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Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE APOSTOLAKIS c. GRECE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 2
Articoli: 41, P1-1
Numero: 39574/07/2009
Stato: Grecia
Data: 2009-10-22 00:00:00
Organo: Sezione Prima
Testo Originale

Conclusione Violazione di P1-1 ; Danno materiale et pregiudizio morale – riparazione

PRIMA SEZIONE
CAUSA APOSTOLAKIS C. GRECIA
( Richiesta no 39574/07)
SENTENZA
STRASBURGO
22 ottobre 2009
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.

Nella causa Apostolakis c. Grecia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, prima sezione, riunendosi in una camera composta da:
Nina Vajić, presidentessa, Christos Rozakis, Khanlar Hajiyev, Dean Spielmann, Sverre Erik Jebens, Giorgio Malinverni, George Nicolaou, giudici,
e da Søren Nielsen, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 1 ottobre 2009,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 39574/07) diretta contro la Repubblica ellenica e in cui un cittadino di questo Stato, il Sig. M. A. (“il richiedente”), ha investito la Corte il 10 agosto 2007 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente è rappresentato da I. P., avvocato ad Atene. Il governo greco (“il Governo”) è rappresentato presso dai delegati del suo agente, la Sig.ra O. Patsopoulou, assessore del Consulente legale dello stato, ed il Sig. I. Bakopoulos, revisore presso il Consulente legale dello stato.
3. Il richiedente adduce una violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1.
4. Il 7 luglio 2008, la presidentessa della prima sezione ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Come permesso dall’articolo 29 § 3 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la Camera si sarebbe pronunciata sull’ammissibilità ed il merito allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
5. Il richiedente è nato nel 1938 e risiede a Neo Iraklio.
6. Il richiedente lavora dall’età di diciotto anni in un organismo di assicurazione delle libere professioni, la Cassa dei professionisti ed artigiani della Grecia (“TEVE”). Fu promosso alla funzione di direttore delle pensioni. Fu obbligato a licenziarsi in ragione di un procedimento penale impegnato a suo carico per falsificazione di libretti di assicurazione degli assicurati del TEVE.
7. Il 13 marzo 1998, la corte di appello di Atene giudicò il richiedente colpevole di avere assistito, dal 1976 al 1986, due altre persone che falsificavano dei libretti di assicurazione a scapito del TEVE. Lo condannò ad una pena di reclusione di undici anni. Il richiedente fu liberato sotto condizionale l’ 11 dicembre 1998, essendo stata dedotta la durata della sua detenzione provvisoria dalla sua pena dalla corte di appello.
8. Nel 1988, il richiedente si vide riconoscere il diritto ad una pensione d’anzianità di servizio , a contare dal 10 giugno 1987, dopo trent’ anni, sette mesi e cinque giorni di servizio. Tuttavia, dopo la liberazione del richiedente, il direttore delle pensioni dell’organismo di sicurezza sociale (“IKA”), con un atto del 17 dicembre 1999, annullò la sua decisione presa nel 1988 di accordare una pensione di anzianità di servizio al richiedente e trasferì una parte di questa pensione alla moglie ed alla figlia di questo, sulla base della condanna per il reato precitato e conformemente agli articoli 62 e 64 § 1 del codice delle pensioni (paragrafi 18-19 sotto). Il richiedente spiega che la pensione piena che gli era stata riconosciuta ammontava a 617, 14 euro (EUR) al mese e che sua moglie e sua figlia percepivano 432 EUR al mese. La soppressione della pensione di anzianità di servizio del richiedente provocò anche quella dei suoi diritti personali alla previdenza sociale.
9. Il richiedente formò un’obiezione contro questa decisione dinnanzi alla commissione di controllo degli atti dell’ordinamento delle pensioni che restò senza seguito.
10. In seguito a questo rigetto tacito dell’obiezione, il richiedente investì la Corte dei conti. Nelle sue osservazioni del 9 settembre 2002 e dell’8 dicembre 2003, invocava, tra l’altro, l’articolo 1 del Protocollo no 1 e la sentenza resa dalla terza sezione della Corte nella causa Azinas c. Cipro (no 56679/00, 20 giugno 2002,). Sosteneva, inoltre, che l’annullamento della pensione di anzianità di servizio metteva in pericolo la sua integrità fisica e morale ed adduceva a questo riguardo una violazione degli articoli 3 e 8 della Convenzione.
11. Con una sentenza del 1 aprile 2004, la Corte dei conti giudicò che l’articolo 62 del codice delle pensioni introduceva un’eccezione al principio secondo cui tutti i funzionari avevano diritto ad una pensione di anzianità di servizio quando assolvevano le condizioni legali. Questa eccezione era fondata su un criterio che non era in relazione diretta con l’oggetto della regolamentazione che consisteva nella concessione di una pensione di anzianità di servizio dopo la fine del servizio. E questo in ragione del fatto che il comportamento penalmente sanzionato di un funzionario non aveva legame diretto con la regolamentazione relativa alle pensioni tanto da costituire un criterio tale da poter condurre alla perdita del diritto ad una pensione di anzianità di servizio. La soppressione della pensione di anzianità di servizio che costituiva una misura particolarmente grave e pesante sul funzionario rinviato fino alla fine della sua vita, metteva in pericolo la sua sopravvivenza privandolo dei mezzi elementari per soddisfare i suoi bisogni vitali in un’età in cui la possibilità di sostituire questa pensione con un’altra risorsa era molto aleatoria, addirittura inesistente. Gli svantaggi che comprendeva la disposizione di questo articolo erano sproporzionati allo scopo perseguito, ossia il buon funzionamento del servizio pubblico, dunque. Questo articolo era allora contrario al principio costituzionale di proporzionalità.
12. In seguito a questa conclusione, la Corte dei conti rinviò la causa alla sua formazione plenaria affinché questa si pronunciasse sulla costituzionalità dell’articolo 62 capoverso b) del codice delle pensioni.
13. Nelle sue osservazioni del 6 giugno 2005, il richiedente fondò la totalità dei suoi argomenti sull’articolo 1 del Protocollo no 1 e sulla suddetta sentenza Azinas c. Cipro.
14. Con una sentenza del 12 ottobre 2005, la formazione plenaria giudicò che l’articolo 62 capoverso b) precitato non portava attentato al principio di proporzionalità. Precisò che questa disposizione aveva per scopo di dissuadere i funzionari in attività di commettere i reati che vi erano menzionati, e questo per proteggere gli interessi materiali e giuridici dei servizi pubblici, il buon funzionamento dell’amministrazione così come la credibilità e l’integrità di questa. Per raggiungere questo scopo, il legislatore non poteva distinguere a seconda che la condanna per la commissione di questi reati fosse intervenuta mentre la persona riguardata era in pensione o meno, se no la pensione contribuirebbe un mettere il funzionario al riparo dalle sanzioni.
