SECONDA SEZIONE
CAUSA BAGARELLA C. ITALIA
( Richiesta no 15625/04)
SENTENZA
STRASBURGO
15 gennaio 2008
DEFINITIVO
07/07/2008
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Bagarella c. Italia,
La Corte europea dei Diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, András Baka, Ireneu Cabral Barreto, Vladimiro Zagrebelsky, Antonella Mularoni, Danutë Jočienė, Dragoljub Popović, giudici,
e da Sally Dollé, cancelliera di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio l’ 11 dicembre 2007,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data,:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 15625/04) diretta contro la Repubblica italiana e in cui un cittadino di questo Stato, il Sig. L. B. B. (“il richiedente”), ha investito la Corte il 15 aprile 2004 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei Diritti dell’uomo e delle Libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente è rappresentato da F. G., avvocato a L’Aquila. Il governo italiano (“il Governo”) è rappresentato dal suo agente, il Sig. I. M. Braguglia, e dal suo co-agente, il Sig. F. Crisafulli.
3. Il richiedente adduceva che le sue condizioni di detenzione si analizzavano in trattamenti disumani e degradanti e nelle violazioni dei suoi diritti al rispetto della sua vita familiare e della sua corrispondenza.
4. Il 30 settembre 2005, il presidente della terza sezione della Corte ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Avvalendosi delle disposizioni dell’articolo 29 § 3, ha deciso che sarebbero state esaminate l’ammissibilità e la fondatezza della causa allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
5. Il richiedente è nato nel 1942 ed è detenuto al penitenziario di L’Aquila.
A. I perseguimenti penali
6. Il richiedente, imputato di strage, di parecchi omicidi e di associazione con malviventi di tipo mafioso, fu arrestato il 24 giugno 1995. Fu condannato poi all’ergastolo.
7. Così come risulta dalle ultime ordinanze ministeriali che applicano il regime speciale di detenzione, il richiedente è stato successivamente perseguito per altri fatti criminali legati alla sua appartenenza ad un’organizzazione di tipo mafioso.
B. L’applicazione del regime speciale di detenzione previsto dall’articolo 41bis della legge sull’amministrazione penitenziaria
8. Il 10 luglio 1995, tenuto conto della pericolosità del richiedente, il ministro della Giustizia prese un’ordinanza che gli imponeva, per un periodo di un anno, il regime di detenzione speciale previsto dall’articolo 41bis, capoverso 2, della legge no 354 del 26 luglio 1975, detta “legge sull’amministrazione penitenziaria. Come modificata dalla legge no 356 del 7 agosto 1992, questa disposizione permette la sospensione totale o parziale dell’applicazione del regime normale di detenzione quando delle ragioni di ordine e di sicurezza pubblici l’esigono. L’ordinanza ministeriale imponeva le seguente restrizioni:
– limitazione delle visite da parte dei membri della famiglia, al massimo una al mese di una durata di un’ora,;
– interdizione di incontrare dei terzi;
– interdizione di utilizzare il telefono;
– interdizione di ricevere o di mandare verso l’esterno delle somme di denaro al di là di un determinato importo;
– interdizione di ricevere più di due pacchi al mese ma possibilità di riceverne due all’ anno contenenti della biancheria;
– interdizione di eleggere dei rappresentanti di detenuti e di essere eletto come rappresentante;
– limitazione della passeggiata a due al giorno;
– interdizione di organizzare delle attività culturali, ricreative e sportive;
-interdizione di esercitare delle attività artigianali;
-interdizione di acquistare degli alimenti destinati alla cottura.
Inoltre, tutta la corrispondenza in entrata ed in uscita doveva essere sottoposta al controllo su autorizzazione preliminare delle autorità giudiziali competenti.
