulari di autorizzazione che, conformemente agli articoli A 26 e 27 del codice della demanio lo stato, “l’amministrazione si riserva la facoltà di modificare o di togliere l’autorizzazione se lo giudicava utile, per qualsiasi causa questo sia, senza che il licenziatario possa richiedere, per questo fatto, nessuna indennità o risarcimento. Dovrà, se ne fosse richiesto, fare ristabilire i luoghi nel loro stato primitivo, tramite demolizione degli insediamenti edificati sul demanio pubblica, ivi comprese quelle esistenti in data di firma dell’ordinanza. Nel caso non assolvesse questo obbligo, vi si provvederà, tramite l’amministrazione, d’ ufficio a sue spese”.
16. Nel frattempo, nel 1966, la direzione generale dell’Imposta- Demanio aveva scritto al direttore del demanio a Vannes questo:
“Mi avete sottoposto per osservazioni e pareri un’istanza di rinnovo di occupazione temporanea della demanio pubblico marittimo effettuata dalla [madre delle richiedenti]. Questa istanza interessa un terrapieno di una superficie di 333,98 m2, ridotta ad una superficie imponibile di 304 m2 su cui è stata costruita una casa d’ abitazione. Il canone annuo proposto dal servizio dei Ponti e delle carreggiate è di 100 franchi. La causa dà luogo alle seguenti osservazioni: l’articolo R 56 del codice del demanio dello stato stipula che ogni canone a profitto del Tesoro deve tenere conto dei vantaggi di ogni natura procurata al concessionario. Nel caso precitato, è fuori dubbio che la concessione di terrapieno in questione procura alla richiedente un vantaggio non trascurabile: le permette in particolare l’economia del capitale da investire per potere disporre di un terreno da costruire nella zona considerata (…) In queste condizioni, sembra assolutamente normale considerare una somma corrispondente all’importo dell’interesse calcolato al tasso molto ridotto del 5% sul valore del terreno concesso. (…) “
B. Procedimenti amministrativi
17. Il 15 marzo 1993, la madre delle richiedenti sollecitò il rinnovo della convenzione di occupazione presso il prefetto del Morbihan.
18. In risposta, il 6 settembre 1993, il prefetto le ricordò che l’autorizzazione accordata nel 1986 di occupare la casa del 1986 era scaduta il 31 dicembre 1990. Fece sapere che l’entrata in vigore della legge no 86-2 del 3 gennaio 1986 relativa alla pianificazione, la protezione ed il collocamento in valore del litorale (qui di seguito legge litorale) ed in particolare il suo articolo 25, non gli permetteva più di rinnovare l’autorizzazione nelle condizioni anteriori, questa precisando che le utilizzazioni del DPM devono tenere conto della vocazione delle zone riguardate, ciò che esclude in particolare ogni utilizzazione privativa per le case di villeggiatura. Tuttavia, e per tenere conto dell’anzianità dell’occupazione e del carattere affettivo accordato dalle richiedenti e da loro madre alla casa oggetto della controversia, il prefetto indicò che era pronto a studiare in via eccezionale un’autorizzazione limitata comprendente in particolare un’autorizzazione rigorosamente personale di utilizzazione che vietava ogni cessione o trasmissione del terreno e della casa, un’interdizione a realizzare dei lavori eccettuati quelli di manutenzione, ed una possibilità per lo stato, alla scadenza dell’autorizzazione, di fare rimettere i luoghi nel loro stato iniziale o di riutilizzare gli insediamenti. Conclude chiedendo di precisare velocemente se queste condizioni la soddisfacevano per “regolarizzare una situazione illegale da due anni e mezzo.”
19. La madre delle richiedenti non accettò questa proposta. Sollecitò in cambio la concessione di una concessione di arginatura che valeva trasferimento di proprietà sul fondamento dell’articolo L. 64 del codice della demanio dello stato (paragrafo 44 sotto).
20. Il 9 marzo 1994, il prefetto del Morbihan allontanò l’istanza della madre delle richiedenti mantenendo la sua proposta iniziale di convenzione di occupazione sotto condizioni:
“Mi avete chiesto di volere cortesemente studiare la possibilità di impegnare un procedimento di declassamento del terrapieno, dipendenza del demanio pubblico marittimo che occupate a Pen-Er-Men in vista, mi pare, di un’acquisizione di questo terrapieno costruito(…)

Sono spiacente di farvi conoscere che la concessione classica che porta attribuzione al concessionario della proprietà piena ed indefinita dei terreni riemersi nella cornice dell’articolo L. 64 del codice del demanio dello stato è stato abbandonato tramite un’istruzione ministeriale da alcuni anni, in mancanza di interesse generale dimostrato. La vostra istanza non va in questo senso e mantengo le condizioni fissate nella mia lettera del 6 settembre per regolarizzare la vostra situazione.
Questa regolarizzazione potrebbe farsi nella cornice della convenzione di cui vi trasmetto un progetto. Vi segnalo che il canone demaniale sarà rivisto al rialzo per tenere conto della situazione particolare dell’occupazione della Demanio. “
21. Il 5 maggio 1994, la madre delle richiedenti investì il tribunale amministrativo di Rennes in vista di ottenere l’annullamento della decisione del prefetto del 9 marzo 1994 che negava di accordarle la concessione di arginatura sollecitata.
22. Il 4 luglio 1995, il prefetto del Morbihan informò la madre delle richiedenti che aveva intenzione di redigere un verbale di contravvenzione di grande rete viaria per fare constatare l’occupazione senza titolo del demanio pubblico. Questo verbale fu preparato il 6 settembre 1995 e fu notificato alla madre delle richiedenti il 16 novembre 1995. Il 20 dicembre 1995, il prefetto, conformemente alla constatazione di occupazione senza titolo del demanio pubblico così stabilito e conformemente all’articolo L. 28 del codice del demanio dello stato (paragrafo 41 sotto) investì il tribunale amministrativo di Rennes di una richiesta tesa alla condanna della madre delle richiedenti, da una parte, al pagamento di una multa, dall’altra parte, alla rimessa dei luoghi nel loro stato iniziale, ossia lo stato anteriore all’edificazione della casa.
23. Con due giudizi distinti resi il 20 marzo 1997, il tribunale amministrativo di Rennes deliberò sul ricorso introdotto il 5 maggio 1994 dalla madre delle richiedenti (istanza no 941509) e sulla richiesta introdotta dal prefetto del Morbihan il 20 dicembre 1995 (istanza no 953516).
24. Su richiesta della madre delle richiedenti tesa all’annullamento della decisione del rifiuto del prefetto di accordarle una concessione di arginatura, il tribunale considerò ciò che segue:
“Considerando che ai termini dell’articolo L. 64 del codice del demanio dello stato: “Lo stato può concedere, alle condizioni che avrà regolato… il diritto di arginatura”; che se l’articolo 27 della legge del 3 gennaio 1986 sopraindicato ha ridotto il campo di applicazione dell’articolo precitato, precisa tuttavia che “le terre riemerse anteriori alla presente legge rimangono regolate dalla legislazione anteriore”; che perciò, sono solo applicabili nello specifico l’articolo L. 64 del codice precitato e la legge del 28 novembre 1963 relativa al Demanio Pubblico Marittimo che dispone “che sono incorporati al Demanio Pubblico Marittimo… sotto riserva di disposizioni contrarie di atti di concessione i terreni che saranno sottratti artificialmente all’azione del fiotto”; che se il prefetto per opporre un rifiuto all’istanza di cui era investito si è appellato sui principi direttivi e gli orientamenti fissati dalla circolare interministeriale del 3 gennaio 1973 definendo la politica da seguire per l’utilizzazione del demanio pubblico marittimo, non ha sbagliato, esaminando la situazione particolare del progetto di concessione formulato dalla richiedente, sulla portata di suddetta circolare che non abroga, né modifica le suddette disposizioni legislative ma si limita a farne applicazione;
Considerando peraltro che la circolare precitata, dando per direttiva alle autorità incaricate di deliberare sulle concessioni di arginatura di non alienare la proprietà degli appezzamenti creati e di accettarvi solo l’insediamento di attrezzature ad uso collettivo, all’esclusione dell’ habitat privativo, è intervenuto in una materia in cui le autorità competenti dispongono di un potere discrezionale; che non appare che il prefetto facendo riferimento ai principi posti dalla circolare, abbia proceduto ad un’inesatta interpretazione delle disposizioni legislative, né che non abbia esaminato la specificità del progetto della richiedente, prima di stimare che nessuna particolarità era di natura tale da giustificare che fosse fatta deroga alle direttive sopra-analizzate;”
25. Nella cornice dell’istanza no 953516, il tribunale amministrativo di Rennes accolse la richiesta depositata dal prefetto il 20 dicembre 1995, ai seguenti motivi:
“(…) Sulla demanialità pubblica
“(…) Considerando che la contravvenzione di grande rete viaria mirava a preservare l’integrità del demanio pubblico; che risulta dal giudizio reso questo giorno dal tribunale nell’istanza no 941509 che l’appezzamento su cui è edificato la casa di villeggiatura della Sig.ra B. fa ben parte di suddetto demanio;

