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Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE BARRET ET SIRJEAN c. FRANCE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 3
Articoli:
Numero: 13829/03/2010
Stato: Francia
Data: 2010-01-21 00:00:00
Organo: Sezione Quinta
Testo Originale

QUINTA SEZIONE
CAUSA BARRET E SIRJEAN C. FRANCIA
( Richiesta no 13829/03)
SENTENZA
STRASBURGO
21 gennaio 2010
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.

Nella causa Barret e Sirjean c. Francia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, quinta sezione, riunendosi in una camera composta da:
Peer Lorenzen, presidente, Renate Jaeger, Jean-Paul Costa, Karel Jungwiert, Rait Maruste, Marco Villiger, Isabelle Berro-Lefèvre, giudici,
e da Claudia Westerdiek, cancelliera di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 15 dicembre 2009,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 13829/03) diretta contro la Repubblica francese e in cui due cittadini di questo Stato, il Sig. J.-L. B. e la Sig.ra P. S. (“i richiedenti”), hanno investito la Corte il 18 aprile 2003 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. I richiedenti sono rappresentati da A. G., avvocato a Parigi. Il governo francese (“il Governo”) è rappresentato dal suo agente, la Sig.ra E. Belliard, direttrice delle cause giuridiche al ministero delle Cause estere.
3. I richiedenti adducevano, sotto l’angolo dell’articolo 1 del Protocollo no 1, che il rifiuto di concorso della forza pubblica per fare eseguire una misura giudiziale che ordinava la liberazione delle loro terre illegalmente occupate aveva causato la perdita del loro sfruttamento, così come della speranza legittima di proseguire un sviluppo agricolo e viticolo di lunga durata e promettente. I richiedenti si lamentavano anche, sotto l’angolo dell’articolo 8 della Convenzione, di essere stati privati del godimento del loro domicilio in ragione questa occupazione.
4. Con una decisione del 3 luglio 2007, la Corte ha dichiarato la richiesta parzialmente ammissibile.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
5. I richiedenti sono nati rispettivamente in 1946 e nel 1947. Risiedono rispettivamente ad Ortiporio e Ghisonaccia.
6. Il richiedente è il figlio di J. B., deceduto in 1948, e di M. B., diventata la sposa di L. B., deceduto nel 1997. La richiedente è la figlia di J. e M. B.. I richiedenti sono gli eredi dei beni appartenenti a loro madre, deceduta il 20 settembre 2001 che comprendono una proprietà agricola e viticola oltre trentacinque ettari situati nel comune di Ventiseri, in Corsica.
7. Dal 1965 al 1972, la famiglia dei richiedenti procedette ai lavori di dissodamento e di coltivazione su questa proprietà. Nel 1990, questa ultima fu valutata a 259 163 euro (EUR) da un ingegnere agronomo, perito presso la corte di appello di Bastia.
8. Il 14 marzo 1990, la proprietà fu occupata illegalmente da un giovane agricoltore corso (G.M) col sostegno dei militanti nazionalisti del Sincatu corsu dell’agricultura. Un verbale di accertamento redatto il giorno stesso fa stato dell’apposizione, sul muro di cinta della proprietà, di un cartello che portava la menzione Sindicatu i travailli Corsi.

9. Peraltro, due volantini contenenti delle minacce fisiche, uno proveniente dall’ Unita Nationalista, l’altro dal Fronte Di Liberazione Naziunale Di Corsica (detta FLNC) furono indirizzati alla famiglia dei richiedenti. Il volantino del FLNC indicava in particolare ciò che segue:
“Da due secoli, la politica dello stato francese non ha smesso di spogliare il popolo corso sulla sua terra, poco a poco spogliandolo dei suoi beni ancestrali. L’arrivo dei coloni rimpatriati dell’Africa del nord ha fatto accentuare solamente questo processo. La lotta di liberazione nazionale che conduciamo ha saputo da sola porre l’alternativa a questo sistema… L’azione intentata dagli agricoltori corsi entra in questo dritto filo… essendo questo terreno un attrezzo di lavoro, è nostro dovere favorire a tutti l’insediamento di un agricoltore. Per ciò, vi incoraggiamo vivamente a trovare un terreno di intesa e questo per facilitare la restituzione al più presto. In mancanza di ciò, i nostri commando sarebbero portati ad intervenire più duramente e ne portereste da soli la responsabilità. ”
10. Con una lettera del 18 marzo 1990, la famiglia dei richiedenti allertò il prefetto dell’Alta – Corsica, così come il presidente della Repubblica. Il 30 marzo 1990, questo ultimo rispose che non gli era possibile intervenire, trattandosi di un “disaccordo che sembrava soprattutto di natura privata” e di competenza esclusiva dei tribunali in materia. Il prefetto rispose in quanto a lui il 2 aprile 1990, garantendo che la pratica veniva seguita con un’attenzione tutta particolare.
11. I richiedenti scrissero anche al Primo ministro, al ministro degli Interni ed al presidente dell’assemblea regionale della Corsica, senza ricevere alcuna risposta. Informato da una lettera dei richiedenti del 18 marzo 1990, il procuratore della Repubblica non diede nessuno seguito giudiziale a questi fatti.
12. Nella notte del 30 maggio 1990, il domicilio personale della famiglia, situato ad Abbazia, fu oggetto di un attentato con un’arma automatica e una granata. Ventisei impatti di proiettili furono censiti sul posto e questo, fino nel bagno.
13. Nella sua edizione del 31 maggio 1990, il quotidiano Corsica Mattina pubblicò un articolo che indicava in particolare:
“(…) questo attentato si inserisce in un contesto ben conosciuto Difatti, i coniugi B. sono proprietari di 35 ettari che da parecchi mesi sono oggetto di un’occupazione da parte di un agricoltore sostenuto dal Sindicatu corsu dell’agricultura L’attentato di ieri sera contribuirà ad avvicinare i punti di vista? “
14. Il domicilio della famiglia fu posto sotto la sorveglianza dei servizi di polizia per quasi quindici giorni.
15. Il 7 giugno 1990, i coniugi B. investirono il tribunale amministrativo in vista di fare dichiarare lo stato responsabile del danno causato dall’occupazione del loro terreno, sul fondamento dell’articolo 92 della legge del 7 gennaio 1983.
16. Con un giudizio del 1 marzo 1991, il tribunale amministrativo di Bastia dichiarò lo stato responsabile dei danni causati dall’occupazione degli appezzamenti di terreno per il periodo che andava dal 14 marzo al 1 giugno 1990 e lo condannò a pagare una somma di diecimila franchi di risarcimento. I coniugi B. interposero appello a questo giudizio.
17. Con una sentenza del 23 novembre 1992, la corte amministrativa di appello di Lione respinse i loro ricorsi.
18. Con un’ordinanza del 22 novembre 2000, il presidente della corte d’appello di Bastia, deliberando per direttissima , su richiesta dei coniugi B., ordinò lo sfratto di [G.M], che occupava senza dritto né titolo, e di ogni occupante della loro proprietà e questo, sotto penale di mille franchi al giorno di ritardo, passato il termine di un mese a contare dalla notifica della presente ordinanza. I richiedenti precisano che questa decisione fu resa in un clima locale teso, in ragione dell’occupazione dei locali della direzione dipartimentale dell’agricoltura da parte dei nazionalisti che si opponevano allo sfratto chiesto.
19. Il 13 luglio 2001, all’epoca di un primo tentativo di esecuzione della procedura provvisoria da un ufficiale giudiziario di giustizia, G.M. negò di lasciare i luoghi.
