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Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE ALBERTI c. ITALIE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 3
Articoli: 03
Numero: 15397/11/2014
Stato: Italia
Data: 2014-06-24 00:00:00
Organo: Sezione Seconda
Testo Originale

Conclusione: Violazione dell’articolo 3 – Proibizione della tortura, Articolo 3 – Trattamento degradante Trattamento disumano, (Risvolto patrimoniale, Violazione dell’articolo 3 – Proibizione della tortura, Articolo 3-Inchiesta efficace, (Risvolto procedurale)

SECONDA SEZIONE

CAUSA ALBERTI C. ITALIA

(Richiesta no 15397/11)

SENTENZA

STRASBURGO

24 giugno 2014

Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.

Nel causa Alberti c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Egli ıKaraka, şpresidentessa,
Guido Raimondi,
András Sajó,
Helen Keller,
Paul Lemmens,
Robert Spano,
Jon Fridrik Kjølbro, giudici,
e da Abele Campos, cancelliere aggiunto di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 3 giugno 2014,
Rende la sentenza che ha, adottata a questa data,:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 15397/11) diretta contro la Repubblica italiana e di cui un cittadino di questo Stato, OMISSIS (“il richiedente”), ha investito la Corte il 28 febbraio 2011 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente è stato rappresentato da OMISSIS, avocate a Strasburgo. Il governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo agente, la Sig.ra E. Spatafora.
3. Il richiedente adduce essere stato in particolare oggetto dei cattivi trattamenti inflitti dai carabinieri e di non avere beneficiato di un’inchiesta conforme alle esigenze dell’articolo 3 della Convenzione.
4. Il 14 maggio 2012, la richiesta è stata comunicata al Governo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
5. Il richiedente è nato nel 1971 e ha risieduto a Verona. Al momento dei fatti era senza domicilio fisso.
A. L’arresto del richiedente
6. Il 11 marzo 2010, verso le 17, il richiedente si trovava in un bar a Cerea. Chiese alla gerente del bar, M.T, a potere utilizzare il suo telefono portabile per passare un appello urgente. Questa acconsentì e gli prestò il suo telefono. Dopo alcuni minuti, avendo notato che la conversazione si prolungava, chiese al richiedente di rendergli il telefono, ma questo rifiutò. Il richiedente si rivolse alla gerente su un tono arrogante e provocatore, così che un altro cliente del bar chiamò i carabinieri.
7. Dopo alcuni minuti, due carabinieri, S.R. e L.B, arrivarono sui luoghi e chiesero al richiedente di presentare un documento di identità, ciò che rifiutò. I carabinieri ingiunsero al richiedente di seguirli alla stazione ma l’interessato rifiutò e si mise a gridare ed ad insultarli. I carabinieri procederono allora in flagrante all’arresto del richiedente e lo portarono alla stazione di Cerea, comando dei carabinieri, in automobile.
8. Il verbale relativo all’arresto del richiedente, datato dello stesso giorno, fatto stato di questo che S.R. e L.B. si erano resi sui luoghi alla domanda di una nessuno che aveva segnalato che il richiedente stava minacciando la gerente del bar. Arrivati sul posto, avevano visto che il richiedente insultava la gerente. Invitato a presentare un documento di identità, il richiedente aveva rifiutato e-sfidando la loro presenza, sprezzante della loro presenza,-si era seduto su una sedia ed aveva resistito passivamente. Invitato di nuovo a presentare un documento di identità coi due carabinieri, il richiedente aveva risposto “ho una padronanza in diritto e non potete niente chiedermi, posso fare ciò che voglio e non dovete annullarmi i c. (….). Sono in questo caffè, leggo un libro e mi annullate i c. (…) .” Considerando il rifiuto del richiedente e visto la presenza di altri clienti nel caffè, i carabinieri chiesero al richiedente di uscire dal bar per condurlo alla stazione. Il richiedente rifiutò, si rivolse a L.B. e lo minacciò ne che gli dice “ti uccido, uccido la tua figlia e tua moglie, ti troverò perché sono nei paraggi e verrò a cercarti per ucciderti.” Improvvisamente, il richiedente provò a colpire L.B. ; non arrivò grazie alla pronta reazione di S.R. I due carabinieri erano giunti difficilmente (a fatica) a dominarlo grazie alle manette. Una volta uscita dal bar, mentre ammontava nell’automobile dei carabinieri, il richiedente aveva provato a dibattersi e di colpire L.B. al viso. Questo ultimo era riuscito ad evitare il colpo. Durante il tragitto verso la stazione dei carabinieri, il richiedente aveva continuato ad insultare ed a minacciare i carabinieri. Arrivato alla stazione, il richiedente era stato identificato. Manteneva una condotta aggressiva e violenti al motivo che si agitava per terra, che proferiva delle frasi ingiuriose e minacciose verso tutti e tentava di dare dei colpi di piedi a quelli che vedeva. Con l’aiuto di altri membri del personale, i carabinieri erano riusciti a fare entrare il richiedente nell’unità di sicurezza, cinepresa di sicurezza. Il richiedente si inflisse delle lesioni dando dei colpi di testa nella porta dell’unità. I carabinieri avevano contattato il ministero pubblico. Questo aveva ordinato il collocamento del richiedente in unità di sicurezza alla stazione dei carabinieri ed il suo trasferimento al tribunale l’indomani mattina, affinché sia presentato al giudice in procedimento di comparizione immediata (direttissima). In seguito ai colpi riceverono, L.B. era andato all’ospedale di Legnago, dove il medico aveva constatato delle escoriazioni ai polsi, guaribili in cinque giorni. L.B. aveva sporto querela contro il richiedente per le lesioni subite. Considerando il flagrante reato, violenza e minaccia dirette contro un ufficiale pubblico, opposizione agli atti dell’autorità, oltraggio di un ufficiale pubblico, lesioni corporali semplici, rifiuto di fornire la sua identità, così come la gravità dei fatti rimproverati, tenuto conto della pericolosità sociale dell’interessato, dei gravi sospetti che pesano al suo carico, del suo casellario giudiziario e per il fatto che era senza domicilio fisso, il richiedente fu arrestato a 17h30.
Inoltre, il verbale faceva stato di ciò che il ministero pubblico aveva deciso alla fine di trasferire il richiedente alla casa di sentenza di Verona Montorio. L’indomani mattina, l’interessato sarebbe condotto al tribunale di Verona col personale della prigione.
9. Risulta della pratica che M.G. -il comandante della stazione dei carabinieri di Cerea – contattò il ministero pubblico per sapere se poteva condurre il richiedente alla casa di sentenza di Verona Montorio affinché trascorre la notte piuttosto che in una stazione dei carabinieri. Il ministero pubblico rifiutò. Il comandante decise allora di trasferire il richiedente per la notte alla stazione dei carabinieri di Legnago, e di fermarsi durante strada alle emergenze dell’ospedale di Legnago.
10. Il servizio delle emergenze dell’ospedale di Legnago registrò l’arrivo del richiedente a 20h29. Il certificato medico invalso con l’esperto del servizio delle emergenze menziona che il richiedente era stato portato dalle forze dell’ordine a causa del suo stato di agitazione. La diagnosi confermò l’agitazione psicomotiria del richiedente. Peraltro, l’interessato presentava un trauma cranico, un ematoma sulla fronte e delle escoriazioni sulle mani. L’esame del torace e dell’addome non rivelò nessuno problema, obiettività toracico addominale negativa. Il medico curò la ferita alla fronte e fece al richiedente un’iniezione endovenosa, Propofol 150 mg e Midazolam 3 mg, per ottenere la sedazione dell’interessato. Il pronostico per la guarigione fu stabilito a “zero giorno.” La consultazione si concluse a 20h44 ed i carabinieri ed il richiedente lasciò l’ospedale.
11. Una volta uscì dall’ospedale, i carabinieri sollecitarono per la seconda volta l’accordo del ministero pubblico per condurre il richiedente alla casa di sentenza di Verona piuttosto che in una delle loro caserme. All’appoggio della loro domanda, adducevano che, malgrado la sedazione, il richiedente li minacciava di vendicarsi ed aveva, di questo fatto, sempre una condotta aggressiva.
12. Il ministero pubblico diede il suo accordo al collocamento del richiedente alla casa di sentenza di Verona Montorio ed i carabinieri il portarono lì.
13. Legnago è situato ad una distanza di 44 chilometri con la strada rispetto a Verona, e di 51 chilometri rispetto a Montorio. L’ospedale di Legnago e la stazione dei carabinieri ubicati nella stessa città è a 1,7 km di distanza.
14. Il Governo ha fatto sapere che i carabinieri non hanno redatto di rapporto di servizio concernente gli avvnimenti del 11 marzo 2010.
B. Il collocamento del richiedente alla casa di sentenza di Verona
15. Alla sua entrata alla casa di sentenza, il richiedente fu esaminato dal servizio medico prima delle 22, l’orario indicato sulla scheda medica è di 21h00 -i minuti che non sono leggibili. Risulta del resoconto medico che il richiedente era cosciente, lucido e tranquillo. Presentava un ematoma sulla fronte al livello dell’arcata sourcilière dritto; che i suoi membri erano mobili; che non c’erano fratture manifesti; che c’erano dei graffi sulle mani; che non c’era niente di patologico all’apparecchio uro-genitale. Il medico prescrisse un medicinale (nome illeggibile, sotto forma di pillole,). Risulta inoltre di un documento manoscritto, non datato e redatto verosimilmente dallo stesso medico che redasse la scheda relativa alla consultazione medica, che il richiedente dichiarò essere stato colpito dai carabinieri durante l’arresto, nelle fasi dell’arresto, e che provava dei dolori alla quarta ed alla quinta costa sinistra.
16. Il richiedente fu posto in un’unità individuale, situata in un quartiere della prigione dove l’amministrazione penitenziaria era certa che non ci sarebbe stato rischio di tafferugli.
17. Il 13 marzo 2010, in ragione dei forti dolori all’inguine ed al torace, il richiedente chiese a vedere in emergenza il medico della prigione. Questo ultimo l’esaminò, redasse un resoconto a 12h00 e mandò l’interessato di emergenza all’ospedale di Borgo Trento. Il richiedente fu esaminato da un medico delle emergenze dell’ospedale a 14h15. Gli esami praticati sul richiedente riflettono in evidenza la scassino di tre coste ed un ematoma del testicolo sinistro che provoca un’incapacità temporanea totale di venti giorni. Queste lesioni erano compatibili con un’origine traumatica.
18. Ritornato alla casa di sentenza la sera del 13 marzo 2010, il richiedente dichiarò alla polizia penitenziaria della casa di sentenza di Verona che le lesioni che avevano appena state constatate all’ospedale gli erano state inflitte coi carabinieri mentre era tra le loro mani. Queste lesioni erano state segnalate già al medico della prigione al momento del suo arrivo la sera del 11 marzo 2010. La dichiarazione faceva stato di ciò che il richiedente aveva chiesto a vedere il medico della prigione in emergenza il 13 marzo alla mattina e che questo l’aveva fatto condurre all’ospedale alla fine della mattinata. Il richiedente precisò che durante il suo soggiorno alla casa di sentenza, non aveva avuto nessuno tafferuglio o scontro, ciò che rinforzava le sue affermazioni secondo che queste lesioni erano sopraggiunte anteriormente.
19. Il 17 marzo 2010, l’urologo dell’ospedale esaminò il richiedente e confermò che l’ematoma al testicolo sinistro poteva risultare da un trauma. Il 18 marzo 2010, il richiedente fu condotto di nuovo all’ospedale per gli esami radiologici al torace.
C. L’udienza del 12 marzo 2010
20. Il 12 marzo 2010, il richiedente fu portato in flagrante al tribunale di Verona per la convalida dell’arresto, minacce e resistenza al riguardo di L.B. e S.R, così come colpi e lesioni inflitte a L.B, e per il procedimento di comparizione immediata, per direttissima. Era assistito di un avvocato commesso di ufficio.
21. Durante l’udienza, il richiedente ammise che era stato verbalmente aggressivo nei confronti i carabinieri ma negò essere stato fisicamente violento, arguendo per il fatto che era stato sempre ammanettato. Era stato aggredito e colpito a ripetizione (ripetutamente, coi carabinieri che l’avevano ammanettato nella schiena,). Portava ancora le tracce delle manette ed aveva le coste rotte. Sapeva che la sua parola non valeva a fronte niente a quella di un carabiniere. Seguito a questo lamento, il tribunale trasmise la pratica al procuratore della Repubblica.
22. Peraltro, il giudice convalidò l’arresto ed ordinò il collocamento del richiedente in detenzione provvisoria.
23. Le parti non hanno informato la Corte sulla conclusione del procedimento penale aperto contro il richiedente.
D. l’indaga aperto seguito alle dichiarazioni dei cattivi trattamenti
24. Il 16 marzo 2010, l’amministrazione penitenziaria di Verona indirizzò al tribunale di Verona una pratica concernente il richiedente al motivo che questo presentava al momento del suo arrivo in prigione dei segni delle lesioni. La pratica conteneva le dichiarazioni del richiedente ed i documenti medici pertinenti, paragrafi 15 e 17 sopra.
25. Il 24 marzo 2010, dei perseguimenti per colpi e lesioni furono aperte contro X.
26. Durante l’inchiesta, M.G, il comandante della stazione dei carabinieri di Cerea, fu sentito in quanto persona informata dei fatti. Dichiarò ricordarsi dello stato agitato del richiedente ed aveva stimato che l’interessato era verosimilmente sotto l’effetto dell’alcol. Sebbene ammanettato, il richiedente aveva gettato la sua testa contro un muro e si era ferito alla fronte. Per evitare che i dubbi sorgono in quanto all’origine delle lesioni del richiedente, M.G. aveva deciso di condurlo all’ospedale di Legnago. Il richiedente non si era lamentato dei cattivi trattamenti. Una volta uscita dall’ospedale, mentre era condotto verso le unità di sicurezza della stazione dei carabinieri di Legnago, il richiedente aveva ricominciato a dare delle pedate, questo che per M.G. indicava che l’effetto dei calmanti era finito già. È solamente al momento dove era stato condotto alla casa di sentenza di Verona che il richiedente aveva detto che denuncerebbe i colpi subiti all’epoca del suo arresto. M.G. si abitua notare che il richiedente aveva indicato essere stato colpito dai carabinieri senza fornire di precisioni sull’identità di questi. Inoltre, era notorio che l’interessato si dedicava all’alcol.