Considerando che il giudice amministrativo subordina la determinazione della consistenza della demanio pubblica artificiale all’interpretazione giudiziale dei titoli privati che sarebbero prodotti quando il loro esame solleva una difficoltà seria; che nello specifico il terrapieno e la casa non sono un bene della demanio pubblica avuta esclusivamente riguardo all’utilizzazione privativa che ne è fatto ed al loro non appartenenza ad una collettività pubblica; che quindi nella mancanza di contestazione seria dell’appropriazione privata del bene controverso, non c’è luogo di sospendere a deliberare; (…)
Sull’esistenza di una multa di grande rete viaria
Considerando che se la casa di villeggiatura occupata dalla Sig.ra B. le appartiene in piena proprietà e se sostiene di non essere, quindi, un’occupatrice irregolare del demanio pubblico, è tuttavia consolidato che la costruzione di un lavoro di carattere permanente non poteva essere intrapresa regolarmente sul demanio pubblico sia che sia in virtù di una concessione di arginatura, o di un altro tipo di concessione; che risulta dall’istruzione ed in particolare dalla mancanza di tali atti di concessione, che la casa di villeggiatura di cui si tratta è stata edificata irregolarmente sul Demanio Pubblico Marittimo; che perciò, il prefetto è autorizzato a chiedere la condanna della Sig.ra B. ad una multa ed al collocamento della riva del mare nel suo stato anteriore all’edificazione di suddetto lavoro e questo nel termine di tre mesi a contare dalla notifica del presente giudizio ; che alla scadenza di questo termine, la Sig.ra B. verserà una penale di un importo di 100 franchi al giorno di ritardo in caso di inadempienza del presente giudizio e l’amministrazione sarà autorizzata a farlo a spese, rischi e pericoli della contravventrice. “
26. L’ 11 luglio 1997, le due richiedenti, agendo quindi in quanto aventi diritto di loro madre in seguito al suo decesso, interposero appello al giudizio reso nell’istanza no 953516. Il 18 luglio 1997, interposero appello del giudizio reso nell’istanza no 941509.
27. Con una sentenza dell’ 8 dicembre 1999, la corte amministrativa di appello di Nantes decise di unire i due procedimenti in ragione della loro connessione e di respingere gli appelli formati dalle richiedenti.
In quanto alla richiesta relativa alla contravvenzione di grande rete viaria, la corte constatò innanzitutto il decesso della Sig.ra B. nel corso dell’istanza e, perciò, decise l’estinzione dell’azione pubblica. Concernente l’azione demaniale, la corte di appello motivò la sua decisione come segue:
“Considerando, in primo luogo, che non è contestato che l’appezzamento dove si trova il terrapieno su cui è edificata la casa era ricoperto interamente dal fiotto, all’infuori di ogni circostanza meteorologica eccezionale, prima dell’a riemersione effettuata per realizzare questo stesso terrapieno; che non è stabilito, né addotto neanche del resto dalle richiedenti, che la superficie non riemersa di questo appezzamento sarebbe stato mai sottratta da allora all’azione del fiotto; che risulta, peraltro, dall’istruzione, che il terrapieno è il prodotto di riemersioni realizzate anteriormente all’entrata in vigore della legge del 28 novembre 1963 sopraindicata e che, non essendo stato realizzato nelle forme contemplate per le concessioni a carico dell’arginatura, non hanno potuto, nonostante l’intervento delle diverse autorizzazioni di occupazione temporanea accordate dall’amministrazione, avere per effetto di fare tirare fuori dalla demanio pubblico marittimo questa parte dell’appezzamento così sottratto all’azione del fiotto; che in ragione dei principi di inalienabilità e di imprescrittibilità del demanio pubblico, le circostanze invocate dalla Sig.ra T. e dalla Sig.ra B.-P.l che la casa è stata edificata regolarmente e che la sua occupazione è stata accettata dall’amministrazione per una durata molto lunga ed è stata tollerata anche dopo la scadenza dell’ultima autorizzazione di occupazione sono senza influenza sull’appartenenza al demanio pubblico marittimo;
Considerando, in secondo luogo che, come è stato detto, l’ultima autorizzazione di occupazione temporanea del Demanio Pubblico Marittimo è venuta a scadenza il 31 dicembre 1990; che in mancanza, da questa data, di un titolo di occupazione regolare, il prefetto del Morbihan è autorizzato a chiedere che venga assegnato agli occupanti, se questo non è stato già fatto, di rimettere i luoghi nel loro stato anteriore all’edificazione della casa sul demanio pubblico marittimo; che le richiedenti non possono avvalersi utilmente, per contestare questo obbligo, dell’anzianità dell’occupazione dei luoghi, né del fatto che l’amministrazione ha tollerato il perseguimento di questa occupazione dopo il 31 dicembre 1990 e ha proposto alla Sig.ra B., per regolarizzare la situazione, dei progetti di convenzione di occupazione ai quali non ha dato seguito del resto; (…)
Considerando, in quinto luogo che [l’obbligo di procedere alla rimessa in stato dei luoghi] non costituisce una misura proibita dalla stipulazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 in virtù della quale nessuno può essere privato della sua proprietà che a causa di utilità pubblica. “
In quanto al rifiuto di concessione di arginatura, la corte di appello si espresse come segue:
“(…) Considerando in secondo luogo che, l’articolo 27 della legge del 3 gennaio 1986 sopraindicato precisando che le riemersioni anteriori a questa legge rimangono regolate dalla legislazione anteriore, sono applicabili al presente caso le disposizioni codificate sotto l’articolo L. 64 del codice del demanio dello stato ai termini delle quali “lo stato può concedere, a condizioni che avrà regolato… il diritto di arginatura… “;
Considerando che, per negare di accordare alla Sig.ra B. la concessione di arginatura sollecitata, il prefetto del Morbihan si è basato sui principi direttivi definiti dalla circolare del 3 gennaio 1973 relativa all’utilizzazione del demanio pubblico all’infuori dei porti di commercio e di pesca, e ha rilevato che nessuno motivo di interesse generale giustificava che venisse fatto diritto all’istanza dell’interessata;
Considerando che dando per direttiva alle autorità incaricate di deliberare sulle istanze di concessioni di arginatura che nessuno appezzamento dipendente, ad un titolo qualsiasi, dal demanio pubblico dovrà essere declassato per essere oggetto di una cessione in piena proprietà, i ministri firmatari della circolare del 3 gennaio 1973 non hanno decretato regole di diritto che modificavano o completavano le disposizioni precitate dell’articolo L. 64 del codice del demanio dello stato di cui si sono limitati a fare applicazione: che così come è stato detto sopra, l’appezzamento in causa appartiene al demanio pubblico dello stato; che non risulta dai documenti della pratica né che il prefetto, prima di prendere la sua decisione, non abbia esaminato le circostanze particolari che motivavano il progetto presentato dalla Sig.ra B., né che abbia commesso un errore manifesto di valutazione stimando che nessuna particolarità di questo progetto o nessuna considerazione di interesse generale giustificava che fosse fatta una deroga alle suddette direttive;”
28. Il 21 febbraio 2000, le richiedenti ricorsero in cassazione contro la sentenza dell’ 8 dicembre 1999. Fecero valere che in mancanza di prove che non potevano detenere logicamente, avendo acquisito tramite donazione una casa già costruita su una lastra anteriormente edificata, avevano dimostrato che la costruzione regolare di una casa di villeggiatura aveva potuto essere intrapresa su un appezzamento supposto di appartenere al demanio pubblico alla sola condizione dell’esistenza di un’autorizzazione di occupazione temporanea relativa ad un uso privativo di questo appezzamento e non escludendo espressamente l’eventualità di tale costruzione. Ne dedussero che la costruzione della casa, conosciuta ed accettata dell’amministrazione, aveva provocato la piena proprietà di questa da parte degli occupanti dell’appezzamento. In caso contrario, apparteneva al prefetto di portare la prova dell’irregolarità delle riemersioni al quale si procedette all’inizio del secolo. Le richiedenti invocarono ancora la sproporzione della sanzione e la necessità, in mancanza di un motivo di interesse generale, del versamento di un indennizzo per il danno anormalmente creato.
29. Il commissario del Governo, nelle sue conclusioni, comuni ad una causa simile, fece valere che il valore attualizzato del prezzo di acquisizione della casa ammontava a 655 530 euro (EUR). Proseguì in questi termini:
“(…) Gli interessati non hanno potuto acquisire nessun diritto di proprietà sulle loro case e le successive cessioni non arrivano di più alla costituzione dei diritti reali sul demanio pubblico. Tenuto conto della situazione precaria di questi immobili, il loro valore venale non poteva essere stabilito senza prendere in considerazione questa circostanza fondamentale e bisogna sperare che le richiedenti fossero state informate debitamente di questi elementi quando gli atti di acquisizione sono stati redatti. Alla fine ed anche se le soluzioni alle quali si arriva suscitano da parte nostra solo un entusiasmo molto relativo, possiamo concludere solamente al rigetto delle conclusioni delle richiedenti. (…) Queste hanno commesso probabilmente delle mancanze di destrezza rifiutando l’offerta reiterata dal prefetto. Anche se non le incantava, era almeno preferibile ad una demolizione pura e semplice che dovrà essere operata a loro spese per decisione di giustizia. Ogni speranza non è forse persa di riannodare i fili del dialogo con l’amministrazione per trovare forse una soluzione meno sbrigativa.
Lo stato non è forse all’occorrenza al riparo di un’azione in responsabilità per avere lasciato sperare durante vicino ad un secolo che gli occupanti della demanio pubblica non sarebbero brutalmente costretti di demolire i loro beni. Egli bene bisogna vedere tuttavia che le probabilità di riuscita di una tale azione siano abbastanza magre in ragione della protezione legittima di cui beneficia la demanio pubblica. In ogni caso, è evidente che se la responsabilità della persona pubblica dovesse essere considerata, si tratterebbe di una responsabilità che i contravventori dividerebbero largamente con l’amministrazione. “
30. Con una sentenza resa il 6 marzo 2002, il Consiglio di stato respinse il ricorso delle richiedenti. Giudicò che non potevano avvalersi di nessuno diritto reale sull’appezzamento controverso e sugli immobili che vi erano stati edificati e che l’obbligo di rimessa in stato dell’appezzamento nello stato anteriore all’edificazione della casa, senza indennizzo preliminare, non era una misura proibita dall’articolo 1 del Protocollo no 1 dunque.
31. Il 6 agosto 2002, il direttore generale della Direzione generale della cultura, delle cause giuridiche e delle politiche dipartimentali del Morbihan scrisse questo alle richiedenti:
“Ho avuto alcuni elementi di informazioni provenienti dalla direzione regionale delle cause culturali [DRAC] della Bretagna. Ne risulta innanzitutto che la vostra casa non è stata repertoriata specificamente dal servizio regionale dell’inventario quando questo ha inventariato il cantone di Vannes-ovest all’inizio degli anni 1990. Però, l’insieme dell’ansa di Pen er Men è ben repertoriato, come mostra del resto una fotografia, disponibile al servizio dell’inventario dove appare chiaramente la vostra casa. Dall’ altra parte, questo servizio mi ha fatto sapere, verbalmente che se l’inventario del cantone di Vannes-ovest fosse effettuato oggi, la vostra casa, così come altre nella stessa situazione, certamente verrebbe inventariata.
Comunque sia, questo stesso servizio potrebbe intervenire efficacemente, particolarmente presso la DDE [Direzione dipartimentale delle infrastrutture], allo scopo di protezione del patrimonio se una minaccia di distruzione dovesse venire di nuovo brandita.
Per ciò che riguarda infine un’eventuale misura di archiviazione o di iscrizione all’inventario supplementare dei monumenti storici della vostra casa, non bisogna contare, da una parte perché lo stato non vi considera come proprietarie, dall’altra parte perché è oberato di istanze, in particolare nel Morbihan. Nell’immediato, tenuto conto delle buone disposizioni della DRAC nei confronti del vostro problema, non sono troppo inquieto. “
32. Nel 2008, la tassa di soggiorno della casa ammontava a 584 EUR e la tassa fondiaria a 708 EUR. Le richiedenti producono una valutazione della loro casa fatta da un’agenzia immobiliare nel novembre 2008: “una casa di 1905 ad uso di villeggiatura costruita in pietre. Tenuto conto della situazione geografica di questa proprietà, dello stato della costruzione, della superficie dell’investimento, del suo insediamento sul DPM, del mercato immobiliare locale, e sotto riserva che i proprietari possano beneficiare di un contratto di concessione sul DPM, questa proprietà ha un valore dell’ordine di 800 000 a 1 000 000 di euro.”
II. IL DIRITTO E LA PRATICA INTERNE PERTINENTI
A. Il demanio pubblico marittimo (DPM) e la sua gestione
1. La custodia del demanio pubblico marittimo
33. L’idea che la riva del mare appartiene alle “cose comuni”, cioè non è suscettibile di appropriazione privata ed è gestita dal potere pubblico, viene dall’epoca romana (Institutes de Giustiniano, Libro II, Titolo I De rerum divisione) dove già un’autorizzazione era necessaria per costruire sul bordo del mare. È l’ordinanza della marina dell’ agosto 1681 di Colbert che, codificando questo principio, costituiva ancora recentemente il fondamento della gestione da parte dello stato del DPM. Dopo avere definito ciò che comprendeva il “bordo e la riva del mare”, precisava anche il regime applicabile: “Facciamo proibizione ad ogni persone di costruire sulle rive del mare, di piantare alcun palo, né di fare nessun lavoro che possa recare un danno alla navigazione, a pena della demolizione dei lavori, della confisca dei materiali e di multe arbitrarie”. Nel corso della Rivoluzione prende piede l’idea che il DPM venga gestito dai governanti nell’interesse della nazione, e non come un semplice elemento una volta patrimonio della Corona, e oggi dello stato. Questa concezione guida ancora largamente oggi la gestione del DPM, perché aldilà della proprietà stessa dello stato su questo demanio, la sua conservazione e la sua gestione dipendono più dal collocamento in opera di una politica della sua utilizzazione che dall’esercizio dei diritti “civili” del proprietario. Il prefetto tiene un ruolo principale nella custodia del DPM, è l’autorità che in generale ne regolamenta localmente l’utilizzazione, permette le occupazioni privative o meno e garantisce la difesa della sua integrità perseguendo gli autori degli attentati a questa tenuta (sorgente): www.mer.gouv.fr, consultato il 3 febbraio 2010.
L’ordinanza della marina di Colbert è stata abrogata definitivamente nel 2006. Dal 1 luglio 2006, il codice generale della proprietà delle persone pubbliche (CGPPP) ha sostituito il codice del demanio dello stato (datato 1957). Ristruttura il diritto demaniale dello stato e delle persone pubbliche e sintetizza la regolamentazione del DPM includendovi in particolare le disposizioni relative all’ambiente.

2. Consistenza del demanio pubblico marittimo naturale

34 Il DPM, determinato a partire da fenomeni naturali, è compreso tra i limiti alti della riva, cioè al punto fin dove la più alta marea può estendersi in mancanza di perturbazioni meteorologiche eccezionali (CE Ass, Kreitmannn, 12 ottobre 1973) ed il limite del mare territoriale, lato largo. Secondo l’articolo L. 2111-4 del CGPPP, “Il Demanio Pubblico Marittimo naturale dello stato comprende:
1o Il suolo ed il sottosuolo del mare tra i limiti esterni del mare territoriale e, lato terra, la riva del mare.
La riva del mare è costituita da tutto ciò che copre e scopre fin dove le più alte maree possono estendersi in mancanza di perturbazioni meteorologiche eccezionali;
2o Il suolo ed il sottosuolo degli stagni salati in comunicazione diretta, naturale e permanente col mare;
3o I tratti sottratti dal mare:
a) Che facevano parte del demanio privato dello stato in data del 1 dicembre 1963, sotto riserva dei diritti di terzi;
b) Costituiti a contare dal 1 dicembre 1963.
(…)
5o I terreni riservati in vista della soddisfazione dei bisogni di interesse pubblico di ordine marittimo, balneare o turistico e che sono stati acquisiti dallo stato.
“I terreni sottratti artificialmente all’azione del fiotto rimangono compresi nel Demanio Pubblico Marittimo naturale sotto riserva delle disposizioni contrarie di atti di concessione traslativi di proprietà legalmente presi ed eseguiti” regolarmente. “
3. Protezione del demanio pubblico marittimo
a) Principio di inalienabilità
35. Consacrato dalla giurisprudenza, poi ripreso dal codice del demanio dello stato (articolo L. 52, ed il CGPPP, articolo L. 3111-1) il principio di inalienabilità del demanio pubblico è indissociabile dalla nozione di demanio pubblico. Il fondamento di questo principio è legato alla destinazione del demanio all’utilità pubblica: finché questa destinazione rimane, e finché una decisione espressa di declassamento di una dipendenza del demanio pubblico non è stata presa, nessuna cessione del demanio può essere autorizzata. È una protezione contro l’usucapione o la prescrizione acquisitiva del diritto privato, da cui il principio di non prescrittibilità complementare a quello dell’inalienabilità. Così, nella sua sentenza Cazeaux, a proposito di appezzamenti prossimi alla riva del mare nel bacino di Arcachon, il Consiglio di stato ha considerato che “anche se le autorità pubbliche hanno autorizzato su questi appezzamenti diversi lavori, hanno rinunciato a più riprese di rivendicare la demanialità pubblica di suddetti appezzamenti, gli autori della società del demanio delle paludi salmastre non hanno potuto, come suddetta società, acquisire nessuno diritto di proprietà su questi appezzamenti che, facendo parte del demanio pubblico, erano inalienabili ed imprescrittibili.”
36. Il Consiglio costituzionale ha enunciato che l’inalienabilità si limitava al fatto che i beni del demanio pubblico venissero alienati senza che fossero stati declassati prima di tutto (C.C, no 86-217 DC del 18 settembre 1986, Libertà di comunicazione). Non ha riconosciuto tuttavia al principio di inalienabilità un valore costituzionale (CC, dec. no 94-346 del 21 luglio 1994, Diritti reali sul demanio pubblico). Il Consiglio di stato ha ricordato recentemente che “quando un bene appartenente ad una persona pubblica è stato incorporato nel suo demanio pubblico con una decisione di archiviazione, non smette di appartenere a questo demanio salvo decisione espressa di declassamento”; ha giudicato così che era senza incidenza sull’appartenenza di laboratori relè occupati da una società al demanio pubblico il fatto “che questi laboratori avrebbero vocazione di essere affittati o ceduti ai loro occupanti o che gli affitti acconsentiti in vista della loro occupazione rivestirebbero il carattere di contratto di diritto privato” (CE 26 marzo 2008, Società Lucofer).
37. Conseguenza del principio di inalienabilità, ogni cessione di beni del demanio pubblico “non declassati” sono nulli. Questa nullità provoca un obbligo di restituzione per i terzi acquirenti, anche in buona fede. Inoltre, l’inalienabilità provoca l’esclusione, in principio, della costituzione dei diritti reali sul demanio pubblico. Tuttavia, in deroga a questo principio, il legislatore ha, con l’adozione di due leggi, una del 5 gennaio 1988 che istituiva l’affitto enfiteutico amministrativo, l’altra del 25 luglio 1994 relativa alla costituzione del diritto reale sul demanio pubblico, che dava la possibilità di concedere dei diritti reali all’occupante a titolo privativo sul DPM. Trattandosi della prima, riguarda solamente il demanio pubblico delle collettività territoriali e dei loro raggruppamenti. Per ciò che riguarda la seconda, prevede il demanio marittimo artificiale e le costruzioni e gli insediamenti immobiliari realizzati per i bisogni di attività autorizzate (articolo L. 34-1 del codice del demanio dello stato poi articolo L. 2122-6 del CGPPP). Nella sua decisione precitata del 21 luglio 1994, il Consiglio costituzionale ha giudicato questa possibilità conforme alla Costituzione dal momento che la legge del 1994 garantisce la continuità dei servizi pubblici e la protezione della proprietà pubblica; ha censurato tuttavia la disposizione che permette il rinnovo dell’autorizzazione al di là di settant’ anni perché era suscettibile di privare di realtà il diritto della persona pubblica al ritorno del pieno diritto e gratuito degli insediamenti e di conseguenza di natura da recare offesa alla “protezione dovuta alla proprietà pubblica.”
38. L’ultima conseguenza del principio di inalienabilità è l’insequestrabilità dei beni delle persone pubbliche (articolo L. 2311-1 del CGPPP). Questa conseguenza è stata attenuata dalla giurisprudenza del Consiglio di stato in una causa che la Corte ha dovuto conoscere in seguito (Società di Gestione Del Porto di Campoloro e Società fattrice di Campoloro c. Francia, no 57516/00, 26 settembre 2006).

