Conclusioni: Eccezione preliminare considerata, Articolo 34 – Vittima, Parzialmente inammissibile Violazione dell’articolo 6 – Diritto ad un processo equo, Articolo 6 – Procedimento civile Articolo 6-1 – Termine ragionevole, Danno morale- risarcimento
SECONDA SEZIONE
CAUSA ARMANDO IANNELLI C. ITALIA
( Richiesta no 24818/03)
SENTENZA
STRASBURGO
12 febbraio 2013
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Armando Iannelli c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Danutė Jočienė, presidentessa,
Guido Raimondi,
Peer Lorenzen,
Dragoljub Popović,
Işıl Karakaş,
Nebojša Vučinić,
Paulo Pinto di Albuquerque, giudici ,e
di Stanley Naismith, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 22 gennaio 2013,
Rende la sentenza che ha, adottata a questa data,:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 24818/03) diretta contro la Repubblica italiana e in cui un cittadino di questo Stato, OMISSIS (“il richiedente”), ha investito la Corte il 6 aprile 1999 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”). Con una lettera del 15 settembre 2006, il Sig. OMISSIS hanno informato la cancelleria di del fatto che desiderano costituirsi nel procedimento dinnanzi alla Corte in quanto eredi del richiedente nel frattempo deceduto. Per ragioni di ordine pratico, la Corte continuerà a chiamare OMISSIS “il richiedente.”
2. Il richiedente è stato rappresentato da OMISSIS, avvocati a Benevento. Il governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo agente, la Sig.ra E. Spatafora, dal suo ex coagente il Sig. N. Lettieri e dal suo coagente la Sig.ra P. Accardo.
3. Il richiedente adduceva un attentato ingiustificato al diritto al rispetto dei suoi beni così come un attentato al diritto ad un processo equo in ragione della durata eccessiva del procedimento.
4. Il 26 maggio 2006, la richiesta è stata comunicata al Governo. Come permette l’articolo 29 § 1 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la camera si sarebbe pronunciata sull’ammissibilità ed il merito allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
5. Nato nel 1923 e residente a San Bartolomeo in Galdo all’epoca dell’introduzione della richiesta, il richiedente è deceduto in una data non precisata.
6. I fatti della causa, come sono stati esposti dalle parti, si possono riepilogare come segue.
7. Il richiedente era proprietario di un terreno di 5 590 metri quadrati ubicato a San Bartolomeo in Galdo e registrato al catasto, foglio 58, appezzamenti 74 e 75 su cui si trovava un immobile.
8. Con un’ordinanza del 16 novembre 1989, il consiglio comunale di San Bartolomeo in Galdo approvò il progetto di costruzione sul terreno del richiedente di un ospedale la cui gestione sarebbe stata affidata all’unità sanitaria locale (“USL”).
9. Con un’ordinanza notificata al richiedente l’ 11 agosto 1990, il sindaco di San Bartolomeo in Galdo ordinò l’occupazione di emergenza del terreno in vista della sua espropriazione, per procedere alla costruzione dell’ospedale, appellandosi in particolare al progetto di costruzione approvato il 16 novembre 1989.
10. In una data non precisata, il richiedente attaccò suddetta ordinanza dinnanzi al tribunale amministrativo regionale della Campania (“TAR”). Con una decisione del 28 agosto 1990, il TAR sospese l’esecuzione dell’ordinanza.
11. Con un’ordinanza del 15 ottobre 1990, il consiglio comunale di San Bartolomeo in Galdo approvò un nuovo progetto di costruzione dell’ospedale ed un nuovo procedimento di espropriazione.
12. Tenuto conto dell’adozione di questo nuovo progetto di costruzione, con un giudizio depositato alla cancelleria il 18 febbraio 1993, il TAR respinse al fondo il ricorso del richiedente, al motivo che l’ordinanza che autorizzava l’occupazione del terreno si appellava oramai al progetto di costruzione approvato il 15 ottobre 1990 ed era conforme alla legge.
13. L’occupazione del terreno del richiedente ebbe luogo il 3 giugno 1993 ed i lavori di costruzione furono iniziati il 3 agosto 1995. Questi lavori compresero la distruzione dell’immobile che si trova sul terreno.
1. Il procedimento principale
14. Con due atti di citazione notificati rispettivamente il 23 ottobre 1993 ed il 27 dicembre 1994, il richiedente introdusse due azioni in danno-interessi contro la municipalità di San Bartolomeo in Galdo e dell’USL dinnanzi al tribunale di Benevento. Addusse che l’occupazione del terreno era illegale fin dall’inizio e chiese la restituzione del terreno controverso e, nel caso dove questa sarebbe stato impossibile in ragione della trasformazione irreversibile del bene, un risarcimento per la perdita di questo.