9. L’applicazione del regime speciale è stata prorogata in seguito a più riprese per periodi di sei mesi fino al dicembre 2002, poi di un anno almeno fino alla fine del 2005. Le restrizioni furono tuttavia ammorbidite, una prima volta, il 21 dicembre 2000, da una parte con l’autorizzazione di una conversazione telefonica di un’ora al mese coi membri della famiglia in mancanza di visita di questi, e, dall’altra parte, con la possibilità di acquistare degli alimenti destinati alla cottura. Nel dicembre 2002, il periodo di tempo da passare fuori dall’unità, in gruppi di cinque persone al massimo, fu portato alle quattro ore al giorno di cui due ore all’aria aperta. Le interdizioni di organizzare delle attività culturali, ricreative e sportive e di esercitare delle attività artigianali furono annullate.
10. Nell’ottobre 1998, il richiedente fu posto in un “settore riservato” (area riservata) della prigione di Spoleto, dove rimase in isolamento in ragione della sua pericolosità e della gravità delle violazioni che aveva commesso. Il 29 ottobre 2004, il richiedente fu trasferito al penitenziario di L’Aquila.
C. Il controllo della corrispondenza
11. Dal 1995, la corrispondenza del richiedente è sottoposta al controllo delle autorità penitenziarie. Con due decisioni del 23 giugno 2001 e del 23 giugno 2004, il giudice di applicazione delle pene dell’Aquila decise di mettere sotto controllo tutta la corrispondenza del richiedente, eccetto quella indirizzata “al Consiglio dell’Europa ed alla Corte europea dei Diritti dell’uomo.” La prima di queste decisioni aveva una validità fino al 31 dicembre 2001, la seconda fino al 23 settembre 2004. Si basavano sull’articolo 18 della legge sull’amministrazione penitenziaria. Nelle sue osservazioni giunte alla cancelleria il 5 gennaio 2006, il Governo segnala che una decisione concernente il controllo della corrispondenza del richiedente è stata adottata dal giudice di applicazione delle pene il 3 dicembre 2003.
II. IL DIRITTO E LA PRATICA INTERNA PERTINENTI
12. Nella sua sentenza Ospina Vargas, la Corte ha riassunto il diritto e la pratica interna pertinenti in quanto al regime di detenzione speciale applicata nello specifico ed in quanto al controllo della corrispondenza (Ospina Vargas c. Italia, no 40750/98, §§ 23-33, 14 ottobre 2004). Ha fatto anche stato delle modifiche introdotte dalla legge no 279 del 23 dicembre 2002 e dalla legge no 95 del 8 aprile 2004 (ibidem).
13. Con la circolare no 3470/5920 del 20 febbraio 1998, sulla base del principio dell’individualizzazione del trattamento penitenziario previsto agli articoli 13 e 14 della legge sull’amministrazione penitenziaria e dal suo ordinamento di esecuzione, e tenuto conto della legislazione in materia, in particolare delle sentenze della Corte costituzionale riguardanti le condizioni di legittimità dell’articolo 41bis, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del Ministero di Giustizia contempla delle sezioni differenziate che raggruppano certe categorie di detenuti per facilitare le operazioni di controllo. Questa circolare stabilisce le regole pratiche da rispettare per garantire la sicurezza e l’ ordine pubblico pure rispettando i diritti fondamentali dei detenuti. Contempla le attività a cui i detenuti possono partecipare e le caratteristiche delle sezioni.
IN DIRITTO
I. SULL ‘ “OSSERVAZIONE PROCEDURALE” DEL GOVERNO
14. A titolo preliminare, il Governo contesta la decisione del presidente della terza sezione della Corte di esaminare l’ammissibilità ed il merito della causa allo stesso tempo. Secondo lui, il presente caso solleverebbe degli aspetti nuovi e non potrebbe passare per un “caso ripetitivo.”