b) Politica di conservazione

39. Oltre le servitù amministrative, che mirano a proteggere il demanio pubblico degli sconfinamenti delle proprietà private tra cui quella, per esempio, concernente la servitù di passaggio lungo il litorale, di una larghezza di tre metri, sulle proprietà rivierasche del DPM istituito da una legge del 31 dicembre 1976 che portava riforma dell’urbanistica, la politica della conservazione del demanio garantisce la protezione dell’integrità patrimoniale del DPM, così come quella della destinazione e dell’utilizzazione delle sue dipendenze. I reati alla politica di conservazione del DPM sono repressi dalla contravvenzione di grande rete viaria. Questa è sanzionata da una multa penale pronunciata dal giudice amministrativo ed implica per il contravventore una rimessa di diritto dei luoghi nello stato. Le disposizioni pertinenti relative alla contravvenzione di grande rete viaria sul DPM non fanno più essenzialmente riferimento alla navigazione ma prendono in conto la protezione del litorale, protetto per lui stesso (articoli L. 2132-2 e L. 2132-3 del CGPPP).
40. Secondo il Consiglio di stato, le autorità incaricate della conservazione hanno un obbligo di perseguimento (CE Ministro delle infrastrutture c / Associazione “degli amici delle strade di ronda”, 23 febbraio 1979). A proposito di un appezzamento incorporato nel demanio pubblico marittimo della spiaggia di Verghia, Corsica-del-sud, il Consiglio di stato ha deciso “che la circostanza che M.A. beneficerebbe di un titolo di proprietà sull’appezzamento in causa e che le autorizzazioni gli sono state accordate per edificare delle costruzioni, a titolo della legislazione dell’urbanistica, distinte da quella relativa al demanio pubblico marittimo, è senza influenza sulla fisicità della contravvenzione di grande rete viaria e non è, ad ogni modo, di natura tale da esonerarlo dai perseguimenti sollecitati a suo carico dal prefetto ” (CE, no 292956, 4 febbraio 2008). Trattandosi del risarcimento del danno causato al demanio pubblico, è stato giudicato che l’atteggiamento concreto dell’amministrazione anteriormente al collocamento in opera del procedimento teso alla pronuncia di una condanna di grande rete viaria dell’autorizzazione non era senza creare a profitto del contravventore dei diritti ed in particolare quello di non essere obbligato a procedere lui stesso ad una rimessa in stato dei luoghi (CE, Koeberlin, 21 novembre 1969).

4. Utilizzazione della demanio pubblica marittima

41. L’uso del DPM può essere collettivo o privativo. L’utilizzazione collettiva che permette all’insieme dei cittadini di beneficiare del demanio pubblico (navigazione sui corsi di acque, spiagge) è libero, uguale per tutti e gratuito. Tuttavia, il principio di gratuità non è stato ripreso espressamente dal CGPPP perché è oggetto di numerose deroghe.
Le occupazioni privative devono essere compatibili o conformi con la destinazione del demanio pubblico. Contrariamente alle utilizzazioni collettive, sono sottoposte ad autorizzazione, rilasciata a titolo personale, che dà luogo al pagamento di un canone e hanno un carattere precario.
L’articolo L. 28 del codice del demani odello stato ( articolo L. 2122-1 del CGPPP) contemplava difatti che:
“Nessuno può, senza autorizzazione rilasciata dall’autorità competente, occupare una dipendenza del demanio pubblico nazionale o utilizzarla nei limiti che superano il diritto di uso appartenente a tutti.
Il servizio del demanio constata i reati alle disposizioni del capoverso precedente in vista di perseguire, contro gli occupanti senza titolo, il recupero delle indennità corrispondenti ai canoni di cui il Tesoro è stato defraudato, il tutto senza pregiudizio alla repressione della contravvenzione di grande rete viaria.” [L’articolo A 26 precisava che l’autorizzazione è revocabile senza indennità].
42. Secondo il Consiglio di stato, “se nell’esercizio dei suoi poteri di gestione del DPM, appartiene all’amministrazione accordare a titolo temporaneo e nelle condizioni previste dalla regolamentazione in vigore delle autorizzazioni di occupazione privativa di suddetto demanio, queste autorizzazioni possono intervenire legalmente solo, se tenuto conto delle necessità dell’interesse generale, si conciliano con gli usi conformi alla destinazione del demanio che il pubblico è normalmente in diritto di esercitare, così come con l’obbligo che ha l’amministrazione di garantire la conservazione della sua tenuta pubblica” (CE, Comune di Saint-Brévin-les-Pins, 3 maggio 1963).
43. La precarietà delle autorizzazioni risulta dal principio di inalienabilità che implica la protezione del demanio pubblico e dunque la sua disposizione da parte dell’amministrazione. La giurisprudenza enuncia così come “le autorizzazioni di occupazione del demanio pubblico vengono accordate a titolo precario e revocabile; che, di conseguenza, la circostanza, supponendola stabilita che I. era titolare, prima dell’intervento della decisione attaccata, di un’autorizzazione di occupazione della parte del demanio pubblico comunale è senza influenza sulla legalità della decisione con la quale il sindaco gli ha chiesto di demolire i suoi insediamenti e di restituire al demanio pubblico il suo stato iniziale ” (CE, Isas, 29 marzo 2000). Ricorda molto chiaramente anche che i titolari di autorizzazione non hanno “dei diritti acquisiti” al rinnovo dell’autorizzazione (CE, Helie, 14 ottobre 1991).
44. Le condizioni di occupazione del demanio pubblico sono fissate, o negli atti unilaterali dell’amministrazione, del tipo di quelli menzionati più sopra all’articolo L. 28 del codice del demanio dello stato, o nei contratti sottoscritti con l’occupante. Questi ultimi sono nominati concessioni di occupazione demaniale che sul DPM, possono essere delle concessioni di spiagge e delle concessioni di arginamenti. Con questa concessione, lo stato autorizza il concessionario ad effettuare sulla riva del mare dei lavori destinati a sottrarre i terreni all’azione dei fiotti. Sul DPM naturale esiste un vecchio procedimento istituito nel 1807, nominato tradizionalmente sotto il nome di concessione di arginatura traslativa di proprietà (vecchio articolo L. 64 del codice del demanio dello stato): il concessionario era autorizzato ad far riemergere dei sottostrati che, sottratti all’azione delle acque, non dipendevano più dalla definizione del DPM naturale e potevano essere declassati dunque e ceduti dallo stato. Questo procedimento, utilizzato all’origine per la pianificazione di polder agricoli, è stato fatto più recentemente per realizzare delle costruzioni immobiliari private, sotto forma di marinasti, guadagnate sul mare. La reazione a ciò che era percepito come una privatizzazione della riva, ha condotto a proibire nel 1973, con circolare, il collocamento in opera di tale procedimento-interdizione confermata dalla legge litorale che proibisce più largamente il danno al carattere naturale della riva-; d’ora in poi, non è più possibile realizzare delle operazioni di tipo marinasti o polder con le concessioni di arginatura traslativo di proprietà ed la procedura è ormai applicabile solo alle vecchie terre riemerse di cui costituisce la sola possibilità di regolarizzazione (sorgente: www.mer.gouv.fr, consultato il 3 febbraio 2010).
B. La legge no 86-2 del 3 gennaio 1986 detta “legge litorale” relativa alla pianificazione, la protezione ed il collocamento in valore del litorale
45. Fino al 1986, il DPM era protetto dalla politica della grande rete viaria. La legge litorale ha introdotto delle nuove regole protettrici del demanio pubblico naturale (sorgente: www.mer.gouv.fr.)
46. Fin dagli anni ‘60, l’infatuazione per le vacanze in riva al mare aumenta la pressione turistica e così il ritmo delle costruzioni sul litorale. La presa di coscienza dell’importanza economica del litorale e delle molteplici brame di cui era oggetto ha reso indispensabile l’intervento di una norma di valore giuridico superiore incaricata di fare da arbitro tra le molteplici utilizzazioni del litorale. È in questo spirito che è stato votato all’unanimità dal Parlamento, la legge litorale del 3 gennaio 1986, consolidata il 7 agosto 2007. L’articolo primo della legge enuncia che il litorale è “un’entità geografica che richiama una politica specifica di pianificazione, di protezione e di collocamento in valore”. I principi generali di questa legge consistono al tempo stesso nel preservare gli spazi rari e sensibili, gestire in particolare in modo economo l’utilizzo dello spazio da parte dell’urbanizzazione e le pianificazioni turistiche e, infine, aprire più largamente la riva al pubblico, come le spiagge, ed accogliere in priorità sul litorale le attività il cui sviluppo è legato al mare.
47. È nell’ambito dell’urbanistica che i principi posti sono più conosciuti e ha dato adito a contenziosi più abbondanti. L’estensione dell’urbanizzazione deve farsi in continuità con l’esistente o in frazioni nuove. Le strade sulla riva sono vietate e le strade di transito possono farsi solo al di là di 2 000 metri dalla riva. Per preservare gli spazi naturali la legge instaura un “inconstruibilità” dentro ad una fascia di 100 metri, fuori agglomerazione, a partire dalla riva ed impone un’urbanizzazione limitata degli spazi prossimi alla stessa riva. Infine gli spazi famosi o caratteristici del litorale devono essere preservati e solo delle pianificazioni leggere possono essere ammesse.
48. La legge ha precisato le regole di gestione del DPM che esigevano un’inchiesta pubblica preliminare ad ogni cambiamento sostanziale di utilizzazione, chiarificando i procedimenti di delimitazione della riva del mare, vietando, salvo eccezione, di recare offesa al carattere naturale della riva ed organizzando un regime specifico per gli ormeggi collettivi. Ha, infine, consacrato i principi dell’uso libero e gratuito delle spiagge ed avvantaggiato l’accesso del pubblico al mare (vedere gli articoli 321-9 del codice dell’ambiente e L. 2124-4 del CGPPP): “L’accesso dei pedoni alle spiagge è libero. L’uso libero e gratuito da parte del pubblico costituisce la destinazione fondamentale delle spiagge. “
49. L’articolo 25 della legge, diventato l’articolo L. 2124-1 del CGPPP ha provocato una riforma della regolamentazione relativa alle occupazioni del DPM. È stipulato così:
“Le decisioni di utilizzazione del demanio pubblico marittimo tengono conto della vocazione delle zone riguardate e di quelle degli spazi terrestri attigui, così come degli imperativi di preservazione dei siti e dei paesaggi del litorale e delle risorse biologiche; sono in particolare a queste titolo coordinate con quelle concernenti i terreni attigui che hanno vocazione pubblica.
Sotto riserva di testi particolari concernenti la difesa nazionale e dei bisogni della sicurezza marittima, ogni cambiamento sostanziale di utilizzazione di zone del demanio Pubblico Marittimo è sottoposto a priori ad inchiesta pubblica “
50. L’articolo 27 della legge, diventato l’articolo L. 2124-2 del CGPPP, pone il principio dell’interdizione del danno allo stato naturale della riva:
“All’infuori delle zone portuarie ed industriali – portuarie, e sotto riserva dell’esecuzione di operazioni di difesa contro il mare e della realizzazione dei lavori ed insediamenti necessari alla sicurezza marittima, alla difesa nazionale, alla pesca marittima, alla salicultura ed alle culture marine, non può essere recato offesa allo stato naturale della riva del mare, in particolare tramite arginatura, prosciugamento, scogliera artificiale o terrapieni, salvo per i lavori o gli insediamenti legati all’esercizio di un servizio pubblico o all’esecuzione di un lavoro pubblico la cui localizzazione al bordo del mare si impone per ragioni topografiche o tecniche imperative e che hanno dato luogo ad una dichiarazione di utilità pubblica.
Tuttavia, le terre riemerse anteriori alla presente legge rimangono regolate dalla legislazione anteriore. “
51. In un rapporto sulle condizioni di applicazione della legge litorale stabilita dal Consiglio generale dei Ponti e delle Carreggiate, trasmesso al ministro delle Infrastrutture, dei Trasporti e dell’Alloggio nel luglio 2000, nella sua parte “Ritrovare una coerenza tra il discorso e la realtà”, è indicato ciò che segue:
“(…) l’impressione di iniquità è viva quando un rifiuto viene opposto ad un’istanza di autorizzazione in un sito dove la presenza di edifici sembra indicare che in altri tempi, l’amministrazione è stata meno accorta. (…)
Il diritto di godere “a vita” ma senza trasmissione possibile di una casa di villeggiatura costruita sul demanio pubblico marittimo, diritto riconosciuto da una convenzione firmata dal prefetto, il diritto riconosciuto a due coniugi di accamparsi o di fare sostare il loro caravan in una zona diventata illecita per questo genere di attività fino al decesso di ciascuno di loro, con anche una convenzione che stipula espressamente la mancanza di eredità possibile di questo privilegio, illustrano in Charente-marittime e nel Morbihan, la creatività dell’amministrazione sul soggetto. (…)
Ogni tipo di deriva si moltiplicano più o meno in buona fede. (…) Bisognerebbe mettere a tacere lo sviluppo di un mercato clandestino di autorizzazioni di occupazione del demanio pubblico Non converrebbe ricercare la responsabilità degli agenti pubblici che hanno contribuito volontariamente a creare o ad aggravare una situazione illegale con la loro attività amministrativa? (…) “
52. Si può leggere ciò che segue nel rapporto consacrato al “bilancio della legge litorale e delle misure in favore del litorale” del Governo al Parlamento (settembre 2007), nella sua parte consacrata all’apertura del litorale ai pedoni:
“La legge litorale contempla come obiettivo il mantenimento o lo sviluppo del turismo sul litorale. In particolare, le disposizioni degli articoli 3 a 8 di questa legge prevedono le condizioni di frequentazione da parte del pubblico degli spazi naturali, della riva e delle attrezzature che vi sono legate. La realizzazione del sentiero del litorale partecipa alla concretizzazione di queste disposizioni legislative. (…) La continuità dell’avanzamento dei pedoni lungo il litorale è garantita così dalla servitù sulle proprietà private, così come dal passaggio su dei terreni pubblici che possono appartenere allo stato (DPM), al Conservatorio del litorale o alle collettività territoriali.
Il collocamento in opera del sentiero necessita frequentemente uno studio sul terreno per determinare se il litorale può essere aperto ai pedoni senza nuocere alla fauna, alla flora ed alla stabilità dei suoli. Se il territorio si rivela accessibile senza rischio per l’ambiente, bisognerà determinare in particolare il tracciato del sentiero sulle proprietà private, essendo osservato che il tracciato di diritto (fascia di tre metri di lunghezza del limite del DPM) non rappresenta sempre la soluzione più opportuna. Nell’ipotesi in cui il tracciato di diritto sulle proprietà private è stato modificato, un’inchiesta pubblica deve essere realizzata. (…) “
C. Diritto comparato
53. La Corte ha esaminato la situazione in sedici Stati Membri costieri. Solo quattro Stati (Albania, Bosnia-Erzegovina, Regno Unito e Svezia) non riconoscono l’esistenza di un DPM esclusivo di ogni diritto privato di proprietà. Negli altri dodici Stati (Germania, Croazia, Spagna, Grecia, Irlanda, Italia, Malta, Monaco, Montenegro, Paesi Bassi, Slovenia e Turchia) il DPM appartiene sia allo stato sia ad altre persone pubbliche ed è, a questo titolo, inalienabile. In tutti questi Stati, il DPM può tuttavia essere destinato ad un uso privato sulla base di concessioni a durata determinata. Ed in tutti questi Stati, il suo uso abusivo espone i contravventori a sanzioni amministrative addirittura penali. In particolare, la costruzione abusiva di immobili può provocare, per il contravventore, l’obbligo di demolire l’immobile riguardato a sue spese e senza compenso. Questo tipo di misura esiste anche in Svezia, dove la legge riconosce il diritto privato di proprietà sui terreni al bordo del mare ma sottopone queste proprietà privata alle servitù relativamente rigorose che vietano la realizzazione di nuovi immobili e garantiscono l’accesso pubblico al mare.
54. In Croazia come in Spagna, i proprietari di immobili costruiti ed acquisiti legalmente prima dell’entrata in vigore del “Maritim Domain Act” (2006) per l’ una, della legge litorale per l’altra (1988), e destinati ad uso abitativo, potevano ottenere questi immobili in concessione, senza obbligo di pagare un canone, alla sola condizione di farne domanda entro un anno a contare dell’entrata in vigore della legge. In Spagna, le costruzioni realizzate prima dell’entrata in vigore della legge senza l’autorizzazione o la concessione richiesta dalla vecchia legislazione, saranno demolite quando non possono essere oggetto di una legalizzazione per ragioni di interesse pubblico. Per ciò che riguarda le costruzioni autorizzate prima dell’entrata in vigore della legge, diventate contrarie alle disposizioni di questa, saranno demolite alla scadenza della concessione quando sono situate su dei terreni appartenenti al demanio pubblico marittimo. In Turchia, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione (sentenza del 10 ottobre 2007) che fa riferimento alla sentenza Doğrusöz ed Aslan c. Turchia, (no 1262/02, 30 maggio 2006) se l’annullamento di un titolo di proprietà di un bene che si trova dentro al tracciato del litorale marittimo è conforme alla legislazione nazionale, l’interessato può investire i tribunali di un’istanza di indennizzo del suo danno patrimoniale.