27. La gerente del bar, M.T, fu anche sentita. Affermò che, il 11 marzo 2010, il richiedente era passato alla fine della mattinata per bere un caffè. Era spettato nel pomeriggio ed aveva chiesto a potere utilizzare il suo portabile per un appello urgente. Quando gli aveva chiesto il telefono in ritorno, il richiedente gli aveva risposto su un tono di sfida e di minaccia ed aveva aggiunto che non temeva i carabinieri nel caso in cui desiderava chiamarli. Uno dei clienti aveva chiamato i carabinieri. Il richiedente aveva negato di mostrare le sue carte ed aveva provato a colpire uno dei carabinieri quando questi volevano il menotter. Era stato necessario utilizzare forza e fermezza per ammanettare il richiedente. Tuttavia, i carabinieri non erano stati violenti.
28. Il carabiniere L.B. non fu sentito.
29. Il carabiniere S.R. è sentito in quanto persona informata dei fatti. Con L.B, aveva ricevuto l’ordine di andare al bar T. perché un individuo disturbava i clienti e minacciava la gerente. Arrivato sul posto, S.R. aveva constatato che il richiedente aveva una conversazione animata con la gerente del bar. S.R. gli aveva intimato di mostrare le sue carte, e, dopo tre rifiuti, l’aveva invitato a seguirlo alla stazione. S.R. menziona le parole del richiedente, paragrafo 8 sopra. Quando il richiedente aveva minacciato L.B. ed aveva tentato di colpirlo al viso, questo gesto aveva lasciato tutti perplesso perché L.B. non aveva detto niente e niente fa nei confronti l’interessato. I due carabinieri avevano provato allora a dominarlo ed erano riusciti al menotter nonostante la resistenza oppositore. Durante il tragitto in automobile, il richiedente aveva proferito di nuovo delle minacce ed aveva tentato di colpire L.B. con le manette, perché si era seduto nel veicolo con le braccia dinnanzi . Una volta alla stazione di Cerea, il richiedente si era gettato per terra ed aveva tentato di dare delle pedate a tutti quelli che si avvicinava. Con l’aiuto di altri colleghi, i carabinieri erano riusciti a dominarlo ed a porrlo in unità di sicurezza. Una volta chiusa, aveva cominciato a dare dei colpi con la sua fronte ed i suoi piedi contro la porta ed i muri, abituandosi una ferita alla fronte. S.R. dichiara che nessuna violenza era stata utilizzata verso il richiedente ed era stata confermata che il magistrato era stato messo informato delle reazioni violente ed automobile-mutilate del richiedente. Aveva, in un primo tempo, respinto di porre il richiedente alla casa di sentenza di Verona. S.R. era restato allora alla stazione di Cerea, mentre il comandante M.G. corredato di L.B. e G.D. erano partiti col richiedente in direzione dalla stazione dei carabinieri di Legnago. S.R. si chiarisce che il richiedente era conosciuto come qualcuno di violento e che si dedicava all’alcol.
30. Infine, l’autorità giudiziale intese il carabiniere G.D. Questo ultimo aveva preso l’appello proveniente del bar ed aveva chiesto alla pattuglia di servizio di intervenire. Al momento del suo arrivo alla stazione di Cerea, il richiedente era ammanettato. Si era messo ad urlare e si era gettato per terra. G.D. menziona le pedate, gli insulti e le minacce al riguardo di L.B. G.D. era intervenuto per aiutare i colleghi ed immobilizzare il richiedente che era stato condotto in unità di sicurezza. Tornato alla sua stazione, intendeva il richiedente che urlava delle frasi incoerenti e dava dei colpi alla porta metallica dell’unità. G.D. aveva notato poi una ferita alla fronte che il richiedente non aveva al suo arrivo. Il comandante M.G. aveva ordinato di preparare un veicolo per trasferire il richiedente alla stazione dei carabinieri di Legnago, ciò che era un procedimento abituale quando la stazione di Cerea era chiusa per la notte. G.D. era partito col comandante M.G. e Lb. Durante il tragitto, M.G. aveva ordinato di passare dall’ospedale di Legnago che era sulla strada. Il richiedente era stato oggetto di una sedazione in ragione della sua aggressività ed aveva ricevuto delle cure per la ferita alla fronte. All’epoca della consultazione all’ospedale il richiedente non era ammanettato. Dopo le cure, i carabinieri avevano dovuto utilizzare abbastanza forza e di fermezza per potere di nuovo ammanettarlo. Una volta in automobile, M.G. aveva chiesto per la seconda volta avuta ministero pubblico l’autorizzazione di condurre il richiedente alla casa di sentenza di Verona Montorio ed aveva ottenuto il suo accordo. Il richiedente era stato condotto direttamente alla casa di sentenza.
E. L’archiviazione senza seguito dell’inchiesta
31. Il 29 aprile 2010, il procuratore della Repubblica chiese al giudice delle investigazioni preliminari (GIP, di archiviare l’inchiesta,). Secondo lui, gli elementi raccolsero non permettevano di impegnare un’azione penale. I fatti riferiti dal richiedente non erano corroborati da nessuno delle testimonianze. La gerente del bar aveva dichiarato che il richiedente, al momento dell’arresto, era molto agitato, aggressivo ed ingiurioso al riguardo dei carabinieri e di lei stessa e che non c’erano stati comportamenti violenti da parte di carabinieri. Secondo il procuratore, la natura delle lesioni del richiedente era compatibile con l’intervento dei carabinieri per dominare la sua aggressività e per difendersi nel momento in cui essi l’ammanettarono per condurlo nell’unità di sicurezza.
Poi, bisognava prendere in conto lo fa che la credibilità del richiedente era inficiata in ragione del suo casellario giudiziario, coi suoi antecedenti e con la sua personalità. Risultava in fatto di un resoconto redatto da un psicoterapista che fine 2009-inizio 2010, il richiedente aveva vissuto in una comunità di accoglimento. L’interessato era raggiunto di un’agitazione della personalità che lo rendeva antisociale, intollerante alle regole della coabitazione e provocatore. Aveva abusato due volte dell’alcol ed era stato ammesso di emergenza all’unità psichiatrica dell’ospedale seguito ad una rissa in un bar con gli immigrati. Il soggiorno in comunità si era concluso il giorno dove il richiedente aveva aggredito verbalmente un altro ospite ed aveva provocato una rissa. Risultava inoltre di una nota redatta dalla polizia giudiziale il 21 aprile 2010 che il richiedente diventava aggressivo sotto l’effetto dell’alcol e cercava la vendetta. Aveva una personalità difficile, perché era incapace avere delle domestiche relazioni con gli altri; provocava delle risse e, entra il 17 ed il 18 febbraio 2010, i carabinieri erano stati chiamati tre volte. Secondo la polizia, si poteva che le lesioni del richiedente siano la conseguenza di qualche rissa avendo avuto luogo prima dell’arresto e che il richiedente abbia deciso di utilizzarli come pretesto per vendicarsi dei carabinieri venuti ad arrestarlo al bar. Inoltre, il richiedente aveva parlato dei colpi presumibilmente subiti solamente durante il tragitto verso la prigione di Montorio, ed aveva minacciato i carabinieri di denunciarli. Infine, risultava del casellario giudiziario del richiedente che era stato condannato per il seguente reati: condotta in stato di ebbrezza nel 1995, 2000 e 2005; resistenza all’autorità e colpi e lesioni nel 2006; cattivi trattamenti nel 2008.
32. Il richiedente fece opposizione alla domanda di archiviazione del procuratore. Arguiva che le sue lesioni non erano state provocate nel momento in cui i carabinieri erano nel bar ma più tardi, così che la testimonianza della gerente non voleva niente argomento. Si poteva che i carabinieri abbiano avuto ricorso alla violenza durante il tragitto verso la stazione di Cerea, alla stazione sé mentre si trovava in unità di sicurezza, durante il tragitto verso Legnago o durante il tragitto verso la casa di sentenza di Verona. Le lesioni incorse erano attestate dai certificati medici dell’ospedale di Borgo Trento e del medico della prigione di Verona Montorio. Si trattava di lesioni spesso osservate a casa le persone arrestate e ammanettate. Le lesioni controverse non potevano essere il risultato di un’automutilazione, perché non era credibile che si possa annullare tre coste si e farsi un ematoma al testicolo gettandosi contro il muro. Invocando l’articolo 3 della Convenzione e ricordando l’obbligo positivo di condurre un’inchiesta ufficiale effettiva che mira all’identificazione ed alla punizione dei responsabile, il richiedente chiedeva: ad essere sentito; una perizia per verificare la compatibilità delle sue lesioni con l’azione dei carabinieri; che una perizia sia fatta sulle lesioni presumibilmente inflitte da lui al carabiniere L.B. ; di intendere di nuovo la gerente del bar e come il richiedente era stato ammanettato di intendere gli altri clienti per verificare; che il risultato del test di alcolemia del 11 marzo 2010 fatto all’ospedale di Legnago sia versato alla pratica. Il richiedente ricordò inoltre che L.B. non era stato sentito, tutto come i medici.
33. Con un’ordinanza del 1 settembre 2010, il GIP di Verona archiviò l’inchiesta senza seguito. Utilizzando un formulario standard prato-pieno, il GIP stimò che le affermazioni del richiedente non erano provate e che i complementi di inchiesta chiesta da questo non erano pertinenti. Difatti, l’elemento decisivo era la testimonianza della gerente del bar, solo testimone estero ai fatti. Il GIP aderiva così completamente al ragionamento formulato dal procuratore della Repubblica.
IN DIRITTO
I. SU LA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 3 DELLA CONVENZIONE
34. Il richiedente adduce essere stato vittima di trattamenti disumani o degradanti da parte dei carabinieri che l’hanno arrestato. Fa valere anche che le autorità nazionali hanno mancato al loro obbligo di condurre un’inchiesta diligente, veloce ed indipendente sulle sue affermazioni dei cattivi trattamenti. Il richiedente invoca l’articolo 3 della Convenzione, così formulata,:
“Nessuno può essere sottomesso a tortura né a pene o trattamenti disumani o degradanti. “
35. Il Governo oppone alla tesi del richiedente.
A. Motivo di appello tirato del risvolto patrimoniale dell’articolo 3
1. Sull’ammissibilità
36. La Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente male fondato al senso dell’articolo 35 § 3 ha, della Convenzione. Rileva peraltro che non cozza contro nessuno altro motivo di inammissibilità. Conviene dichiararlo ammissibile dunque.
2. Sul fondo
a) Tesi delle parti
37. Il richiedente osserva al primo colpo che il Governo non ha fornito di spiegazioni convincenti in quanto all’origine delle lesioni in che è incorsa e che sono state constatate tanto alla casa di sentenza di Verona che all’ospedale di Borgo Trento. Difatti, nel bar in questione, i carabinieri non ebbero ricorso alla violenza, fu confermato così dalla testimonianza della gerente del bar. Il richiedente fu ammanettato ed uscì dal bar, indenne. La violenza sopraggiunse in seguito.
Sempre ammanettato, il richiedente fu condotto alla stazione dei carabinieri di Cerea. Restò ammanettato nella schiena fino al suo trasferimento all’ospedale di Legnago (20h29). In una tale situazione, il richiedente non poteva essere considerato come ponendo una minaccia, i carabinieri avevano il controllo totale su egli e la violenza che furono adoperate fu senza giustificazione. Il richiedente stima che i cattivi trattamenti gli furono inflitti in un’unità di sicurezza, alla stazione dei carabinieri di Cerea.
Peraltro, il richiedente sottolinea che le lesioni in che è incorsa, sebbene guaribili in 20 giorni, raggiungono la soglia di gravità che basta per cadere sotto l’influenza dell’articolo 3 della Convenzione, Ribadisti c. Francia, no 9584/00, § 39, 1 aprile 2004. Erano atte a provocare delle sofferenze fisiche e mentali ed a creare dei sentimenti di paura, di angoscia e di inferiorità proprio ad umiliare, avvilire e rompere eventualmente la sua resistenza fisica e mentale.
38. Il Governo sostiene che le affermazioni del richiedente non hanno nessuno fondamento perché, da una parte, non sono corroborate dagli elementi di prova e, altro parte, sono ambigue. A questo riguardo, il Governo osserva che, dinnanzi alle giurisdizioni nazionali, il richiedente non ha dato di indicazioni precise in quanto al luogo dove si sarebbe svolto l’episodio violento; ha dichiarato al contrario che gli atti di violenza potuto avere luogo alla stazione dei carabinieri o all’epoca dei tragitti in automobile. Dinnanzi alla Corte, sostiene invece che i cattivi trattamenti gli sono stati inflitti in unità di sicurezza.
Converrebbe anche prendere in conto il casellario giudiziario del richiedente ed il temperamento violento, provocatore e collerico dell’interessato. Nel bar in questione, il richiedente ha avuto un comportamento arrogante, è stato minaccioso e ha opposto violentemente all’intervento dei carabinieri. Queste circostanze sono stabilite chiaramente dai testimoni ed i documenti versati alla pratica. Le circostanze dello specifico chiamavano all’uso della forza fisica contro il richiedente dunque. Il ricorso alla forza coi carabinieri è stato legittimo allo visto della condotta del richiedente e della resistenza fisica oppositore con questo.
Trattandosi delle lesioni in che il richiedente è incorso, il Governo stima che il minimo di gravità non è raggiunto, perché non c’è stata perdita funzionale duratura. I certificati medici non indicano del resto, per niente la causa probabile delle lesioni. In quanto all’origine delle lesioni in questione, secondo il Governo tutte le lesioni incorse dal richiedente, come sono state constatate alla casa di sentenza di Verona ed all’ospedale di Borgo Trento, sono compatibili con la corpo-a-corpo necessaria per ammanettare il richiedente. Sono state provocate quindi dai carabinieri in seguito ad un uso della forza necessaria e proporzionata in vista di dominare e ammanettare il richiedente per condurlo in unità di sicurezza.
