Conclusione Non -violazione di P1-1
SECONDA SEZIONE
CAUSA ALMEIDA FERREIRA E MELODRAMMA FERREIRA
C. PORTOGALLO
( Richiesta no 41696/07)
SENTENZA
STRASBURGO
21 dicembre 2010
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Almeida Ferreira e Melodramma Ferreira c. Portogallo,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Ireneu Cabral Barreto, Danutė Jočienė, Dragoljub Popović, András Sajó, Işıl Karakaş, Guido Raimondi, giudici,
e da Francesca Elens-Passos, cancelliera collaboratrice di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 28 settembre e 30 novembre 2010,
Rende la sentenza che ha adottato in questa ultima data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 41696/07) diretta contro la Repubblica portoghese e in cui due cittadini di questo Stato, il Sig. M A. F. e sua moglie, la Sig.ra M da C. Q. P. di M F. (“i richiedenti”), hanno investito la Corte il 18 settembre 2007 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. I richiedenti sono rappresentati da J.P. M F., avvocato ad Estarreja (Portogallo). Il governo portoghese (“il Governo”) è stato rappresentato fino al 23 febbraio 2010 dal suo agente, la Sig. J. Miguel, procuratore generale aggiunto, ed a partire da questa data dalla Sig.ra M. F. Carvalho, anche procuratore generale aggiunto.
3. I richiedenti adducono che il fatto di non potere disporre liberamente del loro bene porta pregiudizio al diritto al rispetto dei beni.
4. Il 3 gennaio 2009, la presidentessa della seconda sezione ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Come permette l’articolo 29 § 1 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la camera si sarebbe pronunciata sull’ammissibilità ed il merito allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
5. I richiedenti sono nati rispettivamente nel 1925 e 1926 e risiedono ad Oliveira di Azeméis (Portogallo).
6. I richiedenti sono titolari del diritto di usufrutto su un immobile, ubicato ad Oliveira di Azeméis di cui loro figlio Paulo è il nudo-proprietario. Questo immobile è costituito da un pianterreno che consta di tre locali, due bagni ed una cucina e di un primo piano che consta di cinque locali, un bagno ed una cucina. L’immobile dispone ancora di rimessa e di dependance e ha una superficie coperta di 309 m² e non coperta di 11 m².
7. Il 1 gennaio 1980, i richiedenti affittarono ad uso di abitazione una parte del primo piano di questo immobile a D. per un affitto di 4 500 escudo portoghesi, o 22 euro (EUR) circa. L’importo dell’affitto era, al momento dell’introduzione del procedimento sotto menzionato dai richiedenti, di 34,91 EUR,in seguito all’applicazione dei coefficienti legali di aumento degli affitti.
8. Il 20 febbraio 2002, i richiedenti citarono D. e la moglie di questo ultimo dinnanzi al tribunale di Oliveira di Azeméis. Sollecitavano, invocando la legge sugli affitti di abitazione, la risoluzione del contratto di locazione al motivo che avevano bisogno della parte affittata dell’immobile per stabilire loro figlio Paulo la cui famiglia si era appena ingrandita in seguito alla nascita, il 15 novembre 2001, del suo secondo bambino.
9. Con un giudizio reso senza udienza (saneador-sentença) il 4 giugno 2002, il tribunale fece diritto ad un’eccezione perentoria sollevata dai convenuti e respinse l’istanza. Per il tribunale, l’eccezione legale, prevista dalla legge no 55/79, che impedisce il diritto di risoluzione del proprietario nel caso in cui l’inquilino rimane per vent’ anni o più nell’immobile affittato, si applicava nello specifico. Il tribunale respinse le affermazioni dei richiedenti secondo cui l’applicazione automatica di tale eccezione sarebbe stata contraria al loro diritto di proprietà.
10. Su ricorso dei richiedenti, la corte di appello di Puerto confermò questo giudizio con una sentenza del 23 gennaio 2003.
11. I richiedenti depositarono un ricorso costituzionale, adducendo in particolare che l’applicazione automatica di tale eccezione al diritto di risoluzione del proprietario recava offesa al diritto di proprietà, garantito dalla Costituzione e dall’articolo 1 del Protocollo no 1.