D. Testi del Consiglio dell’Europa

55. Possono essere citati i seguenti testi pertinenti: la raccomandazione No R (97) 9 del Comitato dei ministri relativa ad una politica di sviluppo di un turismo duraturo e rispettoso dell’ambiente nelle zone costiere adottata il 2 giugno 1997, ed il suo allegato; la decisione del Comitato dei ministri presa all’epoca della sua 678ma sessione riunione, 8-9 settembre 1999, dove i delegati dei ministri prendono nota del Modello di Legge su una gestione duratura delle zone costiere (vedere, articoli 40 sul demanio pubblico marittimo e 45 sull’accesso dei pedoni alle spiagge) e del codice di condotta europea delle zone costiere, e convengono di trasmetterli ai loro governi.

IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 1
56. che il rifiuto delle autorità nazionali di autorizzarlo a continuare ad occupare il demanio pubblico marittimo su cui è edificata una casa che appartiene alla loro famiglia dal 1945 e le ingiunzioni che sono state fatte loro di distruggerla, recano offesa al loro diritto di proprietà garantito dall’articolo 1 del Protocollo no 1 che si legge così:
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non a causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non recano offesa al diritto che possiedono gli Stati di mettere in vigore le leggi che giudicano necessarie per regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale “.
57. A titolo preliminare, la Corte prende atto del decesso di E. B.-P. sopraggiunto il 14 maggio 2008, e del desiderio delle sue eredi, ossia le sue figlie , di proseguire la richiesta dinnanzi alla Corte, a loro nome personale e nel loro requisito di eredi. Conformemente alla sua giurisprudenza, la Corte riconosce loro il requisito per sostituirsi oramai alla richiedente (Loyen ed altri c. Francia, no 55926/00, § 25, 29 aprile 2003).
58. Tuttavia, per ragioni di ordine pratico, la presente sentenza continuerà a chiamare E. B.-P. la “richiedente”, sebbene occorra assegnare oggi questa qualità alle sue figlie.
A. Applicabilità: l’esistenza di un “bene”
1. Tesi delle parti
a) Le richiedenti
59. Le richiedenti ricordano l’autonomia della nozione di “beni”, Öneryıldız c. Turchia [GC], no 48939/99, §§ 95-96, CEDH 2004-XII. Stimano che la regola di inalienabilità del demanio pubblico marittimo non può arrivare nello specifico a qualificare la casa come res nullius, non entrando in nessuna categoria giuridica. Difatti, questa è stata costruita cento anni fa, e l’illegalità della costruzione non è stata segnalata loro al momento della donazione, l’atto del 1945 che menzionava l’autorizzazione data dal prefetto. Lasciate nell’ignoranza per un certo tempo di una possibile demolizione della loro casa così acquisita, le richiedenti fanno valere le decine di anni passati in tranquillità in un ambiente sociale e familiare forte. Ricordano anche che questa casa serve come imponibile al pagamento di tasse ed imposte. Lo stato ha riconosciuto loro quindi “de facto” un interesse patrimoniale direttamente annesso all’abitazione in causa ed ai beni mobili che vi sono disposti.
60. Le richiedenti sostengono ancora che lo stato aveva cognizione dell’esistenza della casa; ne è prova, per esempio, l’aumento del canone annuo, avuto riguardo al valore del terreno alla quale conveniva aggiungere il valore locativo. Parimenti, quando il prefetto scrisse alle richiedenti nel 1993 per proporre una nuova autorizzazione, semplicemente vitalizia, faceva stato della possibilità di “riutilizzare gli insediamenti” ed ammetteva che c’era una costruzione, dunque l’esistenza di un “bene.” Non può esserci un statuto differente dalle case a seconda che lo stato neghi un rinnovo con l’obbligo di demolire o che lo rifiuti desiderando beneficiare della proprietà dell’immobile che sarebbe questa volta, una proprietà piena ed intera. Obbligando i beneficiari di un’autorizzazione di occupazione del demanio a demolire una casa abitata da più di cinquant’ anni da una stessa famiglia, a sue spese, mentre è stata acquisita tramite donazione, il donatore che l’ha sé acquisito in seguito ad una vendita, lo stato manco del rispetto che deve ai “beni.”
b) Il Governo
61. Siccome allo stadio dell’ammissibilità, il Governo contesta l’esistenza di un “bene” ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo no 1 a causa dell’impossibilità di stabilire dei diritti reali sul demanio pubblico marittimo. I differenti titoli di occupazione-temporanei, precari e revocabili-rilasciati alle richiedenti ed ai loro predecessori non hanno potuto avere per effetto di riconoscere un qualsiasi diritto di proprietà dei titolari successivi. Ricorda che le eccezioni legislative al principio di inalienabilità escludono il demanio pubblico marittimo naturale in causa nello specifico (paragrafo 37 sopra).
62. I diritti di proprietà eventualmente acconsentiti tra le parti private non sono opponibili allo stato e non hanno nessuna incidenza sulla natura di questi diritti. Lo stato beneficia anche del diritto alla protezione ed al rispetto della sua proprietà. Poteva autorizzare perfettamente un’occupazione su un appezzamento, per natura inalienabile ed imprescrittibile, senza che ciò desse dei diritti differenti dal semplice godimento. Dissociare il regime applicabile al terrapieno da quell’applicabile alla casa che regge di cui l’amministrazione ha avuto cognizione solo a partire dal 1967,

