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Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE ALMEIDA FERREIRA ET MELO FERREIRA c. PORTUGAL

Tipologia: Sentenza
Importanza: 1
Articoli: P1-1, P1-2
Numero: 41696/07/2010
Stato: Portogallo
Data: 2010-12-21 00:00:00
Organo: Sezione Seconda
Testo Originale

Conclusione Non -violazione di P1-1
SECONDA SEZIONE
CAUSA ALMEIDA FERREIRA E MELODRAMMA FERREIRA
C. PORTOGALLO
( Richiesta no 41696/07)
SENTENZA
STRASBURGO
21 dicembre 2010
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.

Nella causa Almeida Ferreira e Melodramma Ferreira c. Portogallo,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Ireneu Cabral Barreto, Danutė Jočienė, Dragoljub Popović, András Sajó, Işıl Karakaş, Guido Raimondi, giudici,
e da Francesca Elens-Passos, cancelliera collaboratrice di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 28 settembre e 30 novembre 2010,
Rende la sentenza che ha adottato in questa ultima data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 41696/07) diretta contro la Repubblica portoghese e in cui due cittadini di questo Stato, il Sig. M A. F. e sua moglie, la Sig.ra M da C. Q. P. di M F. (“i richiedenti”), hanno investito la Corte il 18 settembre 2007 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. I richiedenti sono rappresentati da J.P. M F., avvocato ad Estarreja (Portogallo). Il governo portoghese (“il Governo”) è stato rappresentato fino al 23 febbraio 2010 dal suo agente, la Sig. J. Miguel, procuratore generale aggiunto, ed a partire da questa data dalla Sig.ra M. F. Carvalho, anche procuratore generale aggiunto.
3. I richiedenti adducono che il fatto di non potere disporre liberamente del loro bene porta pregiudizio al diritto al rispetto dei beni.
4. Il 3 gennaio 2009, la presidentessa della seconda sezione ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Come permette l’articolo 29 § 1 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la camera si sarebbe pronunciata sull’ammissibilità ed il merito allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
5. I richiedenti sono nati rispettivamente nel 1925 e 1926 e risiedono ad Oliveira di Azeméis (Portogallo).
6. I richiedenti sono titolari del diritto di usufrutto su un immobile, ubicato ad Oliveira di Azeméis di cui loro figlio Paulo è il nudo-proprietario. Questo immobile è costituito da un pianterreno che consta di tre locali, due bagni ed una cucina e di un primo piano che consta di cinque locali, un bagno ed una cucina. L’immobile dispone ancora di rimessa e di dependance e ha una superficie coperta di 309 m² e non coperta di 11 m².
7. Il 1 gennaio 1980, i richiedenti affittarono ad uso di abitazione una parte del primo piano di questo immobile a D. per un affitto di 4 500 escudo portoghesi, o 22 euro (EUR) circa. L’importo dell’affitto era, al momento dell’introduzione del procedimento sotto menzionato dai richiedenti, di 34,91 EUR,in seguito all’applicazione dei coefficienti legali di aumento degli affitti.
8. Il 20 febbraio 2002, i richiedenti citarono D. e la moglie di questo ultimo dinnanzi al tribunale di Oliveira di Azeméis. Sollecitavano, invocando la legge sugli affitti di abitazione, la risoluzione del contratto di locazione al motivo che avevano bisogno della parte affittata dell’immobile per stabilire loro figlio Paulo la cui famiglia si era appena ingrandita in seguito alla nascita, il 15 novembre 2001, del suo secondo bambino.
9. Con un giudizio reso senza udienza (saneador-sentença) il 4 giugno 2002, il tribunale fece diritto ad un’eccezione perentoria sollevata dai convenuti e respinse l’istanza. Per il tribunale, l’eccezione legale, prevista dalla legge no 55/79, che impedisce il diritto di risoluzione del proprietario nel caso in cui l’inquilino rimane per vent’ anni o più nell’immobile affittato, si applicava nello specifico. Il tribunale respinse le affermazioni dei richiedenti secondo cui l’applicazione automatica di tale eccezione sarebbe stata contraria al loro diritto di proprietà.
10. Su ricorso dei richiedenti, la corte di appello di Puerto confermò questo giudizio con una sentenza del 23 gennaio 2003.
11. I richiedenti depositarono un ricorso costituzionale, adducendo in particolare che l’applicazione automatica di tale eccezione al diritto di risoluzione del proprietario recava offesa al diritto di proprietà, garantito dalla Costituzione e dall’articolo 1 del Protocollo no 1.
12. Con una sentenza del 21 marzo 2007, il Tribunale costituzionale respinse il ricorso, considerando che le disposizioni in causa non portavano pregiudizio né alla Costituzione né all’articolo 1 del Protocollo no 1. Il Tribunale costituzionale sottolineò da prima che l’eccezione contemplata alla legge no 55/79 non ledeva la libertà contrattuale degli interessati che restavano liberi di affittare o meno il loro bene; l’alta giurisdizione notò a questo proposito che nel momento in cui l’immobile in questione fu affittato, l’eccezione controversa era già in vigore. Il Tribunale costituzionale considerò poi che l’eccezione in causa aveva per scopo la protezione sociale degli inquilini che rimanevano nello stesso immobile per un lungo periodo. L’eccezione legale in causa non recava offesa al diritto di proprietà dunque.
II. IL DIRITTO E LA PRATICA INTERNA PERTINENTI
13. L’articolo 62 della Costituzione portoghese garantisce il diritto al rispetto della proprietà privata.
14. Il testo degli articoli 1095 e 1096 del codice civile portoghese del 1966, nella loro redazione in vigore al momento della conclusione del contratto di locazione in causa, figura nella sentenza Velosa Barreto c. Portogallo (21 novembre 1995, § 16, serie A no 334). Queste disposizioni stabiliscono il principio generale del proseguimento tacito dei contratti di affitto e precisano che il proprietario dispone del diritto di rescindere il contratto quando adduce di avere bisogno dell’immobile per abitarvi lui stesso od ospitarvi uno dei suoi figli.
15. Il diritto del proprietario di rescindere il contratto di locazione per abitarvi lui stesso o per ospitarvi i suoi figli fu mantenuto dalla legge sugli affitti di abitazione (decreto-legge no 321-B/90 del 15 ottobre 1990) applicabile alla presente causa al momento del deposito della richiesta introduttiva di istanza dinnanzi al tribunale di Oliveira di Azeméis.
16. La legge no 55/79 del 15 settembre 1979, entrata in vigore l’indomani, precisò che il proprietario non poteva fare uso del diritto di risoluzione del contratto di locazione quando l’inquilino si trovava nel locale affittato da vent’ anni o più. La suddetta legge sugli affitti di abitazione, adottata dal decreto-legge no 321-B/90, portò, nel suo articolo 107, questo termine a trent’ anni. Tuttavia, il Tribunale costituzionale, con la sua sentenza no 97/00 del 16 febbraio 2000, pubblicata sulla Gazzetta ufficiale il 17 marzo 2000, dichiarò con forza obbligatoria generale l’incostituzionalità di tale modifica. Il termine di vent’ anni contemplato nella legge no 55/79 restò dunque in vigore fino all’adozione del decreto-legge no 329-B/2000 del 22 dicembre 2000, entrato in vigore il 22 gennaio 2001 che portò di nuovo questo termine a trent’ anni, pure precisando che la situazione degli inquilini per cui il vecchio termine di vent’ anni era già scaduto nel frattempo non sarebbe stata lesa dalla nuova legge.