In conclusione, il Governo stima che le affermazioni del richiedente non sono state provate al di là di ogni dubbio ragionevole.
b)Valutazione della Corte
i. Principi generali
39. La Corte ricorda che l’articolo 3 consacra una dei valori fondamentali delle società democratiche. Anche nelle circostanze i più difficili, tale la lotta contro il terrorismo ed il crimine organizzato, la Convenzione proibisce in termini assoluti la tortura e le pene o trattamenti disumani o degradanti. L’articolo 3 non contempla di restrizioni, ne che cosa contrasta con la maggioranza delle clausole normative della Convenzione e dei Protocolli il nostro 1 e 4, e secondo l’articolo 15 § 2 non soffre nulla derogazione, anche in caso di pericolo pubblico che minaccia la vita della nazione, Selmouni c. Francia [GC], no 25803/94, § 95, CEDH 1999-V.
40. Un cattivo trattamento deve raggiungere un minimo di gravità per cadere sotto l’influenza dell’articolo 3. La valutazione di questo minimo è relativa con essenza; dipende dall’insieme dei dati della causa e, in particolare, della durata del trattamento, dei suoi effetti fisici o mentali così come, talvolta, del sesso, dell’età e dello stato di salute della vittima. Per valutare gli elementi che gli permettono di dire se c’è stata violazione dell’articolo 3, la Corte aderisce al principio della prova “al di là di ogni dubbio ragionevole”, ma aggiungi che una tale prova può risultare da un fascio di indizi, o di presunzioni non confutate, sufficientemente gravi, precisi e concordanti, Jalloh c. Germania [GC], no 54810/00, § 67, CEDH 2006 IX; Ramirez Sanchez c. Francia [GC], no 59450/00, § 117, CEDH 2006 IX.
41. In caso di affermazioni sul terreno dell’articolo 3 della Convenzione, la Corte deve concedersi ad un esame particolarmente approfondito, Vladimir Romanov c. Russia, no 41461/02, § 59, 24 luglio 2008. Quando c’è stato un procedimento interno, non entra tuttavia nelle attribuzioni della Corte di sostituire la sua propria visione delle cose a quella dei corsi e tribunali interni ai quali appartiene in principio di pesare i dati raccolti da essi, Jasar c. l’ex-repubblica iugoslava di Macedonia, no 69908/01, § 49, 15 febbraio 2007. Anche se le constatazioni dei tribunali interni non legano la Corte, gli occorre tuttavia degli elementi convincenti per potere scostarsi delle constatazioni alle quali sono giunti.
42. Un Stato è responsabile di ogni persona posta in guardia a vista perché questa ultima è interamente alle mani dei funzionari di polizia. Quando gli avvenimenti in causa, nella loro totalità o per un largo parte, sono conosciuti esclusivamente dalle autorità come nel caso delle persone sottoposte al loro controllo, ogni ferita sopraggiunta appende questo periodo do luogo alle forti presunzioni di fatto. Incombe sul Governo di produrre delle prove che stabiliscono dei fatti che fanno pesare un dubbio sul racconto della vittima, Tomasi c. Francia, no 12850/87, §§ 108-111, 27 agosto 1992; Ribadisti, precitata, § 38. Qualunque sia la conclusione del procedimento impegnato al piano interno, una constatazione di colpevolezza o no non saprebbe estrarre lo stato convenuto della sua responsabilità allo sguardo della Convenzione; questo appartiene a lui che appartiene di fornire una spiegazione plausibile sull’origine delle lesioni in mancanza di cui l’articolo 3 trova ad applicarsi (Selmouni, precitata, § 87; Dembele c. Svizzera, no 74010/11, § 40, 24 settembre 2013.
43. In ciò che riguarda la questione particolare delle violenze sopraggiunte all’epoca di controlli di identità o di interpellanze operate dagli agenti di polizia, la Corte ricorda che il ricorso alla forza deve essere proporzionato e necessario allo visto delle circostanze dello specifico (vedere, tra molto altri, Rehbock c. Slovenia, no 29462/95, § 76, CEDH 2000-XII; Altay c. Turchia, no 22279/93, § 54, 22 maggio 2001. Peraltro, quando un individuo si trova priva della sua libertà, l’utilizzazione al suo riguardo della forza fisica mentre non è resa rigorosamente necessaria col suo comportamento rechi offesa alla dignità umana e costituisca, in principio, una violazione del diritto garantito dall’articolo 3, Ribitsch c. Austria, sentenza del 4 dicembre 1995, serie Ha no 336, § 38, e Tekin c. Turchia, sentenza del 9 giugno 1998, Raccolta 1998-IV, §§ 52-53.
44. La Corte ha ammesso già che in presenza di una resistenza fisica o di un rischio di comportamenti violenti da parte delle persone controllate, una forma di costrizione da parte degli agenti di polizia era giustificata (vedere, tra altri, Klaas c. Germania, 22 settembre 1993, § 30, serie Ha no 269; Sarigiannis c. Italia, no 14569/05, § 61, 5 aprile 2011. La Corte è arrivata agli stessi conclusioni nei casi di “resistenza passiva” ad un’interpellanza, Milano c. Francia, no 7549/03, § 59, 24 gennaio 2008, di tentativo di fuga faccia alla forza pubblica, Caloc c. Francia, no 33951/96, §§ 100-101, CEDH 2000 IX, o di un rifiuto di perquisizione da parte di un detenuto, Borodin c. Russia, no 41867/04, §§ 119-121, 6 novembre 2012. Appartiene quindi alla Corte di ricercare se la forza utilizzata in questo tipo di situazioni è proporzionata allo scopo ricercato. A questo riguardo, la Corte lega un’importanza particolare alle lesioni che sono state provocate al persone oggetto dell’intervento ed alle circostanze precise in che sono state (vedere, tra altri, R.L. e Sig. – J.D, R.L.
e Sig. – J.D. c. Francia, no 44568/98, § 68, 19 maggio 2004; Rehbock, precitata, § 72; Klaas, precitata, §§ 26-30.
ii. Applicazione di questi principi al caso di specifico
45. La Corte rileva al primo colpo che la constatazione medica invalsa all’ospedale di Borgo Trento fa stato della frattura di tre coste e di un ematoma ad un testicolo e di questo che queste lesioni sono compatibili con un’origine traumatica, paragrafo 17 sopra. Agli occhi della Corte, le lesioni incorse dal richiedente, guaribili in venti giorni, superano sicuramente la soglia di gravità richiesta affinché il trattamento che gli è stato inflitto tomba sotto l’influenza dell’articolo 3 della Convenzione.
46. Le parti si accordano per dire che le lesioni in questione sono state provocate prima dell’arrivo del richiedente alla casa di sentenza di Verona. Il richiedente è stato detenuto difatti, c’a l’isolamento per evitare ogni rischio di tafferugli, paragrafo 16 sopra, ed egli aveva denunciato già i cattivi trattamenti subiti ed i dolori alle coste al momento del suo arrivo alla casa di sentenza alla sera del 11 marzo 2010, paragrafo 15 sopra.
47. Per il Governo, le lesioni subite dal richiedente, come sono state constatate alla casa di sentenza di Verona ed all’ospedale di Borgo Trento, sono state provocate dai carabinieri in seguito ad un uso della forza necessaria e proporzionata in vista di dominare e menotter il richiedente per condurlo in unità di sicurezza. Per il ministero pubblico che ha chiesto l’archiviazione dell’inchiesta e per il giudice delle investigazioni preliminari che l’ha archiviata, c’è stato anche uso proporzionato della forza alla quale i carabinieri hanno dovuto avere ricorso nel bar per dominare l’aggressività del richiedente e per difendersi nel momento in cui essi lo ammanettarono per condurlo nell’unità di sicurezza. A questo riguardo, il ruolo decisivo è stato sostenuto dalla testimonianza della gerente del bar.
48. La Corte non divide la tesi secondo la quale le lesioni risulterebbero dalla forza utilizzata all’epoca dell’arresto del richiedente nel bar. Difatti, risulta della testimonianza della gerente del bar, paragrafo 27 sopra che se era stato bene necessario utilizzare forza e fermezza da parte dei carabinieri per dominare e ammanettare il richiedente, non c’era stata in ogni caso violenza. Agli occhi della Corte, delle manovre di immobilizzazione effettuata dai professionisti, fatte senza violenza l’interessato non ha potuto indurre la frattura di tre coste ed un ematoma ad un testicolo. Di conseguenza, la forza adoperata dai carabinieri al momento dell’immobilizzazione e della posa delle manette non può essere all’origine delle lesioni controverse.
49. Ne deriva che le lesioni controverse sono state provocate dopo la posa dei bielletta, una volta che il richiedente era uscito dal bar in questione ed era ammontato a bordo dell’automobile dei carabinieri che lo conducono alla stazione di Cerea. Il periodo durante la quale il richiedente è restato nelle mani dei carabinieri e durante la quale l’episodio violento è sopraggiunto-o tra le uscite del bar e l’arrivo alla casa di sentenza di Verona-si dilunga su circa le quattro.
50. La Corte nota che i carabinieri hanno dichiarato che alla stazione di Cerea, il richiedente aveva avuto una condotta automobile-mutilata. Si era gettato in modo ripetuto contro il muro e contro la porta dell’unità di sicurezza, e si era inflitto così sopra le lesioni (paragrafi 26) sé 29 e 30. La Corte stima che questa spiegazione non è convincente. Fa fatica ad immaginare difatti che comportandosi del modo descritto sopra, il richiedente abbia potuto provocare si le fratture di tre coste ed un ematoma al testicolo. Conviene quindi allontanare la tesi secondo la quale il richiedente sarebbe sé all’origine delle lesioni controverse.
51. La Corte rileva poi che i carabinieri che sono stati sentiti in quanto persone informate dei fatti, hanno spiegato che sarebbe stato necessario ricorrere non solo alla forza per dominare e ammanettare il richiedente al bar in vista di condurlo alla stazione di Cerea, ma anche ulteriormente: all’imbuco anche, per fare entrare il richiedente in unità di sicurezza; durante il tragitto verso l’ospedale di Legnago; alla sua uscita dell’ospedale di Legnago, quando è stato di nuovo questione del menotter, paragrafi 26 e 30 sopra.
52. Nell’ipotesi dove l’episodio violento al riguardo del richiedente sarebbe sopraggiunto prima che sia condotto all’ospedale di Legnago, è sorprendente che le lesioni in questione non siano state constatate da questo stesso ospedale. Difatti, la diagnosi ha escluso dei problemi al torace e ha fatto solamente stato di un trauma cranico, di una ferita alla fronte, di escoriazioni alle mani e di un stato di agitazione psicomotoria. Ci sarebbe stato dunque un grossolano errore di valutazione da parte del personale medico.
53. È tuttavia più plausibile del ricorso alla violenza abbia avuto luogo -ad un luogo non identificato-una volta la sedazione dell’interessato praticato. È difficile immaginare che, in una tale situazione, l’interessato abbia potuto conservare un’aggressività che giustifica una reazione muscolosa da parte dei carabinieri per mettere le manette all’uscita dell’ospedale. Tanto più che circa l’una più tardi, quando il richiedente arrivò alla casa di sentenza di Verona e fu visto dal medico, questo ultimo lo giudicò come essendo cosciente, lucido e tranquillo, paragrafo 15 sopra.
54. A prescindere della causa precisa ed immediata della frattura delle coste del richiedente e dell’ematoma al testicolo, la Corte considera che le modalità di intervento dei carabinieri, nel loro insieme, rivelano un uso ingiustificato della forza. Difatti, non è contestato che il richiedente non era armato e che è restato ammanettato durante tutto il periodo controverso, salvo durante la consultazione che ha avuto luogo all’ospedale di Legnago. Di più, fino al momento del suo trasferimento verso l’ospedale, si trovava in una stazione dei carabinieri. Infine, uscito dall’ospedale in questione, sotto l’effetto della sedazione, è stato di nuovo ammanettato e messi in automobile per essere condotto alla casa di sentenza. Le circostanze che cingono gli avvenimenti del cuore della pratica sono conosciute solamente dalle persone implicate, così che la questione di sapere a che momento e per quali ragioni le lesioni controverse sono state provocate casa non decisa. La Corte può constatare solamente che le lesioni del richiedente sono sopraggiunte durante le ore che è passata interamente sotto il controllo dei carabinieri, tra i momenti dove è stato messo in automobile per essere condotto alla stazione di Cerea ed il momento dove è arrivato alla casa di sentenza di Verona e che nessuna spiegazione plausibile è stata fornita dal Governo. Questa constatazione basta per impegnare la responsabilità dello stato.
55. Allo visto di ciò che precede, la Corte considera che le autorità nazionali sono responsabili di trattamenti disumani e degradanti contrari all’articolo 3. Pertanto c’è stata violazione dell’articolo 3 della Convenzione nel suo risvolto patrimoniale.
B. Motivo di appello tirato del risvolto procedurale dell’articolo 3
56. Il richiedente sostiene che l’inchiesta sulle sue affermazioni dei cattivi trattamenti non è stata condotta con zelo. È stata archiviata senza seguito in ragione della mancanza di volontà manifesta di stabilire la verità e di inseguire gli autori dei fatti.
57. Il Governo oppone a questa tesi.
1. Sull’ammissibilità
58. La Corte constata che il motivo di appello sollevato dal richiedente non è manifestamente male fondato al senso dell’articolo 35 § 3 ha, della Convenzione e non urtarti a nessuno altro motivo di inammissibilità. Conviene dichiararlo ammissibile dunque.
2. Sul fondo
ha, Tesi delle parti