15. Nelle sue osservazioni del 10 ottobre 2006 alla Corte dei conti, il richiedente invocò di nuovo la violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1, riferendosi alla sentenza Azinas precitata.
16. Con una sentenza del 15 febbraio 2007, la Corte dei conti, deliberando nella causa del richiedente, concluse che, tenuto conto dei fatti della causa e del carattere particolarmente riprovevole dei reati commessi dal richiedente a danno del TEVE, la sanzione che gli era stata inflitta era proporzionata allo scopo perseguito dall’articolo 62 capoverso b). Di conseguenza, il rigetto tacito dell’obiezione del richiedente contro le decisioni che annullavano la pensione di anzianità di servizio che gli era stata accordata e che trasferivano questa a sua moglie e a sua figlia, era legale.
17. Con una sentenza del 17 marzo 2008, la Corte dei conti fu chiamata a pronunciarsi sul danno subito dal TEVE a causa delle falsificazioni per cui il richiedente era stato condannato il 13 marzo 1998. Decise che il richiedente era debitore verso il TEVE delle somme di 1 926 988, 17 EUR e 148 609,76 EUR per le perdite subite da questo organismo tra il 1985 e il 1987.
II. IL DIRITTO E LA PRATICA INTERNA PERTINENTI
18. L’articolo 62 capoverso b) del codice delle pensioni contempla che il diritto ad una pensione di anzianità di servizio è perso se il titolare viene condannato in modo definitivo, sia che sia attivo o pensionato, ad una pena di reclusione per furto, sottrazione di fondi, frode, falso in scrittura, appropriazione indebita o ad una pena di detenzione per corruzione, se questi reati sono commessi contro lo stato o persone giuridiche di dritto pubblico. L’ultima frase dell’articolo 62 capoverso b) contempla che quando la persona condannata viene graziata e le conseguenze della sua condanna spariscono o quando c’è riabilitazione di questa persona tramite via giudiziale, il diritto alla pensione viene ristabilito.
19. L’articolo 64 § 1 dello stesso codice contempla che il coniuge ed i figli di una persona condannata, in applicazione dell’articolo 62, hanno diritto alla pensione di anzianità di servizio, come se questa ultima fosse deceduta.
20. Il Governo precisa che la giurisprudenza dei tribunali greci relativa all’articolo 62 capoverso b) tende a dissuadere i funzionari dal commettere dei reati contro lo stato e le persone giuridiche di diritto pubblico, ed a salvaguardare così il patrimonio di questi, il buon funzionamento dell’amministrazione e la credibilità e l’integrità del servizio pubblico.
21. L’articolo 25 § 1 della Costituzione dispone:
“I diritti dell’uomo, in quanto individuo ed in quanto membro del corpo sociale, ed il principio del welfare state costituzionale vengono garantiti dallo stato. Tutti gli agenti dello stato sono tenuti a garantirne l’esercizio effettivo e senza ostacolo. Questi principi si applicano anche alle relazioni private ed a tutto ciò che vi si riporta. Le restrizioni di ogni tipo che, conformemente alla Costituzione, possono essere portate a questi diritti devono essere contemplate o direttamente dalla Costituzione o dalla legge; nel caso in cui esista l’indicazione a favore di questa, il principio di proporzionalità deve essere rispettato. “
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 1
22. Il richiedente si lamenta che, a seguito alla sua condanna penale, la soppressione della sua pensione di anzianità di servizio che aveva un carattere automatico, lo ha privato di ogni mezzo di sussistenza, mentre a sessantanove anni gli è impossibile cominciare una nuova attività professionale. Questa sanzione è particolarmente grave perché provoca in più la privazione di ogni previdenza sanitaria. Ha subito un attentato al suo diritto al rispetto dei suoi beni dunque, contrario all’articolo 1 del Protocollo no 1 che dispone:
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non a causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non recano offesa al diritto che possiedono gli Stati di mettere in vigore le leggi che giudicano necessarie per regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale o per garantire il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle multe. “
A. Sull’ammissibilità
1. Non -esaurimento delle vie di ricorso interne
23. A titolo principale, il Governo eccepisce del non-esaurimento delle vie di ricorso interne. Il richiedente non ha sollevato mai dinnanzi alle giurisdizioni nazionali il suo motivo di appello relativo al rispetto dei suoi beni e la Corte dei conti ha esaminato la questione della conformità dell’articolo 62 col principio di proporzionalità come garantito dall’articolo 25 della Costituzione e non rispetto all’articolo 1 del Protocollo no 1.
24. La Corte nota, col richiedente che nella totalità delle sue osservazioni alla Corte dei conti, ossia quelle del 9 settembre 2002, dell’8 dicembre 2003, del 6 giugno 2005 e del 10 ottobre 2006, il richiedente si è riferito espressamente all’articolo 1 del Protocollo no 1 così come alla sentenza Azinas c. Cipro precitata. Se è vero che la Corte dei conti, tanto nella sua formazione plenaria che nella sua formazione ordinaria, non ha menzionato questo articolo e ha fondato la sua motivazione sulle disposizioni costituzionali pertinenti, il richiedente ha lasciato alle giurisdizioni greche l’occasione che l’articolo 35 § 1 ha per finalità di predisporre in principio agli Stati contraenti: evitare o risanare le violazioni addotte contro essi. Ha esaurito dunque le vie di ricorso internei in quanto a questo motivo di appello.
2. Incompatibilità ratione materiae
25. Il Governo sostiene che il richiedente non disponeva di un “bene” ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo no 1. Pretende che se è vero che il richiedente riceveva una pensione di anzianità di servizio dal 10 giugno 1987, il diritto a percepirla era accordato sotto condizione di non essere condannato per il reato che gli era rimproverato: la falsificazione di libretti di assicurazione. Il richiedente conosceva bene l’articolo 62 capoverso b) del codice delle pensioni civili e militari e sapeva dunque che il suo diritto ad una pensione di anzianità di servizio non era definitivo e che in caso di condanna, la perdita di questo sarebbe stata definitiva, sia che avesse o meno scontato la pena inflitta.