20. Con una lettera del 23 luglio 2001, l’ufficiale giudiziario di giustizia richiese espressamente alla prefettura dell’Alta – Corsica l’intervento delle forze di polizia per procedere allo sfratto dell’occupante senza titolo. La prefettura non rispose a questa domanda. Una notifica di “rifiuto constatato da difetto di risposta dell’amministrazione nel termine di due mesi” fu portata a cognizione del procuratore della Repubblica il 26 settembre 2001.
21. Con una lettera dell’ 11 gennaio 2002, il prefetto dell’Alta – Corsica, facendo espressamente riferimento alla procedura provvisoria del 22 novembre 2000, incaricò la polizia di “procedere ad un’inchiesta sull’eventualità di duisturbi all’ordine pubblico all’epoca del collocamento in opera del procedimento di sfratto.”
22. Un verbale di sintesi fu redatto da un inquirente di polizia il 31 gennaio 2002. Rilevando, da una parte che [G.M] era stato sostenuto all’epoca dal S.C.A, sindacato a forte connotazione politica che portava il suo sostegno a numerose occupazioni di terre e, dall’altra parte, la decisione della famiglia M. di rimanere nei luoghi e la possibilità di mobilitare dei parenti stretti e simpatizzanti, concludendo che un procedimento di sfratto rischiava di generare in un’agitazione all’ordine pubblico.
23. Questo verbale fu trasmesso al prefetto con una nota del capitano che comandava la compagnia Ghisonaccia nella quale era indicato in particolare:
“I. Rischi di disturbi all’ordine pubblico
– [G.M] ha dichiarato ai carabinieri che non lascerà i luoghi malgrado il procedimento di sfratto. Una resistenza fisica da parte sua è quasi certa. L’impiego della forza a suo carico sarà dunque verosimilmente necessario.
– All’epoca del collocamento in opera dello sfratto, la famiglia [M.] potrebbe beneficiare principalmente del sostegno di agricoltori del FIUMORBU, particolarmente di quelli che occupavano allo stesso modo, senza titolo, delle terre agricole.
Stima questo eventuale sostegno: da 10 a 30 persone che possono essere pericolose.
– Il collocamento in opera del procedimento di sfratto rischia di impiegare molto tempo (evacuazione delle 330 teste di bestiame)…). Più questo collocamento in opera durerà, più il sostegno di elementi esterni potrebbe essere importante.
– È da temere che lo sfruttamento agricolo è rioccupato illegalmente dopo la partenza delle forze dell’ordine.
II. Effettivi di polizia da prevedere
Per fare fronte ai rischi menzionati, conviene prevedere la presenza su zona (o in attesa nelle vicinanze seguendo la situazione constatata) dei seguenti effettivi,:
– 3 militari della squadra di VENTISERI
– 1 squadra leggera di intervento
– 1 plotone di carabinieri mobili. “
24. Con una lettera del 25 ottobre 2002, i richiedenti chiesero l’intervento e l’assistenza del Primo ministro.
25. Investirono il tribunale amministrativo di Bastia di un’istanza di indennizzo del danno subito a causa del rifiuto del concorso della forza pubblica per eseguire la procedura provvisoria del 22 novembre 2000.
26. Il 10 luglio 2003, il tribunale li respinse della loro istanza. I richiedenti interposero appello a questo giudizio.
27. Con una sentenza del 12 dicembre 2005, la corte amministrativa di appello di Marsiglia respinse la loro istanza di annullamento del giudizio del 10 luglio 2003 e la loro istanza di indennizzo. Giudicò in particolare che la loro istanza a titolo delle perdite di redditi a causa del rifiuto del prefetto di accordare loro il concorso della forza pubblica era inammissibile come essendo nuova in appello. Il 13 febbraio 2006, i richiedenti ricorsero in cassazione contro la sentenza.
28. Il 21 marzo 2007, il Consiglio di stato annullò la sentenza e rinviò la causa dinnanzi alla corte amministrativa di appello di Marsiglia.
29. Con una sentenza dell’ 8 ottobre 2007, la corte amministrativa di appello considerò che la responsabilità dello stato era impegnata sul fondamento dell’uguaglianza dinnanzi ai carichi pubblici a contare del 24 settembre 2001, tenuto conto dell’accusato ricevimento della richiesta di esecuzione dell’ufficiale giudiziario da parte prefetto il 24 luglio 2001 e della scadenza del termine regolamentare dei due mesi equivalgono ad un rifiuto di concorso della forza pubblica. Ordinò una perizia per valutare il danno subito dai richiedenti per il periodo posteriore al 24 settembre 2001.
30. Nella sua sentenza resa al merito il 16 aprile 2009, la corte amministrativa di appello di Marsiglia condannò lo stato a versare ai richiedenti una somma di 989 310 euro in risarcimento del danno corrispondente ad un sfruttamento personale della loro terra, così come una somma di 10 000 euro a titolo del danno morale subito.
II. IL DIRITTO E LE PRATICA INTERNA PERTINENTI
31. La Corte rinvia su questi punti alla causa Matheus c. Francia (no 62740/00, §§ 36-40, 31 marzo 2005).
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 1
32. I richiedenti adducono che il rifiuto di concorso della forza pubblica per fare eseguire una misura giudiziale che ordinava la liberazione delle loro terre illegalmente occupate ha causato la perdita del loro sfruttamento, così come della speranza legittima di proseguire uno sviluppo agricolo e viticolo di lunga durata e promettente. Invocano l’articolo 1 del Protocollo no 1 che si legge come segue:
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non a causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non recano offesa al diritto che possiedono gli Stati di mettere in vigore le leggi che giudicano necessarie per regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale o per garantire il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle multe. “
A. Tesi delle parti
1. Il Governo
33. Il Governo considera innanzitutto che la richiesta non è ammissibile, togliendo la sentenza resa dalla corte amministrativa di appello di Marsiglia, investita di un ricorso in responsabilità dello stato, il 16 aprile 2009, il loro requisito di vittima ai richiedenti. Per il periodo anteriore al 24 settembre 2001 e non considerato dalla corte amministrativa di appello, i richiedenti non avrebbero esaurito le vie di ricorso interne mancanza di avere esercitato anche un’azione simile. Il Governo stima inoltre che non si potrebbe pretendere che i poteri pubblici avessero deciso deliberatamente di non accordare il concorso della forza pubblica ai richiedenti. Al contrario, il prefetto dell’Alta – Corsica incaricò la polizia di preparare un dispositivo di evacuazione degli occupanti e, in seguito, un rapporto mise in evidenza le grandi difficoltà ed i mezzi molto importanti da mettere in opera per procedere allo sfratto – in particolare in ragione degli aiuti esterni di cui gli occupanti avrebbero potuto beneficiare in vista di impedire l’evacuazione-, così come dei rischi di disturbo all’ordine pubblico e l’inefficacia di una misura imposta dalla forza.
34. È certo che, in queste condizioni, le necessità dell’ordine pubblico poteva giustificare che una soluzione negoziata venisse ricercata dalle autorità e che in attesa di un risultato, i richiedenti avrebbero potuto investire le giurisdizioni amministrative per richiedere un giusto indennizzo del loro danno. Il Governo nota che in un certo numero di casi i proprietari, negando di mettere in azione i ricorsi giuridici che si aprivano a loro o posticipando il loro collocamento in opera, non hanno contribuito all’ordinamento veloce di queste cause.
