SECONDA SEZIONE
CAUSA BIEFFE RIFUGI ANTIATOMICI S.R.L. c. ITALIA
( Richiesta no 62354/00)
SENTENZA
STRASBURGO
8 luglio 2008
DEFINITIVO
08/10/2008
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Bieffe Rifugi Antiatomici S.R.L. c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Antonella Mularoni, Danutė Jočienė, Dragoljub Popović, András Sajó, Işıl Karakaş, giudici, Luigi Ferrari Bravo, giudice ad hoc,
e da Sally Dollé, cancelliera di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 17 giugno 2008,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data,:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 62354/00) diretta contro la Repubblica italiana e in cui una società di questo Stato, la B. R. A. S.R.L. (“il richiedente”), aveva investito la Commissione europea dei diritti dell’uomo (“la Commissione”) il 20 febbraio 1998 in virtù del vecchio articolo 25 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente è rappresentato da R. V. e F. U., avvocati a Bergamo.
Il governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato successivamente dai suoi agenti, i Sigg. U. Leanza ed I.M. Braguglia, e dai suoi coagenti, i Sigg. V. Esposito e F. Crisafulli, così come dal suo coagente aggiunto, il Sig. N. Lettieri.
3. L’ 11 gennaio 2001, la Corte ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Avvalendosi dell’articolo 29 § 3 della Convenzione, ha deciso che si sarebbe pronunciata sull’ammissibilità ed il merito allo stesso tempo.
4. Il 21 ottobre 2004, in applicazione dell’articolo 54 § 2 c) dell’ordinamento, le parti sono state invitate a fornire delle osservazioni complementari sull’oggetto e la portata del nuovo motivo di appello derivato dall’articolo 13 della Convenzione.
IN FATTO
LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
5. Il richiedente è una società italiana e ha la sua sede sociale a Brescia.
A. Il procedimento principale
6. Il 28 giugno 1991, il Sig. G. citò il richiedente dinnanzi al tribunale di Bergamo per fare constatare l’inadempienza di un contratto e di ottenere il risarcimento dei danni subiti.
Il collocamento in stato della causa cominciò il 10 ottobre 1991. Delle nove udienze fissate tra il 15 ottobre 1992 ed il 29 novembre 1999, una fu rinviata a causa di sciopero degli avvocati, due riguardavano la nomina ed il mandato del perito, tre la determinazione dell’udienza di presentazione delle conclusioni e due il tentativo di un ordinamento amichevole.
7. Con un giudizio del 26 febbraio 2000 il cui il testo fu depositato alla cancelleria il 22 settembre 2000, il tribunale fece diritto alla domanda del Sig. G. e condannò il richiedente a versare 8 288 000 lire italiane (ITL) [4 280,39 euro (EUR)] più interessi.
B. Il procedimento “Pinto”
8. Il 4 ottobre 2001, il richiedente investì la corte di appello di Venezia ai sensi della legge no 89 del 24 marzo 2001, detta “legge Pinto” per lamentarsi della durata eccessiva del procedimento descritto sopra. Il richiedente chiese alla corte di dire che c’era stata una violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione e di condannare il governo italiano al risarcimento del danno subito.
9. Con una decisione del 24 gennaio 2002 il cui il testo fu depositato alla cancelleria il 29 gennaio 2002, la corte di appello constatò il superamento di una durata ragionevole. Respinse la richiesta relativa al danno materiale al motivo che non era addotto, quella che aveva fatto riferimento al danno non patrimoniale perché non era stato dimostrato che la società avesse potuto subire una conseguenza negativa sulla gestione dell’impresa e condannò il richiedente a versare 1 085 EUR all’amministrazione per oneri e spese.
10. Il richiedente ricorse in cassazione arguendo che una volta constatato il superamento del termine ragionevole, le persone giuridiche non dovevano fornire la prova di un danno all’evidenza in re ipsa.
Con una sentenza del 4 febbraio 2003 il cui il testo fu depositato alla cancelleria il 3 aprile 2003, la Corte di cassazione respinse il ricorso confermando la necessità per la società di dimostrare l’esistenza di un danno legato alla durata del procedimento. Secondo la Corte di cassazione, la legge Pinto non riconosceva nessun danno presunto in re ipsa ma esigeva che una prova sia venisse ai termini dell’articolo 2 di suddetta legge. Tale approccio era del resto conforme alla giurisprudenza della Corte sul terreno dell’articolo 41 della Convenzione.