17. Una nuova legge sugli affitti di abitazione (no 6/2006) del 27 febbraio 2006, è stata adottata da allora, trovandosi le disposizioni dell’articolo 107 della vecchia legge però sempre in vigore per i contratti di locazione a durata indeterminata (vedere 26 § 4 articolo a) della legge no 6/2006).
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 1
18. I richiedenti adducono che l’applicazione automatica dell’eccezione al diritto del proprietario di rescindere l’affitto è un’ingerenza sproporzionata nel diritto al rispetto dei loro beni come previsto dall’articolo 1 del Protocollo no 1, così formulato:
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non a causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non recano offesa al diritto che possiedono gli Stati di mettere in vigore le leggi che giudicano necessarie per regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale o per garantire il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle multe. “
19. Il Governo si oppone a questa tesi.
A. Sull’ammissibilità
20. La Corte constata che la richiesta non è manifestamente mal fondata ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. La Corte rileva peraltro che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararla ammissibile.
B. Sul merito
1. Tesi delle parti
21. I richiedenti stimano che l’applicazione automatica dell’eccezione incriminata al diritto del proprietario di dare disdetta all’inquilino costituisce un’ingerenza sproporzionata nel diritto al rispetto dei loro beni. Sottolineano che tale applicazione automatica non lascia nessuno posto alla considerazione degli interessi delle persone riguardate. Per i richiedenti, la legislazione incriminata parte da un presupposto erroneo, ossia che la situazione sociale degli inquilini è sempre inferiore a quella dei proprietari.
22. I richiedenti sottolineano che la legislazione controversa non potrebbe così garantire il giusto equilibrio tra gli interessi degli inquilini ed il loro interesse a potere esercitare pienamente il loro diritto di proprietà-o un diritto equivalente, come quello di usufrutto di cui sono i titolari- sul bene in causa.
23. Il Governo sostiene al primo colpo che non c’è stata nessuna ingerenza delle autorità pubbliche nel diritto dei richiedenti al rispetto dei loro beni. Sottolinea che i richiedenti hanno disposto del loro bene come bene è sembrato loro, nell’esercizio della loro libertà contrattuale. Sempre che ci sia stata limitazione, questa risulterebbe dal contratto di locazione liberamente concluso dai richiedenti in ogni cognizione di causa e conformemente alle disposizioni legali in vigore all’epoca che contemplavano già la limitazione contestata del diritto di dare disdetta al locatore dinnanzi alla Corte.
24. Per il Governo, supponendo anche che ci sia stata un’ingerenza nello specifico, sarebbe giustificata dal potere che possiede lo stato di regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale, in virtù dell’articolo 1 del Protocollo no 1. Così, la legislazione in causa-che è stata dichiarata conforme alla Costituzione dal Tribunale costituzionale- avrebbe per scopo legittimo la protezione sociale degli inquilini, in quanto gruppo sociale più sfavorito.
2. Valutazione della Corte
25. La Corte ricorda al primo colpo che l’articolo 1 del Protocollo no 1 contiene “tre norme distinte”: la prima che si esprime nella prima frase del primo capoverso e riveste un carattere generale, enuncia il principio del rispetto della proprietà; la seconda, che figura nella seconda frase dello stesso capoverso, prevede la privazione di proprietà e la sottopone a certe condizioni; in quanto alla terza, registrata nel secondo capoverso, riconosce agli Stati contraenti il potere, tra altri, di regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale e mettendo in vigore le leggi che giudicano necessarie a questo fine. Non si tratta per tanto di regole prive di rapporto tra esse: la seconda e la terza hanno fatto riferimento agli esempi particolari di attentati al diritto di proprietà; quindi, si devono interpretare alla luce del principio consacrato dalla prima (Hutten-Czapska c. Polonia [GC], no 35014/97, § 157, CEDH 2006-VIII).
26. Nello specifico, c’è luogo di esaminare la situazione controversa sotto l’angolo del secondo capoverso dell’articolo 1 del Protocollo no 1: delle questioni come quelle qui in causa, concernenti le limitazioni legali portate al diritto dei proprietari di dare disdetta agli inquilini, dipendono difatti dalle misure prese dallo stato per regolamentare l’uso dei beni degli individui (Hutten-Czapska precitata §§ 160-161; Mellacher ed altri c. Austria, 19 dicembre 1989, § 44, serie A no 169).
27. La Corte ha esaminato da prima se c’è stata ingerenza nel diritto dei richiedenti al rispetto dei loro beni. Stima che questi possono passare per avere subito tale ingerenza, tenuto conto delle decisioni delle istanze che avevano rifiutato di fare diritto alla loro istanza di risoluzione del contratto di locazione.
28. Resta da sapere se tale ingerenza era giustificata.
29. A questo riguardo, la Corte ricorda di aver dovuto già esaminare delle legislazioni-ivi compresa quell’applicabile in Portogallo – relative al controllo degli affitti. Ha avuto l’opportunità di ricordare che questo tipo di legislazione insegue uno scopo legittimo, ossia la protezione sociale degli inquilini, e che tende coś ha promuovere il benessere economico del paese e la protezione dei diritti altrui (Velosa Barreto c. Portogallo, precitata, § 25). Nel collocamento in opera delle sue politiche il legislatore deve godere inoltre, a questo riguardo, di una grande latitudine per pronunciarsi tanto sull’esistenza di un problema di interesse pubblico che richiede una regolamentazione che sulla scelta delle modalità di applicazione di questa ultima. La Corte rispetta il modo in cui concepisce gli imperativi dell’interesse generale, salvo se il suo giudizio si rivela manifestamente privo di base ragionevole (Mellacher ed altri, precitata, § 45).
30. La Corte ha così già ammesso, in parecchie cause, delle limitazioni portate ai diritti dei proprietari nei confronti degli inquilini, del resto moneta corrente in un buon numero di stati membri del Consiglio dell’Europa, che ha considerato come giustificate e proporzionate agli scopi previsti dallo stato nell’interesse generale. Nella causa Mellacher ed altri, per esempio, si trattava di una legislazione che provocava, per i richiedenti, delle riduzioni degli affitti (Mellacher ed altri, precitata, § 57). Nella causa Spadea e Scalabrino, la Corte ha giudicato conforme alla Convenzione la sospensione temporanea degli sfratti di certe categorie di inquilini (Spadea e Scalabrino c. Italia, 28 settembre 1995, § 41, serie A no 315-B). Nella causa Velosa Barreto, era la questione della sottomissione da parte del diritto portoghese della risoluzione di un affitto a condizione che il proprietario abbia “bisogno” dell’alloggio in causa per abitarvi (Velosa Barreto, precitata, §§ 26 e 29-30). Da parte sua, la Commissione aveva giudicato anche conforme alla Convenzione la limitazione del diritto del proprietario di dare disdetta all’inquilino di 65 anni o più (Crux Bixirão c. Portogallo, no 24098/94, decisione della Commissione del 28 febbraio 1996, non pubblicata).