35. Peraltro, il Governo stima che se la giurisprudenza della Corte sulle decisioni di sfratto riconosce la necessità di un’esecuzione veloce delle decisioni e del collocamento in opera del concorso della forza pubblica quando viene chiesto ed accettato dal giudice, non vieta ai poteri pubblici di tenere conto delle necessità dell’ordine pubblico per prestare o meno il suo concorso, purché dimostrino che questo rinvio all’ esecuzione è durato solamente il tempo necessario a trovare una soluzione soddisfacente ai problemi di ordine pubblico (Lunari c. Italia, no 21463/93, 11 gennaio 2001). Le autorità francesi hanno potuto differire alcuni sfratti per motivi di ordine pubblico evidenti, non superando il loro margine di valutazione, dunque come nello specifico, dal momento che dei rischi di scontri armati non erano ad escludere.
2. I richiedenti
36. I richiedenti notano che il Governo non contesta l’occupazione illegale della loro proprietà. Trattandosi dell’argomento del Governo secondo cui le autorità prefettizie avrebbero incaricato la polizia di preparare un dispositivo di evacuazione degli occupanti, precisano al primo colpo che la decisione del prefetto è intervenuta su richiesta espressa dell’ufficiale giudiziario di giustizia commesso da loro. In quanto alla decisione prefettizia stessa, i richiedenti considerano che i termini della lettera indirizzata dalla direttrice di studio del prefetto alla polizia erano estranei al collocamento in posto di un dispositivo di evacuazione, ma facevano procedere al contrario alle investigazioni sull’eventualità di disturbi all’ordine pubblico, preparando così una decisione negativa che valeva come rifiuto di concorso della forza pubblica.
37. Trattandosi della sentenza Lunari c. Italia, precitata, i richiedenti stimano che il Governo si accontenta di riferirsi alla nozione di ordine pubblico in modo declaratorio, senza precisare in che cosa le misure di protezione del diritto di proprietà dei richiedenti avrebbero potuto recare danno all’ordine pubblico, e senza principio di prova relativa ai “rischi di scontri armati” alla vista diversamente di “situazioni più gravi.” I richiedenti aggiungono che a differenza della causa Lunari, non vi è stata nello specifico un rinvio all’ esecuzione, ma un rifiuto totale di esecuzione. In quanto al tempo “rigorosamente necessario” affinché le autorità trovino una soluzione al problema, i richiedenti rilevano che è indeterminato e può durare parecchi anni in Corsica, oltre il fatto che il Governo è nell’impossibilità di rispondere alla condizione di “soluzione soddisfacente”.
38. I richiedenti invocano l’utile della sentenza Matheus c. Francia, no 62740/00, 31 marzo 2005, concernente il rifiuto di concorso della forza pubblica in un clima particolare di animosità a riguardo di certi proprietari metropolitani. Stimano infine che l’impatto della carenza dello stato sul godimento dei loro beni ha fatto sopportare loro un carico sproporzionato ed eccessivo.
B. Valutazione della Corte
39. Trattandosi innanzitutto delle eccezioni di inammissibilità sollevate dal Governo che invoca la perdita addotta della qualità di vittima dei richiedenti ed il difetto di esaurimento parziale delle vie di ricorso interne, basandosi sul procedimento di responsabilità dello stato, la Corte ricorda al primo colpo che, con una decisione del 3 luglio 2007, ha dichiarato la presente richiesta ammissibile dopo avere già esaminato questa questione. Difatti, nella sua decisione, per allontanare l’eccezione di inammissibilità sollevata dal Governo, la Corte, dopo avere osservato che i richiedenti si lamentano del difetto del concorso della forza pubblica per garantire l’esecuzione dell’ordinanza del presidente della corte d’appello del 22 novembre 2000, ha rilevato che un’azione dinnanzi al giudice amministrativo per un collocamento in causa della responsabilità dello stato in ragione del rifiuto implicito opposto dal prefetto non era di natura tale da arrivare direttamente all’esecuzione di questa decisione,invocando i richiedenti l’attentato al loro diritto di proprietà e chiedendo la liberazione dei luoghi (vedere, mutatis mutandis, Matheus c. Francia, (dec.) no 62740/00, 18 maggio 2004); ha giudicato anche che sono le autorità ad essere tenute a prestare il loro concorso l’esecuzione della sentenza affinché i richiedenti recuperino il loro bene immobiliare e che, quindi, l’obbligo di agire pesava sulle autorità e non sui richiedenti. Ne segue che le eccezioni del Governo che sono identiche o si confondono con l’eccezione già respinta nella cornice della decisione di ammissibilità del 3 luglio 2007, non potrebbero essere considerate.
40. Peraltro come nella causa Matheus, precitata, la Corte considera che il rifiuto di concorso della forza pubblica non deriva dall’applicazione di una legge che dipende da una politica sociale ed economica nella tenuta, per esempio, dell’alloggio o dell’ accompagnamento sociale di inquilini in difficoltà, ma di una carenza delle autorità locali ed in particolare del prefetto, addirittura di un rifiuto deliberato da parte di queste, nelle circostanze locali particolari e durante un lungo periodo, di prestare man-forte ai richiedenti per fare liberare le loro terre. Il difetto di esecuzione dell’ordinanza del 22 novembre 2000 deve essere esaminato quindi alla luce della norma generale contenuta nella prima frase del primo paragrafo dell’articolo 1 del Protocollo no 1 che enuncia il diritto al rispetto della sua proprietà.
41. La Corte ricorda, a questo riguardo, che l’esercizio reale ed efficace del diritto che questa disposizione garantisce non potrebbe difatti dipendere unicamente dal dovere dello stato di astenersi da ogni ingerenza e può esigere delle misure positive di protezione, particolarmente là dove esiste un legame diretto tra le misure che un richiedente potrebbe aspettarsi legittimamente delle autorità ed il godimento effettivo da parte di questo ultimo dei suoi beni( Öneryıldız c. Turchia [GC], no 48939/99, § 134, CEDH 2004-XII, e Matheus precitata, § 68).
42. Peraltro, composto con la prima frase dell’articolo 1 del Protocollo no 1, la preminenza del diritto, uno dei principi fondamentali di una società democratica, inerente all’insieme degli articoli della Convenzione, giustifica la sanzione di un Stato in ragione del rifiuto di questo di eseguire o di fare eseguire una decisione di giustizia (Katsaros c. Grecia, no 51473/99, § 43, 6 giugno 2002, e Georgiadis c. Grecia, no 41209/98, § 31, 28 marzo 2000).
43. La Corte prende nota delle osservazioni del Governo e rileva che dal 22 novembre 2000, data della misura giudiziale di sfratto, le autorità non hanno intrapreso niente per fare liberare le terre illegalmente occupate. Constata che il Governo non giustifica l’inoperosità delle autorità e si accontenta di fare riferimento, in modo generale e non sufficientemente circostanziato, alle necessità dell’ordine pubblico, così come al rischio di una nuova occupazione illegale della proprietà dei richiedenti dopo l’evacuazione con la forza, ciò che, per la Corte, è un motivo inaccettabile dal momento che le autorità interne erano precisamente presupposte per proteggere i richiedenti da tale rischio.
44. Sebbene cosciente delle difficoltà incontrate dalle autorità francesi per rinforzare lo stato di diritto in Corsica, la Corte stima che gli argomenti avanzati nello specifico non potrebbero costituire un motivo legittimo serio e sufficiente per giustificare la carenza delle autorità che avevano l’obbligo di proteggere gli interessi patrimoniali dei richiedenti. Così, la Corte constata, contrariamente a ciò che il Governo sembra sostenere facendo riferimento alla causa Lunari, precitata, che le autorità non hanno sospeso l’esecuzione della misura giudiziale, né cercato un’altra soluzione per ovviare alla situazione, ma che hanno negato semplicemente di eseguirla. Non hanno cercato durante questo lasso di tempo di trovare una soluzione amichevole- anche provvisoria -coi differenti interessati mentre, secondo il Governo, le necessità dell’ordine pubblico potevano giustificarla; e non hanno tentato neanche, dopo il rapporto della polizia trasmesso al prefetto nel mese di gennaio 2002, di rivalutare la situazione per prevedere un sfratto.