59. Il richiedente osserva che, dall’inizio, le autorità nazionali hanno dato prova di inerzia e di una mancanza manifesta di volontà di stabilire la verità e di inseguire gli autori dei fatti. Gli autori delle lesioni incorse dal richiedente non furono identificati mai. In dispetto delle indicazioni dell’interessato registrato nella sua domanda di opposizione all’archiviazione senza seguito, l’autorità giudiziale ha valutato male le prove in non tenendo conto di tutti gli elementi factuels della pratica, in particolare in non concedendo a tutti i carabinieri un’audizione intervenuto sui luoghi, né l’interessato, né i medici, ed in non ordinando di perizia médico-legale. In particolare, l’autorità giudiziale non ha inteso il richiedente; non ha ordinato di perizia medica per vedere-entro altri elementi-se le lesioni incorse dal carabiniere L.B. erano presumibilmente compatibili col comportamento violento del richiedente; non ha inteso una seconda volta la gerente del bar per verificare il modo di cui il richiedente era stato ammanettato al momento della sua interpellanza; non ha inteso neanche gli altri clienti presenti nel bar a questo motivo; non ha ordinato che i risultati del test di alcoolémie che sarebbe stato effettuato all’ospedale di Legnago siano versati alla pratica.
Secondo il richiedente, l’autorità giudiziale ha preso in conto la tesi avanzata dai carabinieri secondo la quale si era ferito sé con gli atti di automutilazione. La decisione di archiviazione senza seguito è stata redatta in ogni caso su un formulario standard. In conclusione, il rifiuto di inseguire i carabinieri dia a pensare che si tratta di una volontà deliberata e che l’inchiesta non è stata effettiva.
60. Il Governo sostiene che il richiedente non ha collaborato all’inchiesta. Si è fatto ne limitato a denunciare i trattamenti presumibilmente subiti ma non ha depositato un lamento formale e circostanziato, così che l’inchiesta è stata condotta di ufficio per iniziativa le autorità nazionali. In questa situazione, soli i fatti sottomessi all’attenzione dell’autorità giudiziale dovevano essere esaminati. Il richiedente si è limitato a dichiarare che non aveva utilizzato la violenza fisica contro i carabinieri e che era stato picchiato da questi ultimi, senza precisare le circostanze di luogo, di tempo, né le modalità e la descrizione degli aggressori presunti. Le dichiarazioni del richiedente erano non solo imprecise ma anche ambigue. Difatti, dinnanzi alle giurisdizioni nazionali il richiedente ha indicato che la violenza potuto avere luogo all’epoca del suo trasferimento alla stazione di Cerea, o in unità di sicurezza, o all’epoca del suo trasferimento a Legnago o ancora all’epoca del suo trasferimento susseguente verso la casa di sentenza di Verona. In conclusione, il richiedente sarebbe restato “spettatore” del procedimento. È vero che il richiedente ha chiesto ad essere sentito e l’autorità giudiziale non l’ha inteso. Però, l’interessato aveva la possibilità di descrivere i fatti in modo precisi e dettagliati e non l’ha fatto. Di conseguenza, nessuna inerzia può essere rimproverata alle giurisdizioni nazionali.
Il Governo osserva poi che l’ambiguità delle dichiarazioni del richiedente è aumentata dal fatto che, dinnanzi alla Corte, ha indicato che l’episodio violento ha avuto luogo in un’unità di sicurezza. In quanto agli atti di istruzione, non era necessario ordinare una perizia medica, perché parecchi certificati medici erano disponibili. Questi ultimi non indicano peraltro per niente la causa probabile delle lesioni del richiedente. Non era neanche necessario intendere una seconda volta la gerente del bar per sapere se il richiedente era stato veramente ammanettato nella schiena. La gerente del bar era stata già sentita e non era essenziale di intendere gli altri clienti presenti nel bar. In quanto al risultato del test di alcolemia che sarebbe stato effettuato all’ospedale di Legnago, il richiedente non ha spiegato perché questo risultato gli era necessario e non ha dimostrato l’impossibilità di ottenere sé il risultato in questione.
Il Governo osserva infine che l’inchiesta è stata condotta dalla polizia giudiziale sotto il controllo diretto della procura. I carabinieri non erano implicati nella gestione dell’inchiesta.
b, Valutazione della Corte
Principi generali
61. La Corte ricorda che quando un individuo sostiene in modo difendibile avere subito, alle mani della polizia o di altri servizi comparabili dello stato, un trattamento contrario all’articolo 3, questa disposizione, combinato col dovere generale imposto allo stato con l’articolo 1 della Convenzione di “riconoscere ad ogni persona che rileva di [suo] giurisdizione i diritti e libertà definite [in lei] Convenzione”, richiede, con implicazione, che ci sia un’inchiesta ufficiale effettiva. Questa inchiesta deve potere condurre all’identificazione ed alla punizione dai responsabile. Se non ne andava così, nonostante la sua importanza fondamentale, l’Proibizione legale generale della tortura e delle pene e trattamenti disumani o degradanti sarebbero inefficaci in pratica, ed egli sarebbe possibile in certi casi agli agenti dello stato di calcare ai piedi, godendo di una quasi – impunità, i diritti delle persone sottoposte al loro controllo, Assenov ed altri c. Bulgaria, 28 ottobre 1998, § 102, Raccolta delle sentenze e decisioni 1998 VIII; Corsacov c. Moldova, no 18944/02, § 68, 4 aprile 2006; Georgiy Bykov c. Russia, no 24271/03, § 60, 14 ottobre 2010; El Masri c. “l’ex Repubblica iugoslava del Macedonia” [GC], no 39630/09, § 182, CEDH 2012.
62. L’inchiesta che esige delle affermazioni gravi dei cattivi trattamenti deve essere al tempo stesso veloce e deve approfondire, ciò che notifica che le autorità devono sempre sforzarsi seriamente di scoprire ciò che è accaduto e che non devono appellarsi su dei conclusioni frettolosi o male fondati per chiudere l’inchiesta o fondare le loro decisioni, El Masri, precitata § 183; Assenov ed altri, precitata, § 103, e Picchia ıed altri c. Turchia, i nostri 33097/96 e 57834/00, § 136, CEDH 2004 IV. Le autorità devono prendere tutte le misure ragionevoli a loro disposizione per ottenere le prove relative all’incidente in questione, ivi compreso, entra altri, le deposizioni dei testimoni oculari ed i perizie criminologiche , El Masri, precitata § 183; Tanrkulu c. Turchia [GC], no 23763/94, § 104, CEDH 1999 IV, e Gül c. Turchia, no 22676/93, § 89, 14 dicembre 2000. Ogni carenza dell’inchiesta che indebolisce la sua capacità a stabilire le cause del danno o l’identità del responsabile rischio di fare concludere che non risponde alla norma di effettività richiesto, El Masri, precitata § 183.
63. Di più, l’inchiesta deve essere condotta in ogni indipendenza rispetto al potere esecutivo, Our ğc. Turchia [GC], no 21594/93, §§ 91-92, CEDH 1999 III, e Mehmet Emin Yüksel c. Turchia, no 40154/98, § 37, 20 luglio 2004; El Masri, precitata § 184. L’indipendenza dell’inchiesta suppone non solo la mancanza di legame gerarchico o istituzionale, ma anche un’indipendenza concreta, Ergi c. Turchia, 28 luglio 1998, §§ 83-84, Raccolta 1998 IV; El Masri, precitata § 184.
64. Infine, la vittima ne deve essere misura di partecipare infatti, in un modo o nell’altro, all’inchiesta, El Masri, precitata § 185.
c, Applicazione di questi principi al caso di specifico
65. La Corte nota che il richiedente ha denunciato le violenze subite durante le ore passate alle mani dei carabinieri al personale medico della casa di sentenza di Verona la sera del 11 marzo 2010; all’autorità giudiziale, il 12 marzo 2010; ed alle autorità penitenziarie, il 13 marzo 2010. Le sue affermazioni, corroborate dalla constatazione medica delle lesioni incorse da lui, hanno portato l’autorità giudiziale ad aprire un’inchiesta contro X in data del 24 marzo 2010.
Il procuratore della Repubblica di Verona carica dell’inchiesta ha inteso, in quanto persone informate dei fatti, quattro testimoni,: la gerente del bar, uno dei carabinieri essendo reso si sui luoghi e due altri carabinieri che erano presenti alla stazione di Cerea quella sera, poi all’epoca dei trasferimenti del richiedente verso l’ospedale di Legnago e verso la casa di sentenza di Verona. Il richiedente non è stato sentito. Il 29 aprile 2010, il procuratore della Repubblica ha chiesto l’archiviazione senza seguito dell’inchiesta, al motivo che le affermazioni del richiedente non erano provate e tenuto conto della personalità e degli antecedenti dell’interessato. La condotta violenta e minacciosa del richiedente al riguardo della gerente del bar e dei carabinieri spiegava la forza utilizzata da questi ultimi per il menotter, senza che non sia fatto però ricorso alla violenza. Le lesioni incorse dal richiedente derivavano di questa forza necessaria e giustificata. Il 1 settembre 2010, il GIP di Verona ha respinto l’opposizione del richiedente e ha archiviato senza seguito l’indago al motivo che divideva interamente i conclusioni del procuratore della Repubblica e che la testimonianza decisiva era quella della gerente del bar.
66. La Corte nota la superficialità dell’inchiesta, a cominciare dal fatto che la vittima dei cattivi trattamenti non è stata anche sentita. Nota che in dispetto della gravità delle lesioni constatate all’arrivo del richiedente alla casa di sentenza di Verona e poi all’ospedale di Borgo Trento, tre coste rotte ed un ematoma ad un testicolo, le autorità giudiziali hanno focalizzato la loro attenzione sugli avvenimenti sopraggiunti nel bar. Hanno stimato che le manovre di immobilizzazione e la posa delle manette che erano stati effettuati senza violenza, erano all’origine delle lesioni incorse dal richiedente. La Corte nota che l’autorità giudiziale non ha provato di ricostituire i fatti che si sono svolti ulteriormente per identificare l’origine ed i responsabile delle lesioni controverse.
67. La Corte rileva poi la grande importanza che è stata assegnata sopra dall’autorità giudiziale agli antecedenti ed alla personalità del richiedente, ciò che ha avuto per conseguenza che l’interessato e le affermazioni dei cattivi trattamenti che ha formulato sono state considerate a priori come essendo avuto poco credibili, paragrafo 32.
68. Trattandosi del carattere poco dettagliato delle affermazioni del richiedente, la Corte constata che mai le autorità non si sono dedicate sulla questione di sapere se la sedazione di cui l’interessato era stato oggetto all’ospedale di Legnago potuto giocare un ruolo sulle sue capacità a concedersi un racconto preciso e circostanziato delle violenze subite.
69. Allo visto di ciò che precede, e senza che sia necessario dedicarsi sugli altri mancamenti dell’istruzione invocata dal richiedente, la Corte considera che l’inchiesta condotta sull’incidente del 11 marzo 2010 non è stata condotta con lo zelo necessario.
70. Pertanto, c’è stata violazione del risvolto procedurale dell’articolo 3.
II. SULLE ALTRE VIOLAZIONI
71. Il richiedente denuncia una violazione ulteriore dell’articolo 3 della Convenzione al motivo che ci sarebbero stati dei ritardi nella sua presa incaricata medica alla casa di sentenza di Verona. Adduce avere chiamato in particolare in emergenza il medico della prigione ed avere dovuto aspettare delle ore prima di essere condotto all’ospedale.
72. Il Governo contesta questa tesi e fa notare che il richiedente è stato visto da un medico il 11 marzo 2010 al suo arrivo verso 21h00 alla casa di sentenza di Verona. Inoltre, è stato esaminato in emergenza il 13 marzo 2010 alla mattina col medico della prigione; è stato condotto lo stesso giorno verso le 14 all’ospedale di Borgo Trento per una consultazione in emergenza e degli esami. Poi, è stato condotto in questo stesso ospedale per consultazioni ed esami complementari il 17 e 18 marzo 2010. Questo mostra che la presa incaricata medica del richiedente è stata adeguata.
73. La Corte nota che risulta della pratica che il richiedente chiese a vedere in emergenza il medico della prigione, in ragione dei forti dolori, la mattina del 13 marzo 2010. Questo ultimo l’esaminò, redasse un resoconto a 12h00 e mandò l’interessato di emergenza all’ospedale di Borgo Trento. Il richiedente fu esaminato da un urgentiste dell’ospedale a 14h15. La sera, il richiedente fu di ritorno alla casa di sentenza. Tenuto conto di questi elementi, la Corte non vede di ritardi suscettibili di impegnare la responsabilità delle autorità italiane. Peraltro, prende in conto lo fa che il richiedente è stato condotto di nuovo all’ospedale per gli esami complementari così che il seguito medico sembro essere stato anche adeguato dopo il 13 marzo 2010.
74. Quindi, la Corte stima che questa parte della richiesta è manifestamente male fondata e che deve essere dichiarata inammissibile conformemente all’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
75. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette di cancellare che imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
76. Il richiedente richiede 20 000 euro (EUR, a titolo del danno morale che avrebbe subito,). Osserva che le circostanze dello specifico sono state di natura tale da provocare disperazione, angoscia e tensione.
77. Il Governo reitera la sua tesi secondo la quale la richiesta è manifestamente male fondata. Sussidiariamente, osserva che gli importi richiesti sono sproporzionati e che l’eventuale constatazione di violazione permetterebbe di cancellare perfettamente le conseguenze di questa.
78. La Corte considera che c’è luogo di concedere al richiedente 15 000 EUR a titolo del danno morale.
B. Oneri e spese
79. Il richiedente chiede anche 9 500 EUR per gli oneri e spese impegnate dinnanzi alla Corte.
80. Il Governo stima che nessuna somma deve essere concessa e che in ogni caso l’importo richiesto non è proporzionato alle circostanze dello specifico.
81. Secondo la giurisprudenza della Corte, un richiedente non può ottenere il rimborso dei suoi oneri e spese che nella misura in cui si trovano stabilisco la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevoli del loro tasso. Nello specifico e tenuto conto dei documenti nel suo possesso e della sua giurisprudenza, la Corte stima ragionevole l’intimo di 4 000 EUR a titolo degli oneri e spese per il procedimento dinnanzi alla Corte e l’accordo al richiedente.
C. Interessi moratori
82. La Corte giudica appropriata di ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentata di tre punti di percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile in quanto al motivo di appello concernente il trattamento inflitto dai carabinieri ed al motivo di appello derivato della mancanza di un’inchiesta effettiva ed inammissibile per il surplus;