15. La Corte ricorda che la possibilità di esaminare l’ammissibilità ed il merito di una richiesta allo stesso tempo è prevista chiaramente dagli articoli 29 § 3 della Convenzione e 54A dell’ordinamento. La Corte non vede, nello specifico, nessuna ragione di ritornare sulla decisione di esaminare congiuntamente l’ammissibilità ed il merito (vedere, mutatis mutandis, Marcello Viola c. Italia, no 45106/04, § 33, 5 ottobre 2006<9.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 3 DELLA CONVENZIONE
16. Il richiedente adduce che le sue condizioni di detenzione si analizzano in trattamenti disumani e degradanti.
Invoca l’articolo 3 della Convenzione, così formulato:
“Nessuno può essere sottomesso alla tortura né alle pene o trattamenti disumani o degradanti. “
17. Il Governo si oppone a questa tesi.
A. Argomenti delle parti
1. Il Governo
18. Il Governo osserva innanzitutto che il richiedente è stato assegnato al penitenziario di L’Aquila il 18 settembre 1998 e che dal 23 gennaio 1999 sconta la sua pena, nel settore riservato, con altri detenuti. Il suo isolamento è durato dunque quattro mesi circa ed è finito il 23 gennaio 1999. Essendo stata introdotta la richiesta solo nel 2004, le affermazioni riguardante l’isolamento dell’interessato sono tardive.
19. Il Governo eccepisce inoltre del non-esaurimento delle vie di ricorso interne, dato che il richiedente aveva a sua disposizione dei mezzi per contestare la sua destinazione al settore riservato. Difatti, come ogni atto amministrativo, questo può essere attaccato tramite un ricorso all’autorità che ha adottato la misura, il direttore della prigione, con un ricorso gerarchico, con un ricorso al tribunale amministrativo regionale (“il TAR”) competente o con un reclamo al giudice di applicazione delle pene. Infine, con una sentenza no 26 del 1999, la Corte costituzionale ha precisato che ogni decisione dell’amministrazione penitenziaria che reca offesa ai diritti individuali dei detenuti può essere contestata dinnanzi al tribunale di applicazione delle pene.
20. In quanto al merito del motivo di appello, il Governo nota che ogni struttura penitenziaria è divisa in edifici, padiglioni, settori, piani ecc.. Le condizioni di detenzione in ciascuna di queste parti possono variare leggermente, in funzione della struttura del luogo e delle consegne della sorveglianza, adattate normalmente alla categoria di detenuti che vi sono posti. Una sorveglianza aumentata è necessaria per le persone condannate in quanto membri di associazioni di malviventi particolarmente potenti e pericolose. L’ordinamento del penitenziario determina le modalità del trattamento in funzione delle esigenze poste dai differenti gruppi di detenuti. Le autorità amministrative sono competenti per la destinazione dei detenuti alle diverse strutture ed alle differenti sezioni di queste.
21. Il settore riservato è una sezione destinata ad accogliere i detenuti che potrebbero abbandonarsi ad aggressioni o che potrebbero diventarne le vittime. Questa esigenza è stata all’origine dell’isolamento temporaneo del richiedente. Con una limitazione del numero dei detenuti coinvolti, il settore riservato permette una sorveglianza più ravvicinata. All’infuori di questo, il settore riservato non si differenzia dagli altri settori della prigione. I detenuti riguardati possono prendere difatti parte alle attività ricreative o di rieducazione. La destinazione ha luogo senza formalità ed è indipendente dall’imposizione del regime previsto dall’articolo 41bis della legge sull’amministrazione penitenziaria. Non ha una durata predeterminata, ma la persistenza delle ragioni che la giustificano è verificata o ogni sei mesi o “frequentemente.” Infine, non avrebbe un’incidenza diretta sui diritti di “carattere civile” dei detenuti. Questi ultimi non hanno il diritto di scegliere il luogo e le modalità della loro detenzione difatti o di decidere in quale compagnia desiderano scontare la loro pena.
22. Alla luce di ciò che precede, il Governo conclude che la destinazione di un detenuto al settore riservato ha una base legale conforme alle esigenze della Convenzione, cioè accessibile, chiara e prevedibile. Limitata alla separazione dei detenuti più pericolosi dagli altri, si basa sull’esigenza di garantire l’ordine e la sicurezza in seno al penitenziario e non provocare una situazione di isolamento. I “circa quattro mesi di isolamento”, dal 18 settembre 1998 al 23 gennaio 1999, subiti dal richiedente al penitenziario di L’Aquila erano motivati da esigenze di ordine pratico: occorreva prima identificare le categorie dei detenuti con cui l’interessato poteva avere dei contatti senza danno per la sua propria sicurezza e quella degli altri.