31. In compenso, la Corte ha giudicato che il “gioco combinato delle disposizioni difettose sulla determinazione degli affitti e delle diverse restrizioni ai diritti dei proprietari in materia di cessazione degli affitti” della legislazione polacca portava violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 (Hutten-Czapska, precitata, § 224). Distinguendo questa causa dalle precedenti cause Mellacher e Spadea e Scalabrino, la Corte ha stimato che le limitazioni portate ai diritti dei proprietari che avevano per conseguenza di impedire gli interessati di ricuperare non fossero che gli oneri di manutenzione degli immobili in causa, erano ben più considerevoli che in queste cause anteriori (ibidem, §§ 224-225.
32. Nello specifico, la sola in questione è la limitazione portata al diritto del proprietario di dare disdetta all’inquilino quando questo ultimo si trova da vent’ anni o più nei luoghi. La Corte osserva a questo riguardo che lo stato, nell’esercizio dell’ampio margine di valutazione di cui dispone in materia, può desiderare accordare una protezione più ampia agli interessi degli inquilini che beneficiano di contratti più lunghi e stabili. Ciò facendo, il legislatore fa adottare solamente le misure che stima adeguate alla regolazione del mercato dell’alloggio che occupa un posto centrale nelle politiche sociali ed economiche delle nostre società moderne, allo scopo di fornire una protezione incrementata a certe categorie di inquilini. La Corte non potrebbe mettere in causa tale scelta politica del legislatore, dal momento che si tratta di una misura di interesse generale che non sembra “manifestamente [priva] di base ragionevole” (Mellacher ed altri, precitata, § 45).
33. È vero che la limitazione in causa è applicata in modo automatico, non potendo pesare le giurisdizioni investite gli interessi rispettivi del proprietario e dell’inquilino. La Corte stima quindi che il carattere assoluto di una legge non è, in sé, incompatibile con la Convenzione (Evans c. Regno Unito [GC], no 6339/05, § 89, CEDH 2007-IV) anche se delle situazioni assimilabili ad una presunzione irrefragabile devono rimanere eccezionali (vedere Salabiaku c. Francia, 7 ottobre 1988, § 28, serie A no 141-A e Tsomtsos ed altri c. Grecia, 15 novembre 1996, § 40, Raccolta delle sentenze e decisioni 1996-V). Tali regole assolute prevedono da prima, evidentemente, a promuovere la sicurezza giuridica ed ad evitare le incoerenze in un ambito sensibile come quello dell’alloggio. Conviene sottolineare poi che lo stato è libero, finché rimane nei limiti fissati dal bisogno di preservare “il giusto l’equilibrio”, di stimare che una data situazione deve essere regolata secondo le norme precise e determinate. Nello specifico, è chiaro che la legislazione incriminata si basa sulla preoccupazione di proteggere una categoria sociale considerata dallo stato come necessitante una protezione particolare. A questo fine, lo stato ha scelto di andare al di là della semplice determinazione delle basi che regolano le relazioni contrattuali tra proprietari ed inquilini e di adottare, in questo caso molto particolare, una regola a carattere assoluto per delle ragioni di giustizia sociale. La Corte nota a questo riguardo che tali regole assolute non sono rare nell’ambito dell’alloggio dove, come ha detto nella sentenza James ed altri c. Regno Unito, “[eliminare] ciò che si giudica come ingiustizie sociali figura tra i compiti di un legislatore democratico. Ora le società moderne considerano l’alloggio come un bisogno fondamentale di cui non si potrebbe abbandonare interamente la soddisfazione alle forze del mercato. Il margine di valutazione va abbastanza lontano da inglobare una legislazione destinata a garantire in materia più di giustizia sociale, anche quando simile legislazione si immischia nelle relazioni contrattuali tra individui e non conferisce nessuno vantaggio diretto allo stato né alla collettività nel suo insieme” (James ed altri c. Regno Unito, 21 febbraio 1986, § 47, serie A no 98). In questa causa la Corte ha stimato così, che il trasferimento obbligatorio della proprietà dell’alloggio previsto dalla legislazione che riformava il sistema inglese e gallese dell’enfiteusi non portava attentato all’articolo 1 del Protocollo no 1 (James ed altri, precitata, §§ 51-52).
34. La Corte lega infine un’importanza decisiva al fatto che la limitazione in causa era già in vigore nel momento in cui i richiedenti hanno concluso il contratto di affitto in questione (vedere sopra 7 e 16 paragrafi). Sapevano dunque, da questo momento, che la legislazione in vigore dava loro la possibilità di chiedere la risoluzione dell’affitto adducendo il loro “bisogno”-o quello di uno dei loro figli-di abitare l’alloggio ma che se il contratto so fosse prolungato al di là di un periodo di vent’ anni, avrebbero allora incontrato la limitazione prevista dalla legge no 55/79 del 15 settembre 1979. Il “bisogno” in causa sarebbe potuto certo sopraggiungere, unicamente al termine del termine dei vent’anni in questione. Il che non potrebbe mettere però in causa l’opzione del legislatore – nell’’esercizio del suo largo margine di valutazione-di dare più peso agli interessi dell’inquilino quando il contratto di affitto si prolunga al di là di una durata importante, considerando che l’esistenza del “bisogno” del proprietario di abitare l’alloggio in causa non basta più, alla vista dell’imperativo di proteggere gli inquilini che si trovano in situazioni come quella dello specifico che ha un’attesa ragionevole di restare nell’immobile affittato. Del resto, la Corte ricorda che i richiedenti, contrariamente alle persone riguardate dalla causa Hutten-Czapska, hanno potuto concludere liberamente il contratto di affitto in causa, fissando un affitto che hanno negoziato in tutta libertà coi loro inquilini, senza nessun intervento statale. La Corte tiene a precisare infine che il caso di specie è da distinguere da una situazione in cui la limitazione incriminata dei diritti del proprietario verrebbe a modificare la posizione contrattuale originale di questo ultimo.
35. La Corte stima dunque che la limitazione in causa non potrebbe passare, avuto riguardo allo scopo legittimo ricercato, per sproporzionata o priva di giustificazione, e che predispone un giusto equilibrio in particolare tra gli interessi della comunità ed il diritto dei proprietari e dei richiedenti.
36. Non c’è stata dunque violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE,
1. Dichiara, all’unanimità, la richiesta ammissibile,;
2. Stabilisce, per cinque voci contro due, che non c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1;
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 21 dicembre 2010, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Francesca Elens-Passos Francesca Tulkens
Cancelliera collaboratrice Presidentessa
Alla presente sentenza si trova unita, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 dell’ordinamento, l’esposizione dell’opinione separata comune ai giudici Karakaş e Raimondi.
F.T.
F.E.P.

OPINIONE DISSIDENTE COMUNE AI GIUDICI KARAKAŞ E RAIMONDI
1. Con nostro grande dispiacere, non possiamo condividere la conclusione della maggioranza per cui non ci sarebbe stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 nello specifico.
2. Sottoscriviamo le conclusioni della maggioranza sull’ammissibilità della richiesta così come il ragionamento secondo cui conviene esaminare lo specifico sotto l’angolo del secondo capoverso dell’articolo 1 del Protocollo no 1. Difatti, come dice la sentenza (paragrafo 26, con la giurisprudenza citata) delle questioni come quelle che riguardano le limitazioni legali portate al diritto dei proprietari di dare disdetta agli inquilini dipendono difatti dalle misure prese dallo stato per regolamentare l’uso dei beni degli individui.