12. Con una sentenza del 21 marzo 2007, il Tribunale costituzionale respinse il ricorso, considerando che le disposizioni in causa non portavano pregiudizio né alla Costituzione né all’articolo 1 del Protocollo no 1. Il Tribunale costituzionale sottolineò da prima che l’eccezione contemplata alla legge no 55/79 non ledeva la libertà contrattuale degli interessati che restavano liberi di affittare o meno il loro bene; l’alta giurisdizione notò a questo proposito che nel momento in cui l’immobile in questione fu affittato, l’eccezione controversa era già in vigore. Il Tribunale costituzionale considerò poi che l’eccezione in causa aveva per scopo la protezione sociale degli inquilini che rimanevano nello stesso immobile per un lungo periodo. L’eccezione legale in causa non recava offesa al diritto di proprietà dunque.
II. IL DIRITTO E LA PRATICA INTERNA PERTINENTI
13. L’articolo 62 della Costituzione portoghese garantisce il diritto al rispetto della proprietà privata.
14. Il testo degli articoli 1095 e 1096 del codice civile portoghese del 1966, nella loro redazione in vigore al momento della conclusione del contratto di locazione in causa, figura nella sentenza Velosa Barreto c. Portogallo (21 novembre 1995, § 16, serie A no 334). Queste disposizioni stabiliscono il principio generale del proseguimento tacito dei contratti di affitto e precisano che il proprietario dispone del diritto di rescindere il contratto quando adduce di avere bisogno dell’immobile per abitarvi lui stesso od ospitarvi uno dei suoi figli.
15. Il diritto del proprietario di rescindere il contratto di locazione per abitarvi lui stesso o per ospitarvi i suoi figli fu mantenuto dalla legge sugli affitti di abitazione (decreto-legge no 321-B/90 del 15 ottobre 1990) applicabile alla presente causa al momento del deposito della richiesta introduttiva di istanza dinnanzi al tribunale di Oliveira di Azeméis.
16. La legge no 55/79 del 15 settembre 1979, entrata in vigore l’indomani, precisò che il proprietario non poteva fare uso del diritto di risoluzione del contratto di locazione quando l’inquilino si trovava nel locale affittato da vent’ anni o più. La suddetta legge sugli affitti di abitazione, adottata dal decreto-legge no 321-B/90, portò, nel suo articolo 107, questo termine a trent’ anni. Tuttavia, il Tribunale costituzionale, con la sua sentenza no 97/00 del 16 febbraio 2000, pubblicata sulla Gazzetta ufficiale il 17 marzo 2000, dichiarò con forza obbligatoria generale l’incostituzionalità di tale modifica. Il termine di vent’ anni contemplato nella legge no 55/79 restò dunque in vigore fino all’adozione del decreto-legge no 329-B/2000 del 22 dicembre 2000, entrato in vigore il 22 gennaio 2001 che portò di nuovo questo termine a trent’ anni, pure precisando che la situazione degli inquilini per cui il vecchio termine di vent’ anni era già scaduto nel frattempo non sarebbe stata lesa dalla nuova legge.
17. Una nuova legge sugli affitti di abitazione (no 6/2006) del 27 febbraio 2006, è stata adottata da allora, trovandosi le disposizioni dell’articolo 107 della vecchia legge però sempre in vigore per i contratti di locazione a durata indeterminata (vedere 26 § 4 articolo a) della legge no 6/2006).
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 1
18. I richiedenti adducono che l’applicazione automatica dell’eccezione al diritto del proprietario di rescindere l’affitto è un’ingerenza sproporzionata nel diritto al rispetto dei loro beni come previsto dall’articolo 1 del Protocollo no 1, così formulato:
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non a causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non recano offesa al diritto che possiedono gli Stati di mettere in vigore le leggi che giudicano necessarie per regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale o per garantire il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle multe. “
19. Il Governo si oppone a questa tesi.
A. Sull’ammissibilità
20. La Corte constata che la richiesta non è manifestamente mal fondata ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. La Corte rileva peraltro che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararla ammissibile.