45. Secondo la Corte, apparteneva alle autorità, appena informate della situazione dei richiedenti, di prendere, in un termine ragionevole, tutte le misure necessarie affinché la decisione di giustizia venisse rispettata e che i richiedenti ritrovassero il pieno godimento dei loro beni. Stima che l’inoperosità delle autorità nello specifico ha avuto per conseguenza, in mancanza di qualsiasi giustificazione di interesse generale, di arrivare ad un tipo di espropriazione privata di cui l’occupante illegale si è ritrovato beneficiario (Matheus precitata, § 71,). Lasciando perdurare tale situazione, le autorità hanno incoraggiato non solo certi individui a degradare impunemente i beni dei richiedenti, ma hanno lasciato anche istaurare un clima di timore e di insicurezza non propizio al ritorno dei richiedenti sulle loro terre.
46. La Corte nota che questo tipo di situazione manifesta l’inefficacia del sistema di esecuzione e rinvia al rischio di deriva-ricordato nella Raccomandazione del Comitato dei Ministri in materia di esecuzione delle decisioni di giustizia-di arrivare ad una forma di “giustizia privata” che può avere delle conseguenze negative sulla fiducia e la credibilità del pubblico nel sistema giuridico (ibid.).
47. Alla vista di ciò che precede, la Corte stima che negando di prendere le misure necessarie per mettere fine all’occupazione illegale delle terre appartenenti ai richiedenti e questo, per parecchi anni, le autorità francesi hanno rotto l’equilibrio da predisporre tra le esigenze dell’interesse generale e la protezione dei loro interessi patrimoniali, e hanno portato attentato al loro diritto al rispetto i loro beni. C’è stata dunque violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE
48. I richiedenti si lamentano di essere stati privati del godimento del loro domicilio in ragione dell’occupazione illegale della loro proprietà a partire dal 1990. Invocano l’articolo 8 che si legge come segue:
“1. Ogni persona ha diritto al rispetto di suo corrispondenza.
2. Non può esserci ingerenza di un’autorità pubblica nell’esercizio di questo diritto se non per quanto questa ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, sia necessaria alla sicurezza nazionale, alla sicurezza pubblica, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine ed alla prevenzione delle violazioni penali, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e libertà altrui. “
49. Tanto i richiedenti che il Governo invocano degli argomenti comuni ai motivi di appello derivati dagli articoli 8 della Convenzione e 1 del Protocollo no 1.
50. Tenuto conto della constatazione di violazione alla quale è giunta (paragrafo 47 sopra) la Corte non stima necessario esaminare separatamente il motivo di appello derivato dall’articolo 8.
III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
51. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
1. Danno patrimoniale
52. I richiedenti che fanno particolarmente stato di perizie sollecitate su loro richiesta, richiedono 1 412 104 EUR a titolo del danno patrimoniale (299 648 EUR che corrispondono al valore dei terreni edificabili ed ai redditi che avrebbero potuto percepire dal loro collocamento dal 1995) 746 837 EUR che corrispondono al valore dei terreni agricoli, e 365 619 EUR corrispondenti al valore locativo delle terre orticole per un periodo di diciassette anni.
53. Il Governo contesta queste richieste che giudica eccessive e non connesse alle violazioni addotte della Convenzione. Considera in particolare che i richiedenti hanno subito effettivamente disturbo del godimento a causa dell’occupazione prolungata dei loro beni, ma che non sono autorizzati a chiedere un indennizzo che corrisponde al valore della proprietà fondiaria, nella misura in cui rimangono i proprietari del titolo dei beni non venduti.
54. La Corte rileva che l’unica base da considerare per la concessione di una soddisfazione equa risiede nello specifico nella constatazione di violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 in ragione del rifiuto di concorso della forza pubblica in esecuzione di una decisione di giustizia. Stima che se i richiedenti hanno insindacabilmente e necessariamente subito un danno patrimoniale in ragione del rifiuto di concorso della forza pubblica, le loro pretese sono tuttavia manifestamente, o ipotetiche, o eccessive, e le perizie sollecitate su loro richiesta, secondo i metodi di valutazione la cui pertinenza non è sufficientemente stabilita, non permettono inoltre di calcolare questo danno in modo preciso. In queste condizioni, non sarà fatto diritto a questo capo di richiesta. La Corte nota del resto, a titolo che aggiuntivo che se, come ha giudicato nella cornice dell’esame dell’ammissibilità della richiesta, un collocamento in causa della responsabilità dello stato sarebbe stato inefficace per arrivare all’esecuzione della decisione di giustizia ed alla liberazione dei luoghi (vedere anche R.P). c. Francia, (dec.), no 10271/02, 3 luglio 2007, tale azione dinnanzi alle giurisdizioni interne si è rivelata essere invece un ricorso adeguato per ottenere l’indennizzo del loro danno subito in ragione dell’occupazione stessa (paragrafo 30 sopra).
2. Danno morale
55. I richiedenti chiedono almeno 20 000 EUR ciascuno.
56. Il Governo non si pronuncia.
57. La Corte stima che i richiedenti hanno subito un danno morale certo, che la semplice constatazione di violazione non potrebbe compensare. Deliberando in equità come vuole l’articolo 41 della Convenzione, la Corte accorda a ciascuno di loro la somma di 8 000 EUR.
B. Oneri e spese
58. I richiedenti richiedono 36 896,24 EUR a titolo degli oneri e delle spese, corrispondenti alla parcella degli avvocati che li hanno rappresentati dinnanzi alle giurisdizioni interne e dinnanzi alla Corte, così come all’onere di ufficiale giudiziario e di perizia. Producono a sostegno delle loro pretese un certo numero di fatture.
59. Il Governo considera che soli gli oneri di giustizia realmente e necessariamente impegnati devono essere presi in conto.
60. Secondo la giurisprudenza della Corte, un richiedente può ottenere il rimborso dei suoi oneri e spese solo nella misura in cui si stabilisca la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevole del loro tasso. Inoltre, quando la Corte constata una violazione della Convenzione, accorda al richiedente il pagamento degli oneri e delle spese che ha esposto dinnanzi alle giurisdizioni nazionali solo nella misura in cui sono stati impegnati per prevenire o fare correggere con queste suddetta violazione: tale è stato bene, parzialmente, il caso nello specifico. Perciò, deliberando in equità, come lo vuole l’articolo 41 della Convenzione, la Corte giudica ragionevole assegnare congiuntamente agli interessati la somma di 5 000 EUR a titolo degli oneri e spese.
C. Interessi moratori
61. La Corte giudica appropriato basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1;
2. Stabilisce che non è necessario esaminare separatamente il motivo di appello derivato dall’articolo 8 della Convenzione;
3. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, 8 000 EUR (ottomila euro) per danno morale a ciascuno dei richiedenti, così come 5 000 EUR (cinquemila euro) congiuntamente ai richiedenti a titolo di oneri e spese, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta dai richiedenti;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
4. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 21 gennaio 2010, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Claudia Westerdiek Peer Lorenzen
Cancelliera Presidente

Testo Tradotto

CINQUIÈME SECTION
AFFAIRE BARRET ET SIRJEAN c. FRANCE
(Requête no 13829/03)
ARRÊT
STRASBOURG
21 janvier 2010
Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l’article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire Barret et Sirjean c. France,
La Cour européenne des droits de l’homme (cinquième section), siégeant en une chambre composée de :
Peer Lorenzen, président,
Renate Jaeger,
Jean-Paul Costa,
Karel Jungwiert,
Rait Maruste,
Mark Villiger,
Isabelle Berro-Lefèvre, juges,
et de Claudia Westerdiek, greffière de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 15 décembre 2009,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 13829/03) dirigée contre la République française et dont deux ressortissants de cet Etat, M. J.-L. B. et Mme P. S. (« les requérants »), ont saisi la Cour le 18 avril 2003 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (« la Convention »).