11. Con una lettera del 1 settembre 2003, il richiedente informò la Corte del risultato del procedimento nazionale e la pregò di riprendere l’esame della sua richiesta.
II. IL DIRITTO E LA PRATICA INTERNA PERTINENTI
12. Il diritto e la pratica interna pertinenti figurano nella sentenza Cocchiarella c. Italia ([GC], no 64886/01, §§ 23-31, CEDH 2006 -…).
IN DIRITTO
I. SULLE VIOLAZIONI ADDOTTE DEGLI ARTICOLI 6 § 1 E 13 DELLA CONVENZIONE
13. Il richiedente adduce che la durata del procedimento civile abbia ignorato il principio del “termine ragionevole” come previsto dall’articolo 6 § 1 della Convenzione. Inoltre, afferma che il procedimento “Pinto” non è un rimedio effettivo, come esige l’articolo 13 della Convenzione.
14. Il Governo si oppone a queste tesi.
15. Gli articoli 6 § 1 e 13 della Convenzione sono formulati così:
Articolo 6 § 1
“Ogni persona ha diritto affinché la sua causa venga sentita in un termine ragionevole, da un tribunale che deciderà, delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile “
Articolo 13
“Ogni persona i cui i diritti e libertà riconosciuti nella Convenzione sono stati violati, ha diritto alla concessione di un ricorso effettivo dinnanzi ad un’istanza nazionale, anche se la violazione fosse stata commessa da persone agendo nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali. “
A. Sull’ammissibilità
16. Dopo l’entrata in vigore della legge Pinto, il Governo sollevò un’eccezione di non-esaurimento delle vie di ricorso interne.
17. La Corte, avuto riguardo alla sua giurisprudenza in materia (Provide S.r.l. c. Italia, no 62155/00, §§ 17-19, CEDH 2007 -.., 5 luglio 2007) respinge questo argomento del Governo.
Dopo avere esaminato i fatti della causa e gli argomenti delle parti, la Corte stima, alla luce della giurisprudenza stabilita in materia (Provide S.r.l. c. Italia, precitata, §§ 20-25; Delle Cave e Corrado c. Italia, no 14626/03, § 25-31, 5 giugno 2007) che la correzione si è rivelata insufficiente e che il richiedente può sempre definirsi “vittima” ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione.
18. La Corte constata che questi motivi di appello non sono manifestamente mal fondati ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione e non incontrano nessun altro motivo di inammissibilità.
B. Sul merito
19. La Corte ricorda di avere esaminato dei motivi di appello identici a quelli presentati dal richiedente e di avere concluso, da una parte, alla violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione ma, dall’altra parte, alla non-violazione dell’articolo 13 (vedere Provide S.r.l. c. Italia, precitata, §§ 29-32 e §§ 36-39).
20. In quanto alla durata del procedimento, la Corte stima che il periodo da considerare si estende dal 28 giugno 1991, giorno della citazione del richiedente dinnanzi al tribunale di Bergamo, fino al 22 settembre 2000, data del deposito del giudizio di suddetto tribunale. È durata dunque più di nove anni e due mesi per un grado di giurisdizione.
21. Dopo avere esaminato i fatti alla luce delle informazione fornite dalle parti e tenuto conto della sua giurisprudenza in materia, la Corte stima che nello specifico la durata del procedimento controverso è eccessiva e non risponde all’esigenza del “termine ragionevole.”
22. Pertanto, c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.
23. Invece, il richiedente ha disposto di un ricorso effettivo per esporre le violazioni della Convenzione che adduceva (Provide S.r.l. c. Italia, precitata). Di conseguenza, non c’è stata violazione dell’articolo 13 della Convenzione.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DEGLI ARTICOLI 17 E 34 DELLA CONVENZIONE
24. Invocando gli articoli 17 e 34 della Convenzione, il richiedente adduce che la legge Pinto chiede di provare i danni non patrimoniali subiti conformemente alla durata di un procedimento mentre la Corte, dopo avere constatato il superamento del “termine ragionevole”, riconosce al richiedente un risarcimento equo. Stima che il danno non patrimoniale non deve essere provato perché è in re ipsa evidentemente.