2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 3 della Convenzione nel suo risvolto patrimoniale;

3. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 3 della Convenzione nel suo risvolto procedurale;

4. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare al richiedente, nei tre mesi a contare del giorno dove la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, il seguente somme:
i, 15 000 EUR, quindicimila euro, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta, per danno morale,;
ii, 4 000 EUR, quattromila euro, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta col richiedente, per oneri e spese,;
b) che a contare della scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno ad aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti di percentuale,;

5. Respingi la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 24 giugno 2014, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.

Abele Campos Egli ıKarakaş
Cancelliere aggiunto Presidentessa

Testo Tradotto

Conclusion: Violation de l’article 3 – Interdiction de la torture (Article 3 – Traitement dégradant Traitement inhumain) (Volet matériel) Violation de l’article 3 – Interdiction de la torture (Article 3 – Enquête efficace) (Volet procédural)

DEUXIÈME SECTION

AFFAIRE ALBERTI c. ITALIE

(Requête no 15397/11)

ARRÊT

STRASBOURG

24 juin 2014

Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l’article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire Alberti c. Italie,
La Cour européenne des droits de l’homme (deuxième section), siégeant en une chambre composée de :
Işıl Karakaş, présidente,
Guido Raimondi,
András Sajó,
Helen Keller,
Paul Lemmens,
Robert Spano,
Jon Fridrik Kjølbro, juges,
et de Abel Campos, greffier adjoint de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 3 juin 2014,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette date :
PROCÉDURE
1. À l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 15397/11) dirigée contre la République italienne et dont un ressortissant de cet État, OMISSIS (« le requérant »), a saisi la Cour le 28 février 2011 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (« la Convention »).
2. Le requérant a été représenté par OMISSIS, avocate à Strasbourg. Le gouvernement italien (« le Gouvernement ») a été représenté par son agent, Mme E. Spatafora.
3. Le requérant allègue en particulier avoir fait l’objet de mauvais traitements infligés par les carabiniers et de ne pas avoir bénéficié d’une enquête conforme aux exigences de l’article 3 de la Convention.
4. Le 14 mai 2012, la requête a été communiquée au Gouvernement.
EN FAIT
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
5. Le requérant est né en 1971 et réside à Vérone. Au moment des faits il était sans domicile fixe.
A. L’arrestation du requérant
6. Le 11 mars 2010, vers 17 heures, le requérant se trouvait dans un bar à Cerea. Il demanda à la gérante du bar, M.T., à pouvoir utiliser son téléphone portable afin de passer un appel urgent. Celle-ci y consentit et lui prêta son téléphone. Après quelques minutes, ayant remarqué que la conversation se prolongeait, elle demanda au requérant de lui rendre le téléphone, mais celui-ci refusa. Le requérant s’adressa à la gérante sur un ton arrogant et provocateur, de sorte qu’un autre client du bar appela les carabiniers.
7. Après quelques minutes, deux carabiniers, S.R. et L.B., arrivèrent sur les lieux et demandèrent au requérant de présenter une pièce d’identité, ce qu’il refusa. Les carabiniers enjoignirent au requérant de les suivre au poste mais l’intéressé refusa et se mit à crier et à les insulter. Les carabiniers procédèrent alors à l’arrestation en flagrant délit du requérant et l’amenèrent au poste de Cerea (comando dei carabinieri) en voiture.
8. Le procès-verbal relatif à l’arrestation du requérant, daté du même jour, fait état de ce que S.R. et L.B. s’étaient rendus sur les lieux à la demande d’une personne qui avait signalé que le requérant était en train de menacer la gérante du bar. Arrivés sur place, ils avaient vu que le requérant insultait la gérante. Invité à présenter une pièce d’identité, le requérant avait refusé et – défiant leur présence (sprezzante della loro presenza) – il s’était assis sur une chaise et avait résisté passivement. Invité à nouveau à présenter une pièce d’identité par les deux carabiniers, le requérant avait répondu « j’ai une maîtrise en droit et vous ne pouvez rien me demander, je peux faire ce que je veux et vous ne devez pas me casser les c.(….). Je suis dans ce café, je lis un livre et vous me cassez les c.(…) ». Étant donné le refus du requérant et vu la présence d’autres clients dans le café, les carabiniers demandèrent au requérant de sortir du bar pour le conduire au poste. Le requérant refusa, il s’adressa à L.B. et le menaça en lui disant « je te tue, je tue ta fille et ta femme, je te trouverai car je suis dans les parages et je viendrai te chercher pour te tuer ». Soudainement, le requérant essaya de frapper L.B. ; il n’y arriva pas grâce à la prompte réaction de S.R. Les deux carabiniers étaient parvenus difficilement (a fatica) à le maîtriser grâce à la pose de menottes. Une fois sorti du bar, alors qu’il montait dans la voiture des carabiniers, le requérant avait essayé de se débattre et de frapper L.B. au visage. Ce dernier avait réussi à éviter le coup. Pendant le trajet vers le poste des carabiniers, le requérant avait continué à invectiver et à menacer les carabiniers. Arrivé à la station, le requérant avait été identifié. Il maintenait une conduite agressive et violente au motif qu’il s’agitait par terre, qu’il proférait des phrases injurieuses et menaçantes envers tous et il tentait de donner des coups de pieds à ceux qu’il voyait. À l’aide d’autres membres du personnel, les carabiniers étaient parvenus à faire entrer le requérant dans la cellule de sûreté (camera di sicurezza). Le requérant s’infligea des blessures en donnant des coups de tête dans la porte de la cellule. Les carabiniers avaient contacté le ministère public. Celui-ci avait ordonné le placement du requérant en cellule de sûreté au poste des carabiniers et son transfert au tribunal le lendemain matin, pour qu’il soit présenté au juge en procédure de comparution immédiate (direttissima). À la suite des coups reçus, L.B. s’était rendu à l’hôpital de Legnago, où le médecin avait constaté des excoriations aux poignets, guérissables en cinq jours. L.B. avait porté plainte contre le requérant pour les lésions subies. Étant donné le flagrant délit (violence et menace dirigées contre un officier public, opposition aux actes de l’autorité, outrage d’un officier public, lésions corporelles simples, refus de fournir son identité), ainsi que la gravité des faits reprochés, compte tenu de la dangerosité sociale de l’intéressé, des graves soupçons pesant à son encontre, de son casier judiciaire et du fait qu’il était sans domicile fixe, le requérant fut arrêté à 17h30.
En outre, le procès-verbal faisait état de ce que le ministère public avait finalement décidé de transférer le requérant à la maison d’arrêt de Vérone Montorio. Le lendemain matin, l’intéressé serait conduit au tribunal de Vérone par le personnel de la prison.
9. Il ressort du dossier que M.G. – le commandant du poste des carabiniers de Cerea – contacta le ministère public pour savoir s’il pouvait conduire le requérant à la maison d’arrêt de Vérone Montorio pour qu’il y passe la nuit plutôt que dans un poste des carabiniers. Le ministère public refusa. Le commandant décida alors de transférer le requérant pour la nuit au poste des carabiniers de Legnago, et de s’arrêter en cours de route aux urgences de l’hôpital de Legnago.
10. Le service des urgences de l’hôpital de Legnago enregistra l’arrivée du requérant à 20h29. Le certificat médical établi par le praticien du service des urgences mentionne que le requérant avait été amené par les forces de l’ordre à cause de son état d’agitation. Le diagnostic confirma l’agitation psychomotrice du requérant. Par ailleurs, l’intéressé présentait un traumatisme crânien, un hématome sur le front et des excoriations sur les mains. L’examen du thorax et de l’abdomen ne révéla aucun problème (obiettività toracicoaddominale negativa). Le médecin soigna la blessure au front et fit au requérant une injection intraveineuse (Propofol 150 mg et Midazolam 3 mg ) afin d’obtenir la sédation de l’intéressé. Le pronostic pour la guérison fut établi à « zéro jour ». La consultation se termina à 20h44 et les carabiniers et le requérant quittèrent l’hôpital.
11. Une fois sortis de l’hôpital, les carabiniers sollicitèrent pour la deuxième fois l’accord du ministère public pour conduire le requérant à la maison d’arrêt de Vérone plutôt que dans une de leurs casernes. A l’appui de leur demande, ils alléguaient que, malgré la sédation, le requérant les menaçait de se venger et avait, de ce fait, toujours une conduite agressive.
12. Le ministère public donna son accord au placement du requérant à la maison d’arrêt de Vérone Montorio et les carabiniers l’y amenèrent.
13. Legnago est situé à une distance de 44 kilomètres par la route par rapport à Vérone, et de 51 kilomètres par rapport à Montorio. L’hôpital de Legnago et le poste des carabiniers sis dans la même ville sont à 1,7 km de distance.
14. Le Gouvernement a fait savoir que les carabiniers n’ont pas rédigé de rapport de service concernant les évènements du 11 mars 2010.
B. Le placement du requérant à la maison d’arrêt de Vérone
15. À son entrée à la maison d’arrêt, le requérant fut examiné par le service médical avant 22 heures (l’horaire indiqué sur la fiche médicale est de 21h00 (…) – les minutes n’étant pas lisibles). Il ressort du compte-rendu médical que le requérant était conscient, lucide et tranquille. Il présentait un hématome sur le front au niveau de l’arcade sourcilière droite ; que ses membres étaient mobiles ; qu’il n’y avait pas de fractures manifestes ; qu’il y avait des égratignures sur les mains ; qu’il n’y avait rien de pathologique à l’appareil uro-génital. Le médecin prescrivit un médicament (nom illisible) sous forme de pilules. Il ressort en outre d’un document manuscrit, non daté et vraisemblablement rédigé par le même médecin qui rédigea la fiche relative à la consultation médicale, que le requérant déclara avoir été frappé par les carabiniers durant l’arrestation (nelle fasi dell’arresto) et qu’il ressentait des douleurs à la quatrième et à la cinquième côte gauche.
16. Le requérant fut placé dans une cellule individuelle, située dans un quartier de la prison où l’administration pénitentiaire était certaine qu’il n’y aurait pas de risque de bagarres.
17. Le 13 mars 2010, en raison de fortes douleurs à l’aine et au thorax, le requérant demanda à voir en urgence le médecin de la prison. Ce dernier l’examina, rédigea un compte-rendu à 12h00 et envoya l’intéressé d’urgence à l’hôpital de Borgo Trento. Le requérant fut examiné par un médecin des urgences de l’hôpital à 14h15. Les examens pratiqués sur le requérant mirent en évidence la fracture de trois côtes et un hématome du testicule gauche entraînant une incapacité temporaire totale de vingt jours. Ces lésions étaient compatibles avec une origine traumatique.
18. Rentré à la maison d’arrêt le soir du 13 mars 2010, le requérant déclara à la police pénitentiaire de la maison d’arrêt de Vérone que les lésions qui venaient d’être constatées à l’hôpital lui avaient été infligées par les carabiniers pendant qu’il était entre leurs mains. Ces lésions avaient déjà été signalées au médecin de la prison au moment de son arrivée le soir du 11 mars 2010. La déclaration faisait état de ce que le requérant avait demandé à voir le médecin de la prison en urgence le 13 mars au matin et que celui-ci l’avait fait conduire à l’hôpital en fin de matinée. Le requérant précisa que pendant son séjour à la maison d’arrêt, il n’avait eu aucune bagarre ou accrochage, ce qui renforçait ses allégations selon lesquelles ces lésions étaient survenues antérieurement.
19. Le 17 mars 2010, l’urologue de l’hôpital examina le requérant et confirma que l’hématome au testicule gauche pouvait résulter d’un traumatisme. Le 18 mars 2010, le requérant fut conduit à nouveau à l’hôpital pour des examens radiologiques au thorax.
C. L’audience du 12 mars 2010
20. Le 12 mars 2010, le requérant fut amené au tribunal de Vérone pour la validation de l’arrestation en flagrant délit (menaces et résistance à l’égard de L.B. et S.R., ainsi que coups et blessures infligées à L.B.) et pour la procédure de comparution immédiate (per direttissima). Il était assisté d’un avocat commis d’office.
21. Pendant l’audience, le requérant admit qu’il avait été verbalement agressif vis-à-vis des carabiniers mais nia avoir été physiquement violent, arguant du fait qu’il avait été menotté tout le temps. Il avait été agressé et frappé à répétition (ripetutamente) par les carabiniers qui l’avaient menotté dans le dos. Il portait encore les traces des menottes et avait les côtes cassées. Il savait que sa parole ne valait rien face à celle d’un carabinier. Suite à cette plainte, le tribunal transmit le dossier au procureur de la République.
22. Par ailleurs, le juge valida l’arrestation et ordonna le placement du requérant en détention provisoire.
23. Les parties n’ont pas informé la Cour sur l’issue de la procédure pénale ouverte à l’encontre du requérant.
D. L’enquête ouverte suite aux déclarations de mauvais traitements
24. Le 16 mars 2010, l’administration pénitentiaire de Vérone adressa au tribunal de Vérone un dossier concernant le requérant au motif que celui-ci présentait au moment de son arrivée en prison des signes des lésions. Le dossier contenait les déclarations du requérant et les documents médicaux pertinents (paragraphes 15 et 17 ci-dessus).
25. Le 24 mars 2010, des poursuites pour coups et blessures furent ouvertes contre X.