2. Les requérants sont représentés par Me A. G., avocat à Paris. Le gouvernement français (« le Gouvernement ») est représenté par son agent, Mme E. Belliard, directrice des affaires juridiques au ministère des Affaires étrangères.
3. Les requérants alléguaient, sous l’angle de l’article 1 du Protocole no 1, que le refus de concours de la force publique pour faire exécuter une mesure judiciaire ordonnant la libération de leurs terres illégalement occupées avait causé la perte de leur exploitation, ainsi que de l’espérance légitime de poursuivre un développement agricole et viticole de longue durée et prometteur. Les requérants se plaignaient également, sous l’angle de l’article 8 de la Convention, d’avoir été privés de la jouissance de leur domicile en raison cette occupation.
4. Par une décision du 3 juillet 2007, la Cour a déclaré la requête partiellement recevable.
EN FAIT
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
5. Les requérants sont nés respectivement en 1946 et 1947. Ils résident respectivement à Ortiporio et Ghisonaccia.
6. Le requérant est le fils de J. B., décédé en 1948, et de M. B., devenue l’épouse de L. B., décédé en 1997. La requérante est la fille de J.et M. B.. Les requérants sont les héritiers des biens appartenant à leur mère, décédée le 20 septembre 2001, lesquels comprennent une propriété agricole et viticole de plus de trente-cinq hectares située sur la commune de Ventiseri, en Corse.
7. De 1965 à 1972, la famille des requérants procéda à des travaux de défrichement et de plantations sur cette propriété. En 1990, cette dernière fut évaluée à 259 163 euros (EUR) par un ingénieur agronome, expert près la cour d’appel de Bastia.
8. Le 14 mars 1990, la propriété fut illégalement occupée par un jeune agriculteur corse, G.M., avec le soutien de militants nationalistes du Sincatu corsu di l’agricultura. Un constat d’huissier dressé le jour même fait état de l’apposition, sur le mur d’enceinte de la propriété, d’une banderole portant la mention Sindicatu i travailli Corsi.
9. Par ailleurs, deux tracts contenant des menaces physiques, l’un émanant d’Unita Nationalista, l’autre de Fronte Di Liberazione Naziunale Di Corsica (dit FLNC), furent adressés à la famille des requérants. Le tract du FLNC indiquait notamment ce qui suit :
« Depuis deux siècles, la politique de l’Etat français n’a eu de cesse de spolier le peuple corse sur sa terre, peu à peu le spoliant de ses biens ancestraux. L’arrivée des colons rapatriés d’Afrique du nord n’a fait qu’accentuer ce processus. La lutte de libération nationale que nous menons a su elle seule poser l’alternative à ce système … L’action intentée par les agriculteurs corses entre dans ce droit fil … ce terrain étant un outil de travail, il est de notre devoir à tous de favoriser l’installation d’un agriculteur. Pour cela, nous vous encourageons vivement à trouver un terrain d’entente et ce afin de faciliter la rétrocession dans les plus brefs délais. Faute de quoi, nos commandos seraient amenés à intervenir plus durement et vous en porteriez seul la responsabilité. »
10. Par une lettre du 18 mars 1990, la famille des requérants alerta le préfet de Haute-Corse, ainsi que le président de la République. Le 30 mars 1990, ce dernier répondit qu’il ne lui était pas possible d’intervenir, s’agissant d’un « désaccord qui paraît surtout de nature privée » et de la compétence exclusive des tribunaux en la matière. Le préfet répondit quant à lui le 2 avril 1990, assurant que le dossier était suivi avec une attention toute particulière.
11. Les requérants écrivirent également au Premier ministre, au ministre de l’Intérieur et au président de l’Assemblée régionale de Corse, sans recevoir de réponse. Informé par une lettre des requérants du 18 mars 1990, le procureur de la République ne donna aucune suite judiciaire à ces faits.
12. Dans la nuit du 30 mai 1990, le domicile personnel de la famille, situé à Abbazia, fit l’objet d’un attentat à l’arme automatique et à la grenade. Vingt-six impacts de projectiles furent recensés sur place et ce, jusque dans la salle de bain.
13. Dans son édition du 31 mai 1990, le quotidien Corse Matin publia un article indiquant notamment :
« (…) cet attentat s’inscrit dans un contexte bien connu (…) En effet, les époux B. sont propriétaires de 35 hectares (…) qui font depuis plusieurs mois l’objet d’une occupation par un agriculteur (…) soutenu par le Sindicatu corsu di l’agricultura (…) L’attentat d’hier soir contribuera-t-il à rapprocher les points de vue ? »
14. Le domicile de la famille fut placé sous la surveillance des services de police pendant près de quinze jours.
15. Le 7 juin 1990, les époux B. saisirent le tribunal administratif en vue de faire déclarer l’Etat responsable du préjudice causé par l’occupation de leur terrain, sur le fondement de l’article 92 de la loi du 7 janvier 1983.
16. Par un jugement du 1er mars 1991, le tribunal administratif de Bastia déclara l’Etat responsable des dommages causés par l’occupation des parcelles de terrain pour la période allant du 14 mars au 1er juin 1990 et le condamna à payer une somme de dix mille francs en réparation. Les époux B. interjetèrent appel de ce jugement.
17. Par un arrêt du 23 novembre 1992, la cour administrative d’appel de Lyon rejeta leurs recours.
18. Par une ordonnance du 22 novembre 2000, le président du tribunal de grande instance de Bastia, statuant en référé, à la demande des époux B., ordonna l’expulsion de [G.M.], occupant sans droit ni titre, et de tous occupants de leur propriété et ce, sous astreinte de mille francs par jour de retard, passé le délai d’un mois à compter de la signification de la présente ordonnance. Les requérants précisent que cette décision fut rendue dans un climat local tendu, en raison de l’occupation des locaux de la direction départementale de l’agriculture par des nationalistes s’opposant à l’expulsion demandée.
19. Le 13 juillet 2001, lors d’une première tentative d’exécution de l’ordonnance de référé par un huissier de justice, G.M. refusa de quitter les lieux.
20. Par une lettre du 23 juillet 2001, l’huissier de justice requit expressément de la préfecture de la Haute-Corse l’intervention des forces de police pour procéder à l’expulsion de l’occupant sans titre. La préfecture ne répondit pas à cette demande. Une notification de « refus constaté par défaut de réponse de l’administration dans le délai de deux mois » fut portée à la connaissance du procureur de la République le 26 septembre 2001.
21. Par une lettre du 11 janvier 2002, le préfet de Haute-Corse, faisant expressément référence à l’ordonnance de référé du 22 novembre 2000, chargea la gendarmerie de « procéder à une enquête sur l’éventualité de troubles à l’ordre public lors de la mise en œuvre de la procédure d’expulsion ».