23. Per ciò che riguarda la sottomissione del richiedente al regime speciale previsto dall’articolo 41bis della legge sull’amministrazione penitenziaria, il Governo osserva che questo regime si giustificava per la natura dei crimini commessi dall’interessato e per i suoi legami persistenti con potenti e pericolose organizzazioni criminali. Le restrizioni imposte al richiedente erano unicamente quelle rigorosamente necessarie per impedirgli di intrattenere dei contatti col suo ambiente criminale di origine o di esercitare un’attività di “proselitismo” in seno alla prigione. La Corte ha stimato costantemente che queste restrizioni non raggiungevano la soglia minima di gravità tale da ricadere sotto l’influenza dell’articolo 3 della Convenzione.
2. Il richiedente
24. Il richiedente si lamenta delle restrizioni previste dall’articolo 41 bis della legge sull’amministrazione penitenziaria e di essere stato posto in un settore riservato della prigione in una situazione di isolamento. Sostiene che queste condizioni di detenzione sono insopportabili.
25. Il richiedente contesta l’affermazione del Governo secondo cui il suo isolamento sarebbe durato solamente quattro mesi. Osserva che ha subito e continua a subire delle restrizioni dalla data del suo arresto, sopraggiunto il 24 giugno 1995.
26. Il richiedente afferma anche che né lui né il suo consigliere hanno potuto ottenere una copia della circolare che prevedeva il collocamento in posto del settore riservato. Non ha ricevuto mai comunicazione della decisione di collocamento. Ne deduce che non c’è base legale per il suo collocamento nel settore riservato. Se l’imposta del regime speciale di detenzione si basa su una base legale chiara, ossia l’articolo 41 bis della legge sull’amministrazione penitenziaria, ne va diversamente per la destinazione al settore riservato. Riferendosi al “margine di autonomia” delle autorità, il Governo cerca in realtà di giustificare delle condizioni disumane che hanno privato il richiedente dei diritti riconosciuti agli altri detenuti.
B. Valutazione della Corte
27. La Corte non stima necessario dedicarsi sulle eccezioni del Governo, derivate dal non-esaurimento delle vie di ricorso interne e dalla tardività di una parte delle affermazioni del richiedente. Difatti, supponendo anche che il richiedente abbia soddisfatto gli obblighi che gli incombono ai termini dell’articolo 35 § 1 della Convenzione, questo motivo di appello è comunque inammissibile, per le seguenti ragioni.
28. L’articolo 3 della Convenzione consacra uno dei valori fondamentali delle società democratiche. Anche nelle circostanze più difficili, come la lotta contro il terrorismo ed il crimine organizzato, la Convenzione proibisce in termini assoluti la tortura e le pene o trattamenti disumani o degradanti. L’articolo 3 non contempla restrizioni, nella qual cosa contrasta con la maggioranza delle clausole normative della Convenzione e dei Protocolli no 1 e 4 e, conformemente all’articolo 15 § 2, non è passibile di nessuna deroga, anche in caso di pericolo pubblico che minaccia la vita della nazione (Labita c. Italia [GC], no 26772/95, § 119, CEDH 2000-IV; Selmouni c. Francia [GC], no 25803/94, § 95, CEDH 1999-V; Assenov ed altri c. Bulgaria, sentenza del 28 ottobre 1998, Raccolta delle sentenze e decisioni 1998-VIII, p. 3288, § 93). Il divieto della tortura o delle pene o trattamenti disumani o degradanti è assoluto, qualunque siano le attività illegali della vittima (Chahal c. Regno Unito, sentenza del 15 novembre 1996, Raccolta 1996-V, p. 1855, § 79). La natura delle violazioni rimproverate al richiedente è dunque priva di pertinenza per l’esame sotto l’angolo dell’articolo 3.