3. Come la maggioranza, pensiamo anche che le decisioni delle istanze nazionali che hanno negato di fare diritto alle istanze dei richiedenti di risoluzione del contratto di locazione controversa costituiscono un’ingerenza nel diritto degli interessati al rispetto dei loro beni, e che questa ingerenza inseguiva uno scopo legittimo, ossia la protezione sociale degli inquilini, e che tendeva così a promuovere il benessere economico del paese e la protezione dei diritti altrui (paragrafo 29 della sentenza).
In compenso, a differenza della maggioranza, pensiamo che il “giusto equilibrio” da predisporre tra le esigenze dell’interesse generale e gli imperativi dei diritti fondamentali dell’individuo (James ed altri c. Regno Unito, 21 febbraio 1986, § 50, serie A no 98,; Sporrong e Lönnroth c. Svezia, 23 settembre 1982, § 69, serie A no 52) è stato rotto in ragione del fatto che i richiedenti nella presente causa hanno dovuto subire “un carico speciale ed esorbitante” (Sporrong e Lönnroth, precitata, § 73).
4. Secondo il diritto e la pratica interna pertinenti (paragrafi 13 a 17 della sentenza), nei contratti di locazione come quello concluso nello specifico, il proprietario può rescindere il contratto solo sotto certe condizioni limitatamente previste dalla legge. Una delle situazioni in cui è possibile rescindere il contratto è quella in causa in questa causa: si tratta della necessità per il proprietario di ricuperare l’immobile affittato per abitarvi lui stesso o per ospitarvi suo figlio. Tuttavia, la legge contempla un’eccezione a questa regola che si presenta proprio nello specifico, e che, al nostro senso, provoca la rottura del “giusto equilibrio”: il proprietario perde il diritto alla risoluzione del contratto se l’inquilino abita l’immobile da almeno vent’ anni, e ciò in modo automatico, senza anche che sia possibile mettere sulla bilancia i differenti interessi in gioco.
5. È difatti in particolare il carattere automatico di questa regola che ci fa inclinare per la violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 nello specifico.
6. Condividiamo l’approccio della maggioranza che, a giusto titolo, ha sottolineato, nella scia della giurisprudenza della Corte che nel collocamento in opera delle politiche tese a promuovere il benessere economico del paese e la protezione dei “diritti altrui”, ivi compresa la protezione sociale degli inquilini, il legislatore deve godere di una grande latitudine per pronunciarsi tanto sull’esistenza di un problema di interesse pubblico che richiede una regolamentazione che sulla scelta delle modalità di applicazione di questa ultima, e che la Corte rispetta il modo in cui concepisce gli imperativi dell’interesse generale, salvo se il suo giudizio si rivela manifestamente privo di base ragionevole (Mellacher ed altri c. Austria, 19 dicembre 1989, § 44, paragrafo 29 della sentenza).
7. Tuttavia, pensiamo che, a differenza delle molteplici situazioni-menzionate al paragrafo 30 della sentenza-in cui la Corte ha stimato che le limitazioni portate ai diritti dei proprietari nei confronti degli inquilini erano giustificate e proporzionate agli scopi previsti dallo stato nell’interesse generale, tale non è il caso nello specifico.
8. Alo stesso modo in cui la Corte ha detto nella causa Hutten-Czapska c. Polonia [GC], no 35014/97, concernente un “gioco combinato” di “disposizioni difettose sulla determinazione degli affitti” e delle “diverse restrizioni ai diritti dei proprietari in materia di cessazione degli affitti”, stimiamo che l’impossibilità per il proprietario di rescindere l’affitto in presenza di una delle condizioni limitatamente previste dalla legge, mentre questa condizione si presenta dopo che l’inquilino ha abitato l’immobile per almeno vent’ anni, e ciò automaticamente, senza che i differenti interessi siano messi sulla bilancia, rompe “il giusto l’equilibrio” menzionato sopra.
9. La sentenza ricorda che, a differenza della causa Hutten-Czapska, i richiedenti nello specifico hanno potuto concludere liberamente il contratto di affitto in causa, fissando un affitto che hanno negoziato in tutta libertà coi loro inquilini senza nessun intervento statale, e che la limitazione in causa era già in vigore nel momento in cui i richiedenti hanno concluso il contratto di affitto in questione (paragrafo 34 della sentenza).
10. Riconosciamo il peso di questi ultimi argomenti, ma non ci sembrano sufficienti per concludere che il “giusto equilibrio” da predisporre tra le esigenze dell’interesse generale e gli imperativi dei diritti fondamentali dell’individuo sia stato preservato nella presente causa.
11. In particolare, anche se i richiedenti sapevano al momento della conclusione del contratto che non avrebbero potuto rescindere l’affitto durante i primi venti anni salvo che per delle ragioni limitatamente indicate dalla legge e che, dopo vent’ anni, gli inquilini sarebbero stati definitivamente al riparo da ogni richiesta di risoluzione, ci sembra che le disposizioni legali pertinenti impongano un carico sproporzionato sui proprietari che non hanno altra opzione, se vogliono riportare a profitto il loro bene- ciò che è ugualmente una facoltà inerente al diritto di proprietà-che farlo conformemente al regime estremamente rigido fissato dalla legge. Difatti la sola scelta che ha lasciato loro è o di affittare il bene facendo un “salto nel buio” in quanto alle possibilità di ricuperarlo un giorno, o di rinunciare ad affittarlo.
12. Non bisogna trascurare neanche il fatto che durante tutta la durata del contratto di cui non potevano impedire il rinnovo automatico, i richiedenti non avevano nessuna possibilità di aumentare l’affitto mensile che, attualizzato conformemente alla legge, ammontava in data dell’introduzione del procedimento controverso, il 20 febbraio 2002, ad una somma che corrispondeva a 34,91 EUR.
13. La sentenza prende la causa James precitato come esempio di “regole assolute” in materia di alloggio di cui la Corte avrebbe riconosciuto già la conformità all’articolo 1 del Protocollo no1; ora questo esempio non ci sembra pertinente.
14. Il caso di specie preso in considerazione dalla Corte in questa ultima causa, difatti, era totalmente differente dalla situazione che vi occupa oggi. Nella causa James si trattava del riscatto obbligatorio di certi affitti enfiteutici di diritto britannico. Un enfiteuta, a differenza di un inquilino ordinario che gode solamente di un diritto personale, è ben titolare di un diritto reale- sebbene temporaneo -sulla proprietà.
15. Come viene è detto nella sentenza James (precitata, § 13) ciò è vero al punto che “[siccome] né il locatore solo, né l’inquilino solo possono offrire ad un terzo la proprietà esente da occupanti, i loro diritti riuniti hanno un valore inferiore a quello che avrebbe la proprietà libera. Così però la reversione è venduta all’inquilino occupante che può sciogliere allora i due diritti in una proprietà unica, il valore di questa supera il valore di investimento per un terzo che acquisterebbe la reversione gravata di un affitto. Nelle operazioni del mercato libero, venditore ed acquirente hanno costume di dividersi, nelle proporzioni convenute tra loro, questo valore supplementare detto “valore di consolidamento” (“merger value”).” Si trattava nella sentenza James di una situazione nella quale la rigidità della regolamentazione pertinente era giustificata dalla posizione particolare degli enfiteuta dunque e che non si può avvicinare a nostro avviso a quella di un affitto classico di civil law come quello di cui ci occupiamo nello specifico.
