SECONDA SEZIONE
CAUSA AVECONE C. ITALIA
( Richiesta no 4280/03)
SENTENZA
STRASBURGO
22 luglio 2008
DEFINITIVO
22/10/2008
Questa sentenza può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Avecone c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Antonella Mularoni, Ireneu Cabral Barreto, Vladimiro Zagrebelsky, Danutė Jočienė, Dragoljub Popović, András Sajó, giudici,
e da Sally Dollé, cancelliera di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 1 luglio 2008,
Rende la sentenza che ha adottata in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 4280/03) diretta contro la Repubblica italiana e in cui due cittadini di questo Stato, i Sigg. G. A. e P. A. (“i richiedenti”), hanno investito la Corte l’ 8 luglio 1999 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. A seguito del decesso del secondo richiedente, le Sig.re M S. e L. A., rispettivamente la vedova e la figlia del de cujus, hanno espresso il desiderio di continuare nel procedimento dinnanzi alla Corte a nome del Sig. P. A.. Per ragioni di ordine pratico, la Corte continuerà a chiamare i Sigg. G. e P. A. “i richiedenti.”
3. I richiedenti sono rappresentati da C. M, avvocato a Benevento. Il governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato successivamente dai suoi agenti, i Sigg. I.M. Braguglia e R. Adamo, e dai suoi coagenti, i Sigg. V. Esposito e F. Crisafulli, così come dal suo coagente aggiunto, il Sig. N. Lettieri.
4. Il 30 agosto 2006, la Corte ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Come permesso dall’articolo 29 § 3 della Convenzione, ha deciso inoltre che sarebbero stati esaminati l’ammissibilità ed il merito della causa allo stesso tempo.
IN FATTO
LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
5. I richiedenti sono nati rispettivamente nel 1940 e nel 1943 e hanno risieduto a Napoli.
A. Il procedimento principale
6. Il 29 giugno 1989, i richiedenti citarono la società S. e L.P. dinnanzi al tribunale di Cassino, per ottenere risarcimento dei danni subiti all’epoca del deposito di certi materiali sulla loro proprietà (R.G. no 1218/89). I richiedenti chiesero in particolare 20 420 000 lire [10 546,05 euro (EUR)].
Delle tredici udienze fissate tra il 27 ottobre 1989 ed il 27 marzo 1996, tre furono rinviate d’ufficio ed una a causa di uno sciopero degli avvocati.
L’udienza delle arringhe ebbe luogo il 31 maggio 1996.
7. Con un giudizio dello stesso giorno il cui testo fu depositato alla cancelleria
l’11 giugno 1996, il tribunale respinse l’istanza dei richiedenti.
8. Il 21 luglio 1997, i richiedenti interposero appello dinnanzi alla corte di appello di Roma (R.G. no 2444/97). La prima udienza si tenne il 15 dicembre 1997. Delle tre udienze fissate tra il 23 febbraio 1998 ed il 19 maggio 1999, una fu rinviata su richiesta delle parti.
L’udienza delle arringhe ebbe luogo il 17 maggio 2000.
9. Con una sentenza del 24 maggio 2000 il cui testo fu depositato alla cancelleria il
13 settembre 2000, la corte respinse l’istanza dei richiedenti.
B. Il procedimento “Pinto”
10. Il 15 ottobre 2001, i richiedenti investirono la corte di appello di Perugia ai termini della legge no 89 del 24 marzo 2001, detta “legge Pinto”, per lamentarsi della durata eccessiva del procedimento descritto sopra. Chiesero alla corte di concludere alla violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione e di condannare lo stato italiano al risarcimento dei danni morali subiti. Chiesero in particolare un minimo di 24 000 000 lire [12 394,97 EUR] a titolo di danno morale.
11. Con una decisione dell’ 11 febbraio 2002 il cui testo fu depositato alla cancelleria il 28 febbraio 2002, la corte di appello constatò il superamento di una durata ragionevole. Accordò globalmente 3 000 EUR in equità, o 1 500 EUR ad ogni richiedente, come risarcimento del danno morale e 2 450 EUR per oneri e spese.
Questa decisione fu notificata al ministero della giustizia il 10 luglio 2002 ed acquisì autorità di cosa giudicata il 24 ottobre 2002.
Con una lettera del 6 dicembre 2002, i richiedenti informarono la Corte del risultato del procedimento nazionale e la pregarono di riprendere l’esame della loro richiesta.
Con una lettera del 21 gennaio 2003, informarono anche la Corte che non erano ricorsi in cassazione.
12. La somma accordata in esecuzione della decisione Pinto fu pagata nell’ aprile 2003, nonn essendo in grado i richiedenti di indicare la data esatta del pagamento.
II. IL DIRITTO E LA PRATICA INTERNA PERTINENTI
13. Il diritto e la pratica interna pertinenti figurano nella sentenza Cocchiarella c. Italia ([GC], no 64886/01, §§ 23-31, CEDH 2006 -…).
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
14. I richiedenti adducono che la durata del procedimento ha ignorato il principio del “termine ragionevole” come previsto dall’articolo 6 § 1 della Convenzione, così formulato:
“Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia sentita in un termine ragionevole, da un tribunale che deciderà, delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile “
15. Il Governo si oppone a questa tesi.
A. Sull’ammissibilità
16. Dopo avere esaminato i fatti della causa e gli argomenti delle parti, la Corte stima che la correzione si è rivelata insufficiente e che il pagamento della somma “Pinto” si è rivelato tardivo (vedere, tra altre, Delle Cave e Corrado c. Italia, no 14626/03, §§ 26-31, 5 giugno 2007 e Cocchiarella c. Italia, precitata). Pertanto, i richiedenti possono sempre definirsi “vittime” ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione.