15. In una data non precisata, il tribunale di Benevento riunisce i due procedimenti.
16. Il 29 gennaio 1997, una perizia fu depositata alla cancelleria. Il perito valutò a 357 600 000 ITL (184 685 EUR circa, il valore commerciale del terreno nel 1995, a sapere al momento della sua trasformazione irreversibile, ed a 180 053 900 ITL (92 990 EUR circa, l’importo dell’indennità dovuta ai termini dell’articolo 5 bis della legge no 359 del 1992. Inoltre, il perito valutò a 56 500 000 ITL (29 180 EUR circa, l’indennità dovuta per la distruzione durante i lavori, dell’immobile ubicato sul terreno, ed a 84 765 147 ITL (43 778 EUR circa, l’importo dell’indennità dovuta per il no-godimento del terreno.
17. Con un giudizio depositato alla cancelleria il 15 aprile 2005, il tribunale di Benevento dichiarò di prima che l’USL non poteva essere considerato come responsabile per il danno subito dal richiedente in ragione della perdita del suo terreno. Inoltre, il tribunale giudicò che l’occupazione del terreno era illegale ab initio al motivo che l’ordinanza che autorizzava questa non era conforme alla legge. Per questi motivi, il tribunale stimò che la riduzione dell’indennità, ai termini dell’articolo 5 bis della legge no 359 del 1992, non era applicabile nello specifico e che il richiedente aveva diritto ad un risarcimento corrispondente al valore venale del terreno controverso. Tuttavia, il tribunale non divise la valutazione del valore venale del terreno e delle altre indennità effettuato dal perito commesso di ufficio e condannò la municipalità di San Bartolomeo in Galdo a versare al richiedente un risarcimento globale di 129 114,12 EUR.
18. La municipalità di San Bartolomeo in Galdo interpose appello, facendo valere che il richiedente aveva perso la proprietà del terreno in ragione della trasformazione irreversibile, che si trattava nello specifico di un’espropriazione indiretta e che l’indennità di espropriazione doveva essere determinata secondo i criteri contemplati 5 bis all’articolo della legge no 359 del 1992. Il richiedente interpose appello incidentale ed addusse che era stato privato illecitamente del suo terreno e che aveva diritto ad un risarcimento all’altezza il valore venale.
19. Con una sentenza depositata alla cancelleria il 30 giugno 2011, la corte di appello di Napoli stimò che si trattava nello specifico di un’espropriazione illegittimo ab initio, al motivo che l’ordinanza di occupazione non era conforme alla legge. La corte di appello sottolineò che, alla luce dei sentenze no 348 e 349 del 2007 della Corte Costituzionale che dichiara l’incostituzionalità dell’articolo 5 bis della decreto-legge no 333 del 11 luglio 1992, come modificato dalla legge no 662 del 1996, l’espropriazione indiretta è contraria all’articolo 1 del Protocollo no 1, come interpretato con la giurisprudenza della Corte, e provoca l’obbligo per l’amministrazione di versare agli interessati un risarcimento all’altezza il valore venale del terreno espropriato. Quindi, la corte di appello accordò al richiedente un risarcimento di 193 331,58 EUR, corrispondendo al valore venale del terreno, stabilito dal perito, più rivalutazione ed interessi a partire dalla data di trasformazione irreversibile del terreno, a sapere il 3 agosto 1995. Ne più di questa somma, la corte di appello condannò la municipalità a versare al richiedente 41 897,34 EUR a titolo di indennità di occupazione.
2. Il procedimento “Pinto”
20. Con un ricorso depositato alla cancelleria il 5 aprile 2002, il richiedente investe la corte di appello di Roma al senso del “legge Pinto”, per lamentarsi della durata del procedimento dinnanzi al tribunale di Benevento descritto sopra. Sollecitò il risarcimento dei danni e chiese la somma di 7 747 EUR.
21. Con una decisione del 24 marzo 2003, depositato alla cancelleria il 10 aprile 2003, la corte di appello constatò il superamento di una durata ragionevole. Respinse come no-supportata la domanda relativa al danno patrimoniale ed accordò al richiedente 1 200 EUR a titolo di danno moralee 700 EUR per oneri e spese.
22. Risulta della pratica che questa decisione fu notificata all’amministrazione il 19 maggio 2003 ed acquisì l’autorità della cosa giudicata il 18 luglio 2003.
