SECONDA SEZIONE
CAUSA ATZEI C. ITALIA
(Richiesta no 11978/03)
SENTENZA
STRASBURGO
16 marzo 2010
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Atzei c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Ireneu Cabral Barreto, Vladimiro Zagrebelsky, Danutė Jočienė, Dragoljub Popović, András Sajó, Nona Tsotsoria, giudici,
e da Francesca Elens-Passos, cancelliera collaboratrice di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 23 febbraio 2010,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 11978/03) diretta contro la Repubblica italiana e in cui un cittadino di questo Stato, il Sig. M. A. (“il richiedente”), ha investito la Corte il 25 marzo 2003 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente è rappresentato da V. P., avvocato a Sassari. Il governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo agente, il Sig. I.M. Braguglia e dal suo coagente aggiunto, il Sig. N. Lettieri.
3. Il 29 agosto 2006, la Corte ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Come permesso dall’articolo 29 § 3 della Convenzione, ha deciso inoltre che sarebbero stati esaminati l’ammissibilità ed il merito della causa allo stesso tempo.
IN FATTO
LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
4. Il richiedente è nato nel 1934 e risiede ad Olbia.
A. Il procedimento principale
5. Il 15 ottobre 1986, il richiedente citò i Sigg. F.C. e C.G. ed la società I. dinnanzi al tribunale di Tempio Pausania per ottenere il pagamento per la sua attività di mediatore all’epoca della vendita di un terreno (RG no 761/86).
6. Delle diciassette udienze fissate tra il 19 gennaio 1987 ed il 21 maggio 1992, quattro furono rinviati su richiesta delle parti, una su richiesta del richiedente, tre d’ ufficio. All’udienza del 17 dicembre 1992, il giudice del collocamento in stato decretò la sospensione del procedimento, non avendo la società I. più di interesse ad agire.
7. Il 23 gennaio 1993, il richiedente riprese il procedimento. Delle sedici udienze fissate tra il 3 giugno 1993 ed il 13 giugno 2002, cinque furono rinviate su richiesta delle parti o in ragione della loro mancanza ed una per il fatto che il richiedente aveva cambiato avvocato.
8. Con un giudizio depositato il 19 agosto 2003, il tribunale respinse l’istanza del richiedente.
9. In una data non precisata nel 2004, questo ultimo investì la corte di appello di Cagliari (RG no 78/04) che lo respinse con una sentenza depositata il 10 dicembre 2008.
10. Il 24 aprile 2009, il richiedente ricorse in cassazione.
11. Secondo le informazione fornite dal richiedente il 18 giugno 2009, il procedimento era ancora, in questa data, pemdente dinnanzi alla Corte di cassazione.
B. Il procedimento “Pinto”
12. Il 6 settembre 2001, il richiedente investì la corte di appello di Palermo ai sensi della legge “Pinto”, chiedendo 16 900 euro (EUR) a titolo di danno morale per la durata eccessiva del procedimento.
13. Con una decisione del 14 novembre 2002, depositata il 23 novembre 2002, la corte di appello constatò il superamento di una durata ragionevole. Accordò 1 500 EUR in equità come risarcimento del danno morale e 995 EUR per oneri e spese. Questa decisione diventò definitiva al più tardi il 7 gennaio 2004.
14. Le somme accordate in esecuzione della decisione Pinto furono pagate il 16 settembre 2003.
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
15. Invocando l’articolo 6 § 1 della Convenzione, il richiedente si lamenta della durata del procedimento principale e dell’insufficienza dell’indennizzo “Pinto” che è stato versato peraltro in ritardo.
16. Il Governo si oppone a questa tesi.
17. L’articolo 6 § 1 della Convenzione è formulato così:
“Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia sentita in un termine ragionevole, da un tribunale che deciderà, delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile .”
A. Sull’ammissibilità
1. Tardività della richiesta
18. Il Governo eccepisce della tardività della richiesta per il fatto che il richiedente avrebbe omesso di investire la Corte nei sei seguenti mese la decisione interna contestata.
19. La Corte rileva che la decisione interna definitiva, ai sensi dell’articolo 35 § 1 della Convenzione, è la decisione della corte di appello “Pinto” depositata il 23 novembre 2002 che è passata in giudicato il 7 gennaio 2004, o dopo la data di introduzione di questa richiesta, ossia il 25 marzo 2003. Respinge pertanto l’eccezione.
2. Requisito di “vittima”
20. Il Governo sostiene che il richiedente non può più definirsi “vittima” della violazione dell’articolo 6 § 1 perché ha ottenuto dalla corte di appello “Pinto” una constatazione di violazione ed una correzione appropriata e sufficiente.