26. Il richiedente sottolinea che, con la sua decisione del 1988, il direttore dell’IKA aveva fissato la pensione di anzianità di servizio da accordargli senza condizione, riferendosi all’ultima frase dell’articolo 62 del codice ed all’anzianità del richiedente. Nel dicembre 1999, questo stesso direttore gli aveva tolto questa pensione e l’aveva trasferita parzialmente a sua moglie ed a sua figlia. La decisione di ritiro non fa riferimento a nessuna delle condizioni per le quali la pensione gli era stata accordata. Il fatto che la pensione sia stata trasferita a terzi dimostra che esisteva un diritto definitivo ed incondizionato sul bene.
27. La Corte osserva che il diritto alla pensione non è garantito come tale dalla Convenzione. Ricorda tuttavia, anche che, secondo la giurisprudenza degli organi della Convenzione, il diritto alla pensione fondata sull’impiego può, in certe circostanze, essere assimilato ad un diritto di proprietà.
28. Può essere il caso quando delle quote particolari sono state versate: nella sentenza Gaygusuz c. Austria (sentenza del 16 settembre 1996, Raccolta delle sentenze e decisioni 1996-IV, §§ 39-41) la Corte ha stimato che il diritto di vedersi assegnare un assegno mutualistico era legato al pagamento di contributi e che quando tali contributi erano stati versati, la concessione della prestazione in questione non poteva essere rifiutata all’interessato. Questa causa riguardava il sussidio di emergenza che lo stato accorda alle persone bisognose e che la Corte ha considerato come un diritto patrimoniale ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo no 1. La Corte ha concluso alla violazione dell’articolo 14 della Convenzione combinato con l’articolo 1 del Protocollo no 1 per il fatto che lo stato aveva negato di accordare il sussidio precitato per ragioni di nazionalità.
29. Ciò può essere anche il caso quando, siccome nello specifico, il datore di lavoro ha preso l’impegno più generale di versare una pensione a condizioni che possono essere considerate come facenti parte dal contratto di lavoro (Sture Stigson c. Svezia, no 12264/86, decisione della Commissione del 13 luglio 1988, Decisioni e rapporti 57, p. 131). Avuto riguardo alle disposizioni pertinenti della legge sulle pensioni (capitolo 311) ed in particolare l’articolo 6 capoverso f), la Corte osserva che entrando nella funzione pubblica greca, il richiedente ha acquisito un diritto che costituiva un “bene” ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo no 1. Questa conclusione è corroborata dall’articolo 64 § 1 del codice delle pensioni che contempla che il coniuge ed i figli di una persona condannata, in applicazione dell’articolo 62, hanno diritto alla pensione di anzianità di servizio, come se questa ultima fosse deceduta.
30. Avuto riguardo a tutto ciò che precede, la Corte non potrebbe considerare l’eccezione del Governo. Constata peraltro che la richiesta non è manifestamente mal fondata ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. Non essendo stato rilevato nessuno altro motivo di inammissibilità, stima che conviene dichiarare la richiesta ammissibile.
B. Sul merito
31. Secondo il Governo, la regolamentazione contemplata agli articoli 62 e 64 del codice delle pensioni viene imposta a causa di utilità pubblica: dissuadere i funzionari dal commettere dei reati contro lo stato e le persone giuridiche di dritto pubblico, e salvaguardare così il patrimonio di questi, il buon funzionamento dell’amministrazione e la credibilità e l’integrità del servizio pubblico.
32. Il Governo sostiene che un’eventuale ingerenza nel diritto al rispetto dei beni del richiedente è proporzionata al suddetto scopo legittimo, tenuto conto della natura del reato commesso, della sua funzione di direttore delle pensioni del TEVE, dell’importo del danno causato e del lungo periodo durante il quale ha falsificato i libretti degli assicurati.
33. Il Governo sottolinea che la presente causa si distingue del causa Azinas alla quale si riferisce il richiedente, e nella quale la perdita del diritto a pensione si effettuava di ufficio, conformemente alla pena disciplinare di licenziamento imposto da un organo disciplinare, mentre nello specifico, è prevista solamente in caso di condanna definitiva da una giurisdizione penale.
34. Il richiedente sottolinea la similitudine del suo caso con quello esaminato dalla terza sezione della Corte nella causa Azinas. Sostiene che l’ingerenza nel suo diritto al rispetto dei suoi beni era molto pesante allo sguardo della sua intensità e della sua durata. Si trattava in fatto di una misura punitiva presa a suo carico. Oltre la perdita della sua pensione di anzianità di servizio e della sua copertura sociale, è stato riconosciuto come debitore verso il TEVE di somme arbitrarie e calcolate in modo impreciso. Infine, adduce che il diritto alla pensione è personale, autonomo e non trasferibile a terzi.
35. La Corte ricorda che se il diritto alla pensione non è garantito come tale dalla Convenzione, è stato riconosciuto che può essere assimilato ad un diritto di proprietà quando delle quote particolari sono state versate (Gaygusuz precitata, §§ 39-41) o, anche, quando un datore di lavoro ha preso l’impegno più generale di versare una pensione a condizioni che possono essere considerate come facenti parte dal contratto di lavoro (Sture Stigson precitata, p. 131).
36. Però, l’articolo 1 del Protocollo no 1 non potrebbe essere interpretato come se desse diritto ad una pensione di un determinato importo (Skórkiewicz c. Polonia,( dec.), no 39860/98, 1 giugno 1999, Schwengel c. Germania, (dec.), no 52442/99, 2 marzo 2000, Janković c. Croazia, (dec.), no 43440/98, CEDH 2000-X e Laloyaux c. Belgio, (dec.), no 73511/01, 9 marzo 2006).
37. La Corte stima che la soppressione della pensione di anzianità di servizio del richiedente ha costituito un attentato al diritto di proprietà di questo e che non corrispondeva né ad un’espropriazione né ad una misura di regolamentazione dell’uso dei beni; deve essere dunque esaminata sotto l’angolo della prima frase del primo capoverso dell’articolo 1 (Banfield c. Regno Unito, ((dec.), no 6223/04, 18 ottobre 2005). Conviene anche determinare se un giusto equilibrio è stato predisposto tra le esigenze relative all’interesse generale della società e gli imperativi legati alla protezione dei diritti fondamentali dell’individuo.