29. Un maltrattamento deve raggiungere un minimo di gravità per ricadere sotto l’influenza dell’articolo 3 della Convenzione. La valutazione di questo minimo è relativa per essenza; dipende dall’insieme dei dati della causa, ed in particolare dalla durata del trattamento, dei suoi effetti fisici e mentali così come, talvolta, dal sesso, dall’età e dallo stato di salute della vittima (vedere, tra altre, Price c. Regno Unito, no 33394/96, § 24, CEDH 2001-VII; Mouisel c. Francia, no 67263/01, § 37, CEDH 2002-IX; Jalloh c. Germania [GC], no 54810/00, § 67, 11 luglio 2006).
30. In altre richieste dirette contro l’Italia, la Corte si è posta la questione di sapere se l’applicazione prolungata dell’articolo 41bis costituiva una violazione dell’articolo 3. Ha, a più riprese, stimato che il regime speciale previsto dall’articolo 41bis precitato che comprende un semplice isolamento sociale relativo, non costituisce, di per sé, un trattamento disumano o degradante (Attanasio c. Italia,( déc.), no 15619/04, § 48, 13 novembre 2007, ed Indelicato c. Italia, (déc.), no 31143/96, 6 luglio 2000). Niente permette di scostarsi da queste conclusioni nel presente caso.
31. In più, nelle cause Gallico (no 53723/00, §§ 20-23, 28 giugno 2005) e Campisi (no 24358/02, §§ 37-41, 11 luglio 2006) avuto riguardo agli argomenti invocati per giustificare il mantenimento delle limitazioni imposte ai richiedenti, ha stimato che l’applicazione del regime speciale per periodi rispettivamente di dodici e cinque anni non aveva provocato delle sofferenze o umiliazioni che andavano al di là di quelle comportate inevitabilmente da una data forma di trattamento -nello specifico prolungato-o di pena legittima. Agli occhi della Corte, la stessa conclusione si impone nel presente caso, dove la sottomissione del richiedente al regime incriminato è cominciata il 10 luglio 1995 (vedere anche, mutatis mutandis, Schiavone c. Italia, (déc.), no 65039/01, 13 novembre 2007).
32. La Corte nota inoltre che la decisione di porre il richiedente in un settore riservato era ampiamente e razionalmente giustificata. Le considerazioni concernenti il regime di detenzione speciale si applicano al collocamento in un settore riservato della prigione nella misura in cui questo ultimo non comprende nessuna restrizione supplementare in confronto col regime 41bis salvo l’interdizione di entrare in contatto coi detenuti degli altri settori della prigione (Attanasio, decisione precitata, § 55).
33. Per ciò che riguarda l’isolamento denunciato dal richiedente, la Corte ricorda che l’isolamento sensoriale completo combinato ad un isolamento sociale totale può distruggere la personalità e costituisce una forma di trattamento disumano che non potrebbe giustificarsi con le esigenze della sicurezza o con ogni altra ragione. In compenso, l’interdizione di contatti con altri detenuti per ragioni di sicurezza, di disciplina e di protezione non costituisce di per sé una forma di pena o trattamento disumano (Öcalan c. Turchia [GC], no 46221/99, § 191, CEDH 2005-IV, e Ramirez Sanchez c. Francia [GC], no 59450/00, § 123, 4 luglio 2006).
34. Nello specifico, il Governo afferma che il richiedente è stato posto nel settore riservato il 18 settembre 1998 e che, dal 23 gennaio 1999, sconta la sua pena con altri detenuti (paragrafi 18 e 22 sopra). Il richiedente non ha contestato questa affermazione e non ha prodotto degli elementi per smentirla. Quindi, la Corte considera che l’isolamento subito dall’interessato è durato solamente quattro mesi e cinque giorni. Durante questo periodo, l’interessato ha continuato a ricevere le visite dei membri della sua famiglia e del suo avvocato (vedere, mutatis mutandis, Ramirez Sanchez precitata, § 131). Tenuto conto della durata del trattamento denunciato, così come dell’atteggiamento delle autorità italiane che hanno preso la cura di porre altri detenuti nel settore riservato della prigione, la Corte stima che l’isolamento, parziale e relativo al quale il richiedente ha dovuto fare fronte non ha raggiunto il livello di gravità necessaria per ricadere sotto l’influenza dell’articolo 3 della Convenzione (vedere, mutatis mutandis, Schiavone, decisione precitata, dove la Corte ha stimato non contrario a questa disposizione un isolamento di facto che è durato quasi otto mesi).