II. IL DIRITTO E LA PRATICA INTERNE PERTINENTI
23. Il diritto interno pertinente si trova descritto nella sentenza Guiso-Gallisay c. Italia (soddisfazione equa) [GC], no 58858/00, 22 dicembre 2009 (§§ 16-48).
24. In particolare, in quanto agli ultimi sviluppi intervenuti in dritto interno, la Corte nota che con le sentenze i nostri 348 e 349 del 22 ottobre 2007, la Corte Costituzionale ha giudicato che la legge interna debba essere compatibile con la Convenzione nell’interpretazione data dalla giurisprudenza della Corte e, di conseguenza, ha dichiarato incostituzionale l’articolo 5 bis della decreto-legge no 333 del 11 luglio 1992, come modificato dalla legge no 662 del 1996.
25. La Corte Costituzionale, nella sentenza no 349, ha rilevato che il livello insufficiente di indennizzo previsto dalla legge del 1996 era contrario all’articolo 1 del Protocollo no 1 e di conseguenza all’articolo 117 della Costituzione italiana che contempla il rispetto degli obblighi internazionali.
26. Seguito alle sentenze della Corte costituzionale, delle modifiche legislative sono intervenute in dritto interno. L’articolo 2/89 e, della legge di finanze no 244 del 2007 ha stabilito che in un caso di espropriazione indiretta il risarcimento deve corrispondere al valore venale dei beni, nessuna riduzione essendo ammessa.
27. Questa disposizione è applicabile a tutti i procedimenti in corso al 1 gennaio 2008, salvo queste dove la decisione sull’indennità di espropriazione o sul risarcimento è stato accettato o è diventata definitiva.
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 1
28. Il richiedente adduce che è stato così privato del suo terreno in modo incompatibile con l’articolo 1 del Protocollo no1 formula:
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non a causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non recano offesa al diritto che possiedono gli Stati di mettere in vigore le leggi che giudicano necessarie per regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale o per garantire il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle multe. “
29. Il Governo si oppone a questa tesi.
Sull’ammissibilità
30. Nelle sue osservazioni, depositate alla cancelleria della Corte il 22 settembre 2006, il Governo affermava che il richiedente non era più “vittima”, al senso dell’articolo 34 della Convenzione, poiché aveva ottenuto del tribunale di Benevento un risarcimento corrispondente al valore venale del terreno espropriato.
31. La Corte ricorda di avere già esaminato delle eccezioni simili in altre cause concernenti le espropriazioni indirette. In queste cause, aveva concluso che il semplice fatto che il richiedente abbia ricevuto un indennizzo che corrisponde al valore venale del terreno espropriato non basta in si a togliere egli la qualità di “vittima”, sebbene ciò possa sostenere un ruolo sul terreno dell’articolo 41, Di Angelis ed altri c. Italia, no 68852/01, § 57, 21 dicembre 2006; Carbonara e Ventura c. Italia, no 24638/94, § 62, CEDH 2000-VI; Di Sciscio c. Italia, no 176/04, § 53, 20 aprile 2006. Una decisione o una misura favorevole al richiedente non basta in principio a togliere la qualità di “vittima” che se le autorità nazionali hanno riconosciuto, esplicitamente o in sostanza, poi riparata la violazione della Convenzione (vedere Guerrera e Fusco c). Italia, no 40601/98, § 53, 3 aprile 2003; Amuur c. Francia del 25 giugno 1996, Raccolta 1996-III, p. 846, § 36.
32. Nello specifico, la Corte stima di dovere esaminare la qualità di vittima del richiedente alla luce del cambiamento di legislazione intervenuto in seguito alle sentenze della Corte Costituzionale numero 348 e 349 del 22 ottobre 2007. Ricorda che appartiene alle autorità nazionali risanare una violazione addotta della Convenzione in primo luogo. A questo riguardo, la questione di sapere se un richiedente può definirsi vittima della trasgressione addotta si posi a tutti gli stadi del procedimento allo sguardo della Convenzione ed implichi essenzialmente per la Corte di concedersi ad un esame ex post facto della situazione della persona riguardata, Cocchiarella c. Italia [GC], no 64886/01, §§ 70-72, CEDH 2006-V.
33. La Corte riafferma che le appartiene innanzitutto verificare se c’è stata riconoscenza da parte delle autorità, almeno in sostanza, di una violazione di un diritto protetto dalla Convenzione, Cocchiarella c. Italia precitata, § 84.