38. Nella causa Banfield precitata, la Corte ha concluso che la decisione dei tribunali britannici di privare il richiedente-poliziotto che aveva commesso dei gravi reati-di una parte della sua pensione, corrispondente ai contributi dello stato alla pensione del richiedente, non rompeva il giusto equilibrio tra i diritti del richiedente e gli interessi del suo datore di lavoro e della collettività. Per arrivare a questa conclusione, la Corte ha accordato un peso considerevole al fatto che il decadimento del diritto alle prestazioni di pensione non aveva avuto luogo in modo automatico in virtù di una disposizione della legge, ma in seguito ad un procedimento che comprendeva parecchie tappe e che avevano dato luogo ciascuna ad una decisione giudiziale. La Corte ha accordato anche importanza al fatto che il richiedente non era stato totalmente privato della sua pensione ma solamente di una percentuale del 65% corrispondente ai contributi dello stato ai fondi pensionistici e non della percentuale corrispondente ai suoi propri versamenti.
39. Nella presente causa la Corte rileva in compenso, in primo luogo, che il richiedente è stato privato in seguito alla sua condanna, in modo automatico, della sua pensione di anzianità di servizio per il resto della sua vita. All’età di sessantanove anni e nell’impossibilità di cominciare una nuova attività professionale, si trova personalmente privato di ogni mezzo di sussistenza. Il richiedente è stato riconosciuto colpevole di certi reati per cui è stato condannato ad una pena di reclusione di undici anni. Ora, secondo la Corte, questo comportamento del richiedente, per quanto sia penalmente condannabile, non poteva avere legame causale coi suoi diritti alla pensione in quanto assicurato sociale.
40. Il fatto che la pensione sia stata trasferita alla famiglia del richiedente, in virtù dell’articolo 64 del codice delle pensioni perché questo ultimo era nell’occorrenza sposato ed aveva dei figli, non basta a compensare questa perdita. A questo riguardo, la Corte nota da prima che questo trasferimento ha avuto luogo come se il condannato fosse deceduto, il che significa che era ridotta in quanto al suo importo: sette decimi dell’importo iniziale secondo il richiedente. Niente esclude soprattutto, che questa situazione perduri nell’avvenire, potendo diventare il richiedente vedovo o divorziato per esempio, il che provocherebbe la perdita di ogni mezzo di sussistenza. A ciò si aggiunge il fatto che la soppressione della pensione di anzianità di servizio del richiedente ha provocato quella del suo diritto alla sicurezza sociale. L’argomento del Governo secondo cui il richiedente potrebbe beneficiare della copertura sociale di sua moglie e di sua figlia , finché viene preso in carico da queste e coabiti con esse, non tiene conto del fatto che questa situazione è sempre soggetta a cambiamento.
41. La Corte stima che, nella cornice del loro margine di valutazione, gli Stati possono introdurre nella loro legislazione delle disposizioni di natura tale da contemplare delle sanzioni pecuniarie come conseguenza di una condanna penale. Tuttavia, tale sanzione che comprenderebbe il decadimento totale di ogni dritto di pensione di anzianità di servizio e di copertura sociale, ivi compresa l’assicurazione sanitaria, costituisce non solo una doppio fatica, ma ha per effetto di annientare il principale mezzo di sussistenza di una persona che ha raggiunto l’età della pensione, come il richiedente. Ora tale effetto non è conforme né col principio della riclassificazione sociale che regola il diritto penale degli Stati contraenti né con lo spirito della Convenzione.
42. In queste condizioni, la Corte stima che il richiedente è stato portato a sopportare un carico eccessivo e sproporzionato che, anche se si tiene conto del grande margine di valutazione da riconoscere agli Stati in materia di legislazione sociale, non potrebbe giustificarsi col buon funzionamento dell’amministrazione e con la credibilità e l’integrità del servizio pubblico che il Governo invoca.
43. Quindi, c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 nel capo del richiedente.
II. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
44. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
45. Per il danno materiale, il richiedente richiede una somma di 77 759,64 euro (EUR) che corrisponderebbe alla pensione di anzianità di servizio che avrebbe dovuto percepire a partire dal 1 gennaio 2000. Per il danno morale, chiede 20 000 EUR, più gli interessi.
46. Il Governo fa valere, senza maggior precisione, che le pretese del richiedente in quanto al danno materiale sono eccessive ed arbitrarie e che, comunque, le somme che questo avrebbe ricevuto, sarebbero state ridotte in ragione dell’imposta sul reddito. In più, non sono state riconosciute e fissate da una decisione delle giurisdizioni nazionali. In quanto al danno morale, il Governo considera che
un’ eventuale constatazione di violazione costituirebbe una soddisfazione equa sufficiente.
47. La Corte rileva che, secondo le informazione fornite dal richiedente e non rimesse in causa dal Governo, dal 1 gennaio 2000 al 31 dicembre 2008, sette decimo della sua pensione di anzianità di servizio sono stati versati a sua moglie ed a sua figlia, o 432 EUR al mese. Appare che il richiedente ha beneficiato anche di questa somma. Il danno materiale reale subito dal richiedente, e che dovrebbe essere assegnatogli dunque, consiste nella differenza tra queste somme e quella corrispondente alla sua piena pensione di anzianità di servizio, o 617,14 EUR al mese, ciò che ammonta per il periodo considerato ad un totale di 23 327,64 EUR, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta. Infine, deliberando in equità, la Corte accorda al richiedente 1 000 EUR per il danno morale.
B. Oneri e spese
48. Per gli oneri e spese, il richiedente chiede 1 700 EUR per il procedimento dinnanzi alle giurisdizioni nazionali e 5 606 EUR per il procedimento dinnanzi alla Corte.
49. Il Governo sostiene che il richiedente non produce i giustificativi necessari a sostegno delle sue pretese. Stima che una somma di 1 500 EUR che copre l’insieme degli oneri e delle spese sarebbe ragionevole.
50. La Corte constata che il richiedente fornisce delle precisazioni e dei giustificativi richiesti dall’articolo 60 § 2 dell’ordinamento, per ciò che riguarda il procedimento dinnanzi alla Corte dei conti ma non in quanto a quello dinnanzi alla Corte. Gli accorda di conseguenza, solamente 1 700 EUR a questo titolo.