Testo Tradotto

Conclusion Non-violation de P1-1
GRANDE CHAMBRE
AFFAIRE BROSSET-TRIBOULET ET AUTRES c. FRANCE
(Requête no 34078/02)
ARRÊT
STRASBOURG
29 mars 2010
Cet arrêt est définitif. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire Brosset-Triboulet et autres c. France,
La Cour européenne des droits de l’homme, siégeant en une Grande Chambre composée de :
Nicolas Bratza, président,
Jean-Paul Costa,
Peer Lorenzen,
Françoise Tulkens,
Josep Casadevall,
Karel Jungwiert,
Nina Vajić,
Rait Maruste,
Anatoly Kovler,
Ljiljana Mijović,
Renate Jaeger,
David Thór Björgvinsson,
Ineta Ziemele,
Mark Villiger,
Isabelle Berro-Lefèvre,
George Nicolaou,
Zdravka Kalaydjieva, juges,
et de Michael O’Boyle, greffier adjoint,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil les 11 février 2009 et 3 février 2010,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette dernière date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 34078/02) dirigée contre la République française et dont deux ressortissantes de cet Etat, Mmes I. B.-T. et E. B.-P. (« les requérantes »), ont saisi la Cour le 4 septembre 2002 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (« la Convention »).
Le 26 novembre 2008, le greffier a été informé du décès de la requérante E. B.-P. le 14 mai 2008, puis du souhait de ses filles, Mme S. E. et Mlle E. P., de poursuivre la procédure en ses lieu et place.
2. Les requérantes sont représentées par Me P. B., avocat au Conseil d’Etat et à la Cour de cassation. Le gouvernement français (« le Gouvernement ») est représenté par son agent, Mme E. Belliard, directrice des affaires juridiques au ministère des Affaires étrangères.
3. Les requérantes alléguaient en particulier que le refus des autorités françaises de les autoriser à continuer d’occuper une parcelle du domaine public sur laquelle est édifiée une maison appartenant à leur famille depuis 1945 et l’injonction qui leur est faite de la détruire portent atteinte à leur droit de propriété garanti par l’article 1 du Protocole no 1 et au respect de leur domicile au sens de l’article 8 de la Convention.
4. La requête a été attribuée à la deuxième section de la Cour (article 52 § 1 du règlement). Le 14 juin 2005, la requête a été déclarée en partie irrecevable par une chambre de ladite section composée des juges Ireneu Cabral Barreto, Jean-Paul Costa, Karel Jungwiert, Volodymyr Butkevych, Mindia Ugrekhelidze, Antonella Mularoni, Elisabet Fura-Sandström, ainsi que de Sally Dollé, greffière de section. Le 29 avril 2008, à la suite d’un changement de section, la requête a été déclarée recevable sous l’angle des articles 1 du Protocole no 1 et 8 de la Convention par une chambre de la cinquième section, composée des juges Peer Lorenzen, Snejana Botoucharova, Jean-Paul Costa, Karel Jungwiert, Rait Maruste, Mark Villiger, Isabelle Berro-Lefèvre, ainsi que de Claudia Westerdiek, greffière de section. Le 25 septembre 2008, la chambre de ladite section, composée des juges Peer Lorenzen, Rait Maruste, Jean-Paul Costa, Karel Jungwiert, Renate Jaeger, Mark Villiger, Isabelle Berro-Lefèvre, ainsi que de Claudia Westerdieck, greffière de section, s’est dessaisie au profit de la Grande Chambre, aucune des parties ne s’y étant opposée (articles 30 de la Convention et 72 du règlement).
5. La composition de la Grande Chambre a été arrêtée conformément aux articles 27 §§ 2 et 3 de la Convention et 24 du règlement.
6. Tant les requérantes que le Gouvernement ont déposé des observations écrites.
7. Une audience s’est déroulée en public au Palais des droits de l’homme, à Strasbourg, le 11 février 2009 (article 59 § 3 du règlement). Ont comparu :
– pour le Gouvernement
Mme E. Belliard, directrice des affaires juridiques au ministère des Affaires étrangères, agent,
Mme A.-F. Tissier, sous-directrice des droits de l’homme à la Direction des affaires juridiques du ministère des Affaires étrangères,
Mme M.-G. Merloz, rédactrice à la sous-direction des droits de l’homme de la direction des affaires juridiques du ministère des Affaires étrangères, Mme C. Stoven, chargée d’études pour le développement économique et touristique des plages et chargée de contentieux du domaine public maritime naturel du ministère de l’Ecologie, de l’Energie, du Développement durable et de l’Aménagement durable,
Mme D. Medjaed, auditrice de justice en stage à la direction des affaires juridiques du ministère des Affaires étrangères,
M. P. Bourreau, directeur départemental, bureau chargé des missions domaniales de la direction générale des finances publiques du ministère du Budget,
conseillers ;
– pour les requérantes
Me P. B., avocat au Conseil d’Etat et à la Cour de cassation,
conseil.
La Cour a entendu en leurs déclarations Me Blondel et Mme Belliard.
EN FAIT
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
8. Les requérantes sont nées respectivement en 1935 et 1938 et résident à Sainte-Croix-Grand-Tonne et Caen.
A. La maison litigieuse
9. Le 26 mai 1909, A. acquit de R., par contrat passé devant notaire, l’île d’Irus située dans le golfe du Morbihan.
10. Par un arrêté du 25 septembre 1909, le préfet du Morbihan autorisa A. à édifier un terre-plein sur une parcelle du domaine public maritime située sur le finage de la commune d’Arradon afin d’y établir une rampe d’accès de quatre mètres sur quatre mètres permettant d’embarquer, en particulier vers l’île d’Irus.
11. Par un arrêté du 25 août 1911, le préfet du Morbihan autorisa A. à procéder à l’agrandissement dudit terre-plein. Cet arrêté se lit, dans ses dispositions pertinentes, comme suit :
« (…) Au point de vue des convenances du service des Ponts et Chaussées le terre-plein, avec l’agrandissement demandé, ne peut nuire en rien à la navigation, à la condition d’être arasé au dessus du niveau des pleines mers de vives eaux, ni à la circulation sur le rivage maritime, à la condition d’être accessible en tout temps au public ;
Au point de vue de la redevance à imposer (…) le permissionnaire paiera une redevance annuelle de 30 francs 40. (…)
En cas de révocation, le permissionnaire devra s’il en est requis, faire rétablir les lieux dans leur état primitif et s’il ne remplissait pas cette obligation, il y serait pourvu par les soins de l’administration, d’office et à ses frais. Le montant des avances faites serait remboursé par le pensionnaire au moyen de rôles rendus exécutoires par le Préfet (…) »
12. Le 2 mai 1921, un acte de vente, passé devant Me M., fut publié au bureau des hypothèques de Vannes. Par cet acte, A. transmit la propriété de l’île d’Irus à Monsieur S.
La transcription de cet acte par le bureau des hypothèques, en ce qu’elle concerne notamment le terre-plein litigieux, se lit comme suit :
« (…) Entrée en jouissance – L’acquéreur sera propriétaire de l’île d’Irus présentement vendue à compter de ce jour et au moyen des présentes et il en aura la jouissance à compter du premier mars mil neuf cent vingt et un. (…)
Monsieur [A.] déclare que par arrêté préfectoral du Morbihan, en date du vingt-cinq septembre mil neuf cent neuf et d’un autre en date du vint-cinq août mil neuf cent onze, il lui a été concédé à l’endroit dit Pen-er-men une étendue de terrain d’une superficie de trois cent trente trois-mètres carrés quatre vingt dix huit décimètres carrés, portée au cadastre de la commune d’Arradon, sous le numéro 137 de la section, pour y établir un terre-plein avec une rampe d’acier de quatre mètres sur quatre mètres. Que cette concession lui a été faite sous la condition expresse que ce terre-plein soit accessible au public et moyennant une redevance annuelle de trente francs et quarante centimes révisable tous les cinq ans. Et par suite Monsieur [A.] met et subroge l’acquéreur dans tous ses droits relatifs à cette concession avec toutes les constructions que le vendeur y a édifiées et déclare qu’il n’existe aucune autre servitude active ou passive (…) »
13. Par arrêté du 3 février 1938, le préfet accorda à la veuve de S., tante de la mère des requérantes, une autorisation d’occupation du terre-plein pour cinq ans avec cette précision que le « terre-plein aura une superficie totale de 333 m2 98 mais que la condition d’accessibilité au public revient à réduire la superficie imposable à 303 m2 98 (…) il sera réservé sur toute sa longueur une bande (…) pour la circulation publique ».
14. La mère des requérantes acquit de sa tante, par donation entre vifs rédigée devant notaire et publiée au bureau des hypothèques de Vannes le 12 novembre 1945, une maison à usage d’habitation édifiée sur le terre-plein susmentionné :
« A comparu
Madame M. veuve de Monsieur S, laquelle a (…) fait donation entre vifs (…)
Madame M., veuve de M. le Général B., sa nièce
de la propriété lui appartenant sur la commune d’Arradon et appelée l’île d’Irus.
Désignation : l’île d’Irus présentement donnée comprend la totalité de ladite île comprenant la totalité des immeubles bâtis et non bâtis qui la composent cadastrés pour une contenance de douze hectares (…)
Conditions : La donation a lieu sous les conditions suivantes (…) La donataire prendra l’immeuble dans l’état où il est actuellement sans pouvoir exercer aucun recours contre la donatrice pour quelque cause que ce soit et elle en jouira à compter de ce jour, fixé pour l’entrée en jouissance. (…) Elle paiera les impôts et les primes d’assurance contre l’incendie à compter de ce jour.
Etat civil – autorisation (…) Monsieur le préfet du Morbihan a autorisé le vingt et un septembre 1945 ladite donation. (…) »
15. Par une série d’arrêtés, notamment émis les 6 juin 1951, 29 mars 1967, 21 décembre 1977, 27 août 1984 et 10 juillet 1986, le préfet du Morbihan autorisa l’occupation du terre-plein litigieux moyennant paiement d’une redevance. Celui de 1967 parle du renouvellement de l’arrêté de 1951 autorisant à occuper un terre-plein ; ceux de 1984 et 1986 mentionnent le terre-plein avec habitation. L’arrêté préfectoral du 10 juillet 1986 n’autorisait pas l’occupation du domaine public au-delà du 31 décembre 1990. Les arrêtés précisaient « que le terre-plein ne pourra nuire en rien à la navigation à condition d’être arasé au-dessus du niveau des plus hautes mers, ni à la circulation sur le rivage maritime à condition d’être accessible au public en tout temps ». Il était précisé sur les formulaires d’autorisation que, conformément aux articles A 26 et 27 du code du domaine l’Etat, « l’administration se réserve la faculté de modifier ou de retirer l’autorisation si elle le jugeait utile, pour quelque cause que ce soit, sans que le permissionnaire puisse réclamer, pour ce fait, aucune indemnité ou dédommagement. Il devra, s’il en est requis, faire rétablir les lieux dans leur état primitif, par démolition des installations édifiées sur le domaine public, y compris celles existantes à la date de signature de l’arrêté. S’il ne remplissait pas cette obligation, il y serait pourvu, par l’administration, d’office à ses frais ».
16. Entre-temps, en 1966, la direction générale des Impôts-Domaine avait écrit au directeur des domaines à Vannes ceci :
« Vous m’avez soumis pour observations et avis une demande de renouvellement d’occupation temporaire du domaine public maritime effectuée par [la mère des requérantes]. Cette demande intéresse un terre-plein d’une superficie de 333,98 m2, réduite à une surface imposable de 304 m2, sur lequel a été construite une maison d’habitation. La redevance annuelle proposée par le service des Ponts et chaussées est de 100 francs. L’affaire donne lieu aux observations suivantes : l’article R 56 du code du domaine de l’Etat stipule que toute redevance au profit du Trésor doit tenir compte des avantages de toute nature procurée au concessionnaire. Dans le cas précité, il est hors de doute que la concession de terre-plein en question procure à la pétitionnaire un avantage non négligeable : elle lui permet notamment l’économie du capital à investir pour pouvoir disposer d’un terrain à bâtir dans la zone considérée (…) Dans ces conditions, il semble absolument normal de retenir une somme correspondante au montant de l’intérêt calculé au taux très réduit de 5 % sur la valeur du terrain concédé. (…) »
B. Procédures administratives
17. Le 15 mars 1993, la mère des requérantes sollicita le renouvellement de la convention d’occupation auprès du préfet du Morbihan.
18. En réponse, le 6 septembre 1993, le préfet lui rappela que l’autorisation accordée en 1986 d’occuper la maison de 1986 avait expiré le 31 décembre 1990. Il fit savoir que l’entrée en vigueur de la loi no 86-2 du 3 janvier 1986 relative à l’aménagement, la protection et la mise en valeur du littoral (ci-après loi littoral), et en particulier son article 25, ne lui permettait plus de renouveler l’autorisation dans les conditions antérieures, celui-ci précisant que les utilisations du DPM doivent tenir compte de la vocation des zones concernées, ce qui exclut toute utilisation privative notamment pour des maisons d’habitations. Toutefois, et afin de tenir compte de l’ancienneté de l’occupation et du caractère affectif accordé par les requérantes et leur mère à la maison objet du litige, le préfet indiqua qu’il était prêt à étudier à titre exceptionnel une autorisation limitée comportant notamment une autorisation strictement personnelle d’utilisation interdisant toute cession ou transmission du terrain et de la maison, une interdiction de réaliser des travaux exceptés d’entretien, et une possibilité pour l’Etat, à l’expiration de l’autorisation, de faire remettre les lieux dans leur état initial ou de réutiliser les installations. Il conclut en demandant de préciser rapidement si ces conditions lui convenaient afin de « régulariser une situation illégale depuis deux ans et demi ».
19. La mère des requérantes n’accepta pas cette proposition. Elle sollicita en retour l’octroi d’une concession d’endigage valant transfert de propriété sur le fondement de l’article L. 64 du code du domaine de l’Etat (paragraphe 44 ci-dessous).
20. Le 9 mars 1994, le préfet du Morbihan écarta la demande de la mère des requérantes tout en maintenant sa proposition initiale de convention d’occupation sous conditions :
« Vous m’avez demandé de bien vouloir étudier la possibilité d’engager une procédure de déclassement du terre-plein, dépendance du domaine public maritime que vous occupez à Pen-Er-Men en vue, me semble-t-il, d’une acquisition de ce terre-plein bâti (…)
J’ai le regret de vous faire connaître que la concession classique emportant attribution au concessionnaire de la propriété pleine et indéfinie des terrains exondés dans le cadre de l’article L. 64 du code du domaine de l’Etat a été abandonnée par une instruction ministérielle depuis quelques années, en l’absence d’intérêt général démontré. Votre demande ne va pas dans ce sens et je maintiens les conditions fixées dans ma lettre du 6 septembre pour régulariser votre situation.
Cette régularisation pourrait se faire dans le cadre de la convention dont je vous transmets un projet. Je vous signale que la redevance domaniale sera revue à la hausse pour tenir compte de la situation particulière de l’occupation du Domaine. »
21. Le 5 mai 1994, la mère des requérantes saisit le tribunal administratif de Rennes en vue d’obtenir l’annulation de la décision du préfet du 9 mars 1994 refusant de lui accorder la concession d’endigage sollicitée.
22. Le 4 juillet 1995, le préfet du Morbihan informa la mère des requérantes qu’il envisageait de dresser un procès-verbal de contravention de grande voirie afin de faire constater l’occupation sans titre du domaine public. Ce procès-verbal fut dressé le 6 septembre 1995 et notifié à la mère des requérantes le 16 novembre 1995. Le 20 décembre 1995, le préfet, en conséquence du constat d’occupation sans titre du domaine public ainsi établi et conformément à l’article L. 28 du code du domaine de l’Etat (paragraphe 41 ci-dessous), saisit le tribunal administratif de Rennes d’une requête tendant à la condamnation de la mère des requérantes, d’une part, au paiement d’une amende, d’autre part, à la remise des lieux en leur état initial, à savoir l’état antérieur à l’édification de la maison.
23. Par deux jugements distincts rendus le 20 mars 1997, le tribunal administratif de Rennes statua sur le recours introduit le 5 mai 1994 par la mère des requérantes (instance no 941509) et sur la requête introduite par le préfet du Morbihan le 20 décembre 1995 (instance no 953516).
24. Sur la demande de la mère des requérantes tendant à l’annulation de la décision de refus du préfet de lui accorder une concession d’endigage, le tribunal considéra ce qui suit :
« Considérant qu’aux termes de l’article L. 64 du code du domaine de l’Etat : « L’Etat peut concéder, aux conditions qu’il aura réglées … le droit d’endigage » ; que si l’article 27 de la loi du 3 janvier 1986 susvisée a réduit le champ d’application de l’article précité, il précise toutefois que « les exondements antérieurs à la présente loi demeurent régis par la législation antérieure » ; qu’en conséquence, sont seuls applicables en l’espèce l’article L. 64 du code précité et la loi du 28 novembre 1963 relative au Domaine Public Maritime disposant « que sont incorporés au Domaine Public Maritime … sous réserve de dispositions contraires d’actes de concession les terrains qui seront artificiellement soustrait à l’action du flot » ; que si le préfet pour opposer un refus à la demande dont il était saisi s’est appuyé sur les principes directeurs et orientations fixées par la circulaire interministérielle du 3 janvier 1973 définissant la politique à suivre pour l’utilisation du domaine public maritime, il ne s’est pas mépris, en examinant la situation particulière du projet de concession formulé par la requérante, sur la portée de ladite circulaire qui n’abroge, ni ne modifie les dispositions législatives susmentionnées mais se borne à en faire application ;
Considérant par ailleurs que la circulaire précitée, donnant pour directive aux autorités chargées de statuer sur les concessions d’endigage de ne pas aliéner la propriété des parcelles créées et de n’y accepter que l’implantation d’équipements à usage collectif, à l’exclusion de l’habitat privatif, est intervenue dans une matière où les autorités compétentes disposent d’un pouvoir discrétionnaire ; qu’il n’apparaît pas que le préfet en faisant référence aux principes posés par la circulaire, ait procédé à une inexacte interprétation des dispositions législatives, ni qu’il n’ait pas examiné la spécificité du projet de la requérante, avant d’estimer qu’aucune particularité n’était de nature à justifier qu’il fut dérogé aux directives sus-analysées ; »
25. Dans le cadre de l’instance no 953516, le tribunal administratif de Rennes accueillit la requête déposée par le préfet le 20 décembre 1995, aux motifs suivants :
« (…) Sur la domanialité publique
« (…) Considérant que la contravention de grande voirie vise à préserver l’intégrité du domaine public ; qu’il résulte du jugement rendu ce jour par le tribunal dans l’instance no 941509 que la parcelle sur laquelle est édifiée la maison d’habitation de Mme B. fait bien partie dudit domaine ;