16. Quindi, per le ragioni esposte sopra, stimiamo che c’è stata nella specifico violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1.

Testo Tradotto

Conclusion Non-violation de P1-1
DEUXIÈME SECTION
AFFAIRE ALMEIDA FERREIRA ET MELO FERREIRA
c. PORTUGAL
(Requête no 41696/07)
ARRÊT
STRASBOURG
21 décembre 2010
Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l’article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire Almeida Ferreira et Melo Ferreira c. Portugal,
La Cour européenne des droits de l’homme (deuxième section), siégeant en une chambre composée de :
Françoise Tulkens, présidente,
Ireneu Cabral Barreto,
Danutė Jočienė,
Dragoljub Popović,
András Sajó,
Işıl Karakaş,
Guido Raimondi, juges,
et de Françoise Elens-Passos, greffière adjointe de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil les 28 septembre et 30 novembre 2010,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette dernière date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 41696/07) dirigée contre la République portugaise et dont deux ressortissants de cet Etat, M. M A. F. et son épouse, Mme M da C. Q. P. de M F. (« les requérants »), ont saisi la Cour le 18 septembre 2007 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (« la Convention »).
2. Les requérants sont représentés par Me J.P. M F., avocat à Estarreja (Portugal). Le gouvernement portugais (« le Gouvernement ») a été représenté jusqu’au 23 février 2010 par son agent, M. J. Miguel, procureur général adjoint, et à partir de cette date par Mme M. F. Carvalho, également procureur général adjoint.
3. Les requérants allèguent que le fait de ne pas pouvoir disposer librement de leur bien porte atteinte au droit au respect des biens.
4. Le 3 janvier 2009, la présidente de la deuxième section a décidé de communiquer la requête au Gouvernement. Comme le permet l’article 29 § 1 de la Convention, il a en outre été décidé que la chambre se prononcerait en même temps sur la recevabilité et le fond.
EN FAIT
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
5. Les requérants sont nés en 1925 et 1926 respectivement et résident à Oliveira de Azeméis (Portugal).
6. Les requérants sont titulaires du droit d’usufruit sur un immeuble, sis à Oliveira de Azeméis, dont leur enfant Paulo est le nu-propriétaire. Cet immeuble se compose d’un rez-de-chaussée comprenant trois pièces, deux salles de bain et une cuisine et d’un premier étage comprenant cinq pièces, une salle de bain et une cuisine. L’immeuble dispose encore d’un garage et de dépendances et a une surface couverte de 309 m² et non couverte de 11 m².
7. Le 1er janvier 1980, les requérants louèrent à usage d’habitation une partie du premier étage de cet immeuble à D. pour un loyer de 4 500 escudos portugais, soit 22 euros (EUR) environ. Le montant du loyer était, au moment de l’introduction de la procédure ci-dessous mentionnée par les requérants, de 34,91 EUR, suite à l’application des coefficients légaux d’augmentation des loyers.
8. Le 20 février 2002, les requérants assignèrent D. et l’épouse de ce dernier devant le tribunal d’Oliveira de Azeméis. Ils sollicitaient, invoquant la loi sur les baux d’habitation, la résiliation du contrat de location au motif qu’ils avaient besoin de la partie louée de l’immeuble afin d’y installer leur fils Paulo, dont la famille venait de s’agrandir suite à la naissance, le 15 novembre 2001, de son deuxième enfant.
9. Par un jugement rendu sans audience (saneador-sentença) le 4 juin 2002, le tribunal fit droit à une exception péremptoire soulevée par les défendeurs et rejeta la demande. Pour le tribunal, l’exception légale, prévue par la loi no 55/79, empêchant le droit de résiliation du propriétaire au cas où le locataire demeure depuis vingt ans ou plus dans l’immeuble loué, s’appliquait en l’espèce. Le tribunal rejeta les allégations des requérants selon lesquelles l’application automatique d’une telle exception serait contraire à leur droit de propriété.
10. Sur recours des requérants, la cour d’appel de Porto confirma ce jugement par un arrêt du 23 janvier 2003.
11. Les requérants déposèrent un recours constitutionnel, alléguant notamment que l’application automatique d’une telle exception au droit de résiliation du propriétaire portait atteinte au droit de propriété, garanti par la Constitution et par l’article 1 du Protocole no 1.
12. Par un arrêt du 21 mars 2007, le Tribunal constitutionnel rejeta le recours, considérant que les dispositions en cause ne portaient atteinte ni à la Constitution ni à l’article 1 du Protocole no 1. Le Tribunal constitutionnel souligna d’abord que l’exception prévue à la loi no 55/79 n’affectait pas la liberté contractuelle des intéressés, qui restaient libres de louer ou non leur bien ; la haute juridiction nota à ce propos qu’au moment où l’immeuble en question fut loué, l’exception litigieuse était déjà en vigueur. Le Tribunal constitutionnel considéra ensuite que l’exception en cause avait pour but la protection sociale des locataires demeurant dans le même immeuble depuis une longue période. L’exception légale en cause ne portait donc pas atteinte au droit de propriété.
II. LE DROIT ET LA PRATIQUE INTERNES PERTINENTS
13. L’article 62 de la Constitution portugaise garantit le droit au respect de la propriété privée.
14. Le texte des articles 1095 et 1096 du code civil portugais de 1966, dans leur rédaction en vigueur au moment de la conclusion du contrat de location en cause, figure dans l’arrêt Velosa Barreto c. Portugal (21 novembre 1995, § 16, série A no 334). Ces dispositions établissent le principe général de la reconduction tacite des contrats de bail et précisent que le propriétaire dispose du droit de résilier le contrat lorsqu’il allègue avoir besoin de l’immeuble pour y habiter lui-même ou y loger l’un de ses enfants.
15. Le droit du propriétaire de résilier le contrat de location afin d’y habiter lui-même ou d’y loger ses enfants fut maintenu par la loi sur les baux d’habitation (décret-loi no 321-B/90 du 15 octobre 1990), applicable dans la présente affaire au moment du dépôt de la requête introductive d’instance devant le tribunal d’Oliveira de Azeméis.
16. La loi no 55/79 du 15 septembre 1979, entrée en vigueur le lendemain, précisa que le propriétaire ne pouvait pas faire usage du droit de résiliation du contrat de location lorsque le locataire se trouvait dans le local loué depuis vingt ans ou plus. La loi sur les baux d’habitation susmentionnée (adoptée par le décret-loi no 321-B/90) porta, dans son article 107, ce délai à trente ans. Toutefois, le Tribunal constitutionnel, par son arrêt no 97/00 du 16 février 2000, publié au Journal officiel le 17 mars 2000, déclara avec force obligatoire générale l’inconstitutionnalité d’une telle modification. Le délai de vingt ans prévu à la loi no 55/79 resta donc en vigueur jusqu’à l’adoption du décret-loi no 329-B/2000 du 22 décembre 2000, entré en vigueur le 22 janvier 2001, qui porta de nouveau ce délai à trente ans, tout en précisant que la situation des locataires pour lesquels l’ancien délai de vingt ans avait déjà expiré entre-temps ne serait pas affectée par la nouvelle loi.