B. Sul merito
1. Tesi delle parti
21. I richiedenti stimano che l’applicazione automatica dell’eccezione incriminata al diritto del proprietario di dare disdetta all’inquilino costituisce un’ingerenza sproporzionata nel diritto al rispetto dei loro beni. Sottolineano che tale applicazione automatica non lascia nessuno posto alla considerazione degli interessi delle persone riguardate. Per i richiedenti, la legislazione incriminata parte da un presupposto erroneo, ossia che la situazione sociale degli inquilini è sempre inferiore a quella dei proprietari.
22. I richiedenti sottolineano che la legislazione controversa non potrebbe così garantire il giusto equilibrio tra gli interessi degli inquilini ed il loro interesse a potere esercitare pienamente il loro diritto di proprietà-o un diritto equivalente, come quello di usufrutto di cui sono i titolari- sul bene in causa.
23. Il Governo sostiene al primo colpo che non c’è stata nessuna ingerenza delle autorità pubbliche nel diritto dei richiedenti al rispetto dei loro beni. Sottolinea che i richiedenti hanno disposto del loro bene come bene è sembrato loro, nell’esercizio della loro libertà contrattuale. Sempre che ci sia stata limitazione, questa risulterebbe dal contratto di locazione liberamente concluso dai richiedenti in ogni cognizione di causa e conformemente alle disposizioni legali in vigore all’epoca che contemplavano già la limitazione contestata del diritto di dare disdetta al locatore dinnanzi alla Corte.
24. Per il Governo, supponendo anche che ci sia stata un’ingerenza nello specifico, sarebbe giustificata dal potere che possiede lo stato di regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale, in virtù dell’articolo 1 del Protocollo no 1. Così, la legislazione in causa-che è stata dichiarata conforme alla Costituzione dal Tribunale costituzionale- avrebbe per scopo legittimo la protezione sociale degli inquilini, in quanto gruppo sociale più sfavorito.
2. Valutazione della Corte
25. La Corte ricorda al primo colpo che l’articolo 1 del Protocollo no 1 contiene “tre norme distinte”: la prima che si esprime nella prima frase del primo capoverso e riveste un carattere generale, enuncia il principio del rispetto della proprietà; la seconda, che figura nella seconda frase dello stesso capoverso, prevede la privazione di proprietà e la sottopone a certe condizioni; in quanto alla terza, registrata nel secondo capoverso, riconosce agli Stati contraenti il potere, tra altri, di regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale e mettendo in vigore le leggi che giudicano necessarie a questo fine. Non si tratta per tanto di regole prive di rapporto tra esse: la seconda e la terza hanno fatto riferimento agli esempi particolari di attentati al diritto di proprietà; quindi, si devono interpretare alla luce del principio consacrato dalla prima (Hutten-Czapska c. Polonia [GC], no 35014/97, § 157, CEDH 2006-VIII).
26. Nello specifico, c’è luogo di esaminare la situazione controversa sotto l’angolo del secondo capoverso dell’articolo 1 del Protocollo no 1: delle questioni come quelle qui in causa, concernenti le limitazioni legali portate al diritto dei proprietari di dare disdetta agli inquilini, dipendono difatti dalle misure prese dallo stato per regolamentare l’uso dei beni degli individui (Hutten-Czapska precitata §§ 160-161; Mellacher ed altri c. Austria, 19 dicembre 1989, § 44, serie A no 169).
27. La Corte ha esaminato da prima se c’è stata ingerenza nel diritto dei richiedenti al rispetto dei loro beni. Stima che questi possono passare per avere subito tale ingerenza, tenuto conto delle decisioni delle istanze che avevano rifiutato di fare diritto alla loro istanza di risoluzione del contratto di locazione.
28. Resta da sapere se tale ingerenza era giustificata.
29. A questo riguardo, la Corte ricorda di aver dovuto già esaminare delle legislazioni-ivi compresa quell’applicabile in Portogallo – relative al controllo degli affitti. Ha avuto l’opportunità di ricordare che questo tipo di legislazione insegue uno scopo legittimo, ossia la protezione sociale degli inquilini, e che tende coś ha promuovere il benessere economico del paese e la protezione dei diritti altrui (Velosa Barreto c. Portogallo, precitata, § 25). Nel collocamento in opera delle sue politiche il legislatore deve godere inoltre, a questo riguardo, di una grande latitudine per pronunciarsi tanto sull’esistenza di un problema di interesse pubblico che richiede una regolamentazione che sulla scelta delle modalità di applicazione di questa ultima. La Corte rispetta il modo in cui concepisce gli imperativi dell’interesse generale, salvo se il suo giudizio si rivela manifestamente privo di base ragionevole (Mellacher ed altri, precitata, § 45).