Considérant que le juge administratif subordonne la détermination de la consistance du domaine public artificiel à l’interprétation judiciaire des titres privés qui seraient produits lorsque leur examen soulève une difficulté sérieuse ; qu’en l’espèce le terre-plein et la maison ne sont pas un bien du domaine public eu égard à l’utilisation exclusivement privative qui en est faite et à leur non-appartenance à une collectivité publique ; que dès lors en l’absence de contestation sérieuse de l’appropriation privée du bien litigieux , il n’y a pas lieu de surseoir à statuer ; (…)
Sur l’existence d’une contravention de grande voirie
Considérant que si la maison d’habitation occupée par Mme B. lui appartient en pleine propriété et si elle soutient ne pas être, dès lors, une occupante irrégulière du domaine public, il est constant toutefois que la construction d’un ouvrage de caractère permanent ne pouvait être régulièrement entreprise sur le domaine public qu’en vertu soit d’une concession d’endigage, soit d’un autre type de concession ; qu’il résulte de l’instruction et notamment de l’absence de tels actes de concession, que la maison d’habitation dont il s’agit a été irrégulièrement édifiée sur le Domaine Public Maritime ; qu’en conséquence, le préfet est fondé à demander la condamnation de Mme B. à une amende et à la mise du rivage de la mer dans son état antérieur à l’édification dudit ouvrage (…) et ce dans le délai de trois mois à compter de la notification du présent jugement (…) ; qu’à l’expiration de ce délai, Mme B.t versera une astreinte d’un montant de 100 francs par jour de retard en cas d’inexécution du présent jugement et l’administration sera autorisée à le faire aux frais, risques et périls de la contrevenante. »
26. Le 11 juillet 1997, les deux requérantes, agissant dès lors en tant qu’ayants droit de leur mère suite à son décès, interjetèrent appel du jugement rendu dans l’instance no 953516. Le 18 juillet 1997, elles interjetèrent appel du jugement rendu dans l’instance no 941509.
27. Par un arrêt du 8 décembre 1999, la cour administrative d’appel de Nantes décida de joindre les deux procédures en raison de leur connexité et de rejeter les appels formés par les requérantes.
Quant à la requête relative à la contravention de grande voirie, la cour constata tout d’abord le décès de Mme B. en cours d’instance et, en conséquence, décida de l’extinction de l’action publique. Concernant l’action domaniale, la cour d’appel motiva sa décision comme suit :
« Considérant, en premier lieu, qu’il n’est pas contesté que la parcelle où se trouve le terre-plein sur lequel est édifiée la maison (…) était entièrement recouverte par le flot, en dehors de toutes circonstances météorologiques exceptionnelles, avant l’exondement effectué pour réaliser ce même terre-plein ; qu’il n’est pas établi, ni même d’ailleurs allégué par les requérantes, que la surface non exondée de cette parcelle aurait jamais été soustraite depuis lors à l’action du flot ; qu’il résulte, par ailleurs, de l’instruction, que le terre-plein est le produit d’exondements réalisés antérieurement à l’entrée en vigueur de la loi du 28 novembre 1963 susvisée et qui, n’ayant pas été réalisés dans les formes prévues pour les concessions à charge d’endigage, n’ont pu, nonobstant l’intervention des diverses autorisations d’occupation temporaires accordées par l’administration, avoir eu pour effet de faire sortir du domaine public maritime cette partie de la parcelle ainsi soustraite à l’action du flot ; qu’en raison des principes d’inaliénabilité et d’imprescriptibilité du domaine public, les circonstances invoquées par Mme T. et Mme B.-P. que la maison a été régulièrement édifiée et que son occupation a été acceptée par l’administration pendant une très longue durée et même tolérée après l’expiration de la dernière autorisation d’occupation sont sans influence sur l’appartenance au domaine public maritime ;
Considérant, en deuxième lieu, que, comme il a été dit, la dernière autorisation d’occupation temporaire du Domaine Public Maritime (…) est venue à expiration le 31 décembre 1990 ; qu’en l’absence, depuis cette date, d’un titre d’occupation régulier, le préfet du Morbihan est fondé à demander qu’il soit imparti aux occupants, si ce n’est déjà fait, de remettre les lieux dans leur état antérieur à l’édification de la maison sur le domaine public maritime ; que les requérantes ne peuvent utilement se prévaloir, pour contester cette obligation, de l’ancienneté de l’occupation des lieux, ni de ce que l’administration a toléré la poursuite de cette occupation après le 31 décembre 1990 et a proposé à Mme B., pour régulariser la situation, des projets de convention d’occupation, auxquels elle n’a d’ailleurs pas donné suite ; (…)
Considérant, en cinquième lieu, que [l’obligation de procéder à la remise en état des lieux] ne constitue pas une mesure prohibée par la stipulation de l’article 1 du Protocole no 1 en vertu de laquelle nul ne peut être privé de sa propriété que pour cause d’utilité publique. »
Quant au refus de concession d’endigage, la cour d’appel s’exprima comme suit :
« (…) Considérant en deuxième lieu, que, l’article 27 de la loi du 3 janvier 1986 susvisée précisant que les exondements antérieurs à cette loi demeurent régis par la législation antérieure, sont applicables à la présente espèce les dispositions codifiées sous l’article L. 64 du code du domaine de l’Etat aux termes desquelles « l’Etat peut concéder, aux conditions qu’il aura réglées … le droit d’endigage … » ;
Considérant que, pour refuser d’accorder à Mme B. la concession d’endigage sollicitée, le préfet du Morbihan s’est fondé sur les principes directeurs définis par la circulaire du 3 janvier 1973 (…) relative à l’utilisation du domaine public en dehors des ports de commerce et de pêche, et a relevé qu’aucun motif d’intérêt général ne justifiait qu’il soit fait droit à la demande de l’intéressée ;
Considérant qu’en donnant pour directive aux autorités chargées de statuer sur les demandes de concessions d’endigage qu’aucune parcelle dépendant, à un titre quelconque, du domaine public ne devra être déclassée pour faire l’objet d’une cession en pleine propriété, les ministres signataires de la circulaire du 3 janvier 1973 n’ont pas édicté de règles de droit modifiant ou complétant les dispositions précitées de l’article L. 64 du code du domaine de l’Etat dont ils se sont bornés à faire application : qu’ainsi qu’il a été dit ci-dessus, la parcelle en cause appartient au domaine public de l’Etat ; qu’il ne ressort des pièces du dossier ni que le préfet, avant de prendre sa décision, n’ait pas examiné les circonstances particulières qui motivaient le projet présenté par Mme Brosset, ni qu’il ait commis une erreur manifeste d’appréciation en estimant qu’aucune particularité de ce projet ou aucune considération d’intérêt général ne justifiait qu’il fût dérogé aux directives susmentionnées ; »
28. Le 21 février 2000, les requérantes se pourvurent en cassation contre l’arrêt du 8 décembre 1999. Elles firent valoir qu’en l’absence de preuve qu’elles ne pouvaient logiquement détenir, ayant acquis par donation une maison déjà construite sur une dalle antérieurement édifiée, elles avaient démontré que la construction régulière d’une maison d’habitation ne pouvait avoir été entreprise sur une parcelle supposée appartenir au domaine public, qu’à la seule condition de l’existence d’une autorisation d’occupation temporaire relative à un usage privatif de cette parcelle et n’excluant pas expressément l’éventualité d’une telle construction. Elles en déduisirent que la construction de la maison, connue et acceptée de l’administration, avait entraîné la pleine propriété de celle-ci par les occupants de la parcelle. Dans le cas contraire, c’était au préfet d’apporter la preuve de l’irrégularité de l’exondement auquel il fut procédé au début du siècle. Les requérantes invoquèrent encore la disproportion de la sanction et la nécessité, en l’absence d’un motif d’intérêt général, du versement d’une indemnisation pour le dommage anormalement créé.
29. Le commissaire du Gouvernement, dans ses conclusions, communes à une affaire similaire, fit valoir que la valeur actualisée du prix d’acquisition de la maison s’élevait à 655 530 euros (EUR). Il poursuivit en ces termes :
« (…) Les intéressés n’ont pu acquérir aucun droit de propriété sur leurs maisons et les cessions successives n’aboutissent pas davantage à la constitution de droits réels sur le domaine public. Compte tenu de la situation précaire de ces immeubles, leur valeur vénale ne pouvait être établie sans prise en considération de cette circonstance primordiale et il faut espérer que les requérants avaient été dûment informés de ces éléments lorsque les actes d’acquisition ont été rédigés (…). Finalement et même si les solutions auxquelles on aboutit ne suscitent de notre part qu’un enthousiasme très relatif, nous ne pouvons que conclure au rejet des conclusions des requérants. (…) Ceux-ci ont sans doute commis des maladresses en refusant l’offre réitérée du préfet. Même si elle ne les enchantait guère, elle était à tout le moins préférable à une démolition pure et simple qui devra être opérée à leurs frais par décision de justice. Tout espoir n’est peut-être pas perdu de renouer les fils du dialogue avec l’administration afin de trouver une solution peut-être moins expéditive.
L’Etat n’est peut-être pas à l’abri le cas échéant d’une action en responsabilité pour avoir laissé espérer pendant près d’un siècle que les occupants du domaine public ne seraient pas brutalement contraints de démolir leurs biens. Il faut bien voir toutefois que les chances de réussite d’une telle action sont assez minces en raison de la protection légitime dont bénéficie le domaine public. En toute hypothèse, il est évident que si la responsabilité de la personne publique devait être retenue, il s’agirait d’une responsabilité que les contrevenants partageraient largement avec l’administration. »
30. Par un arrêt rendu le 6 mars 2002, le Conseil d’Etat rejeta le pourvoi des requérantes. Il jugea qu’elles ne pouvaient se prévaloir d’aucun droit réel sur la parcelle litigieuse et sur les immeubles qui y avaient été édifiés et que l’obligation de remise en état de la parcelle dans l’état antérieur à l’édification de la maison, sans indemnisation préalable, n’était donc pas une mesure prohibée par l’article 1 du Protocole no 1.
31. Le 6 août 2002, le directeur général de la Direction générale de la culture, des affaires juridiques et des politiques départementales du Morbihan écrivit ceci aux requérantes :
« J’ai eu quelques éléments d’information en provenance de la direction régionale des affaires culturelles [DRAC] de Bretagne. Il en ressort tout d’abord que votre maison n’a pas été spécifiquement répertoriée par le service régional de l’inventaire lorsque celui-ci a inventorié le canton de Vannes-Ouest au début des années 1990. Cependant, l’ensemble de l’anse de Pen er Men est bien répertorié, comme en témoigne d’ailleurs une photographie, disponible au service de l’inventaire où apparaît clairement votre maison. D’autre part, ce service m’a fait savoir, verbalement, que si l’inventaire du canton de Vannes-Ouest était effectué aujourd’hui, votre maison, ainsi que d’autres dans la même situation, serait certainement inventoriée.
Quoi qu’il en soit, ce même service pourrait efficacement intervenir, notamment auprès de la DDE [Direction départementale de l’équipement], dans un but de protection du patrimoine si une menace de destruction venait à être à nouveau brandie.
Pour ce qui concerne enfin une éventuelle mesure de classement ou d’inscription à l’inventaire supplémentaire des monuments historiques de votre maison, il ne faut guère y compter, d’une part parce que l’Etat ne vous considère pas comme propriétaire, d’autre part parce qu’il croule sous les demandes, notamment dans le Morbihan. Dans l’immédiat, compte tenu des bonnes dispositions de la DRAC vis-à-vis de votre problème, je ne suis pas trop inquiet. »
32. En 2008, la taxe d’habitation de la maison s’élevait à 584 EUR et la taxe foncière à 708 EUR. Les requérantes produisent une évaluation de leur maison faite par une agence immobilière en novembre 2008 : « une maison de 1905 à usage d’habitation construite en pierres (…). Compte tenu de la situation géographique de cette propriété, de l’état de la construction, de la surface du plancher, de son implantation sur le DPM, du marché immobilier local, et sous réserve que les propriétaires puissent justifier d’un contrat de concession sur le DPM, cette propriété a une valeur de l’ordre de 800 000 à 1 000 000 d’euros ».
II. LE DROIT ET LA PRATIQUE INTERNES PERTINENTS
A. Le domaine public maritime (DPM) et sa gestion
1. La garde du domaine public maritime
33. L’idée que le rivage de la mer appartient aux « choses communes », c’est-à-dire n’est pas susceptible d’appropriation privée et est géré par la puissance publique, vient de l’époque romaine (Institutes de Justinien, Livre II, Titre I De rerum divisione), où déjà une autorisation était nécessaire pour construire sur le bord de la mer. C’est l’ordonnance de la marine d’août 1681 de Colbert qui, codifiant ce principe, constituait encore récemment le fondement de la gestion par l’Etat du DPM. Après avoir défini ce que comprenait le « bord et rivage de la mer », elle précisait également le régime applicable : « Faisons défense à toutes personnes de bâtir sur les rivages de la mer, d’y planter aucuns pieux, ni de faire aucun ouvrage, qui puisse porter préjudice à la navigation à peine de démolition des ouvrages, de confiscation des matériaux et d’amendes arbitraires ». A la Révolution prend corps l’idée que le DPM est géré par les gouvernants dans l’intérêt de la nation, et non comme un simple élément de patrimoine autrefois de la Couronne, aujourd’hui de l’Etat. Cette conception guide encore aujourd’hui largement la gestion du DPM, car au-delà même de la propriété de l’Etat sur ce domaine, sa conservation et sa gestion relèvent plus de la mise en œuvre d’une police de son utilisation que de l’exercice de droits « civils » du propriétaire. Le préfet tient un rôle principal dans la garde du DPM, il est l’autorité qui en général en réglemente localement l’utilisation, permet les occupations privatives ou non et assure la défense de son intégrité en poursuivant les auteurs des atteintes à ce domaine (source : www.mer.gouv.fr, consultée le 3 février 2010).