22. Un procès-verbal de synthèse fut rédigé par un enquêteur de gendarmerie le 31 janvier 2002. Relevant, d’une part, que [G.M.] avait été soutenu à l’époque par le S.C.A, syndicat à forte connotation politique apportant son soutien à de nombreuses occupations de terres et, d’autre part, la décision de la famille M. de se maintenir dans les lieux et la possibilité de mobiliser des proches parents et sympathisants, il en conclut qu’une procédure d’expulsion risquait d’engendrer un trouble à l’ordre public.
23. Ce procès-verbal fut transmis au préfet avec une note du capitaine commandant la compagnie de Ghisonaccia, dans laquelle il était notamment indiqué :
« I. Risques de troubles à l’ordre public
– [G.M.] a déclaré aux gendarmes qu’il ne quittera pas les lieux malgré la procédure d’expulsion. Une résistance physique de sa part est quasi certaine. L’emploi de la force à son encontre sera donc vraisemblablement nécessaire.
– Lors de la mise en œuvre de l’expulsion, la famille [M.] pourrait bénéficier principalement du soutien d’agriculteurs du FIUMORBU, particulièrement de ceux qui occupent également, sans titre, des terres agricoles.
Estimation de ce soutien éventuel : de 10 à 30 personnes pouvant être virulentes.
– La mise en œuvre de la procédure d’expulsion risque de prendre du temps (évacuation des 330 têtes de bétail, …). Plus cette mise en œuvre durera, plus le soutien d’éléments extérieurs pourrait être important.
– Il est à craindre que l’exploitation agricole soit réoccupée illégalement après le départ des forces de l’ordre.
II. Effectifs de gendarmerie à envisager
Afin de faire face aux risques évoqués, il convient d’envisager la présence sur zone (ou en attente à proximité suivant la situation constatée) des effectifs suivants :
– 3 militaires de la brigade de VENTISERI
– 1 équipe légère d’intervention
– 1 peloton de gendarmes mobiles. »
24. Par une lettre du 25 octobre 2002, les requérants demandèrent l’intervention et l’assistance du Premier ministre.
25. Ils saisirent le tribunal administratif de Bastia d’une demande d’indemnisation du préjudice subi du fait du refus du concours de la force publique pour exécuter l’ordonnance de référé du 22 novembre 2000.
26. Le 10 juillet 2003, le tribunal les débouta de leur demande. Les requérants interjetèrent appel de ce jugement.
27. Par un arrêt du 12 décembre 2005, la cour administrative d’appel de Marseille rejeta leur demande en annulation du jugement du 10 juillet 2003 et leur demande d’indemnisation. Elle jugea notamment que leur demande au titre des pertes de revenus du fait du refus du préfet de leur accorder le concours de la force publique était irrecevable comme étant nouvelle en appel. Le 13 février 2006, les requérants se pourvurent en cassation contre l’arrêt.
28. Le 21 mars 2007, le Conseil d’Etat annula l’arrêt et renvoya l’affaire devant la cour administrative d’appel de Marseille.
29. Par un arrêt du 8 octobre 2007, la cour administrative d’appel considéra que la responsabilité de l’Etat était engagée sur le fondement de l’égalité devant les charges publiques à compter du 24 septembre 2001, compte tenu de l’accusé réception de la demande d’exécution de l’huissier par le préfet le 24 juillet 2001 et de l’écoulement du délai réglementaire de deux mois équivalent à un refus de concours de la force publique. Elle ordonna une expertise afin d’évaluer le préjudice subi par les requérants pour la période postérieure au 24 septembre 2001.
30. Dans son arrêt rendu au fond le 16 avril 2009, la cour administrative d’appel de Marseille condamna l’Etat à verser aux requérants une somme de 989 310 euros en réparation du préjudice correspondant à une exploitation personnelle de leur terre, ainsi qu’une somme de 10 000 euros au titre du préjudice moral subi.
II. LE DROIT ET LA PRATIQUE INTERNES PERTINENTS
31. La Cour renvoie sur ces points à l’affaire Matheus c. France (no 62740/00, §§ 36-40, 31 mars 2005).
EN DROIT
I. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 1 DU PROTOCOLE No 1
32. Les requérants allèguent que le refus de concours de la force publique pour faire exécuter une mesure judiciaire ordonnant la libération de leurs terres illégalement occupées a causé la perte de leur exploitation, ainsi que de l’espérance légitime de poursuivre un développement agricole et viticole de longue durée et prometteur. Ils invoquent l’article 1 du Protocole no 1, qui se lit comme suit :
« Toute personne physique ou morale a droit au respect de ses biens. Nul ne peut être privé de sa propriété que pour cause d’utilité publique et dans les conditions prévues par la loi et les principes généraux du droit international.
Les dispositions précédentes ne portent pas atteinte au droit que possèdent les Etats de mettre en vigueur les lois qu’ils jugent nécessaires pour réglementer l’usage des biens conformément à l’intérêt général ou pour assurer le paiement des impôts ou d’autres contributions ou des amendes. »
A. Thèses des parties
1. Le Gouvernement
33. Le Gouvernement considère tout d’abord que la requête n’est pas recevable, l’arrêt rendu par la cour administrative d’appel de Marseille, saisie d’un recours en responsabilité de l’Etat, le 16 avril 2009, retirant leur qualité de victime aux requérants. Pour la période antérieure au 24 septembre 2001 et non retenue par la cour administrative d’appel, les requérants n’auraient pas épuisé les voies de recours internes faute d’avoir également exercé une action similaire. Le Gouvernement estime en outre qu’on ne saurait prétendre que les pouvoirs publics auraient délibérément décidé de ne pas accorder le concours de la force publique aux requérants. Au contraire, le préfet de Haute-Corse chargea la gendarmerie de préparer un dispositif d’évacuation des occupants et, par la suite, un rapport mit en évidence les grandes difficultés et les moyens très importants à mettre en œuvre pour procéder à l’expulsion – notamment en raison des aides extérieures dont les occupants auraient pu bénéficier en vue d’empêcher l’évacuation –, ainsi que les risques de graves troubles à l’ordre public et l’inefficacité d’une mesure imposée par la force.
34. Il est certain que, dans ces conditions, les nécessités de l’ordre public pouvaient justifier qu’une solution négociée soit recherchée par les autorités et que dans l’attente d’un résultat, les requérants auraient pu saisir les juridictions administratives pour réclamer une juste indemnisation de leur préjudice. Le Gouvernement remarque que dans un certain nombre de cas les propriétaires, en refusant de mettre en action les recours juridiques qui s’ouvraient à eux ou en différant leur mise en œuvre, n’ont pas contribué au règlement rapide de ces affaires.
35. Par ailleurs, le Gouvernement estime que si la jurisprudence de la Cour sur les décisions d’expulsion reconnaît la nécessité d’une exécution rapide des décisions et de la mise en œuvre du concours de la force publique lorsqu’elle est demandée et acceptée par le juge, elle n’interdit pas aux pouvoirs publics de tenir compte des nécessités de l’ordre public pour prêter ou non son concours, pourvu qu’ils démontrent que ce sursis à exécution n’a duré que le temps nécessaire à trouver une solution satisfaisante aux problèmes d’ordre public (Lunari c. Italie, no 21463/93, 11 janvier 2001). Les autorités françaises ont donc pu différer quelques expulsions pour des motifs d’ordre public évidents, n’excédant pas leur marge d’appréciation, comme en l’espèce, dès lors que des risques d’affrontements armés n’étaient pas à exclure.