34. Rileva che con le sue sentenze i nostri 348 e 349 del 2007, la Corte Costituzionale italiana ha dichiarato l’incostituzionalità dell’articolo 5 bis della decreto-legge no 333 del 11 luglio 1992, come modificato dalla legge no 662 del 1996, poiché contrario all’articolo 1 del Protocollo no 1, come interpretato con la giurisprudenza della Corte. In seguito, la legge di finanze no 244 del 2007 ha stabilito che i proprietari espropriati devono ottenere un risarcimento corrispondente al valore intero del bene, nessuna riduzione che non è più ammessa.
35. Facendo applicazione di questi principi, la corte di appello di Napoli, in una sentenza del 30 giugno 2011, ha stimato che l’espropriazione indiretta del terreno del richiedente era contraria all’articolo 1 del Protocollo no 1, come interpretato con la giurisprudenza della Corte, e provocava una violazione del diritto di proprietà del richiedente ed un obbligo per l’amministrazione di riparare la violazione. La corte di appello condannò quindi l’amministrazione a versare un indennizzo che corrisponde al valore venale del terreno, più rivalutazione ed interessi a partire dalla data di trasformazione irreversibile del terreno espropriato al richiedente.
36. La Corte stima che la corte di appello di Napoli ha constatato esplicitamente la violazione del diritto di proprietà del richiedente. Inoltre, considera che la correzione riconosciuta da questa giurisdizione, conforma ai criteri di calcolo stabilito dalla Corte nel sentenza Guiso Gallisay (precitata, § 105, costituisci una correzione appropriata e sufficiente.
37. Alla luce di queste considerazioni, il richiedente non può più definirsi vittima della violazione addotta al senso dell’articolo 34 della Convenzione, Holzinger c. Austria (no 1), no 23459/94, § 21, CEDH 2001-I. Perciò, questa parte della richiesta è incompatibile ratione personae con le disposizioni della Convenzione al senso dell’articolo 35 § 3 e deve essere respinta in virtù dell’articolo 35 § 4.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
38. Il richiedente si lamenta della durata del procedimento così come dell’insufficienza dell’indennizzo ottenuto dalla corte di appello “Pinto.”
39. Le parti pertinenti dell’articolo 6 § 1 sono formulati così:
“Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia sentita in un termine ragionevole, da un tribunale che deciderà, delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile. “
40. Il Governo contesta questa tesi.
A. Sull’ammissibilità
41. Il Governo solleva un’eccezione di non -esaurimento delle vie di ricorso interne. Fa valere che il richiedente non si è ricorso in cassazione contro la decisione della corte di appello di Roma.
42. La Corte rileva che la decisione della corte di appello di Roma è diventata definitiva il 18 luglio 2003. Alla luce della sua giurisprudenza, Di Salute c. Italia, no 56079/00, 24 giugno 2004, respinge questa eccezione.
43. Peraltro, dopo avere esaminato i fatti della causa e gli argomenti delle parti, la Corte stima, alla luce della giurisprudenza invalsa in materia, Provide S.r.l. c. Italia, no 62155/00, §§ 20-25, CEDH 2007, 5 luglio 2007, che la correzione si è rivelata insufficiente e che gli eredi del richiedente possono sempre definirsi “vittime” al senso dell’articolo 34 della Convenzione.
44. La Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente male fondato al senso dell’articolo 35 § 3 ha, della Convenzione. La Corte rileva, peraltro, che non cozza contro nessuno altro motivo di inammissibilità. Conviene dichiararlo ammissibile dunque.
B. Sul merito
45. La Corte constata che il procedimento principale è cominciato il 23 ottobre 1993 e che era pendente ancora in prima istanza il 24 marzo 2003, data in cui la corte di appello “Pinto” ha reso la sua decisione.
46. La Corte rileva che la corte di appello di Roma ha valutato la durata del procedimento alla data della sua decisione, a sapere il 24 marzo 2003. Il procedimento essendo finito si il 30 giugno 2011, un periodo di circa otto anni e due mesi non è potuto essere presa in considerazione con la corte di appello.
47. La Corte rileva che in ciò che riguarda la fase posteriore al 24 marzo 2003, il richiedente avrebbe dovuto esaurire di nuovo le vie di ricorso interni che sequestrano una nuova volta la corte di appello al senso del legge “Pinto.” Allo visto di ciò che precede, l’esame della Corte sarà limitato alla durata del procedimento avendo fatto l’oggetto di un esame con la corte di appello “Pinto”, Musci c. Italia [GC], no 64699/01, § 116, CEDH 2006-V (brani); Gattuso c. Italia, déc.), no 24715/04.