17. Une nouvelle loi sur les baux d’habitation (no 6/2006, du 27 février 2006) a depuis lors été adoptée, les dispositions de l’article 107 de l’ancienne loi se trouvant cependant toujours en vigueur pour les contrats de location à durée indéterminée (voir article 26 § 4 a) de la loi no 6/2006).
EN DROIT
I. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 1 DU PROTOCOLE No 1
18. Les requérants allèguent que l’application automatique de l’exception au droit du propriétaire de résilier le bail est une ingérence disproportionnée dans le droit au respect de leurs biens tel que prévu par l’article 1 du Protocole no 1, ainsi libellé :
« Toute personne physique ou morale a droit au respect de ses biens. Nul ne peut être privé de sa propriété que pour cause d’utilité publique et dans les conditions prévues par la loi et les principes généraux du droit international.
Les dispositions précédentes ne portent pas atteinte au droit que possèdent les Etats de mettre en vigueur les lois qu’ils jugent nécessaires pour réglementer l’usage des biens conformément à l’intérêt général ou pour assurer le paiement des impôts ou d’autres contributions ou des amendes. »
19. Le Gouvernement s’oppose à cette thèse.
A. Sur la recevabilité
20. La Cour constate que la requête n’est pas manifestement mal fondée au sens de l’article 35 § 3 de la Convention. La Cour relève par ailleurs qu’elle ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité. Il convient donc de la déclarer recevable.
B. Sur le fond
1. Thèses des parties
21. Les requérants estiment que l’application automatique de l’exception incriminée au droit du propriétaire de donner congé au locataire constitue une ingérence disproportionnée dans le droit au respect de leurs biens. Ils soulignent qu’une telle application automatique ne laisse aucune place à la considération des intérêts des personnes concernées. Pour les requérants, la législation incriminée part d’un présupposé erroné, à savoir que la situation sociale des locataires est toujours inférieure à celle des propriétaires.
22. Les requérants soulignent que la législation litigieuse ne saurait ainsi assurer le juste équilibre entre l’intérêt des locataires et leur intérêt à pouvoir exercer pleinement leur droit de propriété – ou un droit équivalent, comme celui d’usufruit dont ils sont les titulaires – sur le bien en cause.
23. Le Gouvernement soutient d’emblée qu’il n’y a eu aucune ingérence des autorités publiques dans le droit des requérants au respect de leurs biens. Il souligne que les requérants ont disposé de leur bien comme bon leur a semblé, dans l’exercice de leur liberté contractuelle. Si tant est qu’il y ait eu limitation, celle-ci résulterait du contrat de location librement conclu par les requérants en toute connaissance de cause et conformément aux dispositions légales en vigueur à l’époque, qui prévoyaient déjà la limitation du droit de donner congé au bailleur contestée devant la Cour.
24. Pour le Gouvernement, à supposer même qu’il y ait eu une ingérence en l’espèce, elle serait justifiée par le pouvoir que possède l’Etat de réglementer l’usage des biens conformément à l’intérêt général, en vertu de l’article 1 du Protocole no 1. Ainsi, la législation en cause – qui a été déclarée conforme à la Constitution par le Tribunal constitutionnel – aurait pour but légitime la protection sociale des locataires, en tant que groupe social plus défavorisé.
2. Appréciation de la Cour
25. La Cour rappelle d’emblée que l’article 1 du Protocole no 1 contient « trois normes distinctes » : la première, qui s’exprime dans la première phrase du premier alinéa et revêt un caractère général, énonce le principe du respect de la propriété ; la deuxième, figurant dans la seconde phrase du même alinéa, vise la privation de propriété et la soumet à certaines conditions ; quant à la troisième, consignée dans le second alinéa, elle reconnaît aux Etats contractants le pouvoir, entre autres, de réglementer l’usage des biens conformément à l’intérêt général et en mettant en vigueur les lois qu’ils jugent nécessaires à cette fin. Il ne s’agit pas pour autant de règles dépourvues de rapport entre elles : la deuxième et la troisième ont trait à des exemples particuliers d’atteintes au droit de propriété ; dès lors, elles doivent s’interpréter à la lumière du principe consacré par la première (Hutten-Czapska c. Pologne [GC], no 35014/97, § 157, CEDH 2006-VIII).
26. En l’espèce, il y a lieu d’examiner la situation litigieuse sous l’angle du second alinéa de l’article 1 du Protocole no 1 : des questions comme celles ici en cause, concernant les limitations légales apportées au droit des propriétaires de donner congé aux locataires, relèvent en effet des mesures prises par l’Etat afin de réglementer l’usage des biens des particuliers (Hutten-Czapska précité, §§ 160-161 ; Mellacher et autres c. Autriche, 19 décembre 1989, § 44, série A no 169).
27. La Cour a examiné d’abord s’il y a eu ingérence dans le droit des requérants au respect de leurs biens. Elle estime que ceux-ci peuvent passer pour avoir subi une telle ingérence, compte tenu des décisions des instances ayant refusé de faire droit à leur demande de résiliation du contrat de location.
28. Reste à savoir si une telle ingérence était justifiée.
29. A cet égard, la Cour rappelle avoir déjà eu à examiner des législations – y compris celle applicable au Portugal – relatives au contrôle des loyers. Elle a eu l’opportunité de rappeler que ce type de législation poursuit un but légitime, à savoir la protection sociale des locataires, et qu’elle tend ainsi à promouvoir le bien-être économique du pays et la protection des droits d’autrui (Velosa Barreto c. Portugal, précité, § 25). En outre, dans la mise en œuvre de ses politiques à cet égard, le législateur doit jouir d’une grande latitude pour se prononcer tant sur l’existence d’un problème d’intérêt public appelant une réglementation que sur le choix des modalités d’application de cette dernière. La Cour respecte la manière dont il conçoit les impératifs de l’intérêt général, sauf si son jugement se révèle manifestement dépourvu de base raisonnable (Mellacher et autres, précité, § 45).
30. La Cour a ainsi déjà admis, dans plusieurs affaires, des limitations apportées aux droits des propriétaires vis-à-vis des locataires, d’ailleurs monnaie courante dans bon nombre d’Etats membres du Conseil de l’Europe, qu’elle a considérées comme justifiées et proportionnées aux buts visés par l’Etat dans l’intérêt général. Dans l’affaire Mellacher et autres, par exemple, il s’agissait d’une législation entraînant, pour les requérants, des réductions des loyers (Mellacher et autres, précité, § 57). Dans l’affaire Spadea et Scalabrino, la Cour a jugé conforme à la Convention la suspension temporaire des expulsions de certaines catégories de locataires (Spadea et Scalabrino c. Italie, 28 septembre 1995, § 41, série A no 315-B). Dans l’affaire Velosa Barreto, il était question de la soumission par le droit portugais de la résiliation d’un bail à la condition que le propriétaire ait « besoin » du logement en cause pour y habiter (Velosa Barreto, précité, §§ 26 et 29-30). De son côté, la Commission avait également jugé conforme à la Convention la limitation du droit du propriétaire de donner congé au locataire âgé de 65 ans ou plus (Crux Bixirão c. Portugal, no 24098/94, décision de la Commission du 28 février 1996, non publiée).