26. Pendant l’enquête, M.G., le commandant du poste des carabiniers de Cerea, fut entendu en tant que personne informée des faits. Il déclara se souvenir de l’état agité du requérant et avait estimé que l’intéressé était vraisemblablement sous l’effet de l’alcool. Bien que menotté, le requérant avait jeté sa tête contre un mur et s’était blessé au front. Pour éviter que des doutes surgissent quant à l’origine des blessures du requérant, M.G. avait décidé de le conduire à l’hôpital de Legnago. Le requérant ne s’était pas plaint de mauvais traitements. Une fois sorti de l’hôpital, pendant qu’il était conduit vers les cellules de sûreté du poste des carabiniers de Legnago, le requérant avait recommencé à donner des coups de pied, ce qui pour M.G. indiquait que l’effet des calmants était déjà terminé. Ce n’est qu’au moment où il avait été conduit à la maison d’arrêt de Vérone que le requérant avait dit qu’il dénoncerait les coups subis lors de son arrestation. M.G. fit remarquer que le requérant avait indiqué avoir été frappé par les carabiniers sans fournir de précisions sur l’identité de ceux-ci. En outre, il était notoire que l’intéressé s’adonnait à l’alcool.
27. La gérante du bar, M.T., fut également entendue. Elle affirma que, le 11 mars 2010, le requérant était passé en fin de matinée pour boire un café. Il était revenu dans l’après-midi et avait demandé à pouvoir utiliser son portable pour un appel urgent. Lorsqu’elle lui avait demandé le téléphone en retour, le requérant lui avait répondu sur un ton de défi et de menace et avait ajouté qu’il ne craignait pas les carabiniers au cas où elle souhaitait les appeler. Un des clients avait appelé les carabiniers. Le requérant avait refusé de montrer ses papiers et avait essayé de frapper l’un des carabiniers lorsque ceux-ci voulaient le menotter. Il avait été nécessaire d’utiliser force et fermeté pour menotter le requérant. Toutefois, les carabiniers n’avaient pas été violents.
28. Le carabinier L.B. ne fut pas entendu.
29. Le carabinier S.R. fut entendu en tant que personne informée des faits. Avec L.B., il avait reçu l’ordre de se rendre au bar T. car un individu dérangeait les clients et menaçait la gérante. Arrivé sur place, S.R. avait constaté que le requérant avait une conversation animée avec la gérante du bar. S.R. lui avait intimé de montrer ses papiers, et, après trois refus, l’avait invité à le suivre au poste. S.R. relata les mots du requérant (paragraphe 8 ci-dessus). Lorsque le requérant avait menacé L.B. et avait tenté de le frapper au visage, ce geste avait laissé tout le monde perplexe car L.B. n’avait rien dit et rien fait vis-à-vis de l’intéressé. Les deux carabiniers avaient alors essayé de le maîtriser et avaient réussi à le menotter nonobstant la résistance opposée. Pendant le trajet en voiture, le requérant avait à nouveau proféré des menaces et avait tenté de frapper L.B. avec les menottes, car il était assis dans le véhicule avec les bras devant. Une fois au poste de Cerea, le requérant s’était jeté par terre et avait tenté de donner des coups de pied à tous ceux qui s’approchaient. À l’aide d’autres collègues, les carabiniers avaient réussi à le maîtriser et à le placer en cellule de sûreté. Une fois enfermé, il avait commencé à donner des coups avec son front et ses pieds contre la porte et les murs, en se faisant une blessure au front. S.R. déclara qu’aucune violence n’avait été utilisée envers le requérant et confirma que le magistrat avait été mis au courant des réactions violentes et auto-mutilantes du requérant. Il avait, dans un premier temps, refusé de placer le requérant à la maison d’arrêt de Vérone. S.R. était alors resté au poste de Cerea, tandis que le commandant M.G. accompagné de L.B. et G.D. étaient partis avec le requérant en direction du poste des carabiniers de Legnago. S.R. précisa que le requérant était connu comme quelqu’un de violent et qui s’adonnait à l’alcool.
30. Enfin, l’autorité judiciaire entendit le carabinier G.D. Ce dernier avait pris l’appel provenant du bar et avait demandé à la patrouille de service d’intervenir. Au moment de son arrivée au poste de Cerea, le requérant était menotté. Il s’était mis à hurler et s’était jeté par terre. G.D. relata les coups de pied, les insultes et les menaces à l’égard de L.B. G.D. était intervenu pour aider les collègues et immobiliser le requérant qui avait été conduit en cellule de sûreté. Retourné à son poste, il entendait le requérant qui hurlait des phrases incohérentes et donnait des coups à la porte métallique de la cellule. G.D. avait ensuite remarqué une blessure au front que le requérant n’avait pas à son arrivée. Le commandant M.G. avait ordonné de préparer un véhicule pour transférer le requérant au poste des carabiniers de Legnago, ce qui était une procédure habituelle lorsque le poste de Cerea était fermé pour la nuit. G.D. était parti avec le commandant M.G. et LB. Durant le trajet, M.G. avait ordonné de passer par l’hôpital de Legnago qui était sur le chemin. Le requérant avait fait l’objet d’une sédation en raison de son agressivité et avait reçu des soins pour la blessure au front. Lors de la consultation à l’hôpital le requérant n’était pas menotté. Après les soins, les carabiniers avaient dû utiliser assez de force et de fermeté pour pouvoir le menotter à nouveau. Une fois en voiture, M.G. avait demandé pour la deuxième fois eu ministère public l’autorisation de conduire le requérant à la maison d’arrêt de Vérone Montorio et avait obtenu son accord. Le requérant avait été directement conduit à la maison d’arrêt.
E. Le classement sans suite de l’enquête
31. Le 29 avril 2010, le procureur de la République demanda au juge des investigations préliminaires (GIP) de classer l’enquête. Selon lui, les éléments recueillis ne permettaient pas d’engager une action pénale. Les faits relatés par le requérant n’étaient corroborés par aucun des témoignages. La gérante du bar avait déclaré que le requérant, au moment de l’arrestation, était très agité, agressif et insultant à l’égard des carabiniers et d’elle-même et qu’il n’y avait pas eu de comportements violents de la part de carabiniers. Selon le procureur, la nature des blessures du requérant était compatible avec l’intervention des carabiniers pour maîtriser son agressivité et pour se défendre au moment où ils le menottaient pour le conduire dans la cellule de sûreté.
Ensuite, il fallait prendre en compte le fait que la crédibilité du requérant était entachée en raison de son casier judiciaire, par ses antécédents et par sa personnalité. Il ressortait en fait d’un compte-rendu rédigé par une psychothérapeute, que fin 2009-début 2010, le requérant avait vécu dans une communauté d’accueil. L’intéressé était atteint d’un trouble de la personnalité qui le rendait antisocial, intolérant aux règles de la cohabitation et provocateur. Il avait abusé deux fois de l’alcool et avait été admis d’urgence à l’unité psychiatrique de l’hôpital suite à une rixe dans un bar avec des immigrés. Le séjour en communauté avait pris fin le jour où le requérant avait agressé verbalement un autre hôte et avait provoqué une rixe. Il ressortait en outre d’une note rédigée par la police judiciaire le 21 avril 2010 que le requérant devenait agressif sous l’effet de l’alcool et cherchait la vengeance. Il avait une personnalité difficile, car il était incapable d’avoir de bonnes relations avec les autres ; il provoquait des rixes et, entre le 17 et le 18 février 2010, les carabiniers avaient été appelés trois fois. Selon la police, il se pouvait que les lésions du requérant soient la conséquence de quelque rixe ayant eu lieu avant l’arrestation et que le requérant ait décidé de les utiliser comme prétexte pour se venger des carabiniers venus l’arrêter au bar. En outre, le requérant avait parlé des coups prétendument subis seulement pendant le trajet vers la prison de Montorio, et avait menacé les carabiniers de les dénoncer. Enfin, il ressortait du casier judiciaire du requérant qu’il avait été condamné pour les infractions suivantes : conduite en état d’ébriété en 1995, 2000 et 2005 ; résistance à l’autorité et coups et blessures en 2006 ; mauvais traitements en 2008.
32. Le requérant fit opposition à la demande de classement du procureur. Il arguait que ses lésions n’avaient pas été provoquées au moment où les carabiniers étaient dans le bar mais plus tard, de sorte que le témoignage de la gérante ne voulait rien dire. Il se pouvait que les carabiniers aient eu recours à la violence pendant le trajet vers le poste de Cerea, au poste lui-même pendant qu’il se trouvait en cellule de sûreté, pendant le trajet vers Legnago ou pendant le trajet vers la maison d’arrêt de Vérone. Les lésions encourues étaient attestées par les certificats médicaux de l’hôpital de Borgo Trento et du médecin de la prison de Vérone Montorio. Il s’agissait de lésions souvent observées chez les gens arrêtés et menottés. Les lésions litigieuses ne pouvaient être le résultat d’une automutilation, car il n’était pas crédible qu’on puisse se casser trois côtes et se faire un hématome au testicule en se jetant contre le mur. Invoquant l’article 3 de la Convention et rappelant l’obligation positive de conduire une enquête officielle effective visant à l’identification et à la punition des responsables, le requérant demandait : à être entendu ; une expertise pour vérifier la compatibilité de ses lésions avec l’action des carabiniers ; qu’une expertise soit faite sur les lésions prétendument infligées par lui au carabinier L.B. ; d’entendre à nouveau la gérante du bar et d’entendre les autres clients afin de vérifier comment le requérant avait été menotté ; que le résultat du test d’alcoolémie du 11 mars 2010 fait à l’hôpital de Legnago soit versé au dossier. Le requérant rappela en outre que L.B. n’avait pas été entendu, tout comme les médecins.
33. Par une ordonnance du 1er septembre 2010, le GIP de Vérone classa l’enquête sans suite. En utilisant un formulaire standard pré-rempli, le GIP estima que les allégations du requérant n’étaient pas prouvées et que les compléments d’enquête demandés par celui-ci n’étaient pas pertinents. En effet, l’élément décisif était le témoignage de la gérante du bar, seul témoin étranger aux faits. Le GIP adhérait ainsi complètement au raisonnement formulé par le procureur de la République.
EN DROIT
I. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 3 DE LA CONVENTION
34. Le requérant allègue avoir été victime de traitements inhumains ou dégradants de la part des carabiniers qui l’ont arrêté. Il fait valoir également que les autorités nationales ont manqué à leur obligation de mener une enquête diligente, rapide et indépendante sur ses allégations de mauvais traitements. Le requérant invoque l’article 3 de la Convention, ainsi libellé :
« Nul ne peut être soumis à la torture ni à des peines ou traitements inhumains ou dégradants. »
35. Le Gouvernement s’oppose à la thèse du requérant.
A. Grief tiré du volet matériel de l’article 3
1. Sur la recevabilité
36. La Cour constate que ce grief n’est pas manifestement mal fondé au sens de l’article 35 § 3 a) de la Convention. Elle relève par ailleurs qu’il ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité. Il convient donc de le déclarer recevable.
2. Sur le fond
a) Thèses des parties
37. Le requérant observe d’emblée que le Gouvernement n’a pas fourni d’explications convaincantes quant à l’origine des lésions qu’il a encourues et qui ont été constatées tant à la maison d’arrêt de Vérone qu’à l’hôpital de Borgo Trento. En effet, dans le bar en question, les carabiniers n’eurent pas recours à la violence, comme cela fut confirmé par le témoignage de la gérante du bar. Le requérant fut menotté et sortit du bar, indemne. La violence survint par la suite.
Toujours menotté, le requérant fut conduit au poste des carabiniers de Cerea. Il resta menotté dans le dos jusqu’à son transfert à l’hôpital de Legnago (20h29). Dans une telle situation, le requérant ne pouvait pas être considéré comme posant une menace, les carabiniers avaient le contrôle total sur lui et la violence qui fut employée fut sans justification. Le requérant estime que les mauvais traitements lui furent infligés dans une cellule de sureté, au poste des carabiniers de Cerea.
Par ailleurs, le requérant souligne que les lésions qu’il a encourues, bien que guérissables en 20 jours, atteignent le seuil de gravité suffisant pour tomber sous le coup de l’article 3 de la Convention (Rivas c. France, no 9584/00, § 39, 1er avril 2004). Elles étaient aptes à provoquer des souffrances physiques et mentales et à créer des sentiments de peur, d’angoisse et d’infériorité propres à humilier, avilir et briser éventuellement sa résistance physique et mentale.
38. Le Gouvernement soutient que les allégations du requérant n’ont aucun fondement car, d’une part, elles ne sont pas corroborées par des éléments de preuve et, d’autre part, elles sont ambiguës. À cet égard, le Gouvernement observe que, devant les juridictions nationales, le requérant n’a pas donné d’indications précises quant au lieu où se serait déroulé l’épisode violent ; il a au contraire déclaré que les actes de violence pouvaient avoir eu lieu au poste des carabiniers ou lors des trajets en voiture. Devant la Cour, il soutient par contre que les mauvais traitements lui ont été infligés en cellule de sûreté.
Il conviendrait également de prendre en compte le casier judiciaire du requérant et le tempérament violent, provocateur et colérique de l’intéressé. Dans le bar en question, le requérant a eu un comportement arrogant, a été menaçant et s’est opposé violemment à l’intervention des carabiniers. Ces circonstances sont clairement établies par les témoins et les pièces versées au dossier. Les circonstances de l’espèce appelaient donc à l’usage de la force physique à l’encontre du requérant. Le recours à la force par les carabiniers a été légitime au vu de la conduite du requérant et de la résistance physique opposée par celui-ci.
S’agissant des lésions que le requérant a encourues, le Gouvernement estime que le minimum de gravité n’est pas atteint, car il n’y a pas eu de perte fonctionnelle durable. Au demeurant, les certificats médicaux n’indiquent nullement la cause probable des blessures. Quant à l’origine des lésions en question, selon le Gouvernement toutes les lésions encourues par le requérant, telles qu’elles ont été constatées à la maison de d’arrêt de Vérone et à l’hôpital de Borgo Trento, sont compatibles avec le corps-à-corps nécessaire pour menotter le requérant. Elles ont dès lors été occasionnées par les carabiniers à la suite d’un usage de la force nécessaire et proportionné en vue de maîtriser et menotter le requérant afin de le conduire en cellule de sûreté.
En conclusion, le Gouvernement estime que les allégations du requérant n’ont pas été prouvées au-delà de tout doute raisonnable.
b) Appréciation par la Cour
i. Principes généraux