L’articolo 17 della Convenzione è formulato così:
“Nessuna delle disposizioni della Convenzione può essere interpretata come se implicasse per uno Stato, un gruppo o un individuo, un diritto qualsiasi di concedersi ad un’attività o di compiere un atto che mira alla distruzione dei diritti o libertà riconosciuti nella Convenzione o a limitazioni più ampie di questi diritti e libertà di quelle contemplate [dalla] Convenzione. “
L’articolo 34 della Convenzione è formulato così:
“La Corte può essere investita di una richiesta da ogni persona fisica, ogni organizzazione non governativa o qualsiasi altro gruppo di individui che si definisce vittima di una violazione da parte di una delle Alte Parti contraenti dei diritti riconosciuti nella Convenzione o nei suoi Protocolli. Le Alte Parti contraenti si impegnano a non ostacolare con nessuna misura l’esercizio efficace di questo diritto. “
25. La Corte stima che questo motivo di appello è legato strettamente a quello relativo all’effettività del rimedio “Pinto” e deve seguire di conseguenza la stessa sorte (Provide S.r.l. c. Italia, precitata, §§ 40-42).
26. Avuto riguardo alla conclusione che figura sopra al paragrafo 23, la Corte stima che questo motivo di appello deve essere respinto come manifestamente mal fondato, in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
27. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
28. Il richiedente richiede una somma valutata tra gli 8 200 e i 12 300 euro (EUR) a titolo del danno non patrimoniale che avrebbe subito.
29. Il Governo si rimette alla saggezza della Corte.
30. Per ciò che riguarda il danno non patrimoniale, la Corte stima che avrebbe potuto accordare, in mancanza di vie di ricorso interne, la somma di 10 000 EUR prendendo in conto i ritardi imputabili al richiedente. Il fatto che le giurisdizioni nazionali non abbiano accordato niente al richiedente arriva secondo la Corte ad un risultato manifestamente irragionevole. Di conseguenza, avuto riguardo alle caratteristiche della via di ricorso “Pinto” ed al fatto che, malgrado questo ricorso interno, sia giunta ad una constatazione di violazione, la Corte, tenuto conto della soluzione adottata nella sentenza Cocchiarella c. Italia, precitata (§§ 139-142 e § 146) e, deliberando in equità, assegna al richiedente 4 500 EUR.
B. Oneri e spese
31. Il richiedente chiede il rimborso di una somma di circa 7 300 EUR per oneri e spese relativi al procedimento “Pinto”, così come 16 792,88 EUR per quelli a Strasburgo.
32. Secondo la giurisprudenza della Corte, il sussidio degli oneri e spese a titolo dell’articolo 41 presuppone che si stabilisca la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevole del loro tasso (Can ed altri c. Turchia, no 29189/02, del 24 gennaio 2008, § 22).
33. Nello specifico, la Corte stima che c’è luogo di rimborsare al richiedente gli oneri sostenuti dinnanzi alla corte di appello di Venezia e alla Corte di cassazione, così come quelli del procedimento a Strasburgo. Deliberando in equità come esige l’articolo 41 della Convenzione, giudica ragionevole concedere 3 800 EUR a questo titolo (vedere, tra altre, Vehbi Ünal c. Turchia, no 48264/99, § 65, 9 novembre 2006, e Provide S.r.l. c. Italia, precitata, §§ 47-48).
C. Interessi moratori
34. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile in quanto ai motivi di appello tratti dagli articoli 6 § 1 e 13 della Convenzione ed inammissibile per il surplus;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
3. Stabilisce che non c’è stata violazione dell’articolo 13 della Convenzione;
4. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare al richiedente, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
i. 4 500 EUR (quattromila cinque cento euro) per danno morale, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta;
ii. 3 800 EUR (tremila otto cento euro) per oneri e spese, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta dal richiedente;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questo importo sarà da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
5. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, comunicato poi per iscritto l’ 8 luglio 2008 in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Sally Dollé Francesca Tulkens
Cancelliera Presidentessa