31. En revanche, la Cour a jugé que le « jeu combiné des dispositions défectueuses sur la fixation des loyers et des diverses restrictions aux droits des propriétaires en matière de cessation des baux » de la législation polonaise emportait violation de l’article 1 du Protocole no 1 (Hutten-Czapska, précité, § 224). Distinguant cette affaire des précédentes affaires Mellacher et Spadea et Scalabrino, la Cour a estimé que les limitations apportées aux droits des propriétaires, qui avaient pour conséquence d’empêcher les intéressés de récupérer ne serait-ce que les frais d’entretien des immeubles en cause, étaient bien plus considérables que dans ces affaires antérieures (ibidem, §§ 224-225).
32. En l’espèce, seule est en question la limitation apportée au droit du propriétaire de donner congé au locataire lorsque ce dernier se trouve depuis vingt ans ou plus dans les lieux. La Cour observe à cet égard que l’Etat, dans l’exercice de la large marge d’appréciation dont il dispose en la matière, peut souhaiter accorder une protection plus large aux intérêts des locataires bénéficiant de contrats plus longs et stables. Ce faisant, le législateur ne fait qu’adopter les mesures qu’il estime adéquates à la régulation du marché du logement, qui occupe une place centrale dans les politiques sociales et économiques de nos sociétés modernes, dans le but de fournir une protection accrue à certaines catégories de locataires. La Cour ne saurait mettre en cause un tel choix politique du législateur, dès lors qu’il s’agit là d’une mesure d’intérêt général qui ne semble pas « manifestement dépourvu[e] de base raisonnable » (Mellacher et autres, précité, § 45).
33. Il est vrai que la limitation en cause est appliquée de manière automatique, les juridictions saisies ne pouvant pas peser les intérêts respectifs du propriétaire et du locataire. La Cour estime cependant que le caractère absolu d’une loi n’est pas, en soi, incompatible avec la Convention (Evans c. Royaume-Uni [GC], no 6339/05, § 89, CEDH 2007-IV), même si des situations assimilables à une présomption irréfragable doivent demeurer exceptionnelles (voir Salabiaku c. France, 7 octobre 1988, § 28, série A no 141-A et Tsomtsos et autres c. Grèce, 15 novembre 1996, § 40, Recueil des arrêts et décisions 1996-V). De telles règles absolues visent d’abord, de toute évidence, à promouvoir la sécurité juridique et à éviter les incohérences dans un domaine sensible comme celui du logement. Il convient de souligner ensuite que l’Etat est libre, tant qu’il demeure dans les limites fixées par le besoin de préserver le « juste équilibre », d’estimer qu’une situation donnée doit être réglée selon des normes précises et déterminées. En l’espèce, il est clair que la législation incriminée se fonde sur le souci de protéger une catégorie sociale considérée par l’Etat comme nécessitant une protection particulière. A cette fin, l’Etat a choisi d’aller au-delà de la simple fixation des bases régissant les relations contractuelles entre propriétaires et locataires et d’adopter, dans ce cas très particulier, une règle à caractère absolu pour des raisons de justice sociale. La Cour note à cet égard que de telles règles absolues ne sont pas rares dans le domaine du logement où, comme elle l’a dit dans l’arrêt James et autres c. Royaume-Uni, « [é]liminer ce que l’on ressent comme des injustices sociales figure parmi les tâches d’un législateur démocratique. Or les sociétés modernes considèrent le logement comme un besoin primordial dont on ne saurait entièrement abandonner la satisfaction aux forces du marché. La marge d’appréciation va assez loin pour englober une législation destinée à assurer en la matière plus de justice sociale, même quand pareille législation s’immisce dans des relations contractuelles entre particuliers et ne confère aucun avantage direct à l’État ni à la collectivité dans son ensemble » (James et autres c. Royaume-Uni, 21 février 1986, § 47, série A no 98). Ainsi, dans cette affaire la Cour a estimé que le transfert obligatoire de la propriété du logement prévu par la législation réformant le système anglais et gallois de l’emphytéose ne portait pas atteinte à l’article 1 du Protocole no 1 (James et autres, précité, §§ 51-52).
34. La Cour attache enfin une importance décisive au fait que la limitation en cause était déjà en vigueur au moment où les requérants ont conclu le contrat de bail en question (voir paragraphes 7 et 16 ci-dessus). Ils savaient donc, dès ce moment-là, que la législation en vigueur leur donnait la possibilité de demander la résiliation du bail alléguant leur « besoin » – ou celui de l’un de leurs enfants – d’habiter le logement mais que si le contrat devait se prolonger au-delà d’une période de vingt ans, ils se heurteraient alors à la limitation prévue par la loi no 55/79 du 15 septembre 1979. Certes, le « besoin » en cause pourrait survenir uniquement au terme du délai de vingt ans en question. Cela ne saurait cependant mettre en cause l’option du législateur – dans l’exercice de sa large marge d’appréciation – de donner plus de poids aux intérêts du locataire lorsque le contrat de bail se prolonge au-delà d’une durée importante, considérant que l’existence du « besoin » du propriétaire d’habiter le logement en cause ne suffit plus, au vu de l’impératif de protéger les locataires se trouvant dans des situations comme celle de l’espèce qui ont une attente raisonnable de rester dans l’immeuble loué. Au demeurant, la Cour rappelle que les requérants, contrairement aux personnes concernées par l’affaire Hutten-Czapska, ont pu librement conclure le contrat de bail en cause, fixant un loyer qu’ils ont négocié en toute liberté avec leurs locataires, sans aucune intervention étatique. La Cour tient à préciser enfin que le cas d’espèce est à distinguer d’une situation dans laquelle la limitation incriminée des droits du propriétaire viendrait modifier la position contractuelle originale de ce dernier.
35. La Cour estime donc que la limitation en cause ne saurait passer, eu égard au but légitime recherché, pour disproportionnée ou dépourvue de justification, et qu’elle ménage un juste équilibre entre les intérêts de la communauté et le droit des propriétaires et des requérants en particulier.
36. Il n’y a donc pas eu violation de l’article 1 du Protocole no 1.
PAR CES MOTIFS, LA COUR,
1. Déclare, à l’unanimité, la requête recevable ;
2. Dit, par cinq voix contre deux, qu’il n’y a pas eu violation de l’article 1 du Protocole no 1 ;
Fait en français, puis communiqué par écrit le 21 décembre 2010, en application de l’article 77 §§ 2 et 3 du règlement.
Françoise Elens-Passos Françoise Tulkens
Greffière adjointe Présidente
Au présent arrêt se trouve joint, conformément aux articles 45 § 2 de la Convention et 74 § 2 du règlement, l’exposé de l’opinion séparée commune aux juges Karakaş et Raimondi.
F.T.
F.E.P.

OPINION DISSIDENTE COMMUNE AUX JUGES KARAKAŞ ET RAIMONDI
1. A notre grand regret, nous ne pouvons partager la conclusion de la majorité d’après laquelle il n’y aurait pas eu violation de l’article 1 du Protocole no 1 en l’espèce.
2. Nous souscrivons aux conclusions de la majorité sur la recevabilité de la requête ainsi qu’au raisonnement selon lequel il convient d’examiner l’espèce sous l’angle du second alinéa de l’article 1 du Protocole no 1. En effet, comme le dit l’arrêt (paragraphe 26, avec la jurisprudence y citée), des questions telles que celles-ci, qui concernent les limitations légales apportées au droit des propriétaires de donner congé aux locataires relèvent en effet des mesures prises par l’Etat afin de réglementer l’usage des biens des particuliers.