30. La Corte ha così già ammesso, in parecchie cause, delle limitazioni portate ai diritti dei proprietari nei confronti degli inquilini, del resto moneta corrente in un buon numero di stati membri del Consiglio dell’Europa, che ha considerato come giustificate e proporzionate agli scopi previsti dallo stato nell’interesse generale. Nella causa Mellacher ed altri, per esempio, si trattava di una legislazione che provocava, per i richiedenti, delle riduzioni degli affitti (Mellacher ed altri, precitata, § 57). Nella causa Spadea e Scalabrino, la Corte ha giudicato conforme alla Convenzione la sospensione temporanea degli sfratti di certe categorie di inquilini (Spadea e Scalabrino c. Italia, 28 settembre 1995, § 41, serie A no 315-B). Nella causa Velosa Barreto, era la questione della sottomissione da parte del diritto portoghese della risoluzione di un affitto a condizione che il proprietario abbia “bisogno” dell’alloggio in causa per abitarvi (Velosa Barreto, precitata, §§ 26 e 29-30). Da parte sua, la Commissione aveva giudicato anche conforme alla Convenzione la limitazione del diritto del proprietario di dare disdetta all’inquilino di 65 anni o più (Crux Bixirão c. Portogallo, no 24098/94, decisione della Commissione del 28 febbraio 1996, non pubblicata).
31. In compenso, la Corte ha giudicato che il “gioco combinato delle disposizioni difettose sulla determinazione degli affitti e delle diverse restrizioni ai diritti dei proprietari in materia di cessazione degli affitti” della legislazione polacca portava violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 (Hutten-Czapska, precitata, § 224). Distinguendo questa causa dalle precedenti cause Mellacher e Spadea e Scalabrino, la Corte ha stimato che le limitazioni portate ai diritti dei proprietari che avevano per conseguenza di impedire gli interessati di ricuperare non fossero che gli oneri di manutenzione degli immobili in causa, erano ben più considerevoli che in queste cause anteriori (ibidem, §§ 224-225.
32. Nello specifico, la sola in questione è la limitazione portata al diritto del proprietario di dare disdetta all’inquilino quando questo ultimo si trova da vent’ anni o più nei luoghi. La Corte osserva a questo riguardo che lo stato, nell’esercizio dell’ampio margine di valutazione di cui dispone in materia, può desiderare accordare una protezione più ampia agli interessi degli inquilini che beneficiano di contratti più lunghi e stabili. Ciò facendo, il legislatore fa adottare solamente le misure che stima adeguate alla regolazione del mercato dell’alloggio che occupa un posto centrale nelle politiche sociali ed economiche delle nostre società moderne, allo scopo di fornire una protezione incrementata a certe categorie di inquilini. La Corte non potrebbe mettere in causa tale scelta politica del legislatore, dal momento che si tratta di una misura di interesse generale che non sembra “manifestamente [priva] di base ragionevole” (Mellacher ed altri, precitata, § 45).