C. Interessi moratori
51. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1;
3. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare al richiedente, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
i. 23 327,64 EUR (ventitremila tre cento ventisette euro e sessantaquattro centesimi) più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta, per il danno materiale;
ii. 1 000 EUR (mille euro) più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta, per il danno morale;
iii. 1 700 EUR (mille sette cento euro) più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta dal richiedente, per oneri e spese;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
4. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 22 ottobre 2009, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Søren Nielsen Nina Vajić
Cancelliere Presidente

Testo Tradotto

Conclusion Violation de P1-1 ; Dommage matériel et préjudice moral – réparation

PREMIÈRE SECTION
AFFAIRE APOSTOLAKIS c. GRÈCE
(Requête no 39574/07)
ARRÊT
STRASBOURG
22 octobre 2009
Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l’article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire Apostolakis c. Grèce,
La Cour européenne des droits de l’homme (première section), siégeant en une chambre composée de :
Nina Vajić, présidente,
Christos Rozakis,
Khanlar Hajiyev,
Dean Spielmann,
Sverre Erik Jebens,
Giorgio Malinverni,
George Nicolaou, juges,
et de Søren Nielsen, greffier de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 1er octobre 2009,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 39574/07) dirigée contre la République hellénique et dont un ressortissant de cet Etat, M. M. A. (« le requérant »), a saisi la Cour le 10 août 2007 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (« la Convention »).
2. Le requérant est représenté par Me I. P., avocat à Athènes. Le gouvernement grec (« le Gouvernement ») est représenté par les délégués de son agent, Mme O. Patsopoulou, assesseur auprès du Conseil juridique de l’Etat, et M. I. Bakopoulos, auditeur auprès du Conseil juridique de l’Etat.
3. Le requérant allègue une violation de l’article 1 du Protocole no 1.
4. Le 7 juillet 2008, la présidente de la première section a décidé de communiquer la requête au Gouvernement. Comme le permet l’article 29 § 3 de la Convention, il a en outre été décidé que la Chambre se prononcerait en même temps sur la recevabilité et le fond.
EN FAIT
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
5. Le requérant est né en 1938 et réside à Neo Iraklio.
6. Le requérant travaille depuis l’âge de dix-huit ans dans un organisme d’assurance des professions libérales, la Caisse des professionnels et artisans de Grèce (« TEVE »). Il fut promu à la fonction de directeur des retraites. Il fut obligé de démissionner en raison d’une procédure pénale engagée à son encontre pour falsification de livrets d’assurance des assurés de la TEVE.
7. Le 13 mars 1998, la cour d’appel d’Athènes jugea le requérant coupable d’avoir assisté, de 1976 à 1986, deux autres personnes qui falsifiaient des livrets d’assurance au détriment de la TEVE. Elle le condamna à une peine de réclusion de onze ans. Le requérant fut libéré sous conditions le 11 décembre 1998, la durée de sa détention provisoire ayant été déduite de sa peine par la cour d’appel.
8. En 1988, le requérant se vit reconnaître le droit à une pension de retraite, à compter du 10 juin 1987, après trente ans, sept mois et cinq jours de service. Toutefois, après la libération du requérant, le directeur des retraites de l’organisme de sécurité sociale (« IKA »), par un acte du 17 décembre 1999, annula sa décision prise en 1988 d’accorder une pension de retraite au requérant et transféra une partie de cette pension à la femme et à la fille de celui-ci, sur le fondement de la condamnation pour le délit précité et conformément aux articles 62 et 64 § 1 du code des retraites (paragraphes 18-19 ci-dessous). Le requérant explique que la pension pleine qui lui avait été reconnue s’élevait à 617, 14 euros (EUR) par mois et que sa femme et sa fille percevaient 432 EUR par mois. La suppression de la pension de retraite du requérant entraîna aussi celle de ses droits personnels à la sécurité sociale.
9. Le requérant forma une objection contre cette décision devant la commission de contrôle des actes du règlement des retraites qui resta sans suite.
10. Suite à ce rejet tacite de l’objection, le requérant saisit la Cour des comptes. Dans ses observations des 9 septembre 2002 et 8 décembre 2003, il invoquait, entre autres, l’article 1 du Protocole no 1 et l’arrêt rendu par la troisième section de la Cour dans l’affaire Azinas c. Chypre (no 56679/00, 20 juin 2002). Il soutenait, en outre, que l’annulation de la pension de retraite mettait en danger son intégrité physique et morale et alléguait à cet égard une violation des articles 3 et 8 de la Convention.
11. Par un arrêt du 1er avril 2004, la Cour des comptes jugea que l’article 62 du code des retraites introduisait une exception au principe selon lequel tous les fonctionnaires avaient droit à une pension de retraite lorsqu’ils remplissaient les conditions légales. Cette exception était fondée sur un critère, qui n’était pas en relation directe avec l’objet de la réglementation, qui consiste en l’octroi d’une pension de retraite après la fin du service. Et ceci en raison du fait que le comportement pénalement sanctionné d’un fonctionnaire n’avait pas de lien direct avec la réglementation relative aux retraites pour qu’il puisse constituer un critère pouvant conduire à la perte du droit à une pension de retraite. La suppression de la pension de retraite, qui constituait une mesure particulièrement grave pesant sur le fonctionnaire renvoyé jusqu’à la fin de sa vie, mettait en danger sa survie en le privant des moyens élémentaires pour satisfaire ses besoins vitaux à un âge où la possibilité de remplacer cette pension par une autre ressource était très aléatoire, voire inexistante. Les désavantages que comportait la disposition de cet article étaient donc disproportionnés au but poursuivi, à savoir le bon fonctionnement du service public. Cet article était alors contraire au principe constitutionnel de proportionnalité.
12. Suite à cette conclusion, la Cour des comptes renvoya l’affaire à sa formation plénière afin que celle-ci se prononce sur la constitutionnalité de l’article 62 alinéa b) du code des retraites.
13. Dans ses observations du 6 juin 2005, le requérant fonda la totalité de ses arguments sur l’article 1 du Protocole no 1 et sur l’arrêt Azinas c. Chypre susmentionné.
14. Par un arrêt du 12 octobre 2005, la formation plénière jugea que l’article 62 alinéa b) précité ne portait pas atteinte au principe de proportionnalité. Elle précisa que cette disposition avait pour but de dissuader les fonctionnaires en activité de commettre les infractions qui y étaient mentionnées, et ce afin de protéger les intérêts matériels et moraux des services publics, le bon fonctionnement de l’administration ainsi que la crédibilité et l’intégrité de celle-ci. Pour atteindre ce but, le législateur ne pouvait pas distinguer selon que la condamnation pour la commission de ces infractions était intervenue alors que la personne concernée était à la retraite ou non, sinon la retraite contribuerait à mettre le fonctionnaire à l’abri des sanctions.
15. Dans ses observations du 10 octobre 2006 à la Cour des comptes, le requérant invoqua à nouveau la violation de l’article 1 du Protocole no 1, en se référant à l’arrêt Azinas précité.