39. La Cour rappelle que l’article 3 consacre l’une des valeurs fondamentales des sociétés démocratiques. Même dans les circonstances les plus difficiles, telle la lutte contre le terrorisme et le crime organisé, la Convention prohibe en termes absolus la torture et les peines ou traitements inhumains ou dégradants. L’article 3 ne prévoit pas de restrictions, en quoi il contraste avec la majorité des clauses normatives de la Convention et des Protocoles nos 1 et 4, et d’après l’article 15 § 2 il ne souffre nulle dérogation, même en cas de danger public menaçant la vie de la nation (Selmouni c. France [GC], no 25803/94, § 95, CEDH 1999-V).
40. Un mauvais traitement doit atteindre un minimum de gravité pour tomber sous le coup de l’article 3. L’appréciation de ce minimum est relative par essence ; elle dépend de l’ensemble des données de la cause et, notamment, de la durée du traitement, de ses effets physiques ou mentaux ainsi que, parfois, du sexe, de l’âge et de l’état de santé de la victime. Pour apprécier les éléments qui lui permettent de dire s’il y a eu violation de l’article 3, la Cour se rallie au principe de la preuve « au-delà de tout doute raisonnable », mais ajoute qu’une telle preuve peut résulter d’un faisceau d’indices, ou de présomptions non réfutées, suffisamment graves, précis et concordants (Jalloh c. Allemagne [GC], no 54810/00, § 67, CEDH 2006 IX ; Ramirez Sanchez c. France [GC], no 59450/00, § 117, CEDH 2006 IX).
41. En cas d’allégations sur le terrain de l’article 3 de la Convention, la Cour doit se livrer à un examen particulièrement approfondi (Vladimir Romanov c. Russie, no 41461/02, § 59, 24 juillet 2008). Lorsqu’il y a eu une procédure interne, il n’entre toutefois pas dans les attributions de la Cour de substituer sa propre vision des choses à celle des cours et tribunaux internes, auxquels il appartient en principe de peser les données recueillies par eux (Jasar c. l’ex-République yougoslave de Macédoine, no 69908/01, § 49, 15 février 2007). Même si les constatations des tribunaux internes ne lient pas la Cour, il lui faut néanmoins des éléments convaincants pour pouvoir s’écarter des constatations auxquelles ils sont parvenus.
42. Un État est responsable de toute personne placée en garde à vue car cette dernière est entièrement aux mains des fonctionnaires de police. Lorsque les évènements en cause, dans leur totalité ou pour une large part, sont connus exclusivement des autorités, comme dans le cas des personnes soumises à leur contrôle, toute blessure survenue pendante cette période donne lieu à de fortes présomptions de fait. Il incombe au Gouvernement de produire des preuves établissant des faits qui font peser un doute sur le récit de la victime (Tomasi c. France, no 12850/87, §§ 108-111, 27 août 1992 ; Rivas, précité, § 38). Quelle que soit l’issue de la procédure engagée au plan interne, un constat de culpabilité ou non ne saurait dégager l’État défendeur de sa responsabilité au regard de la Convention ; c’est à lui qu’il appartient de fournir une explication plausible sur l’origine des blessures, à défaut de quoi l’article 3 trouve à s’appliquer (Selmouni, précité, § 87 ; Dembele c. Suisse, no 74010/11, § 40, 24 septembre 2013).
43. En ce qui concerne la question particulière des violences survenues lors de contrôles d’identités ou d’interpellations opérés par des agents de police, la Cour rappelle que le recours à la force doit être proportionné et nécessaire au vu des circonstances de l’espèce (voir, parmi beaucoup d’autres, Rehbock c. Slovénie, no 29462/95, § 76, CEDH 2000-XII ; Altay c. Turquie, no 22279/93, § 54, 22 mai 2001). Par ailleurs, lorsqu’un individu se trouve privé de sa liberté, l’utilisation à son égard de la force physique alors qu’elle n’est pas rendue strictement nécessaire par son comportement porte atteinte à la dignité humaine et constitue, en principe, une violation du droit garanti par l’article 3 (Ribitsch c. Autriche, arrêt du 4 décembre 1995, série A no 336, § 38, et Tekin c. Turquie, arrêt du 9 juin 1998, Recueil 1998-IV, §§ 52-53).
44. La Cour a déjà admis qu’en présence d’une résistance physique ou d’un risque de comportements violents de la part des personnes contrôlées, une forme de contrainte de la part des agents de police était justifiée (voir, parmi d’autres, Klaas c. Allemagne, 22 septembre 1993, § 30, série A no 269 ; Sarigiannis c. Italie, no 14569/05, § 61, 5 avril 2011). La Cour est arrivée aux mêmes conclusions dans des cas de « résistance passive » à une interpellation (Milan c. France, no 7549/03, § 59, 24 janvier 2008), de tentative de fuite face à la force publique (Caloc c. France, no 33951/96, §§ 100-101, CEDH 2000 IX) ou d’un refus de fouille de la part d’un détenu (Borodin c. Russie, no 41867/04, §§ 119-121, 6 novembre 2012). Il appartient dès lors à la Cour de rechercher si la force utilisée dans ce type de situations est proportionnée au but recherché. À cet égard, la Cour attache une importance particulière aux blessures qui ont été occasionnées aux personnes objet de l’intervention et aux circonstances précises dans lesquelles elles l’ont été (voir, parmi d’autres, R.L. et M.-J.D., R.L.
et M.-J.D. c. France, no 44568/98, § 68, 19 mai 2004 ; Rehbock, précité, § 72 ; Klaas, précité, §§ 26-30).
ii. Application de ces principes au cas d’espèce
45. La Cour relève d’emblée que le constat médical établi à l’hôpital de Borgo Trento fait état de la fracture de trois côtes et d’un hématome à un testicule et de ce que ces lésions sont compatibles avec une origine traumatique (paragraphe 17 ci-dessus). Aux yeux de la Cour, les lésions encourues par le requérant, guérissables en vingt jours, dépassent sans aucun doute le seuil de gravité exigé pour que le traitement qui lui a été infligé tombe sous le coup de l’article 3 de la Convention.
46. Les parties s’accordent pour dire que les lésions en question ont été occasionnées avant l’arrivée du requérant à la maison d’arrêt de Vérone. En effet, le requérant y a été détenu à l’isolement pour éviter tout risque de bagarres (paragraphe 16 ci-dessus) et il avait déjà dénoncé les mauvais traitements subis et les douleurs aux côtes au moment de son arrivée à la maison d’arrêt au soir du 11 mars 2010 (paragraphe 15 ci-dessus).
47. Pour le Gouvernement, les lésions subies par le requérant, telles qu’elles ont été constatées à la maison d’arrêt de Vérone et à l’hôpital de Borgo Trento, ont été occasionnées par les carabiniers à la suite d’un usage de la force nécessaire et proportionné en vue de maîtriser et menotter le requérant afin de le conduire en cellule de sûreté. Pour le ministère public qui a demandé le classement de l’enquête et pour le juge des investigations préliminaires qui l’a classée, il y a également eu usage proportionné de la force à laquelle les carabiniers ont dû avoir recours dans le bar pour maîtriser l’agressivité du requérant et pour se défendre au moment où ils le menottaient pour le conduire dans la cellule de sûreté. À cet égard, le rôle décisif a été joué par le témoignage de la gérante du bar.
48. La Cour ne partage pas la thèse selon laquelle les lésions résulteraient de la force utilisée lors de l’arrestation du requérant dans le bar. En effet, il ressort du témoignage de la gérante du bar (paragraphe 27 ci-dessus) que s’il avait bien été nécessaire d’utiliser force et fermeté de la part des carabiniers pour maîtriser et menotter le requérant, il n’y avait en tout cas pas eu de violence. Aux yeux de la Cour, des manœuvres d’immobilisation effectuées par des professionnels, destinées à menotter sans violence l’intéressé n’ont pu provoquer la fracture de trois côtes et un hématome à un testicule. Par conséquent, la force employée par les carabiniers au moment de l’immobilisation et de la pose des menottes ne peut pas être à l’origine des lésions litigieuses.
49. Il en découle que les lésions litigieuses ont été occasionnées après la pose des menottes, une fois que le requérant était sorti du bar en question et était monté à bord de la voiture des carabiniers le conduisant au poste de Cerea. La période pendant laquelle le requérant est resté dans les mains des carabiniers et au cours de laquelle l’épisode violent est survenu – soit entre la sortie du bar et l’arrivée à la maison d’arrêt de Vérone – s’étend sur environ quatre heures.
50. La Cour note que les carabiniers ont déclaré qu’au poste de Cerea, le requérant avait eu une conduite auto-mutilante. Il s’était jeté de façon répétée contre le mur et contre la porte de la cellule de sûreté, et s’était ainsi infligé lui-même les blessures (paragraphes 26, 29 et 30 ci-dessus). La Cour estime que cette explication n’est pas convaincante. Elle a en effet du mal à imaginer qu’en se conduisant de la façon décrite ci-dessus, le requérant ait pu s’occasionner les fractures de trois côtes et un hématome au testicule. Il convient dès lors d’écarter la thèse selon laquelle le requérant serait lui-même à l’origine des blessures litigieuses.
51. La Cour relève ensuite que les carabiniers qui ont été entendus en tant que personnes informées des faits, ont expliqué qu’il aurait été nécessaire de recourir à la force non seulement pour maitriser et menotter le requérant au bar en vue de le conduire au poste de Cerea, mais aussi ultérieurement : au poste même, pour faire entrer le requérant en cellule de sûreté ; pendant le trajet vers l’hôpital de Legnago ; à sa sortie de l’hôpital de Legnago, lorsqu’il a été question de le menotter à nouveau (paragraphes 26 et 30 ci-dessus).
52. Dans l’hypothèse où l’épisode violent à l’égard du requérant serait survenu avant qu’il ne soit conduit à l’hôpital de Legnago, il est surprenant que les lésions en question n’aient pas été constatées par ce même hôpital. En effet, le diagnostic a exclu des problèmes au thorax et a fait état seulement d’un traumatisme crânien, d’une blessure au front, d’excoriations aux mains et d’un état d’agitation psychomotrice. Il y aurait donc eu une grossière erreur d’évaluation de la part du personnel médical.
53. Il est toutefois plus plausible que le recours à la violence ait eu lieu – à un endroit non identifié – une fois la sédation de l’intéressé pratiquée. Il est difficile d’imaginer que, dans une telle situation, l’intéressé ait pu conserver une agressivité justifiant une réaction musclée de la part des carabiniers pour lui reposer les menottes à la sortie de l’hôpital. D’autant plus qu’environ une heure plus tard, lorsque le requérant arriva à la maison d’arrêt de Vérone et fut vu par le médecin, ce dernier le jugea comme étant conscient, lucide et tranquille (paragraphe 15 ci-dessus).
54. Indépendamment de la cause précise et immédiate de la fracture des côtes du requérant et de l’hématome au testicule, la Cour considère que les modalités d’intervention des carabiniers, dans leur ensemble, révèlent un usage injustifié de la force. En effet, il n’est pas contesté que le requérant n’était pas armé et qu’il est resté menotté pendant toute la période litigieuse, sauf pendant la consultation qui a eu lieu à l’hôpital de Legnago. De plus, jusqu’au moment de son transfert vers l’hôpital, il se trouvait dans un poste des carabiniers. Enfin, sorti de l’hôpital en question, sous l’effet de la sédation, il a été à nouveau menotté et mis en voiture pour être conduit à la maison d’arrêt. Les circonstances qui entourent les évènements au cœur du dossier ne sont connues que par les personnes impliquées, de sorte que la question de savoir à quel moment et pour quelles raisons les blessures litigieuses ont été provoquées demeure non résolue. La Cour peut seulement constater que les blessures du requérant sont survenues pendant les heures qu’il a passées entièrement sous le contrôle des carabiniers, entre le moment où il a été mis en voiture pour être conduit au poste de Cerea et le moment où il est arrivé à la maison d’arrêt de Vérone et qu’aucune explication plausible n’a été fournie par le Gouvernement. Ce constat suffit pour engager la responsabilité de l’État.
55. Au vu de ce qui précède, la Cour considère que les autorités nationales sont responsables de traitements inhumains et dégradants contraires à l’article 3. Partant il y a eu violation de l’article 3 de la Convention dans son volet matériel.
B. Grief tiré du volet procédural de l’article 3
56. Le requérant soutient que l’enquête sur ses allégations de mauvais traitements n’a pas été menée avec diligence. Elle a été classée sans suite en raison du manque de volonté manifeste d’établir la vérité et de poursuivre les auteurs des faits.
57. Le Gouvernement s’oppose à cette thèse.
1. Sur la recevabilité
58. La Cour constate que le grief soulevé par le requérant n’est pas manifestement mal fondé au sens de l’article 35 § 3 a) de la Convention et ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité. Il convient donc de le déclarer recevable.
2. Sur le fond
a) Thèses des parties
59. Le requérant observe que, depuis le début, les autorités nationales ont fait preuve d’inertie et d’un manque manifeste de volonté d’établir la vérité et de poursuivre les auteurs des faits. Les auteurs des lésions encourues par le requérant ne furent jamais identifiés. En dépit des indications de l’intéressé consignées dans sa demande d’opposition au classement sans suite, l’autorité judiciaire a mal apprécié les preuves en ne tenant pas compte de tous les éléments factuels du dossier, notamment en n’auditionnant pas tous les carabiniers intervenus sur les lieux, ni l’intéressé, ni les médecins, et en n’ordonnant pas d’expertise médico-légale. En particulier, l’autorité judiciaire n’a pas entendu le requérant ; n’a pas ordonné d’expertise médicale afin de voir – entre autres éléments – si les lésions encourues par le carabinier L.B. étaient compatibles avec le comportement prétendument violent du requérant ; elle n’a pas entendu une deuxième fois la gérante du bar pour vérifier la manière dont le requérant avait été menotté au moment de son interpellation ; n’a pas entendu les autres clients présents dans le bar non plus à ce sujet ; elle n’a pas ordonné que les résultats du test d’alcoolémie qui aurait été effectué à l’hôpital de Legnago soient versés au dossier.
Selon le requérant, l’autorité judiciaire a pris en compte la thèse avancée par les carabiniers selon laquelle il s’était blessé lui-même par des actes d’automutilation. La décision de classement sans suite a en tout cas été rédigée sur un formulaire standard. En conclusion, le refus de poursuivre les carabiniers donne à penser qu’il s’agit d’une volonté délibérée et que l’enquête n’a pas été effective.