2. Les requérants
36. Les requérants notent que le Gouvernement ne conteste pas l’occupation illégale de leur propriété. S’agissant de l’argument du Gouvernement selon lequel les autorités préfectorales auraient chargé la gendarmerie de préparer un dispositif d’évacuation des occupants, ils précisent d’emblée que la décision du préfet est intervenue à la demande expresse de l’huissier de justice commis par eux. Quant à la décision préfectorale elle-même, les requérants considèrent que les termes de la lettre adressée par la directrice de cabinet du préfet à la gendarmerie étaient étrangers à la mise en place d’un dispositif d’évacuation, mais faisaient au contraire procéder à des investigations sur l’éventualité de troubles à l’ordre public, préparant ainsi une décision négative valant refus de concours de la force publique.
37. S’agissant de l’arrêt Lunari c. Italie (précité), les requérants estiment que le Gouvernement se contente de se référer à la notion d’ordre public de façon déclaratoire, sans préciser en quoi les mesures de protection du droit de propriété des requérants pourraient porter atteinte à l’ordre public, et sans commencement de preuve relatif à des « risques d’affrontements armés » au vu de « situations autrement plus graves ». Les requérants ajoutent qu’à la différence de l’affaire Lunari, il n’y a en l’espèce non pas un sursis à exécution, mais un refus total d’exécution. Quant au temps « strictement nécessaire » pour que les autorités trouvent une solution au problème, les requérants relèvent qu’il est indéterminé et peut durer plusieurs années en Corse, outre le fait que le Gouvernement est dans l’impossibilité de répondre à la condition de « solution satisfaisante ».
38. Les requérants invoquent le bénéfice de l’arrêt Matheus c. France (no 62740/00, 31 mars 2005) concernant le refus de concours de la force publique dans un climat particulier d’animosité à l’égard de certains propriétaires métropolitains. Ils estiment enfin que l’impact de la carence de l’Etat sur la jouissance de leurs biens leur a fait supporter une charge disproportionnée et excessive.
B. Appréciation de la Cour
39. S’agissant tout d’abord des exceptions d’irrecevabilité soulevées par le Gouvernement, lequel invoque la perte alléguée de la qualité de victime des requérants et le défaut d’épuisement partiel des voies de recours internes, en se fondant sur la procédure en responsabilité de l’Etat, la Cour rappelle d’emblée que, par une décision du 3 juillet 2007, elle a déclaré la présente requête recevable après avoir déjà examiné cette question. En effet, dans sa décision, pour écarter l’exception d’irrecevabilité soulevée par le Gouvernement, la Cour, après avoir observé que les requérants se plaignent du défaut du concours de la force publique pour assurer l’exécution de l’ordonnance du président du tribunal de grande instance du 22 novembre 2000, a relevé qu’une action devant le juge administratif pour une mise en cause de la responsabilité de l’Etat en raison du refus implicite opposé par le préfet n’était pas de nature à aboutir directement à l’exécution de cette décision, les requérants invoquant l’atteinte à leur droit de propriété et demandant la libération des lieux (voir, mutatis mutandis, Matheus c. France (déc.) no 62740/00, 18 mai 2004) ; elle a également jugé que ce sont les autorités qui sont tenues de prêter leur concours à l’exécution de l’arrêt afin que les requérants récupèrent leur bien immobilier et que, dès lors, l’obligation d’agir pesait sur les autorités et non pas sur les requérants. Il s’ensuit que les exceptions du Gouvernement, qui sont identiques ou se confondent avec l’exception déjà rejetée dans le cadre de la décision de recevabilité du 3 juillet 2007, ne sauraient être retenues.
40. Par ailleurs, comme dans l’affaire Matheus (précitée), la Cour considère que le refus de concours de la force publique ne découle pas de l’application d’une loi relevant d’une politique sociale et économique dans le domaine, par exemple, du logement ou d’accompagnement social de locataires en difficulté, mais d’une carence des autorités locales et notamment du préfet, voire d’un refus délibéré de la part de celles-ci, dans des circonstances locales particulières et pendant une longue période, de prêter main-forte aux requérants pour faire libérer leurs terres. Le défaut d’exécution de l’ordonnance du 22 novembre 2000 doit dès lors être examiné à la lumière de la norme générale contenue dans la première phrase du premier paragraphe de l’article 1 du Protocole no 1 qui énonce le droit au respect de sa propriété.
41. La Cour rappelle, à cet égard, que l’exercice réel et efficace du droit que cette disposition garantit ne saurait en effet dépendre uniquement du devoir de l’Etat de s’abstenir de toute ingérence et peut exiger des mesures positives de protection, notamment là où il existe un lien direct entre les mesures qu’un requérant pourrait légitimement attendre des autorités et la jouissance effective par ce dernier de ses biens (Öneryıldız c. Turquie [GC], no 48939/99, § 134, CEDH 2004-XII, et Matheus précité, § 68).
42. Par ailleurs, combiné avec la première phrase de l’article 1 du Protocole no 1, la prééminence du droit, l’un des principe fondamentaux d’une société démocratique, inhérente à l’ensemble des articles de la Convention, justifie la sanction d’un Etat en raison du refus de celui-ci d’exécuter ou de faire exécuter une décision de justice (Katsaros c. Grèce, no 51473/99, § 43, 6 juin 2002, et Georgiadis c. Grèce, no 41209/98, § 31, 28 mars 2000).
43. La Cour prend note des observations du Gouvernement et relève que depuis le 22 novembre 2000, date de la mesure judiciaire d’expulsion, les autorités n’ont rien entrepris pour faire libérer les terres illégalement occupées. Elle constate que le Gouvernement ne justifie pas l’inaction des autorités et se contente de faire référence, d’une façon générale et non suffisamment circonstanciée, aux nécessités de l’ordre public, ainsi qu’au risque d’une nouvelle occupation illégale de la propriété des requérants après l’évacuation par la force, ce qui, pour la Cour, est un motif inacceptable dès lors que les autorités internes étaient précisément censées protéger les requérants d’un tel risque.
44. Bien que consciente des difficultés rencontrées par les autorités françaises pour renforcer l’Etat de droit en Corse, la Cour estime que les arguments avancés en l’espèce ne sauraient constituer un motif légitime sérieux et suffisant pour justifier la carence des autorités, qui avaient l’obligation de protéger les intérêts patrimoniaux des requérants. Ainsi, la Cour constate, contrairement à ce que le Gouvernement semble soutenir en faisant référence à l’affaire Lunari (précité), que les autorités n’ont pas sursis à l’exécution de la mesure judiciaire, ni cherché une autre solution pour remédier à la situation, mais qu’elles ont simplement refusé de l’exécuter. Elles n’ont pas cherché pendant ce laps de temps à trouver une solution à l’amiable – même provisoire – avec les différents intéressés alors que, selon le Gouvernement, les nécessités de l’ordre public pouvaient le justifier ; et elles n’ont pas non plus tenté, après le rapport de gendarmerie transmis au préfet au mois de janvier 2002, de réévaluer la situation pour envisager une expulsion.
45. De l’avis de la Cour, il appartenait aux autorités, dès qu’elles furent informées de la situation des requérants, de prendre, dans un délai raisonnable, toutes les mesures nécessaires afin que la décision de justice soit respectée et que les requérants retrouvent la pleine jouissance de leurs biens. Elle estime que l’inaction des autorités en l’espèce a eu pour conséquence, en l’absence de toute justification d’intérêt général, d’aboutir à une sorte d’expropriation privée dont l’occupant illégal s’est retrouvé bénéficiaire (Matheus précité, § 71). En laissant perdurer une telle situation, les autorités ont non seulement encouragé certains individus à dégrader en toute impunité les biens des requérants, mais également laissé s’installer un climat de crainte et d’insécurité non propice au retour des requérants sur leurs terres.