L’ordonnance de la marine de Colbert a été définitivement abrogée en 2006. Depuis le 1er juillet 2006, le code général de la propriété des personnes publiques (CGPPP) a remplacé le code du domaine de l’Etat (datant de 1957). Il restructure le droit domanial de l’Etat et des personnes publiques et synthétise la réglementation du DPM en y incluant les dispositions relatives à l’environnement notamment.
2. Consistance du domaine public maritime naturel
34. Le DPM, déterminé à partir de phénomènes naturels, est compris entre la limite haute du rivage, c’est-à-dire au point jusqu’où les plus hautes mers peuvent s’étendre en l’absence de perturbations météorologiques exceptionnelles (CE Ass, Kreitmannn, 12 octobre 1973) et la limite de la mer territoriale, côté large. Selon l’article L. 2111-4 du CGPPP,
« Le Domaine Public Maritime naturel de l’Etat comprend :
1o Le sol et le sous-sol de la mer entre la limite extérieure de la mer territoriale et, côté terre, le rivage de la mer.
Le rivage de la mer est constitué par tout ce qu’elle couvre et découvre jusqu’où les plus hautes mers peuvent s’étendre en l’absence de perturbations météorologiques exceptionnelles ;
2o Le sol et le sous-sol des étangs salés en communication directe, naturelle et permanente avec la mer ;
3o Les lais et relais de la mer :
a) Qui faisaient partie du domaine privé de l’Etat à la date du 1er décembre 1963, sous réserve des droits des tiers ;
b) Constitués à compter du 1er décembre 1963.
(…)
5o Les terrains réservés en vue de la satisfaction des besoins d’intérêt public d’ordre maritime, balnéaire ou touristique et qui ont été acquis par l’Etat.
« Les terrains soustraits artificiellement à l’action du flot demeurent compris dans le Domaine Public Maritime naturel sous réserve des dispositions contraires d’actes de concession translatifs de propriété légalement pris et régulièrement exécutés ».
3. Protection du domaine public maritime
a) Principe d’inaliénabilité
35. Consacré par la jurisprudence, puis repris par le code du domaine de l’Etat (article L. 52) et le CGPPP (article L. 3111-1), le principe d’inaliénabilité du domaine public est indissociable de la notion de domaine public. Le fondement de ce principe tient à l’affectation du domaine à l’utilité publique : tant que cette affectation demeure, et qu’une décision expresse de déclassement d’une dépendance du domaine public n’a pas été prise, aucune cession du domaine ne peut être autorisée. C’est une protection contre l’usucapion ou la prescription acquisitive du droit privé, d’où le principe d’imprescriptibilité complémentaire à celui de l’inaliénabilité. Ainsi, dans son arrêt Cazeaux, à propos de parcelles proches du rivage de la mer dans le bassin d’Arcachon, le Conseil d’Etat, a considéré que « alors même que les autorités publiques ont autorisé sur ces parcelles divers travaux, renoncé à plusieurs reprises à revendiquer la domanialité publique desdites parcelles (…), les auteurs de la société du domaine des prés-salés n’ont pu, de même que ladite société, acquérir aucun droit de propriété sur ces parcelles qui, faisant partie du domaine public, étaient inaliénables et imprescriptibles ».
36. Le Conseil constitutionnel a énoncé que l’inaliénabilité se limitait à ce que des biens du domaine public soient aliénés sans qu’ils aient été au préalable déclassés (C.C, no 86-217 DC du 18 septembre 1986, Liberté de communication). Il n’a toutefois pas reconnu au principe d’inaliénabilité une valeur constitutionnelle (CC, déc. no 94-346 du 21 juillet 1994, Droits réels sur le domaine public). Le Conseil d’Etat a rappelé récemment que « lorsqu’un bien appartenant à une personne publique a été incorporé dans son domaine public par une décision de classement, il ne cesse d’appartenir à ce domaine sauf décision expresse de déclassement » ; il a ainsi jugé qu’était sans incidence sur l’appartenance d’ateliers relais occupés par une société au domaine public le fait « que ces ateliers auraient vocation à être loués ou cédés à leurs occupants ou que les baux consentis en vue de leur occupation revêtiraient le caractère de contrats de droit privé » (CE 26 mars 2008, Société Lucofer).
37. Conséquence du principe d’inaliénabilité, toute cession de biens du domaine public « non déclassés » est nulle. Cette nullité entraîne une obligation de restitution pour les tiers acquéreurs, même de bonne foi. En outre, l’inaliénabilité entraîne l’exclusion, en principe, de la constitution de droits réels sur le domaine public. Toutefois, en dérogation à ce principe, le législateur a, par l’adoption de deux lois, l’une du 5 janvier 1988 instituant le bail emphytéotique administratif, l’autre du 25 juillet 1994 relative à la constitution de droit réels sur le domaine public, donné la possibilité d’octroyer des droits réels à l’occupant à titre privatif sur le DPM. S’agissant de la première, elle ne concerne que le domaine public des collectivités territoriales et de leurs groupements. En ce qui concerne la seconde, elle vise le domaine maritime artificiel et les constructions et installations immobilières réalisées pour les besoins de l’activité autorisée (article L. 34-1 du code du domaine de l’Etat puis article L. 2122-6 du CGPPP). Dans sa décision précitée du 21 juillet 1994, le Conseil constitutionnel a jugé cette possibilité conforme à la Constitution dès lors que la loi de 1994 assure la continuité des services publics et la protection de la propriété publique ; il a toutefois censuré la disposition permettant le renouvellement de l’autorisation au delà de soixante-dix ans car il était susceptible de priver de réalité le droit de la personne publique au retour de plein droit et gratuit des installations et par suite de nature à porter atteinte à la « protection due à la propriété publique ».
38. La dernière conséquence du principe d’inaliénabilité est l’insaisissabilité des biens des personnes publiques (article L. 2311-1 du CGPPP). Cette conséquence a été atténuée par la jurisprudence du Conseil d’Etat dans une affaire que la Cour a eu à connaître par la suite (Société de Gestion Du Port de Campoloro et Société fermière de Campoloro c. France, no 57516/00, 26 septembre 2006).
b) Police de la conservation
39. Outre les servitudes administratives, visant à protéger le domaine public des empiètements des propriétés privées, dont celle, par exemple, concernant la servitude de passage le long du littoral, d’une largeur de trois mètres, sur les propriétés riveraines du DPM instituée par une loi du 31 décembre 1976 portant réforme de l’urbanisme, la police de la conservation du domaine assure la protection de l’intégrité matérielle du DPM, ainsi que celle de l’affectation et de l’utilisation de ses dépendances. Les infractions à la police de conservation du DPM sont réprimées par la contravention de grande voirie. Celle-ci est sanctionnée par une amende pénale prononcée par le juge administratif et implique pour le contrevenant une remise de droit des lieux en l’état. Les dispositions pertinentes relatives à la contravention de grande voirie sur le DPM ne font plus référence essentiellement à la navigation mais prennent en compte la protection du littoral, protégé pour lui-même (articles L. 2132-2 et L. 2132-3 du CGPPP).
40. Selon le Conseil d’Etat, les autorités chargées de la conservation ont une obligation de poursuite (CE Ministre de l’équipement c/ Association « des amis des chemins de ronde », 23 février 1979). A propos d’une parcelle incorporée au domaine public maritime de la plage de Verghia (Corse-du-sud), le Conseil d’Etat a décidé « que la circonstance que M.A. justifierait d’un titre de propriété sur la parcelle en cause et que des autorisations lui ont été accordées pour y édifier des constructions, au titre de la législation de l’urbanisme, distincte de celle relative au domaine public maritime, est sans influence sur la matérialité de la contravention de grande voirie et n’est, en tout état de cause, pas de nature à l’exonérer des poursuites diligentées à son encontre par le préfet (…) » (CE, no 292956, 4 février 2008). S’agissant de la réparation du dommage causé au domaine public, il a été jugé que l’attitude concrète de l’administration antérieurement à la mise en œuvre de la procédure tendant à la prononciation d’une condamnation de grande voirie de l’autorisation n’était pas sans créer au profit du contrevenant des droits et notamment celui à ne pas être obligé de procéder lui-même à une remise en l’état des lieux (CE, Koeberlin, 21 novembre 1969).
4. Utilisation du domaine public maritime
41. L’usage du DPM peut être collectif ou privatif. L’utilisation collective qui permet à l’ensemble des citoyens de bénéficier du domaine public (navigation sur les cours d’eaux, plages) est libre, égale pour tous et gratuite. Toutefois, le principe de gratuité n’a pas été repris expressément par le CGPPP car il fait l’objet de nombreuses dérogations.
Les occupations privatives doivent être compatibles ou conformes avec l’affectation du domaine public. Contrairement aux utilisations collectives, elles sont soumises à autorisation, délivrée à titre personnel, donnent lieu au paiement d’une redevance et ont un caractère précaire.
L’article L. 28 du code du domaine de l’Etat (article L. 2122-1 du CGPPP) prévoyait en effet que :
« Nul ne peut, sans autorisation délivrée par l’autorité compétente, occuper une dépendance du domaine public national ou l’utiliser dans des limites excédant le droit d’usage qui appartient à tous.
Le service des domaines constate les infractions aux dispositions de l’alinéa précédent en vue de poursuivre, contre les occupants sans titre, le recouvrement des indemnités correspondant aux redevances dont le Trésor a été frustré, le tout sans préjudice de la répression des contraventions de grande voirie ». [L’article A 26 précisait que l’autorisation est révocable sans indemnité].
42. Selon le Conseil d’Etat, « si dans l’exercice de ses pouvoirs de gestion du DPM, il appartient à l’administration d’accorder à titre temporaire et dans les conditions prévues par la réglementation en vigueur des autorisations d’occupation privative dudit domaine, ces autorisations ne peuvent légalement intervenir que, si compte tenu des nécessités de l’intérêt général, elles se concilient avec les usages conformes à la destination du domaine que le public est normalement en droit d’y exercer, ainsi qu’avec l’obligation qu’a l’administration d’assurer la conservation de son domaine public » (CE, Commune de Saint-Brévin-les-Pins, 3 mai 1963).
43. La précarité des autorisations résulte du principe d’inaliénabilité qui implique la protection du domaine public et donc sa disposition par l’administration. La jurisprudence énonce ainsi que « les autorisations d’occupation du domaine public sont accordées à titre précaire et révocable ; que, par suite, la circonstance, à la supposer établie, que I. était titulaire, avant l’intervention de la décision attaquée, d’une autorisation d’occupation de la partie du domaine public communal (…) est sans influence sur la légalité de la décision par laquelle le maire lui a demandé de démolir ses installations et de restituer au domaine public son état initial (…) » (CE, Isas, 29 mars 2000). Elle rappelle très clairement aussi que les titulaires d’autorisation n’ont pas « de droits acquis » au renouvellement de l’autorisation (CE, Helie, 14 octobre 1991).
44. Les conditions d’occupation du domaine public sont fixées, soit dans des actes unilatéraux de l’administration (du type de celle évoquée plus haut à l’article L. 28 du code du domaine de l’Etat), soit dans des contrats passés avec l’occupant. Ces derniers sont nommés concessions d’occupation domaniale, qui sur le DPM, peuvent être des concessions de plage et des concessions d’endigage. Par cette concession, l’Etat autorise le concessionnaire à effectuer sur le rivage de la mer des travaux destinés à soustraire les terrains à l’action des flots. Sur le DPM naturel existe une ancienne procédure instituée en 1807, désignée traditionnellement sous le nom de concession d’endigage translative de propriété (ancien article L. 64 du code du domaine de l’Etat) : le concessionnaire était autorisé à exonder des emprises qui, soustraites à l’action des eaux, ne relevaient plus de la définition du DPM naturel et pouvaient donc être déclassées et cédées par l’Etat. Cette procédure, utilisée à l’origine pour l’aménagement de polders agricoles, l’a été plus récemment pour réaliser des constructions immobilières privées, sous forme de marinas, gagnées sur la mer. La réaction à ce qui était perçu comme une privatisation du rivage, a conduit à prohiber en 1973, par circulaire, la mise en œuvre d’une telle procédure – interdiction confirmée par la loi littoral qui prohibe plus largement l’atteinte au caractère naturel du rivage – ; dorénavant, il n’est plus possible de réaliser des opérations de type marinas ou polders par des concessions d’endigage translatives de propriété et la procédure n’est plus applicable qu’aux exondements anciens dont elle constitue la seule possibilité de régularisation (source : www.mer.gouv.fr, consultée le 3 février 2010).
B. La loi no 86-2 du 3 janvier 1986 dite « loi littoral » relative à l’aménagement, la protection et la mise en valeur du littoral
45. Jusqu’en 1986, le DPM était protégé par la police de la grande voirie. La loi littoral a introduit de nouvelles règles protectrices du domaine public naturel (source : www.mer.gouv.fr).
46. Dès les années 1960, l’engouement pour les vacances au bord de la mer augmente la pression touristique et ainsi le rythme des constructions sur le littoral. (…) La prise de conscience de l’importance économique du littoral et des multiples convoitises dont il fait l’objet a rendu indispensable l’intervention d’une norme de valeur juridique supérieure chargée d’arbitrer entre les multiples utilisations du littoral. C’est dans cet esprit qu’a été votée à l’unanimité par le Parlement, la loi littoral du 3 janvier 1986 (consolidée au 7 août 2007). L’article premier de la loi énonce que le littoral est « une entité géographique qui appelle une politique spécifique d’aménagement, de protection et de mise en valeur ». Les principes généraux de cette loi consistent à la fois à préserver les espaces rares et sensibles, gérer de façon économe la consommation d’espace par l’urbanisation et les aménagements touristiques notamment, et enfin, ouvrir plus largement le rivage au public, comme les plages, et accueillir en priorité sur le littoral les activités dont le développement est lié à la mer.