16. Par un arrêt du 15 février 2007, la Cour des comptes, statuant dans l’affaire du requérant, conclut que, compte tenu des faits de la cause et du caractère particulièrement répréhensible des infractions commises par le requérant au préjudice de la TEVE, la sanction qui lui avait été infligée était proportionnée au but poursuivi par l’article 62 alinéa b). Par conséquent, le rejet tacite de l’objection du requérant contre les décisions annulant la pension de retraite qui lui avait été accordée et transférant celle-ci à son épouse et à sa fille, était légal.
17. Par un arrêt du 17 mars 2008, la Cour des comptes fut appelée à se prononcer sur le préjudice subi par la TEVE du fait des falsifications pour lesquelles le requérant avait été condamné le 13 mars 1998. Elle décida que le requérant était redevable envers la TEVE des sommes de 1 926 988, 17 EUR et 148 609,76 EUR pour les pertes subies par cet organisme entre 1985 et 1987.
II. LE DROIT ET LA PRATIQUE INTERNES PERTINENTS
18. L’article 62 alinéa b) du code des retraites prévoit que le droit à une pension de retraite est perdu si le titulaire est condamné de manière définitive, qu’il soit actif ou retraité, à une peine de réclusion pour vol, détournement de fonds, fraude, faux en écriture, abus de confiance ou à une peine d’emprisonnement pour corruption, si ces infractions sont commises à l’encontre de l’Etat ou de personnes morales de droit public. La dernière phrase de l’article 62 alinéa b) prévoit que lorsque la personne condamnée est graciée et que les conséquences de sa condamnation disparaissent ou lorsqu’il y a réhabilitation de cette personne par voie judiciaire, le droit à la pension est rétabli.
19. L’article 64 § 1 du même code prévoit que le conjoint et les enfants d’une personne condamnée, en application de l’article 62, ont droit à la pension de retraite, comme si cette dernière était décédée.
20. Le Gouvernement précise que la jurisprudence des tribunaux grecs relative à l’article 62 alinéa b) tend à dissuader les fonctionnaires de commettre des infractions contre l’Etat et les personnes morales de droit public, et à sauvegarder ainsi le patrimoine de ceux-ci, le bon fonctionnement de l’administration et la crédibilité et l’intégrité du service public.
21. L’article 25 § 1 de la Constitution dispose :
« Les droits de l’homme, en tant qu’individu et en tant que membre du corps social, et le principe de l’État-providence constitutionnel sont garantis par l’État. Tous les agents de l’État sont tenus d’en assurer l’exercice effectif et sans obstacle. Ces principes s’appliquent également aux relations privées et à tout ce qui s’y rapporte. Les restrictions de toutes sortes qui, conformément à la Constitution, peuvent être apportées à ces droits doivent être prévues soit directement par la Constitution soit par la loi ; dans le cas où l’indication existe en faveur de celle-ci, le principe de proportionnalité doit être respecté. »
EN DROIT
I. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 1 DU PROTOCOLE No 1
22. Le requérant se plaint que, suite à sa condamnation pénale, la suppression de sa pension de retraite, qui avait un caractère automatique, le prive de tout moyen de subsistance, alors qu’il a soixante-neuf ans et qu’il lui est impossible de commencer une nouvelle activité professionnelle. Cette sanction est particulièrement grave car elle entraîne en plus la privation de toute assurance-maladie. Il a donc subi une atteinte à son droit au respect de ses biens, contraire à l’article 1 du Protocole no 1 qui dispose :
« Toute personne physique ou morale a droit au respect de ses biens. Nul ne peut être privé de sa propriété que pour cause d’utilité publique et dans les conditions prévues par la loi et les principes généraux du droit international.
Les dispositions précédentes ne portent pas atteinte au droit que possèdent les Etats de mettre en vigueur les lois qu’ils jugent nécessaires pour réglementer l’usage des biens conformément à l’intérêt général ou pour assurer le paiement des impôts ou d’autres contributions ou des amendes. »
A. Sur la recevabilité
1. Non-épuisement des voies de recours internes
23. A titre principal, le Gouvernement excipe du non-épuisement des voies de recours internes. Le requérant n’a jamais soulevé devant les juridictions nationales son grief relatif au respect de ses biens et la Cour des comptes a examiné la question de la conformité de l’article 62 avec le principe de proportionnalité tel que garanti par l’article 25 de la Constitution et non par rapport à l’article 1 du Protocole no 1.
24. La Cour note, avec le requérant, que dans la totalité de ses observations à la Cour des comptes, à savoir celles des 9 septembre 2002, 8 décembre 2003, 6 juin 2005 et 10 octobre 2006, le requérant s’est référé expressément à l’article 1 du Protocole no 1 ainsi qu’à l’arrêt Azinas c. Chypre précité. S’il est vrai que la Cour des comptes, tant dans sa formation plénière que dans sa formation ordinaire, n’a pas mentionné cet article et a fondé sa motivation sur les dispositions constitutionnelles pertinentes, le requérant a laissé aux juridictions grecques l’occasion que l’article 35 § 1 a pour finalité de ménager en principe aux Etats contractants : éviter ou redresser les violations alléguées contre eux. Il a donc épuisé les voies de recours internes quant à ce grief.
2. Incompatibilité ratione materiae
25. Le Gouvernement soutient que le requérant ne disposait pas d’un « bien » au sens de l’article 1 du Protocole no 1. Il prétend que si le requérant recevait une pension de retraite depuis le 10 juin 1987, le droit à la percevoir était accordé sous condition de ne pas être condamné pour l’infraction qui lui était reprochée : la falsification de livrets d’assurance. Le requérant connaissait bien l’article 62 alinéa b) du code des retraites civiles et militaires et savait donc que son droit à une pension de retraite n’était pas définitif et, qu’en cas de condamnation, la perte de celui-ci serait définitive, qu’il ait purgé ou non la peine infligée.
26. Le requérant souligne que, par sa décision de 1988, le directeur de l’IKA avait fixé la pension de retraite à lui accorder sans condition, en se référant à la dernière phrase de l’article 62 du code et à l’ancienneté du requérant. En décembre 1999, ce même directeur lui avait retiré cette pension et l’avait partiellement transférée à sa femme et à sa fille. La décision de retrait ne fait référence à aucune des conditions pour laquelle la pension lui avait été accordée. Le fait que la pension ait été transférée à des tiers démontre qu’il existait un droit définitif et inconditionnel sur le bien.
27. La Cour observe que le droit à pension n’est pas garanti comme tel par la Convention. Toutefois, elle rappelle également que, selon la jurisprudence des organes de la Convention, le droit à pension fondé sur l’emploi peut, dans certaines circonstances, être assimilé à un droit de propriété.