17. La Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente male fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione e non incontra nessun altro motivo di inammissibilità.
B. Sul merito
18. In quanto alla durata del procedimento, la Corte stima che il periodo da considerare si estende dal 29 giugno 1989, giorno dell’introduzione dell’istanza dei richiedenti dinnanzi al tribunale di Cassino, fino al 13 settembre 2000, data del deposito alla cancelleria della decisione della corte di appello di Roma. È durata dunque più di undici anni e due mesi per due gradi di giurisdizione.
19. La Corte nota anche che la somma concessa dalla giurisdizione “Pinto” è stata versata solamente nell’aprile 2003, o più di tredici mesi dopo il deposito alla cancelleria della decisione della corte di appello: questo pagamento ha superato dunque largamente i sei mesi a contare dal momento in cui la decisione di indennizzo diventò esecutiva. Il fatto che il procedimento “Pinto” esaminato nel suo insieme, ed in particolare nella sua fase di esecuzione, non abbia fatto perdere ai richiedenti il loro requisito di “vittima” costituisce una circostanza aggravante in un contesto di violazione dell’articolo 6 § 1 per superamento del termine ragionevole. La Corte sarà dunque portata a ritornare su questa questione sotto l’angolo dall’articolo 41 (vedere Cocchiarella c. Italia, precitata, § 120).
20. Dopo avere esaminato i fatti alla luce delle informazione fornite dalle parti, e tenuto conto della sua giurisprudenza in materia la Corte stima, che nello specifico, la durata del procedimento controverso è eccessiva e non soddisfa l’esigenza del “termine ragionevole.”
Pertanto, c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.
II. SULLE ALTRE VIOLAZIONI ADDOTTE
21 I richiedenti si lamentano anche della violazione degli articoli 14, 17 e 34 della Convenzione, al motivo che sarebbero stati vittime di una discriminazione fondata sulla ricchezza, tenuto conto degli oneri avanzati per intentare il procedimento “Pinto” così come del rischio di essere condannati a pagare gli oneri di procedimento in caso di rigetto del loro ricorso.
22. La Corte stima che c’è luogo di esaminare questi motivi di appello sotto l’angolo del diritto di accesso ad un tribunale allo sguardo dell’articolo 6 della Convenzione. Osserva che benché un individuo possa essere ammesso, secondo la legge italiana, a favore dell’assistenza giudiziale gratuita in materia civile, i richiedenti non hanno chiesto questo aiuto. Rileva, inoltre, che ha potuto investire le giurisdizioni competenti ai termini della legge “Pinto” e che la corte di appello ha fatto diritto alla sua istanza accordandogli una somma a titolo degli oneri di procedimento. Ora, non si potrebbe parlare di ostacoli all’accesso ad un tribunale quando una parte, rappresentata da un avvocato, investe liberamente la giurisdizione competente e presenta dinnanzi a lei i suoi argomenti. Pertanto, non potendo scoprire nessuna apparenza di violazione, la Corte dichiara questi motivi di appello inammissibili perché manifestamente male fondati secondo l’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione (Nicoletti c. Italia, (déc.), no 31332/96, 10 aprile 1997).
III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
23. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
24. I richiedenti richiedono 9 394,97 euro (EUR) ciascuno a titolo del danno morale che avrebbero subito.
25. Il Governo contesta queste pretese.
26. La Corte stima che avrebbe potuto accordare ad ogni richiedente, in mancanza di vie di ricorso interne e tenuto conto della posta della controversia, la somma di 8 000 EUR. Il fatto che la corte di appello di Perugia abbia concesso a ciascuno dei richiedenti quasi il 19% di questa somma arriva ad un risultato manifestamente irragionevole. Di conseguenza, avuto riguardo alle caratteristiche della via di ricorso “Pinto” ed al fatto che sia giunta però ad una constatazione di violazione, la Corte, tenuto conto della soluzione adottata nella sentenza Cocchiarella c. Italia (precitata, §§ 139-142 e 146) e deliberando in equità, assegna ad ogni richiedente 2 100 EUR, così come 700 EUR a titolo della frustrazione supplementare derivante dal ritardo nel versamento dei 1 500 EUR ciascuno, intervenuto solamente nell’aprile 2003, o più di tredici mesi dopo il deposito alla cancelleria della decisione della corte di appello.
B. Oneri e spese
27. Giustificativi in appoggio, la richiedenti domanda anche 4 490,72 EUR per oneri e spese sostenuti dinnanzi alle giurisdizioni interne ed a Strasburgo.
28. Il Governo contesta queste pretese.
29. Secondo la giurisprudenza della Corte, il sussidio di oneri e spese a titolo dell’articolo 41 presuppone che stabiliscano la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevole del loro tasso (Can ed altri c. Turchia, no 29189/02, del 24 gennaio 2008, § 22). In quanto agli oneri e spese sostenuti dinnanzi alla corte di appello “Pinto”, stimando ragionevole la somma assegnata dall’istanza interna, la Corte respinge questa richiesta. In quanto agli oneri e spese sostenuti dinnanzi a lei, stima che nella cornice della preparazione della presente richiesta, certi oneri sono stati sostenuti. Quindi, deliberando in equità, la Corte giudica ragionevole concedere ad ogni richiedente 500 EUR a questo titolo.
C. Interessi moratori
30. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile in quanto al motivo di appello derivato dall’articolo 6 della Convenzione ed inammissibile per il surplus;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
3. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare ad ogni richiedente, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
i. 2 800 EUR (duemila otto cento euro) più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta, per danno morale;
ii. 500 EUR (cinque cento euro) più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta da ogni richiedente, per oneri e spese,;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale,;
4. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 22 luglio 2008, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Sally Dollé Francesca Tulkens
Cancelliera Presidentessa