46. La Cour remarque que ce type de situation témoigne de l’inefficacité du système d’exécution et renvoie au risque de dérive – rappelé dans la Recommandation du Comité des Ministres en matière d’exécution des décisions de justice – d’aboutir à une forme de « justice privée » qui peut avoir des conséquences négatives sur la confiance et la crédibilité du public dans le système juridique (ibid.).
47. Au vu de ce qui précède, la Cour estime qu’en refusant de prendre les mesures nécessaires pour mettre fin à l’occupation illégale des terres appartenant aux requérants et ce, pendant plusieurs années, les autorités françaises ont rompu l’équilibre à ménager entre les exigences de l’intérêt général et la protection de leurs intérêts patrimoniaux, et ont porté atteinte à leur droit au respect leurs biens. Il y a donc eu violation de l’article 1 du Protocole no 1.
II. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 8 DE LA CONVENTION
48. Les requérants se plaignent d’avoir été privés de la jouissance de leur domicile en raison de l’occupation illégale de leur propriété à partir de 1990. Ils invoquent l’article 8, qui se lit comme suit :
« 1. Toute personne a droit au respect de sa vie privée et familiale, de son domicile et de sa correspondance.
2. Il ne peut y avoir ingérence d’une autorité publique dans l’exercice de ce droit que pour autant que cette ingérence est prévue par la loi et qu’elle constitue une mesure qui, dans une société démocratique, est nécessaire à la sécurité nationale, à la sûreté publique, au bien-être économique du pays, à la défense de l’ordre et à la prévention des infractions pénales, à la protection de la santé ou de la morale, ou à la protection des droits et libertés d’autrui. »
49. Tant les requérants que le Gouvernement invoquent des arguments communs aux griefs tirés des articles 8 de la Convention et 1 du Protocole no 1.
50. Compte tenu du constat de violation auquel elle est parvenue (paragraphe 47 ci-dessus), la Cour n’estime pas nécessaire d’examiner séparément le grief tiré de l’article 8.
III. SUR L’APPLICATION DE L’ARTICLE 41 DE LA CONVENTION
51. Aux termes de l’article 41 de la Convention,
« Si la Cour déclare qu’il y a eu violation de la Convention ou de ses Protocoles, et si le droit interne de la Haute Partie contractante ne permet d’effacer qu’imparfaitement les conséquences de cette violation, la Cour accorde à la partie lésée, s’il y a lieu, une satisfaction équitable. »
A. Dommage
1. Dommage matériel
52. Les requérants, qui font notamment état d’expertises diligentées à leur demande, réclament 1 412 104 EUR au titre du préjudice matériel (299 648 EUR correspondant à la valeur des terrains constructibles et aux revenus qu’ils auraient pu percevoir de leur placement depuis 1995, 746 837 EUR correspondant à la valeur des terrains agricoles, et 365 619 EUR correspondant à la valeur locative des terres maraîchères sur une période de dix-sept ans).
53. Le Gouvernement conteste ces demandes qu’il juge excessives et ne pouvant être rattachées aux violations alléguées de la Convention. Il considère notamment que les requérants ont effectivement subi un trouble de jouissance du fait de l’occupation prolongée de leurs biens, mais qu’ils ne sont pas fondés à demander une indemnisation correspondant à la valeur de la propriété foncière, dans la mesure où ils demeurent les propriétaires en titre des biens non vendus.
54. La Cour relève que la seule base à retenir pour l’octroi d’une satisfaction équitable réside en l’espèce dans le constat de violation de l’article 1 du Protocole no 1 en raison du refus de concours de la force publique en exécution d’une décision de justice. Elle estime que si les requérants ont incontestablement et nécessairement subi un préjudice matériel en raison du refus de concours de la force publique, leurs prétentions sont néanmoins manifestement, soit hypothétiques, soit excessives, et les expertises diligentées à leur demande, selon des méthodes d’évaluation dont la pertinence n’est pas suffisamment établie, ne permettent pas davantage de calculer ce préjudice de manière précise. Dans ces conditions, il ne sera pas fait droit à ce chef de demande. La Cour note d’ailleurs, à titre surabondant, que si, comme elle a jugé dans le cadre de l’examen de la recevabilité de la requête, une mise en cause de la responsabilité de l’Etat aurait été inefficace pour aboutir à l’exécution de la décision de justice et à la libération des lieux (voir également R.P. c. France (déc.), no 10271/02, 3 juillet 2007), une telle action devant les juridictions internes s’est par contre révélée être un recours adéquat pour obtenir l’indemnisation de leur préjudice subi en raison de l’occupation elle-même (paragraphe 30 ci-dessus).
2. Dommage moral
55. Les requérants demandent au moins 20 000 EUR chacun.
56. Le Gouvernement ne se prononce pas.
57. La Cour estime que les requérants ont subi un préjudice moral certain, que la simple constatation de violation ne saurait compenser. Statuant en équité comme le veut l’article 41 de la Convention, la Cour leur accorde à chacun la somme de 8 000 EUR.
B. Frais et dépens
58. Les requérants réclament 36 896,24 EUR au titre des frais et dépens, correspondant aux honoraires des avocats qui les ont représentés devant les juridictions internes et devant la Cour, ainsi qu’aux frais d’huissier et d’expertise. Ils produisent à l’appui de leurs prétentions un certain nombre de factures.
59. Le Gouvernement considère que seuls les frais de justice réellement et nécessairement engagés doivent être pris en compte.
60. Selon la jurisprudence de la Cour, un requérant ne peut obtenir le remboursement de ses frais et dépens que dans la mesure où se trouvent établis leur réalité, leur nécessité et le caractère raisonnable de leur taux. En outre, lorsque la Cour constate une violation de la Convention, elle n’accorde au requérant le paiement des frais et dépens qu’il a exposés devant les juridictions nationales que dans la mesure où ils ont été engagés pour prévenir ou faire corriger par celles-ci ladite violation : tel a bien été, partiellement, le cas en l’espèce. En conséquence, statuant en équité, comme le veut l’article 41 de la Convention, la Cour juge raisonnable d’allouer conjointement aux intéressés la somme de 5 000 EUR au titre des frais et dépens.
C. Intérêts moratoires
61. La Cour juge approprié de baser le taux des intérêts moratoires sur le taux d’intérêt de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne majoré de trois points de pourcentage.
PAR CES MOTIFS, LA COUR, À L’UNANIMITÉ,
1. Dit qu’il y a eu violation de l’article 1 du Protocole no 1 ;
2. Dit qu’il n’est pas nécessaire d’examiner séparément le grief tiré de l’article 8 de la Convention ;
3. Dit
a) que l’Etat défendeur doit verser, dans les trois mois à compter du jour où l’arrêt sera devenu définitif conformément à l’article 44 § 2 de la Convention, 8 000 EUR (huit mille euros) pour dommage moral à chacun des requérants, ainsi que 5 000 EUR (cinq mille euros) conjointement aux requérants au titre de frais et dépens, plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt par les requérants ;
b) qu’à compter de l’expiration dudit délai et jusqu’au versement, ces montants seront à majorer d’un intérêt simple à un taux égal à celui de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne applicable pendant cette période, augmenté de trois points de pourcentage ;
4. Rejette la demande de satisfaction équitable pour le surplus.
Fait en français, puis communiqué par écrit le 21 janvier 2010, en application de l’article 77 §§ 2 et 3 du règlement.
Claudia Westerdiek Peer Lorenzen
Greffière Président

A chi rivolgersi e i costi dell'assistenza

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La data dell'ultimo controllo di validità dei testi è la seguente: 12/11/2024