28. Ce peut être le cas lorsque des cotisations particulières ont été versées : dans l’arrêt Gaygusuz c. Autriche (arrêt du 16 septembre 1996, Recueil des arrêts et décisions 1996-IV, §§ 39-41), la Cour a estimé que le droit de se voir attribuer une prestation sociale était lié au paiement de contributions et que lorsque de telles contributions avaient été versées, l’octroi de la prestation en question ne pouvait être refusé à l’intéressé. Cette affaire portait sur l’allocation d’urgence que l’Etat accorde aux personnes nécessiteuses et que la Cour a considérée comme un droit patrimonial au sens de l’article 1 du Protocole no 1. La Cour a conclu à la violation de l’article 14 de la Convention combiné avec l’article 1 du Protocole no 1 du fait que l’Etat avait refusé d’accorder l’allocation précitée pour des raisons de nationalité.
29. Cela peut également être le cas lorsque, comme en l’espèce, l’employeur a pris l’engagement plus général de verser une pension à des conditions qui peuvent être considérées comme faisant partie du contrat de travail (Sture Stigson c. Suède, no 12264/86, décision de la Commission du 13 juillet 1988, Décisions et rapports 57, p. 131). Eu égard aux dispositions pertinentes de la loi sur les pensions (chapitre 311, et en particulier l’article 6 alinéa f)), la Cour observe qu’en entrant dans la fonction publique grecque, le requérant a acquis un droit qui constituait un « bien » au sens de l’article 1 du Protocole no 1. Cette conclusion est corroborée par l’article 64 § 1 du code des retraites, qui prévoit que le conjoint et les enfants d’une personne condamnée, en application de l’article 62, ont droit à la pension de retraite, comme si cette dernière était décédée.
30. Eu égard à tout ce qui précède, la Cour ne saurait retenir l’exception du Gouvernement. Elle constate par ailleurs que la requête n’est pas manifestement mal fondée au sens de l’article 35 § 3 de la Convention. Aucun autre motif d’irrecevabilité n’ayant été relevé, elle estime qu’il convient de déclarer la requête recevable.
B. Sur le fond
31. Selon le Gouvernement, la réglementation prévue aux articles 62 et 64 du code des retraites est imposée pour cause d’utilité publique : dissuader les fonctionnaires de commettre des infractions contre l’Etat et les personnes morales de droit public, et sauvegarder ainsi le patrimoine de ceux-ci, le bon fonctionnement de l’administration et la crédibilité et l’intégrité du service public.
32. Le Gouvernement soutient qu’une éventuelle ingérence dans le droit au respect des biens du requérant est proportionnée au but légitime susmentionné, compte tenu de la nature de l’infraction commise, de sa fonction de directeur des retraites du TEVE, du montant du dommage causé et de la longue période pendant laquelle il a falsifié les livrets des assurés.
33. Le Gouvernement souligne que la présente affaire se distingue de l’affaire Azinas, à laquelle se réfère le requérant, et dans laquelle la perte du droit à pension s’effectuait d’office, en conséquence de la peine disciplinaire de licenciement imposée par un organe disciplinaire, alors qu’en l’espèce, elle est prévue seulement en cas de condamnation définitive par une juridiction pénale.
34. Le requérant souligne la similitude de son cas avec celui examiné par la troisième section de la Cour dans l’affaire Azinas. Il soutient que l’ingérence dans son droit au respect de ses biens était très lourde au regard de son intensité et de sa durée. Il s’agissait en fait d’une mesure punitive prise à son encontre. Outre la perte de sa pension de retraite et de sa couverture sociale, il a été reconnu comme étant redevable envers la TEVE de sommes arbitraires et calculées de manière imprécise. Enfin, il allègue que le droit à pension est personnel, autonome et non transférable à des tiers.
35. La Cour rappelle que si le droit à pension n’est pas garanti comme tel par la Convention, il a été reconnu qu’il peut être assimilé à un droit de propriété lorsque des cotisations particulières ont été versées (Gaygusuz précité, §§ 39-41) ou, également, lorsqu’un employeur a pris l’engagement plus général de verser une pension à des conditions qui peuvent être considérées comme faisant partie du contrat de travail (Sture Stigson précité, p. 131).
36. Cependant, l’article 1 du Protocole no 1 ne saurait être interprété comme donnant droit à une pension d’un montant déterminé (Skórkiewicz c. Pologne (déc.), no 39860/98, 1er juin 1999, Schwengel c. Allemagne (déc.), no 52442/99, 2 mars 2000, Janković c. Croatie (déc.), no 43440/98, CEDH 2000-X et Laloyaux c. Belgique (déc.), no 73511/01, 9 mars 2006).
37. La Cour estime que la suppression de la pension de retraite du requérant a constitué une atteinte au droit de propriété de celui-ci et qu’elle ne correspondait ni à une expropriation ni à une mesure de réglementation de l’usage des biens ; elle doit donc être examinée sous l’angle de la première phrase du premier alinéa de l’article 1 (Banfield c. Royaume-Uni, (déc.), no 6223/04, 18 octobre 2005). Aussi convient-il de déterminer si un juste équilibre a été ménagé entre les exigences relatives à l’intérêt général de la société et les impératifs liés à la protection des droits fondamentaux de l’individu.
38. Dans l’affaire Banfield précitée, la Cour a conclu que la décision des tribunaux britanniques de priver le requérant – policier ayant commis de graves infractions – d’une partie de sa pension, correspondant aux contributions de l’Etat à la pension du requérant, ne rompait pas le juste équilibre entre les droits du requérant et les intérêts de son employeur et de la collectivité. Pour arriver à cette conclusion, la Cour a accordé un poids considérable au fait que la déchéance du droit aux prestations de retraite n’avait pas eu lieu de manière automatique en vertu d’une disposition de la loi, mais à la suite d’une procédure comportant plusieurs étapes et ayant donné lieu chacune à une décision judiciaire. La Cour a aussi accordé de l’importance au fait que le requérant n’était pas totalement privé de sa pension mais seulement d’un pourcentage de 65% correspondant aux contributions de l’Etat au fonds de pension et non du pourcentage correspondant à ses propres versements.