3. Tout comme la majorité, nous pensons également que les décisions des instances nationales ayant refusé de faire droit aux demandes des requérants de résiliation du contrat de location litigieux constituent une ingérence dans le droit des intéressés au respect de leurs biens, et que cette ingérence poursuivait un but légitime, à savoir la protection sociale des locataires, et qu’elle tend ainsi à promouvoir le bien-être économique du pays et la protection des droits d’autrui (paragraphe 29 de l’arrêt).
En revanche, à la différence de la majorité, nous pensons que le « juste équilibre » à ménager entre les exigences de l’intérêt général et les impératifs des droits fondamentaux de l’individu (James et autres c. Royaume-Uni, 21 février 1986, § 50, série A no 98) ; Sporrong et Lönnroth c. Suède, 23 septembre 1982, § 69, série A no 52) a été rompu en raison du fait que les requérants dans la présente affaire ont eu à subir « une charge spéciale et exorbitante » (Sporrong et Lönnroth, précité, § 73).
4. D’après le droit et la pratique internes pertinentes (paragraphes 13 à 17 de l’arrêt), dans les contrats de location comme celui conclu en l’espèce, le propriétaire ne peut résilier le contrat que sous certaines conditions limitativement prévues par la loi. L’une des situations dans lesquelles il est possible de résilier le contrat est celle en cause dans cette affaire : il s’agit de la nécessité pour le propriétaire de récupérer l’immeuble loué afin d’y habiter lui-même ou d’y loger son enfant. Toutefois, la loi prévoit une exception à cette règle qui justement se présente en l’espèce, et qui, à notre sens, provoque la rupture du « juste équilibre » : le propriétaire perd le droit à la résiliation du contrat si le locataire habite l’immeuble depuis au moins vingt ans, et cela de manière automatique, sans qu’il soit même possible de mettre en balance les différents intérêts en jeu.
5. C’est en effet notamment le caractère automatique de cette règle qui nous fait pencher pour la violation de l’article 1 du Protocole no 1 en l’espèce.
6. Nous partageons l’approche de la majorité qui, à très juste titre, a souligné, dans le sillage de la jurisprudence de la Cour, que dans la mise en œuvre des politiques visant à promouvoir le bien-être économique du pays et la protection des « droits d’autrui », y compris la protection sociale des locataires, le législateur doit jouir d’une grande latitude pour se prononcer tant sur l’existence d’un problème d’intérêt public appelant une réglementation que sur le choix des modalités d’application de cette dernière, et que la Cour respecte la manière dont il conçoit les impératifs de l’intérêt général, sauf si son jugement se révèle manifestement dépourvu de base raisonnable (Mellacher et autres c. Autriche, 19 décembre 1989, § 44, paragraphe 29 de l’arrêt).
7. Toutefois, nous pensons que, à la différence des multiples situations – évoquées au paragraphe 30 de l’arrêt – dans lesquelles la Cour a estimé que les limitations apportées aux droits des propriétaires vis-à-vis des locataires étaient justifiées et proportionnées aux buts visés par l’Etat dans l’intérêt général, tel n’est pas le cas en l’espèce.
8. A l’instar de ce que la Cour a dit dans l’affaire Hutten-Czapska c. Pologne [GC], no 35014/97, concernant un « jeu combiné » de « dispositions défectueuses sur la fixation des loyers » et de « diverses restrictions aux droits des propriétaires en matière de cessation des baux », nous estimons que l’impossibilité pour le propriétaire de résilier le bail en présence de l’une des conditions limitativement prévues par la loi, alors que cette condition se présente après que le locataire a habité l’immeuble depuis au moins vingt ans, et cela automatiquement, sans que les différents intérêts soient mis en balance, rompt le « juste équilibre » évoqué ci-dessus.
9. L’arrêt rappelle que, à la différence de l’affaire Hutten-Czapska, les requérants en l’espèce ont pu conclure librement le contrat de bail en cause, en fixant un loyer qu’ils ont négocié en toute liberté avec leurs locataires sans aucune intervention étatique, et que la limitation en cause était déjà en vigueur au moment où les requérants ont conclu le contrat de bail en question (paragraphe 34 de l’arrêt).
10. Nous reconnaissons le poids de ces derniers arguments, mais ils ne nous semblent pas suffisants pour conclure que le « juste équilibre » à ménager entre les exigences de l’intérêt général et les impératifs des droits fondamentaux de l’individu ait été préservé dans la présente affaire.
11. En particulier, même si les requérants savaient au moment de la conclusion du contrat qu’ils ne pourraient pas résilier le bail pendant les vingt premières années sauf pour les raisons limitativement indiquées par la loi et que, après vingt ans, les locataires seraient définitivement à l’abri de toute demande de résiliation, il nous semble que les dispositions légales pertinentes imposent une charge disproportionnée sur les propriétaires, qui n’ont pas d’autre option, s’ils veulent rentabiliser leur bien – ce qui est quand même une faculté inhérente au droit de propriété – que de le faire conformément au régime extrêmement rigide fixé par la loi. En effet le seul choix qui leur est laissé est soit de louer le bien en faisant un « saut dans l’inconnu » quant aux possibilités de le récupérer un jour, soit de renoncer à le louer.
12. Il ne faut pas non plus négliger le fait que pendant toute la durée du contrat, dont ils ne pouvaient pas empêcher le renouvellement automatique, les requérants n’avaient aucune possibilité d’augmenter le loyer mensuel, qui, actualisé conformément à la loi, s’élevait à la date de l’introduction de la procédure litigieuse (le 20 février 2002), à une somme correspondant à 34,91 EUR.
13. L’arrêt prend l’affaire James précitée comme exemple de « règles absolues » en matière de logement dont la Cour aurait déjà reconnu la conformité à l’article 1 du Protocole no1 ; or cet exemple ne nous paraît pas pertinent.
14. Le cas d’espèce pris en considération par la Cour dans cette dernière affaire, en effet, était totalement différent de la situation qui nous occupe aujourd’hui. Dans l’affaire James il s’agissait du rachat obligatoire de certains baux emphytéotiques de droit britannique. Un emphytéote, à la différence d’un locataire ordinaire qui ne jouit que d’un droit personnel, est bien titulaire d’un droit réel – quoique temporaire – sur la propriété.
15. Comme il est dit dans l’arrêt James (précité, § 13), cela est vrai au point que « [c]omme ni le bailleur seul, ni le locataire seul ne peuvent offrir à un tiers la propriété exempte d’occupant, leurs droits réunis ont une valeur inférieure à celle qu’aurait la propriété libre. Si cependant la réversion est vendue au locataire occupant, qui peut alors fondre les deux droits en une propriété unique, la valeur de celle-ci excède la valeur d’investissement pour un tiers qui achèterait la réversion grevée d’un bail. Dans les opérations du marché libre, vendeur et acheteur ont coutume de se partager, dans des proportions convenues entre eux, cette valeur supplémentaire dite « valeur de consolidation » (“merger value”) ». Il s’agissait donc dans l’arrêt James d’une situation dans laquelle la rigidité de la règlementation pertinente était justifiée par la position particulière des emphytéotes et qu’à notre avis on ne peut rapprocher de celle d’un bail classique de civil law comme celui qui nous occupe en l’espèce.
16. Dès lors, pour les raisons exposées ci-dessus, nous estimons qu’il y a eu en l’espèce violation de l’article 1 du Protocole no 1.

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