33. È vero che la limitazione in causa è applicata in modo automatico, non potendo pesare le giurisdizioni investite gli interessi rispettivi del proprietario e dell’inquilino. La Corte stima quindi che il carattere assoluto di una legge non è, in sé, incompatibile con la Convenzione (Evans c. Regno Unito [GC], no 6339/05, § 89, CEDH 2007-IV) anche se delle situazioni assimilabili ad una presunzione irrefragabile devono rimanere eccezionali (vedere Salabiaku c. Francia, 7 ottobre 1988, § 28, serie A no 141-A e Tsomtsos ed altri c. Grecia, 15 novembre 1996, § 40, Raccolta delle sentenze e decisioni 1996-V). Tali regole assolute prevedono da prima, evidentemente, a promuovere la sicurezza giuridica ed ad evitare le incoerenze in un ambito sensibile come quello dell’alloggio. Conviene sottolineare poi che lo stato è libero, finché rimane nei limiti fissati dal bisogno di preservare “il giusto l’equilibrio”, di stimare che una data situazione deve essere regolata secondo le norme precise e determinate. Nello specifico, è chiaro che la legislazione incriminata si basa sulla preoccupazione di proteggere una categoria sociale considerata dallo stato come necessitante una protezione particolare. A questo fine, lo stato ha scelto di andare al di là della semplice determinazione delle basi che regolano le relazioni contrattuali tra proprietari ed inquilini e di adottare, in questo caso molto particolare, una regola a carattere assoluto per delle ragioni di giustizia sociale. La Corte nota a questo riguardo che tali regole assolute non sono rare nell’ambito dell’alloggio dove, come ha detto nella sentenza James ed altri c. Regno Unito, “[eliminare] ciò che si giudica come ingiustizie sociali figura tra i compiti di un legislatore democratico. Ora le società moderne considerano l’alloggio come un bisogno fondamentale di cui non si potrebbe abbandonare interamente la soddisfazione alle forze del mercato. Il margine di valutazione va abbastanza lontano da inglobare una legislazione destinata a garantire in materia più di giustizia sociale, anche quando simile legislazione si immischia nelle relazioni contrattuali tra individui e non conferisce nessuno vantaggio diretto allo stato né alla collettività nel suo insieme” (James ed altri c. Regno Unito, 21 febbraio 1986, § 47, serie A no 98). In questa causa la Corte ha stimato così, che il trasferimento obbligatorio della proprietà dell’alloggio previsto dalla legislazione che riformava il sistema inglese e gallese dell’enfiteusi non portava attentato all’articolo 1 del Protocollo no 1 (James ed altri, precitata, §§ 51-52).
34. La Corte lega infine un’importanza decisiva al fatto che la limitazione in causa era già in vigore nel momento in cui i richiedenti hanno concluso il contratto di affitto in questione (vedere sopra 7 e 16 paragrafi). Sapevano dunque, da questo momento, che la legislazione in vigore dava loro la possibilità di chiedere la risoluzione dell’affitto adducendo il loro “bisogno”-o quello di uno dei loro figli-di abitare l’alloggio ma che se il contratto so fosse prolungato al di là di un periodo di vent’ anni, avrebbero allora incontrato la limitazione prevista dalla legge no 55/79 del 15 settembre 1979. Il “bisogno” in causa sarebbe potuto certo sopraggiungere, unicamente al termine del termine dei vent’anni in questione. Il che non potrebbe mettere però in causa l’opzione del legislatore – nell’’esercizio del suo largo margine di valutazione-di dare più peso agli interessi dell’inquilino quando il contratto di affitto si prolunga al di là di una durata importante, considerando che l’esistenza del “bisogno” del proprietario di abitare l’alloggio in causa non basta più, alla vista dell’imperativo di proteggere gli inquilini che si trovano in situazioni come quella dello specifico che ha un’attesa ragionevole di restare nell’immobile affittato. Del resto, la Corte ricorda che i richiedenti, contrariamente alle persone riguardate dalla causa Hutten-Czapska, hanno potuto concludere liberamente il contratto di affitto in causa, fissando un affitto che hanno negoziato in tutta libertà coi loro inquilini, senza nessun intervento statale. La Corte tiene a precisare infine che il caso di specie è da distinguere da una situazione in cui la limitazione incriminata dei diritti del proprietario verrebbe a modificare la posizione contrattuale originale di questo ultimo.
35. La Corte stima dunque che la limitazione in causa non potrebbe passare, avuto riguardo allo scopo legittimo ricercato, per sproporzionata o priva di giustificazione, e che predispone un giusto equilibrio in particolare tra gli interessi della comunità ed il diritto dei proprietari e dei richiedenti.
36. Non c’è stata dunque violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE,
1. Dichiara, all’unanimità, la richiesta ammissibile,;
2. Stabilisce, per cinque voci contro due, che non c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1;
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 21 dicembre 2010, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Francesca Elens-Passos Francesca Tulkens
Cancelliera collaboratrice Presidentessa
Alla presente sentenza si trova unita, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 dell’ordinamento, l’esposizione dell’opinione separata comune ai giudici Karakaş e Raimondi.