39. Dans la présente affaire en revanche, la Cour relève, en premier lieu, que le requérant a été privé suite à sa condamnation, de manière automatique, de sa pension de retraite pour le restant de sa vie. Agé de soixante-neuf ans et dans l’impossibilité de commencer une nouvelle activité professionnelle, il se trouve personnellement privé de tout moyen de subsistance. Le requérant a été reconnu coupable de certaines infractions pour lesquelles il a été condamné à une peine de réclusion de onze ans. Or, de l’avis de la Cour, ce comportement du requérant, pour autant qu’il soit pénalement condamnable, ne pouvait pas avoir de lien causal avec ses droits à la retraite en tant qu’assuré social.
40. Le fait que la pension ait été transférée à la famille du requérant, en vertu de l’article 64 du code des retraites car ce dernier était en l’occurrence marié et avait des enfants, ne suffit pas à compenser cette perte. A cet égard, la Cour note d’abord que ce transfert a eu lieu comme si le condamné était décédé, ce qui signifie qu’elle était réduite quant à son montant : sept dixièmes du montant initial selon le requérant. Surtout, rien n’exclut que cette situation perdure à l’avenir, le requérant pouvant par exemple devenir veuf ou divorcé, ce qui entraînerait la perte de tout moyen de subsistance. A cela s’ajoute le fait que la suppression de la pension de retraite du requérant a entraîné celle de son droit à la sécurité sociale. L’argument du Gouvernement selon lequel le requérant pourrait bénéficier de la couverture sociale de sa femme et de sa fille, tant qu’il est pris en charge par celles-ci et cohabite avec elles, ne tient pas compte du fait que cette situation est toujours sujette à changement.
41. La Cour estime que, dans le cadre de leur marge d’appréciation, les Etats peuvent introduire dans leur législation des dispositions de nature à prévoir des sanctions pécuniaires comme conséquence d’une condamnation pénale. Toutefois, une telle sanction qui comporterait la déchéance totale de tout droit de pension de retraite et de couverture sociale, y compris l’assurance santé, constitue non seulement une double peine, mais a pour effet d’anéantir le principal moyen de subsistance d’une personne qui a atteint l’âge de la retraite, tel le requérant. Or un tel effet n’est conforme ni avec le principe du reclassement social qui régit le droit pénal des Etats contractants ni avec l’esprit de la Convention.
42. Dans ces conditions, la Cour estime que le requérant a été amené à supporter une charge excessive et disproportionnée qui, même si l’on tient compte de la grande marge d’appréciation à reconnaître aux Etats en matière de législation sociale, ne saurait se justifier par le bon fonctionnement de l’administration et par la crédibilité et l’intégrité du service public que le Gouvernement invoque.
43. Dès lors, il y a eu violation de l’article 1 du Protocole no 1 dans le chef du requérant.
II. SUR L’APPLICATION DE L’ARTICLE 41 DE LA CONVENTION
44. Aux termes de l’article 41 de la Convention,
« Si la Cour déclare qu’il y a eu violation de la Convention ou de ses Protocoles, et si le droit interne de la Haute Partie contractante ne permet d’effacer qu’imparfaitement les conséquences de cette violation, la Cour accorde à la partie lésée, s’il y a lieu, une satisfaction équitable. »
A. Dommage
45. Pour le dommage matériel, le requérant réclame une somme de 77 759,64 euros (EUR) qui correspondrait à la pension de retraite qu’il aurait dû percevoir à partir du 1er janvier 2000. Pour le dommage moral, il demande 20 000 EUR, plus les intérêts.
46. Le Gouvernement fait valoir, sans plus de précision, que les prétentions du requérant quant au dommage matériel sont excessives et arbitraires et que, de toute manière, les sommes que celui-ci aurait reçues, auraient été réduites en raison de l’impôt sur le revenu. De plus, elles n’ont pas été reconnues et fixées par une décision des juridictions nationales. Quant au dommage moral, le Gouvernement considère qu’un constat de violation éventuel constituerait une satisfaction équitable suffisante.
47. La Cour relève que, selon les informations fournies par le requérant et non mises en cause par le Gouvernement, du 1er janvier 2000 au 31 décembre 2008, sept dixièmes de sa pension de retraite ont été versés à sa femme et à sa fille, soit 432 EUR par mois. Il apparaît que le requérant a également bénéficié de cette somme. Le dommage matériel réel subi par le requérant, et qui devrait donc lui être alloué, consiste en la différence entre cette somme et celle correspondant à sa pension de retraite pleine, soit 617,14 EUR par mois, ce qui s’élève pour la période considérée à un total de 23 327,64 EUR, plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt. Enfin, statuant en équité, la Cour accorde au requérant 1 000 EUR pour le dommage moral.
B. Frais et dépens
48. Pour les frais et dépens, le requérant demande 1 700 EUR pour la procédure devant les juridictions nationales et 5 606 EUR pour la procédure devant la Cour.
49. Le Gouvernement soutient que le requérant ne produit pas les justificatifs nécessaires à l’appui de ses prétentions. Il estime qu’une somme de 1 500 EUR couvrant l’ensemble des frais et dépens serait raisonnable.
50. La Cour constate que le requérant fournit les précisions et justificatifs requis par l’article 60 § 2 du règlement, en ce qui concerne la procédure devant la Cour des comptes mais non quant à celle devant la Cour. Par conséquent, elle ne lui accorde que 1 700 EUR à ce titre.
C. Intérêts moratoires
51. La Cour juge approprié de calquer le taux des intérêts moratoires sur le taux d’intérêt de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne majoré de trois points de pourcentage.
PAR CES MOTIFS, LA COUR, À L’UNANIMITÉ,
1. Déclare la requête recevable ;
2. Dit qu’il y a eu violation de l’article 1 du Protocole no 1 ;
3. Dit
a) que l’Etat défendeur doit verser au requérant, dans les trois mois à compter du jour où l’arrêt sera devenu définitif conformément à l’article 44 § 2 de la Convention, les sommes suivantes :
i. 23 327,64 EUR (vingt-trois mille trois cent vingt-sept euros et soixante-quatre centimes), plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt, pour le dommage matériel ;
ii. 1 000 EUR (mille euros), plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt, pour le dommage moral ;
iii. 1 700 EUR (mille sept cents euros), plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt par le requérant, pour frais et dépens ;
b) qu’à compter de l’expiration dudit délai et jusqu’au versement, ces montants seront à majorer d’un intérêt simple à un taux égal à celui de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne applicable pendant cette période, augmenté de trois points de pourcentage ;
4. Rejette la demande de satisfaction équitable pour le surplus.
Fait en français, puis communiqué par écrit le 22 octobre 2009, en application de l’article 77 §§ 2 et 3 du règlement.
Søren Nielsen Nina Vajić
Greffier Présidente

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