47. C’est dans le domaine de l’urbanisme que les principes posés sont les plus connus et ont donné lieu au contentieux le plus abondant. L’extension de l’urbanisation doit se faire en continuité avec l’existant ou en hameaux nouveaux. Les routes sur le rivage sont interdites et les routes de transit ne peuvent se faire qu’au-delà de 2 000 mètres du rivage. Afin de préserver les espaces naturels la loi instaure une « inconstructibilité » à l’intérieur d’une bande de 100 mètres, hors agglomération, à partir du rivage et impose une urbanisation limitée des espaces proches du même rivage. Enfin les espaces remarquables ou caractéristiques du littoral doivent être préservés et seuls des aménagements légers peuvent être admis.
48. La loi a précisé les règles de gestion du DPM en exigeant une enquête publique préalable à tout changement substantiel d’utilisation, en clarifiant les procédures de délimitation du rivage de la mer, en interdisant, sauf exception, de porter atteinte au caractère naturel du rivage et en organisant un régime spécifique pour les mouillages collectifs. Elle a, enfin, consacré les principes de l’usage libre et gratuit des plages et favorisé l’accès du public à la mer (voir les articles 321-9 du code de l’environnement et L. 2124-4 du CGPPP : « L’accès des piétons aux plages est libre (…). L’usage libre et gratuit par le public constitue la destination fondamentale des plages. »
49. L’article 25 de la loi, devenu l’article L. 2124-1 du CGPPP a entraîné une réforme de la réglementation relative aux occupations du DPM. Il est ainsi stipulé :
« Les décisions d’utilisation du domaine public maritime tiennent compte de la vocation des zones concernées et de celles des espaces terrestres avoisinants, ainsi que des impératifs de préservation des sites et paysages du littoral et des ressources biologiques ; elles sont à ce titre coordonnées notamment avec celles concernant les terrains avoisinants ayant vocation publique.
Sous réserve des textes particuliers concernant la défense nationale et des besoins de la sécurité maritime, tout changement substantiel d’utilisation de zones du Domaine Public Maritime est préalablement soumis à enquête publique (…) »
50. L’article 27 de la loi, devenu l’article L. 2124-2 du CGPPP, pose le principe de l’interdiction de l’atteinte à l’état naturel du rivage :
« En dehors des zones portuaires et industrialo-portuaires, et sous réserve de l’exécution des opérations de défense contre la mer et de la réalisation des ouvrages et installations nécessaires à la sécurité maritime, à la défense nationale, à la pêche maritime, à la saliculture et aux cultures marines, il ne peut être porté atteinte à l’état naturel du rivage de la mer, notamment par endiguement, assèchement, enrochement ou remblaiement, sauf pour des ouvrages ou installations liés à l’exercice d’un service public ou l’exécution d’un travail public dont la localisation au bord de mer s’impose pour des raisons topographiques ou techniques impératives et qui ont donné lieu à une déclaration d’utilité publique.
Toutefois, les exondements antérieurs à la présente loi demeurent régis par la législation antérieure. »
51. Dans un rapport sur les conditions d’application de la loi littoral établi par le Conseil général des Ponts et Chaussées, transmis au ministre de l’Equipement, des Transports et du Logement en juillet 2000, en sa partie « Retrouver une cohérence entre le discours et la réalité », il est indiqué ce qui suit :
« (…) l’impression d’iniquité est vive lorsqu’un refus est opposé à une demande d’autorisation dans un site où la présence de bâtiments semble indiquer qu’en d’autres temps, l’administration a été moins regardante. (…)
Le droit de jouir « à vie » mais sans transmission possible d’une maison d’habitation construite sur le domaine public maritime, droit reconnu par une convention signée avec le préfet, le droit reconnu à deux époux de camper ou de faire stationner leur caravane dans une zone devenue illicite pour ce genre d’activité jusqu’au décès de chacun d’eux, avec également une convention stipulant expressément l’absence d’héritage possible de ce privilège, illustrent en Charente-Maritime et dans le Morbihan, la créativité de l’administration sur le sujet.(…)
Toutes sortes de dérives se multiplient de plus ou moins bonne foi. (…) Faudrait-il passer sous silence le développement d’un marché clandestin des autorisations d’occupation du domaine public (…) Ne conviendrait-il pas de rechercher la responsabilité des agents publics qui ont sciemment contribué à créer ou aggraver une situation illégale par leur activité administrative ? (…) »
52. Dans le rapport consacré au « bilan de la loi littoral et des mesures en faveur du littoral » du Gouvernement au Parlement (septembre 2007), en sa partie consacrée à l’ouverture du littoral aux piétons, on peut lire ce qui suit :
« La loi littoral prévoit comme objectif le maintien ou le développement du tourisme sur le littoral. En particulier, les dispositions des articles 3 à 8 de cette loi visent les conditions de fréquentation par le public des espaces naturels, du rivage et des équipements qui y sont liés. La réalisation du sentier du littoral participe à la concrétisation de ces dispositions législatives. (…) La continuité du cheminement des piétons le long du littoral est ainsi assurée par la servitude sur les propriétés privées, ainsi que par le passage sur des terrains publics qui peuvent appartenir à l’État (DPM), au Conservatoire du littoral ou aux collectivités territoriales (…).
La mise en œuvre du sentier nécessite fréquemment une étude sur le terrain pour déterminer si le littoral peut être ouvert aux piétons sans nuire à la faune, à la flore et à la stabilité des sols. Si le territoire se révèle accessible sans risque pour l’environnement, il faudra déterminer le tracé du sentier notamment sur les propriétés privées, étant observé que le tracé de droit (bande de trois mètres de long de la limite du DPM) ne représente pas toujours la solution la plus opportune. Dans l’hypothèse où le tracé de droit sur les propriétés privées a été modifié, une enquête publique doit être réalisée. (…) »
C. Droit comparé
53. La Cour a examiné la situation dans seize Etats Membres côtiers. Seuls quatre Etats (Albanie, Bosnie-Herzégovine, Royaume-Uni et Suède) ne reconnaissent pas l’existence d’un DPM exclusif de tout droit privé de propriété. Dans les douze autres Etats (Allemagne, Croatie, Espagne, Grèce, Irlande, Italie, Malte, Monaco, Monténégro, Pays-Bas, Slovénie et Turquie), le DPM appartient soit à l’Etat soit à d’autres personnes publiques et est, à ce titre, inaliénable. Dans tous ces Etats, le DPM peut néanmoins être affecté à un usage privé sur la base de concessions à durée déterminée. Et dans tous ces Etats, son usage abusif expose les contrevenants à des sanctions administratives voire pénales. En particulier, la construction abusive d’immeubles peut entraîner, pour le contrevenant, l’obligation de démolir l’immeuble concerné à ses frais et sans compensation. Ce type de mesure existe également en Suède, où la loi reconnaît le droit privé de propriété sur les terrains en bordure de mer mais soumet ces propriétés privées à des servitudes relativement strictes qui interdisent la réalisation de nouveaux immeubles et garantissent l’accès public à la mer.
54. En Croatie, comme en Espagne, les propriétaires d’immeubles construits et acquis légalement avant l’entrée en vigueur du « Maritim Domain Act » (2006) pour l’un, de la loi littoral pour l’autre (1988), et destinés à usage d’habitation, pouvaient obtenir ces immeubles en concession, sans obligation de payer une redevance, à la seule condition d’en faire la demande dans un délai d’un an à compter de l’entrée en vigueur de la loi. En Espagne, les constructions réalisées avant l’entrée en vigueur de la loi sans l’autorisation ou la concession requise par l’ancienne législation, seront démolies lorsqu’elles ne peuvent pas faire l’objet d’une légalisation pour raisons d’intérêt public. En ce qui concerne les constructions autorisées avant l’entrée en vigueur de la loi, devenues contraires aux dispositions de celle-ci, elles seront démolies à l’expiration de la concession lorsqu’elles sont situées sur des terrains appartenant au domaine public maritime. En Turquie, selon la jurisprudence de la Cour de cassation (arrêt du 10 octobre 2007) qui fait référence à l’arrêt Doğrusöz et Aslan c. Turquie, (no 1262/02, 30 mai 2006), si l’annulation d’un titre de propriété d’un bien se trouvant à l’intérieur du tracé du littoral maritime est conforme à la législation nationale, l’intéressé peut saisir les tribunaux d’une demande d’indemnisation de son préjudice matériel.
D. Textes du Conseil de l’Europe
55. Peuvent être cités les textes pertinents suivants : la recommandation No R (97) 9 du Comité des ministres relative à une politique de développement d’un tourisme durable et respectueux de l’environnement dans les zones côtières adoptée le 2 juin 1997 et son annexe ; la décision du Comité des ministres prise lors de sa 678e session réunion (8-9 septembre 1999) où les délégués des ministres prennent note du Modèle de Loi sur une gestion durable des zones côtières (voir, articles 40 sur le domaine public maritime et 45 sur l’accès des piétons aux plages) et du code de conduite européen des zones côtières, et conviennent de les transmettre à leurs gouvernements.
EN DROIT
I. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 1 DU PROTOCOLE No 1
56. Les requérantes soutiennent que le refus des autorités françaises de les autoriser à continuer d’occuper une parcelle du domaine public sur laquelle est édifiée une maison appartenant à leur famille depuis 1945 et l’injonction qui leur est faite de la détruire portent atteinte à leur droit de propriété garanti par l’article 1 du Protocole no 1 qui se lit ainsi :
« Toute personne physique ou morale a droit au respect de ses biens. Nul ne peut être privé de sa propriété que pour cause d’utilité publique et dans les conditions prévues par la loi et les principes généraux du droit international.
Les dispositions précédentes ne portent pas atteinte au droit que possèdent les Etats de mettre en vigueur les lois qu’ils jugent nécessaires pour réglementer l’usage des biens conformément à l’intérêt général (…) »
57. A titre liminaire, la Cour prend acte du décès d’Eliane B.-P. survenu le 14 mai 2008, et du souhait de ses héritières, à savoir ses deux filles, de poursuivre la requête devant la Cour, en leurs noms personnels et en leur qualité d’héritières. Conformément à sa jurisprudence, la Cour leur reconnaît qualité pour se substituer désormais à la requérante (Loyen et autres c. France, no 55926/00, § 25, 29 avril 2003).
58. Toutefois, pour des raisons d’ordre pratique, le présent arrêt continuera d’appeler E. B.-P. la « requérante », bien qu’il faille aujourd’hui attribuer cette qualité à ses filles.
A. Applicabilité : l’existence d’un « bien »
1. Thèses des parties
a) Les requérantes
59. Les requérantes rappellent l’autonomie de la notion de « biens » (Öneryıldız c. Turquie [GC], no 48939/99, §§ 95-96, CEDH 2004-XII). Elles estiment que la règle d’inaliénabilité du domaine public maritime ne peut aboutir en l’espèce à qualifier la maison de res nullius, n’entrant dans aucune catégorie juridique. En effet, celle-ci a été construite il y a cent ans, et l’illégalité de la construction ne leur a pas été signalée au moment de la donation, l’acte de 1945 mentionnant l’autorisation donnée par le préfet. Laissées dans l’ignorance pendant un certain temps d’une possible démolition de leur maison ainsi acquise, les requérantes font valoir les dizaines d’années passées en toute tranquillité dans un environnement social et familial fort. Elles rappellent également que cette maison sert d’assiette au paiement de taxes et impôts. L’Etat leur a dès lors « de facto » reconnu un intérêt patrimonial directement rattaché à l’habitation en cause et aux biens meubles qui y sont disposés.
60. Les requérantes soutiennent encore que l’Etat avait connaissance de l’existence de la maison ; preuve en est, par exemple, l’augmentation de la redevance annuelle, eu égard à la valeur du terrain à laquelle il convenait d’ajouter la valeur locative. De même, lorsque le préfet écrivit aux requérantes en 1993 pour proposer une nouvelle autorisation, simplement viagère, il faisait état de la possibilité de « réutiliser les installations » et admettait qu’il y a une construction, donc l’existence d’un « bien ». Il ne peut y avoir un statut différent des maisons selon que l’Etat refuse un renouvellement avec l’obligation de démolir ou qu’il le refuse en souhaitant bénéficier de la propriété de l’immeuble qui serait cette fois, une propriété pleine et entière. En obligeant les bénéficiaires d’une autorisation d’occupation du domaine à démolir une maison habitée depuis plus de cinquante ans par une même famille, à ses frais, alors qu’elle a été acquise par donation, le donateur l’ayant lui-même acquise à la suite d’une vente, l’Etat manque au respect qu’il doit aux « biens ».
b) Le Gouvernement
61. Comme au stade de la recevabilité, le Gouvernement conteste l’existence d’un « bien » au sens de l’article 1 du Protocole no 1 du fait de l’impossibilité d’établir des droits réels sur le domaine public maritime. Les différents titres d’occupation – temporaires, précaires et révocables – délivrés aux requérantes et à leurs prédécesseurs n’ont pas pu avoir pour effet de reconnaître un quelconque droit de propriété des titulaires successifs. Il rappelle que les exceptions législatives au principe d’inaliénabilité excluent le domaine public maritime naturel en cause en l’espèce (paragraphe 37 ci-dessus).
62. Les droits de propriété éventuellement consentis entre les parties privées ne sont pas opposables à l’Etat et n’ont aucune incidence sur la nature de ces droits. L’Etat bénéficie aussi du droit à la protection et au respect de sa propriété. Il pouvait parfaitement autoriser une occupation sur une parcelle, par nature inaliénable et imprescriptible, sans que cela donne de droits autres que de simple jouissance. Dissocier le régime applicable au terre-plein de celui applicable à la maison qu’il supporte, dont l’administration n’a eu connaissance qu’à partir de 1967, reviendrait à nier les principes qui régissent le

A chi rivolgersi e i costi dell'assistenza

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