48. La Corte ha trattato a più riprese delle richieste che sollevano delle questioni simili a quella del caso di specifico e ha constatato un’incomprensione dell’esigenza del “termine ragionevole”, tenuto conto dei criteri emanati in materia dalla sua giurisprudenza buona invalsa (vedere, in primo luogo, Cocchiarella c. Italia, precitata). Non vedendo niente che possa condurre ad una conclusione differente nella presente causa, la Corte stima che c’è luogo anche di constatare una violazione dell’articolo 6 § 1.
III. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 13 DELLA CONVENZIONE
49. Invocando l’articolo 13, il richiedente si lamenta presumibilmente dell’inefficacia del rimedio “Pinto” in ragione dell’importo insufficiente.
50. La Corte ricorda che l’articolo 13 della Convenzione garantisce l’esistenza in dritta interno di un ricorso che permette di si prevalere dei diritti e libertà come possono si trovare consacrati. Implica che l’istanza nazionale competente è abilitata, da prima, a conoscere del contenuto del motivo di appello fondato sulla Convenzione e, poi, ad offrire una correzione adeguata nei casi che lo meritano (vedere Mifsud c). Francia, déc.) [GC], no 57220/00, § 17, ECHR 2002-VIII; Scordino c. Italia (no 1) [GC], no 36813/97, §§ 186-188, CEDH 2006; Sürmeli c. Germania [GC], no 75529/01, § 98, 8 giugno 2006. Ciò che è, il diritto ad un ricorso effettivo al senso della Convenzione non saprebbe essere interpretato come generoso diritto a ciò che una domanda sia accolta nel senso desiderato dall’interessato (Sürmeli, precitata, § 98.
51. Nello specifico, la corte di appello di Roma aveva bene competenza per pronunciarsi sul motivo di appello del richiedente e ha proceduto effettivamente al suo esame. Agli occhi della Corte, l’insufficienza dell’indennizzo “Pinto” non rimette in causa, a questo giorno, l’efficacia di questa via di ricorso, Gagliano Giorgi, no 23563/07, § 79, 6 marzo 2012; Delle Cantina e Corrado, nº 14626/03, §§ 43-46, 5 giugno 2007,
52. Pertanto, c’è luogo di dichiarare questo motivo di appello inammissibile per difetto manifesto di fondamento al senso dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
IV. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
53. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno morale
54. Gli eredi del richiedente chiedono la somma di 12 000 EUR ciascuno per il danno morale subito in ragione della durata eccessiva del procedimento.
55. Il Governo si oppone.
56. La Corte stima che avrebbe potuto accordare alla parte ricorrente, in mancanza di vie di ricorso interni e tenuto conto della posta della controversia, 12 000 EUR. Il fatto che la corte di appello di Roma abbia concesso al OMISSIS il 10% di questa somma arriva ad un risultato irragionevole. Di conseguenza, avuto riguardo alle caratteristiche della via di ricorso “Pinto” ed al fatto che sia giunta però ad una constatazione di violazione, la Corte, tenuto conto della soluzione adottata nella sentenza Cocchiarella c. Italia (precitata, §§ 139-142 e 146) e deliberando in equità, assegna congiuntamente agli eredi del richiedente 4 200 EUR.
B. Oneri e spese
57. Giustificativi all’appoggio, gli eredi del richiedente chiedono anche 53 585,78 EUR per gli oneri e spese impegnate dinnanzi alla Corte.
58. Il Governo si oppone e fa valere che il sono richieste sono eccessive.
59. Secondo la giurisprudenza della Corte, un richiedente non può ottenere il rimborso dei suoi oneri e spese che nella misura in cui si trovano stabilisco la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevoli del loro tasso.
60. La Corte non dubita della necessità di impegnare degli oneri, ma trova eccessive le parcelle totali rivendicati a questo titolo. Considera quindi che c’è luogo di rimborsarne solo in parte. Tenuto conto delle circostanze della causa, la Corte giudica ragionevole assegnare congiuntamente un importo di 2 000 EUR agli eredi del richiedente per l’insieme degli oneri esposti.
C. Interessi moratori
61. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentata di tre punti di percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile in quanto al motivo di appello tratto dall’articolo 6 § 1 della Convenzione ed inammissibile per il surplus;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
3. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare congiuntamente agli eredi del richiedente, entro tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
i, 4 200 EUR, quattromila due cento euro , più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta, per danno morale;
ii, 2 000 EUR, duemila euro, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta dagli eredi del richiedente, per oneri e spese;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
4. Respingw la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 12 febbraio 2013, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Stanley Naismith Danutė Jočienė
Cancelliere Presidentessa