35. Alla luce delle considerazioni che precedono, la Corte non potrebbe scoprire nessuna apparenza di violazione dell’articolo 3 della Convenzione.
36. Ne segue che questo motivo di appello è manifestamente mal fondato e deve essere respinto in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
III. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE IN RAGIONE DELLE RESTRIZIONI ALLE VISITE DEI MEMBRI DELLA FAMIGLIA DEL RICHIEDENTE
37. Il richiedente considera che le restrizioni imposte alle visite dei membri della sua famiglia hanno recato offesa al suo diritto al rispetto della sua vita familiare.
Questo motivo di appello si presta ad essere analizzato sotto l’angolo dell’articolo 8 della Convenzione, così formulato:
“1. Ogni persona ha diritto al rispetto di suo corrispondenza.
2. Non può esserci ingerenza di un’autorità pubblica nell’esercizio di questo diritto se non per quanto questa ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, sia necessaria alla sicurezza nazionale, alla sicurezza pubblica, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine ed alla prevenzione delle violazioni penali, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e libertà altrui. “
38. Il Governo contesta questa tesi. Riferendosi alle osservazioni che ha sviluppato sotto l’angolo dell’articolo 3 della Convenzione, adduce che né l’applicazione del regime contemplato all’articolo 41bis della legge sull’amministrazione penitenziaria né la destinazione al settore riservato abbia privato il richiedente di contatti con la sua famiglia o con i suoi prossimi. Ogni ingerenza nella vita privata e familiare del richiedente era giustificata dalle esigenze di sicurezza e prevenzione derivanti dalla “portata criminale” dell’interessato.
39. La Corte ricorda che ha già dovuto deliberare sul fatto di sapere se le restrizioni previste dall’applicazione dell’articolo 41bis in materia di vita privata e familiare di certi detenuti costituiscono un’ingerenza giustificata dal paragrafo 2 dell’articolo 8 (Messina c. Italia (no 2), no 25498/94, §§ 59-74, CEDH 2000-X, ed Indelicato, decisione precitata).
40. Queste restrizioni tendono a tagliare i legami esistenti tra la persone riguardata ed il suo ambiente criminale di origine, per minimizzare il rischio di vedere utilizzare i contatti personali di questi detenuti con le strutture delle organizzazioni criminali di questo ambiente.
41. Prima dell’introduzione del regime speciale, un buon numero di detenuti pericolosi riusciva a tenere la loro posizione in seno all’organizzazione criminale alla quale appartenevano, a scambiare delle informazione con gli altri detenuti e con l’esterno così come ad organizzare e fare eseguire delle violazioni penali. In questo contesto, la Corte stima che, tenuto conto della natura specifica del fenomeno della criminalità organizzata, in particolare di tipo mafioso, e del fatto che le visite familiari sono state spesso un mezzo certo di trasmissione di ordini e di istruzioni verso l’esterno, le restrizioni, certamente importanti, alle visite ed i controlli che ne accompagnano lo svolgimento non potrebbero passare per sproporzionate rispetto agli scopi legittimi perseguiti (Salvatore c. Italia, (déc.), no 37827/97, 9 gennaio 2001.
42. La Corte ha dovuto anche dedicarsi alla questione di sapere se l’applicazione prolungata di questo regime ad un detenuto infrange il diritto garantito dall’articolo 8 della Convenzione. Nella causa Gallico precitata, ha stimato utile precisare che non vedeva alcuna incomprensione di questa disposizione in ragione del semplice scorrimento del tempo. Nel caso di specifico, la Corte osserva che il richiedente è sottoposto al regime speciale dal luglio 1995 e che ad ogni rinnovo, il ministro della Giustizia ha preso in conto delle informazione attestanti che il richiedente rimaneva una persona pericolosa. La Corte si riferisce anche alla decisione di inammissibilità parziale nella causa Bastone c. Italia (no 59638/00, 10 gennaio 2005) nella quale la Corte ha esaminato e respinto questo tipo di motivo di appello sul terreno degli articoli 3 e 8 della Convenzione.