F.T.
F.E.P.
OPINIONE DISSIDENTE COMUNE AI GIUDICI KARAKAŞ E RAIMONDI
1. Con nostro grande dispiacere, non possiamo condividere la conclusione della maggioranza per cui non ci sarebbe stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 nello specifico.
2. Sottoscriviamo le conclusioni della maggioranza sull’ammissibilità della richiesta così come il ragionamento secondo cui conviene esaminare lo specifico sotto l’angolo del secondo capoverso dell’articolo 1 del Protocollo no 1. Difatti, come dice la sentenza (paragrafo 26, con la giurisprudenza citata) delle questioni come quelle che riguardano le limitazioni legali portate al diritto dei proprietari di dare disdetta agli inquilini dipendono difatti dalle misure prese dallo stato per regolamentare l’uso dei beni degli individui.
3. Come la maggioranza, pensiamo anche che le decisioni delle istanze nazionali che hanno negato di fare diritto alle istanze dei richiedenti di risoluzione del contratto di locazione controversa costituiscono un’ingerenza nel diritto degli interessati al rispetto dei loro beni, e che questa ingerenza inseguiva uno scopo legittimo, ossia la protezione sociale degli inquilini, e che tendeva così a promuovere il benessere economico del paese e la protezione dei diritti altrui (paragrafo 29 della sentenza).
In compenso, a differenza della maggioranza, pensiamo che il “giusto equilibrio” da predisporre tra le esigenze dell’interesse generale e gli imperativi dei diritti fondamentali dell’individuo (James ed altri c. Regno Unito, 21 febbraio 1986, § 50, serie A no 98,; Sporrong e Lönnroth c. Svezia, 23 settembre 1982, § 69, serie A no 52) è stato rotto in ragione del fatto che i richiedenti nella presente causa hanno dovuto subire “un carico speciale ed esorbitante” (Sporrong e Lönnroth, precitata, § 73).
4. Secondo il diritto e la pratica interna pertinenti (paragrafi 13 a 17 della sentenza), nei contratti di locazione come quello concluso nello specifico, il proprietario può rescindere il contratto solo sotto certe condizioni limitatamente previste dalla legge. Una delle situazioni in cui è possibile rescindere il contratto è quella in causa in questa causa: si tratta della necessità per il proprietario di ricuperare l’immobile affittato per abitarvi lui stesso o per ospitarvi suo figlio. Tuttavia, la legge contempla un’eccezione a questa regola che si presenta proprio nello specifico, e che, al nostro senso, provoca la rottura del “giusto equilibrio”: il proprietario perde il diritto alla risoluzione del contratto se l’inquilino abita l’immobile da almeno vent’ anni, e ciò in modo automatico, senza anche che sia possibile mettere sulla bilancia i differenti interessi in gioco.
5. È difatti in particolare il carattere automatico di questa regola che ci fa inclinare per la violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 nello specifico.
6. Condividiamo l’approccio della maggioranza che, a giusto titolo, ha sottolineato, nella scia della giurisprudenza della Corte che nel collocamento in opera delle politiche tese a promuovere il benessere economico del paese e la protezione dei “diritti altrui”, ivi compresa la protezione sociale degli inquilini, il legislatore deve godere di una grande latitudine per pronunciarsi tanto sull’esistenza di un problema di interesse pubblico che richiede una regolamentazione che sulla scelta delle modalità di applicazione di questa ultima, e che la Corte rispetta il modo in cui concepisce gli imperativi dell’interesse generale, salvo se il suo giudizio si rivela manifestamente privo di base ragionevole (Mellacher ed altri c. Austria, 19 dicembre 1989, § 44, paragrafo 29 della sentenza).
7. Tuttavia, pensiamo che, a differenza delle molteplici situazioni-menzionate al paragrafo 30 della sentenza-in cui la Corte ha stimato che le limitazioni portate ai diritti dei proprietari nei confronti degli inquilini erano giustificate e proporzionate agli scopi previsti dallo stato nell’interesse generale, tale non è il caso nello specifico.