21. Afferma che la corte di appello “Pinto” ha deciso la causa in conformità coi criteri di indennizzo emanati della giurisprudenza della Corte disponibile all’epoca del procedimento “Pinto.” Sottolinea che sarebbe inadatto valutare la valutazione della corte di appello, fatta alcuni mesi dopo l’entrata in vigore della legge “Pinto”, sulla base dei criteri introdotti dalla Corte nelle sue sentenze della Grande Camera del 29 marzo 2006 (ex pluribus, Cocchiarella c. Italia [GC], no 64886/01, CEDH 2006-V). Secondo il Governo, gli indennizzi che risulterebbero dall’applicazione alle “cause del passato” di questi criteri, concepiti per l’epoca reale, sarebbero almeno doppi e talvolta tripli rispetto a quelle accordate nelle richieste italiane di durata decise prima dalla Corte.
22. Secondo il Governo, i criteri stabiliti dalla Grande Camera arriverebbero a risultati irragionevoli, ingiusti ed incompatibili con lo spirito e gli scopi della Convenzione. Gli indennizzi che la Corte concede nelle richieste italiane di durata in applicazione di questi criteri sarebbero prima doppi o tripli rispetto a queste accordate nelle cause simili da altri paesi che allo stesso modo non disporrebbero di un rimedio interno contro la durata eccessiva dei procedimenti.
23. Il Governo precisa infine che ai termini della legge “Pinto”, solamente gli anni che superano la durata “ragionevole” possono essere presi in conto per determinare l’importo dell’indennizzo da concedere da parte della corte di appello.
24. La Corte ricorda di avere respinto già gli argomenti del Governo nelle sentenze Aragosa c. Italia (no 20191/03) § § 17-24, 18 dicembre 2007) e Simaldone c. Italia,( no 22644/03, §§19-33, CEDH 2009 -… (brani)). Non vede nessun motivo per derogare alle sue precedenti conclusioni e respinge dunque questa eccezione.
25. La Corte, dopo avere esaminato l’insieme dei fatti della causa e gli argomenti delle parti, considera che la correzione si è rivelata insufficiente (vedere Delle Cave e Corrado c. Italia, no 14626/03, §§ 26-31, 5 giugno 2007; Cocchiarella c. Italia, precitata, §§ 69-98) e che la somma “Pinto” non è stata versata nei sei mesi a partire dal momento in cui la decisione della corte di appello diventò esecutiva (Cocchiarella c. Italia, precitata, § 89). Pertanto, il richiedente può sempre definirsi “vittima”, ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione.
3. Conclusione
26. La Corte constata che la richiesta non incontra nessun altro dei motivi di inammissibilità iscritti all’articolo 35 § 3 della Convenzione. Allo stesso modo, la dichiara ammissibile.
B. Sul merito
27. La Corte constata che il procedimento che è cominciato il 15 ottobre 1986, era durato fino al 14 novembre 2002, data della decisione “Pinto”, sedici anni ed un mese per un grado di giurisdizione. Inoltre, la somma concessa dalla giurisdizione “Pinto” è stata versata il 16 settembre 2003, o più di undici mesi dopo il deposito alla cancelleria della decisione della corte di appello (23 novembre 2002).
28. La Corte ha trattato a più riprese cause che sollevavano delle questioni simili a quella del caso di specie e ha constatato un’incomprensione dell’esigenza del “termine ragionevole”, tenuto conto dei criteri emanati dalla sua giurisprudenza in materia ben consolidata (vedere, in primo luogo, Cocchiarella c. Italia, precitata). Non vedendo niente che possa condurre ad una conclusione differente nella presente causa, la Corte stima che c’è luogo allo stesso modo di constatare una violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione, per lo stesso motivo.
IV. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
29. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
30. La Corte constata che, nel formulario di richiesta, il richiedente richiedeva un risarcimento per il danno morale subito così come il rimborso degli oneri e delle spese del procedimento dinnanzi alla Corte.
31. Il richiedente ha omesso tuttavia di fare le sue richieste di soddisfazione equa nel termine assegnato dalla Corte, ossia il 9 marzo 2007, sebbene abbia continuato ad informare la Corte sugli sviluppi del procedimento principale posteriore alla comunicazione della richiesta al Governo. Pertanto, la Corte stima che non c’è luogo di concedere alcuna somma a titolo dell’articolo 41.
CON QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile;
2. Satbilisce che c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 16 marzo 2010, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Francesca Elens-Passos Francesca Tulkens
Cancelliera collaboratrice Presidentessa