43. Infine, nota che, nello specifico, le considerazioni che precedono si applicano anche ai detenuti destinati ad un settore riservato della prigione nella misura in cui non viene dimostrato che tale destinazione provochi delle limitazioni differenti da quelle imposte ai detenuti sotto il regime 41bis della legge sull’amministrazione penitenziaria (Attanasio, decisione precitata, § 64).
44. In conclusione, la Corte stima che le restrizioni al diritto del richiedente al rispetto della sua vita familiare non sono andate al di là di ciò che, ai termini dell’articolo 8 § 2, è necessario, in una società democratica, alla sicurezza pubblica, alla difesa dell’ordine ed alla prevenzione delle violazioni penali (Attanasio, decisione precitata, § 65).
IV. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE IN RAGIONE DEL CONTROLLO DELLA CORRISPONDENZA DEL RICHIEDENTE
45. Il richiedente si lamenta del controllo della sua corrispondenza. Invoca l’articolo 8 della Convenzione.
46. Il Governo contesta questa tesi.
A. Sull’ammissibilità
47. La Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente mal fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. La Corte rileva peraltro che questo motivo di appello non incontra nessuno altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararlo ammissibile.
A. Sul merito
48. Il Governo osserva innanzitutto che, stata introdotta la richiesta essendo il 15 aprile 2004, ogni misura adottata prima del 15 ottobre 2003 sfugge alla competenza della Corte. Per ciò che riguarda le decisioni successive, il giudice di applicazione delle pene ha ordinato il controllo della corrispondenza del richiedente conformemente all’articolo 18 della legge sull’amministrazione penitenziaria. Ora, la Corte ha stimato che questa disposizione non costituiva una base legale sufficiente ai sensi della Convenzione.
49. Il Governo chiede alla Corte di riconsiderare la sua giurisprudenza e di avere riguardo “ai caratteri delle decisioni che impongono concretamente il controllo della corrispondenza in ogni determinato caso.” Nel presente caso, le decisioni del giudice di applicazione delle pene avevano “tutte le caratteristiche richieste dalla giurisprudenza europea.”
50. La Corte nota al primo colpo che una decisione che ordina il controllo della corrispondenza del richiedente è stata adottata il 23 giugno 2004. In più, il Governo segnala che un’altra decisione è stata presa il 3 dicembre 2003. Quindi, la richiesta, introdotta il 15 aprile 2004, non potrebbe essere considerata tardiva in quanto a questo motivo di appello.
51. Evidentemente, c’è stata “ingerenza di un’autorità pubblica” nell’esercizio del diritto del richiedente al rispetto della sua corrispondenza garantito dall’articolo 8 § 1. Simile ingerenza ignora questa disposizione salvo se, “prevista dalla legge”, insegue uno o degli scopi legittimi allo sguardo del paragrafo 2 e, in più, è “necessaria, in una società democratica” per raggiungerli (vedere, tra molte altre, Calogero Diana c. Italia, sentenza del 15 novembre 1996, Raccolta 1996-V, p. 1775, § 28; Domenichini c. Italia, sentenza del 15 novembre 1996, Raccolta 1996-V, p. 1799, § 28; Labita precitato, § 179).