8. Alo stesso modo in cui la Corte ha detto nella causa Hutten-Czapska c. Polonia [GC], no 35014/97, concernente un “gioco combinato” di “disposizioni difettose sulla determinazione degli affitti” e delle “diverse restrizioni ai diritti dei proprietari in materia di cessazione degli affitti”, stimiamo che l’impossibilità per il proprietario di rescindere l’affitto in presenza di una delle condizioni limitatamente previste dalla legge, mentre questa condizione si presenta dopo che l’inquilino ha abitato l’immobile per almeno vent’ anni, e ciò automaticamente, senza che i differenti interessi siano messi sulla bilancia, rompe “il giusto l’equilibrio” menzionato sopra.
9. La sentenza ricorda che, a differenza della causa Hutten-Czapska, i richiedenti nello specifico hanno potuto concludere liberamente il contratto di affitto in causa, fissando un affitto che hanno negoziato in tutta libertà coi loro inquilini senza nessun intervento statale, e che la limitazione in causa era già in vigore nel momento in cui i richiedenti hanno concluso il contratto di affitto in questione (paragrafo 34 della sentenza).
10. Riconosciamo il peso di questi ultimi argomenti, ma non ci sembrano sufficienti per concludere che il “giusto equilibrio” da predisporre tra le esigenze dell’interesse generale e gli imperativi dei diritti fondamentali dell’individuo sia stato preservato nella presente causa.
11. In particolare, anche se i richiedenti sapevano al momento della conclusione del contratto che non avrebbero potuto rescindere l’affitto durante i primi venti anni salvo che per delle ragioni limitatamente indicate dalla legge e che, dopo vent’ anni, gli inquilini sarebbero stati definitivamente al riparo da ogni richiesta di risoluzione, ci sembra che le disposizioni legali pertinenti impongano un carico sproporzionato sui proprietari che non hanno altra opzione, se vogliono riportare a profitto il loro bene- ciò che è ugualmente una facoltà inerente al diritto di proprietà-che farlo conformemente al regime estremamente rigido fissato dalla legge. Difatti la sola scelta che ha lasciato loro è o di affittare il bene facendo un “salto nel buio” in quanto alle possibilità di ricuperarlo un giorno, o di rinunciare ad affittarlo.
12. Non bisogna trascurare neanche il fatto che durante tutta la durata del contratto di cui non potevano impedire il rinnovo automatico, i richiedenti non avevano nessuna possibilità di aumentare l’affitto mensile che, attualizzato conformemente alla legge, ammontava in data dell’introduzione del procedimento controverso, il 20 febbraio 2002, ad una somma che corrispondeva a 34,91 EUR.
13. La sentenza prende la causa James precitato come esempio di “regole assolute” in materia di alloggio di cui la Corte avrebbe riconosciuto già la conformità all’articolo 1 del Protocollo no1; ora questo esempio non ci sembra pertinente.
14. Il caso di specie preso in considerazione dalla Corte in questa ultima causa, difatti, era totalmente differente dalla situazione che vi occupa oggi. Nella causa James si trattava del riscatto obbligatorio di certi affitti enfiteutici di diritto britannico. Un enfiteuta, a differenza di un inquilino ordinario che gode solamente di un diritto personale, è ben titolare di un diritto reale- sebbene temporaneo -sulla proprietà.
15. Come viene è detto nella sentenza James (precitata, § 13) ciò è vero al punto che “[siccome] né il locatore solo, né l’inquilino solo possono offrire ad un terzo la proprietà esente da occupanti, i loro diritti riuniti hanno un valore inferiore a quello che avrebbe la proprietà libera. Così però la reversione è venduta all’inquilino occupante che può sciogliere allora i due diritti in una proprietà unica, il valore di questa supera il valore di investimento per un terzo che acquisterebbe la reversione gravata di un affitto. Nelle operazioni del mercato libero, venditore ed acquirente hanno costume di dividersi, nelle proporzioni convenute tra loro, questo valore supplementare detto “valore di consolidamento” (“merger value”).” Si trattava nella sentenza James di una situazione nella quale la rigidità della regolamentazione pertinente era giustificata dalla posizione particolare degli enfiteuta dunque e che non si può avvicinare a nostro avviso a quella di un affitto classico di civil law come quello di cui ci occupiamo nello specifico.
16. Quindi, per le ragioni esposte sopra, stimiamo che c’è stata nella specifico violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1.