60. Le Gouvernement soutient que le requérant n’a pas collaboré à l’enquête. Il s’est en fait borné à dénoncer les traitements prétendument subis mais n’a pas déposé une plainte formelle et circonstanciée, de sorte que l’enquête a été menée d’office à l’initiative des autorités nationales. Dans cette situation, seuls les faits soumis à l’attention de l’autorité judiciaire devaient être examinés. Le requérant s’est limité à déclarer qu’il n’avait pas utilisé la violence physique à l’encontre des carabiniers et qu’il avait été battu par ces derniers, sans préciser les circonstances de lieu, de temps, ni les modalités et la description des agresseurs présumés. Les déclarations du requérant étaient non seulement imprécises mais également ambiguës. En effet, devant les juridictions nationales le requérant a indiqué que la violence pouvait avoir eu lieu lors de son transfert au poste de Cerea, ou en cellule de sûreté, ou lors de son transfert à Legnago ou encore lors de son transfert subséquent vers la maison d’arrêt de Vérone. En conclusion, le requérant serait resté « spectateur » de la procédure. Il est vrai que le requérant a demandé à être entendu et l’autorité judiciaire ne l’a pas entendu. Cependant, l’intéressé avait la possibilité de décrire les faits de manière précise et détaillée et il ne l’a pas fait. Par conséquent, aucune inertie ne peut être reprochée aux juridictions nationales.
Le Gouvernement observe ensuite que l’ambiguïté des déclarations du requérant est accrue par le fait que, devant la Cour, il a indiqué que l’épisode violent a eu lieu dans une cellule de sûreté. Quant aux actes d’instruction, il n’était pas nécessaire d’ordonner une expertise médicale, car plusieurs certificats médicaux étaient disponibles. Ces derniers n’indiquent par ailleurs nullement la cause probable des blessures du requérant. Il n’était pas nécessaire non plus d’entendre une deuxième fois la gérante du bar afin de savoir si le requérant avait vraiment été menotté dans le dos. La gérante du bar avait déjà été entendue et il n’était pas essentiel d’entendre les autres clients présents dans le bar. Quant au résultat du test d’alcoolémie qui aurait été effectué à l’hôpital de Legnago, le requérant n’a pas expliqué pourquoi ce résultat lui était nécessaire et il n’a pas démontré l’impossibilité d’obtenir lui-même le résultat en question.
Le Gouvernement observe enfin que l’enquête a été menée par la police judiciaire sous le contrôle direct du parquet. Les cabiniers n’étaient pas impliqués dans la gestion de l’enquête.
b) Appréciation de la Cour
Principes généraux
61. La Cour rappelle que lorsqu’un individu soutient de manière défendable avoir subi, aux mains de la police ou d’autres services comparables de l’État, un traitement contraire à l’article 3, cette disposition, combinée avec le devoir général imposé à l’État par l’article 1 de la Convention de « reconnaître à toute personne relevant de [sa] juridiction les droits et libertés définis (…) [dans la] Convention », requiert, par implication, qu’il y ait une enquête officielle effective. Cette enquête doit pouvoir mener à l’identification et à la punition des responsables. S’il n’en allait pas ainsi, nonobstant son importance fondamentale, l’interdiction légale générale de la torture et des peines et traitements inhumains ou dégradants serait inefficace en pratique, et il serait possible dans certains cas à des agents de l’État de fouler aux pieds, en jouissant d’une quasi-impunité, les droits des personnes soumises à leur contrôle (Assenov et autres c. Bulgarie, 28 octobre 1998, § 102, Recueil des arrêts et décisions 1998 VIII ; Corsacov c. Moldova, no 18944/02, § 68, 4 avril 2006 ; Georgiy Bykov c. Russie, no 24271/03, § 60, 14 octobre 2010 ; El Masri c. « l’ex République yougoslave de Macédoine » [GC], no 39630/09, § 182, CEDH 2012).
62. L’enquête qu’exigent des allégations graves de mauvais traitements doit être à la fois rapide et approfondie, ce qui signifie que les autorités doivent toujours s’efforcer sérieusement de découvrir ce qui s’est passé et qu’elles ne doivent pas s’appuyer sur des conclusions hâtives ou mal fondées pour clore l’enquête ou fonder leurs décisions (El Masri, précité § 183 ; Assenov et autres, précité, § 103, et Batı et autres c. Turquie, nos 33097/96 et 57834/00, § 136, CEDH 2004 IV). Les autorités doivent prendre toutes les mesures raisonnables à leur disposition pour obtenir les preuves relatives à l’incident en question, y compris, entre autres, les dépositions des témoins oculaires et les expertises criminalistiques (El Masri, précité § 183 ; Tanrıkulu c. Turquie [GC], no 23763/94, § 104, CEDH 1999 IV, et Gül c. Turquie, no 22676/93, § 89, 14 décembre 2000). Toute carence de l’enquête affaiblissant sa capacité à établir les causes du dommage ou l’identité des responsables risque de faire conclure qu’elle ne répond pas à la norme d’effectivité requise (El Masri, précité § 183).
63. De plus, l’enquête doit être menée en toute indépendance par rapport au pouvoir exécutif (Oğur c. Turquie [GC], no 21594/93, §§ 91-92, CEDH 1999 III, et Mehmet Emin Yüksel c. Turquie, no 40154/98, § 37, 20 juillet 2004 ; El Masri, précité § 184). L’indépendance de l’enquête suppose non seulement l’absence de lien hiérarchique ou institutionnel, mais aussi une indépendance concrète (Ergi c. Turquie, 28 juillet 1998, §§ 83-84, Recueil 1998 IV ; El Masri, précité § 184).
64. Enfin, la victime doit être en mesure de participer effectivement, d’une manière ou d’une autre, à l’enquête (El Masri, précité § 185).
c) Application de ces principes au cas d’espèce
65. La Cour note que le requérant a dénoncé les violences subies durant les heures passées aux mains des carabiniers au personnel médical de la maison d’arrêt de Vérone le soir du 11 mars 2010 ; à l’autorité judiciaire, le 12 mars 2010 ; et aux autorités pénitentiaires, le 13 mars 2010. Ses allégations, corroborées par le constat médical des lésions encourues par lui, ont amené l’autorité judiciaire à ouvrir une enquête contre X en date du 24 mars 2010.
Le procureur de la République de Vérone chargé de l’enquête a entendu, en tant que personnes informées des faits, quatre témoins : la gérante du bar, un des carabiniers s’étant rendu sur les lieux et deux autres carabiniers qui étaient présents ce soir-là au poste de Cerea, puis lors des transferts du requérant vers l’hôpital de Legnago et vers la maison d’arrêt de Vérone. Le requérant n’a pas été entendu. Le 29 avril 2010, le procureur de la République a demandé le classement sans suite de l’enquête, au motif que les allégations du requérant n’étaient pas prouvées et compte tenu de la personnalité et des antécédents de l’intéressé. La conduite violente et menaçante du requérant à l’égard de la gérante du bar et des carabiniers expliquait la force utilisée par ces derniers afin de le menotter, sans qu’il ne soit cependant fait recours à la violence. Les lésions encourues par le requérant découlaient de cette force nécessaire et justifiée. Le 1er septembre 2010, le GIP de Vérone a rejeté l’opposition du requérant et a classé sans suite l’enquête au motif qu’il partageait entièrement les conclusions du procureur de la République et que le témoignage décisif était celui de la gérante du bar.
66. La Cour remarque la superficialité de l’enquête, à commencer par le fait que la victime des mauvais traitements n’a même pas été entendue. Elle note qu’en dépit de la gravité des lésions constatées à l’arrivée du requérant à la maison d’arrêt de Vérone et puis à l’hôpital de Borgo Trento (trois côtes cassées et un hématome à un testicule), les autorités judiciaires ont focalisé leur attention sur les évènements survenus dans le bar. Elles ont estimé que les manoeuvres d’immobilisation et la pose de menottes, qui avaient été effectuées sans violence, étaient à l’origine des blessures encourues par le requérant. La Cour remarque que l’autorité judiciaire n’a pas essayé de reconstituer les faits qui se sont déroulés ultérieurement afin d’identifier l’origine et les responsables des lésions litigieuses.
67. La Cour relève ensuite la grande importance qui a été attribuée par l’autorité judiciaire aux antécédents et à la personnalité du requérant, ce qui a eu pour conséquence que l’intéressé et les allégations de mauvais traitements qu’il a formulées ont été considérées comme étant a priori peu crédibles (paragraphe 32 ci-dessus).
68. S’agissant du caractère peu détaillé des allégations du requérant, la Cour constate qu’à aucun moment les autorités ne se sont penchées sur la question de savoir si la sédation dont l’intéressé avait fait l’objet à l’hôpital de Legnago pouvait avoir joué un rôle sur ses capacités à livrer un récit précis et circonstancié des violences subies.
69. Au vu de ce qui précède, et sans qu’il soit nécessaire de se pencher sur les autres défaillances de l’instruction invoquées par le requérant, la Cour considère que l’enquête menée sur l’incident du 11 mars 2010 n’a pas été menée avec la diligence nécessaire.
70. Partant, il y a eu violation du volet procédural de l’article 3.
II. SUR LES AUTRES VIOLATIONS
71. Le requérant dénonce une violation ultérieure de l’article 3 de la Convention au motif qu’il y aurait eu des retards dans sa prise en charge médicale à la maison d’arrêt de Vérone. Il allègue notamment avoir appelé en urgence le médecin de la prison et avoir dû attendre des heures avant d’être conduit à l’hôpital.
72. Le Gouvernement conteste cette thèse et fait remarquer que le requérant a été vu par un médecin le 11 mars 2010 à son arrivée vers 21h00 à la maison d’arrêt de Vérone. En outre, il a été examiné en urgence le 13 mars 2010 au matin par le médecin de la prison ; il a été conduit le même jour vers 14 heures à l’hôpital de Borgo Trento pour une consultation en urgence et des examens. Ensuite, il a été conduit dans ce même hôpital pour consultations et examens complémentaires les 17 et 18 mars 2010. Ceci montre que la prise en charge médicale du requérante a été adéquate.
73. La Cour note qu’il ressort du dossier que le requérant demanda à voir en urgence le médecin de la prison, en raison de fortes douleurs, le matin du 13 mars 2010. Ce dernier l’examina, rédigea un compte-rendu à 12h00 et envoya l’intéressé d’urgence à l’hôpital de Borgo Trento. Le requérant fut examiné par un urgentiste de l’hôpital à 14h15. Le soir, le requérant fut de retour à la maison d’arrêt. Compte tenu de ces éléments, la Cour n’aperçoit pas de retards susceptibles d’engager la responsabilité des autorités italiennes. Par ailleurs, elle prend en compte le fait que le requérant a été à nouveau conduit à l’hôpital pour des examens complémentaires de sorte que le suivi médical semble avoir été adéquat également après le 13 mars 2010.
74. Dès lors, la Cour estime que cette partie de la requête est manifestement mal fondée et qu’elle doit être déclarée irrecevable conformément à l’article 35 §§ 3 et 4 de la Convention.
III. SUR L’APPLICATION DE L’ARTICLE 41 DE LA CONVENTION
75. Aux termes de l’article 41 de la Convention,
« Si la Cour déclare qu’il y a eu violation de la Convention ou de ses Protocoles, et si le droit interne de la Haute Partie contractante ne permet d’effacer qu’imparfaitement les conséquences de cette violation, la Cour accorde à la partie lésée, s’il y a lieu, une satisfaction équitable. »
A. Dommage
76. Le requérant réclame 20 000 euros (EUR) au titre du préjudice moral qu’il aurait subi. Il observe que les circonstances de l’espèce ont été de nature à provoquer désespoir, angoisse et tension.
77. Le Gouvernement réitère sa thèse selon laquelle la requête est manifestement mal fondée. Subsidiairement, il observe que les montants réclamés sont disproportionnés et que l’éventuel constat de violation permettrait d’effacer parfaitement les conséquences de celle-ci.
78. La Cour considère qu’il y a lieu d’octroyer au requérant 15 000 EUR au titre du préjudice moral.
B. Frais et dépens
79. Le requérant demande également 9 500 EUR pour les frais et dépens engagés devant la Cour.
80. Le Gouvernement estime qu’aucune somme ne doit être octroyée et qu’en tout cas le montant réclamé n’est pas proportionné aux circonstances de l’espèce.
81. Selon la jurisprudence de la Cour, un requérant ne peut obtenir le remboursement de ses frais et dépens que dans la mesure où se trouvent établis leur réalité, leur nécessité et le caractère raisonnable de leur taux. En l’espèce et compte tenu des documents en sa possession et de sa jurisprudence, la Cour estime raisonnable la somme de 4 000 EUR au titre des frais et dépens pour la procédure devant la Cour et l’accorde au requérant.
C. Intérêts moratoires
82. La Cour juge approprié de calquer le taux des intérêts moratoires sur le taux d’intérêt de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne majoré de trois points de pourcentage.
PAR CES MOTIFS, LA COUR, À L’UNANIMITÉ,
1. Déclare la requête recevable quant au grief concernant le traitement infligé par les carabiniers et au grief tiré de l’absence d’une enquête effective et irrecevable pour le surplus ;

2. Dit qu’il y a eu violation de l’article 3 de la Convention dans son volet matériel ;

3. Dit qu’il y a eu violation de l’article 3 de la Convention dans son volet procédural ;

4. Dit
a) que l’État défendeur doit verser au requérant, dans les trois mois à compter du jour où l’arrêt sera devenu définitif conformément à l’article 44 § 2 de la Convention, les sommes suivantes :
i) 15 000 EUR (quinze mille euros), plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt, pour dommage moral ;
ii) 4 000 EUR (quatre mille euros), plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt par le requérant, pour frais et dépens ;
b) qu’à compter de l’expiration dudit délai et jusqu’au versement, ces montants seront à majorer d’un intérêt simple à un taux égal à celui de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne applicable pendant cette période, augmenté de trois points de pourcentage ;

5. Rejette la demande de satisfaction équitable pour le surplus.
Fait en français, puis communiqué par écrit le 24 juin 2014, en application de l’article 77 §§ 2 et 3 du règlement.

Abel Campos Işıl Karakaş
Greffier adjoint Présidente

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