52. La Corte rileva che il controllo della corrispondenza del richiedente è stato ordinato dal giudice di applicazione delle pene, ai sensi dell’articolo 18 della legge sull’amministrazione penitenziaria (paragrafo 11 sopra). Ora, la Corte ha constatato già a più riprese che il controllo della corrispondenza fondato su questa disposizione ignora l’articolo 8 della Convenzione perché non “è previsto dalla legge” nella misura in cui questa non regolamenta né la durata delle misure di controllo della corrispondenza dei detenuti, né i motivi che possono giustificarle, e non indica con abbastanza chiarezza la superficie e le modalità di esercizio del potere di valutazione delle autorità competenti nella tenuta considerata (vedere, tra altre, Labita precitata, §§ 175-185). Non vede ragione di scostarsi nello specifico da una giurisprudenza che mira a permettere ad ogni detenuto di godere del grado minimo di protezione voluto dalla preminenza del diritto in una società democratica (Calogero Diana precitata, p. 1776, § 33, e Campisi c. Italia, no 24358/02, § 50, 11 luglio 2006).
53. Alla luce di ciò che precede, la Corte constata che il controllo della corrispondenza del richiedente non “era previsto dalla legge” ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione. Questa conclusione rende superfluo verificare nello specifico il rispetto delle altre esigenze della stessa disposizione.
54. La Corte prende atto, del resto, dell’entrata in vigore della legge no 95/2004 che ha modificato la legge sull’amministrazione penitenziaria. Sottolinea quindi che la legge in questione che si è potuta applicare unicamente alla decisione presa il 23 giugno 2004, non permette di risanare la violazione che ha avuto luogo anteriormente la sua entrata in vigore, ed in particolare quella realizzata dalla decisione del 3 dicembre 2003 (Argenti c. Italia, no 56317/00, § 38, 10 novembre 2005).
55. C’è stata dunque violazione dell’articolo 8 della Convenzione.
V. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
56. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
57. Il richiedente richiede 136 150 euro (EUR) a titolo del danno che avrebbe subito. Osserva e di essere stato detenuto “ingiustamente” per 3 890 giorni e stima di avere diritto alla somma di 35 EUR al giorno.
58. Il Governo stima che la somma sollecitata dal richiedente è manifestamente esorbitante e prega la Corte di dire che la constatazione di violazione costituisce una soddisfazione equa sufficiente.
59. La Corte non vede legame di causalità tra la violazione constatata ed un eventuale danno materiale e respinge questa richiesta. Ricorda di avere concluso peraltro che le condizioni della detenzione del richiedente non erano contrarie all’articolo 3 della Convenzione. La Corte stima che nelle circostanze dello specifico, la constatazione di violazione dell’articolo 8 in ragione del controllo della sua corrispondenza basta di per sé a compensare il danno morale subito dal richiedente.
B. Oneri e spese
60. L’avvocato del richiedente ha trasmesso anche una nota di parcella che ammontava a 11 540 EUR e che copriva oneri e spese incorsi dinnanzi alla Corte.
61. Il Governo osserva che il richiedente non ha chiesto esplicitamente un rimborso degli oneri, essendosi limitato ad unire una nota di parcella. Ad ogni modo, la somma richiesta è eccessiva.
62. La Corte stima che la nota delle orare che il rappresentante del richiedente ha fatto pervenire alla cancelleria può analizzarsi in una richiesta di rimborso degli oneri. Però, secondo la sua giurisprudenza consolidata, il sussidio degli oneri e delle spese sostenuti dal richiedente può intervenire solamente nella misura in cui si stabilisca la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevole del loro tasso (Belziuk c. Polonia, sentenza del 25 marzo 1998, Raccolta 1998-II, p. 573, § 49). Ora, la Corte giudica eccessivo l’importo sollecitato per oneri e spese afferenti al procedimento dinnanzi a lei e decide di concedere 4 000 EUR sotto questo capo.
C. Interessi moratori
63. La Corte giudica appropriato basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile in quanto al motivo di appello derivato dal controllo della corrispondenza del richiedente ed inammissibile per il surplus;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione in ragione del controllo della corrispondenza del richiedente;
3. Stabilisce che questa constatazione di violazione fornisce di per sé una soddisfazione equa sufficiente per il danno morale subito dal richiedente;
4. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare al richiedente, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, 4 000 EUR (quattromila euro) per oneri e spese, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questo importo sarà da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
5. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, comunicato poi per iscritto il 15 gennaio 2008 in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Sally Dollé Francesca Tulkens
Cancelliera Presidentessa