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Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE AIZPURUA ORTIZ ET AUTRES c. ESPAGNE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 2
Articoli: 34, P1-1
Numero: 42430/05/2010
Stato: Spagna
Data: 2010-02-02 00:00:00
Organo: Sezione Terza
Testo Originale

Conclusione Radiazione parziale del ruolo; Parzialmente inammissibile; No-violazione di P1-1
TERZA SEZIONE
CAUSA AIZPURUA ORTIZ ED ALTRI C. SPAGNA
( Richiesta no 42430/05)
SENTENZA
STRASBURGO
2 febbraio 2010
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.

Nella causa Aizpurua Ortiz ed altri c. Spagna,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, terza sezione, riunendosi in una camera composta da:
Josep Casadevall, presidente, Elisabet Fura, Boštjan il Sig. Zupančič, Alvina Gyulumyan, Egbert Myjer, Luccichi López Guerra, Ann Power, giudici,
e da Stanley Naismith, cancelliere aggiunto di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 12 gennaio 2010,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
All’origine della causa si trova una richiesta (no 42430/05) diretta contro il Regno della Spagna e in cui la Sig.ra B. P.d. l. T. ha investito la Corte il 17 novembre 2005 a nome del Sig. M. A. O. e cinquantacinque altri cittadini di questo Stato (“i richiedenti”) i cui nomi figurano qui acclusi, in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. I richiedenti sono rappresentati da R. Z. E., avvocato a Bilbao. Il governo spagnolo (“il Governo”) è rappresentato dal suo agente, il Sig. I. Blasco Lozano, capo del servizio giuridico dei diritti dell’uomo al ministero della Giustizia.
3. I richiedenti si lamentano in particolare di essere stati privati dei loro diritti ad una pensione complementare sulla base di una convenzione collettiva conclusa tra il loro vecchio datore di lavoro ed i rappresentanti degli impiegati.
4. Il 20 novembre 2008, il presidente della terza sezione ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Come permesso dall’articolo 29 § 3 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la camera si sarebbe pronunciata sull’ammissibilità ed il merito allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
5. I richiedenti resiedono o risiedevano nella provincia di Biscay.
A. Fatti relativi all’introduzione della richiesta dinnanzi alla Corte
6. Il 17 novembre 2005, la Sig.ra B. P. d. l. T., procuratore legale, mandò alla Corte una lettera introduttiva di richiesta a nome dei cinquantasei richiedenti. Fornisce delle procure con cui gli interessati le davano mandato per rappresentarli in ogni tipo di procedimento.
7. Il 29 dicembre 2005, B.P. mandò alla Corte il formulario di richiesta a nome dei richiedenti. Con una lettera dell’ 11 gennaio 2006, la cancelleria confermò a B.P. la registrazione della richiesta e la invitò a tenerla informata di ogni sviluppo pertinente alla causa in oggetto.
8. Con una lettera del 27 novembre 2008, il cancelliere notificò a B.P. che il presidente della sezione aveva deciso di comunicare al Governo la richiesta in questione. Attirò la sua attenzione sull’articolo 36 §§ 2 e 4 dell’ordinamento della Corte secondo cui i richiedenti dovevano a questo stadio del procedimento essere rappresentati dinnanzi alla Corte da un consigliere.
9. Il 15 gennaio 2009, R. Z. E., avvocato, mandò i formulari che gli davano potere ai fini di rappresentare i richiedenti nel procedimento dinnanzi alla Corte alla cancelleria.
10. Con una lettera dell’ 11 febbraio 2009, la cancelleria indicò a Z. che i richiedenti 2, 3, 4, 7, 9, 10, 13, 14, 15, 18, 19, 22, 25, 29, 30, 32, 35, 38, 40, 45, 47, 49, 50, 51 e 53 non aveva firmato le loro procure e che le procure relative ai richiedenti 12 e 20 sembravano firmati da altre persone.
11. Con una lettera del 25 febbraio 2009, il rappresentante dei richiedenti rispose che, vista l’età dei richiedenti, tutti pensionati, doveva informarsi su degli eventuali decessi o delle incapacità che avrebbero potuto ledere la regolarità delle firme richieste.
12. Con una lettera del 6 marzo 2009, il cancelliere invitò il rappresentante dei richiedenti ad informarla dell’eventuale decesso dei richiedenti che non avevano firmato le loro procure. Gli chiese anche di informarla dell’esistenza di eredi o parenti stretti qualora avessero desiderato continuare a proseguire l’istanza a nome dei richiedenti deceduti e di mandarle, all’occorrenza, le procure firmate da queste persone.
13. Con una lettera del 28 marzo 2009, il rappresentante dei richiedenti indicò che i richiedenti 2, 3, 4, 7, 9, 10, 13, 14, 15, 18, 19, 25, 29, 30, 35, 40, 45, 47, 49, 50 e 53 erano deceduti e che il richiedente 11 era deceduto recentemente. Fornisce per la maggior parte di questi richiedenti dei certificati di decesso, dei certificati di eredi, così come delle procure firmate dagli eredi o da parenti stretti interessati. Trattandosi dei richiedenti 4 e 47, deceduti, nessuno erede o parente stretto aveva firmato un potere ai fini della loro rappresentanza dinnanzi alla Corte. Il rappresentante dei richiedenti indicò anche che i richiedenti 12 e 20 erano in stato di incapacità e che le procure mandate erano state firmate rispettivamente da suo moglie M. G. A. e da sua figlia M. G.. Infine, per ciò che riguarda i richiedenti 22, 32, 38 e 51, il rappresentante dei richiedenti non aveva potuto ottenere delle informazione sulla loro situazione personale.
B. Fatti relativi all’oggetto della causa
14. I richiedenti erano impiegati presso la società “S. S.p.A.” (qui di seguito, “la società”) fino al loro collocamento in pensione anticipata e beneficiavano di pensioni complementari conformemente alle condizioni previste da un accordo collettivo concluso tra i rappresentanti degli impiegati e la società il 22 dicembre 1983. Tra le condizioni stabilite, era contemplato il versamento di una pensione complementare annua di carattere vitalizio fino all’età di 65 anni, momento in cui l’importo avrebbe acquisito un carattere dinamico. Queste condizioni furono riprese nelle convenzioni collettive ulteriormente concluse. Si applicavano agli impiegati che avevano cominciato a lavorare per la società prima del 1984.
15. Nell’agosto 1994, la società smise di versare ai richiedenti le pensioni complementari previste dall’accordo collettivo del 22 dicembre 1983. I richiedenti investirono allora i giudici del lavoro di Bilbao di parecchie istanze per sollecitare gli importi dovuti a titolo delle pensioni complementari. Ottennero guadagno di causa. I giudizi resi a loro favore furono confermati da parecchie sentenze del Tribunale superiore di giustizia del Paese basco (sentenze del 1997, 1998, 1999, 2000 e 2002).
16. In virtù di una nuova convenzione collettiva pubblicata il 10 aprile 2000, le condizioni di pagamento delle prestazioni complementari ai richiedenti furono modificate, in ragione del cambiamento sostanziale delle condizioni economiche esistenti nel 1983. Questa convenzione abrogò con effetto al 1 gennaio 2000 tutte le convenzioni collettive anteriori che avevano riconosciuto il diritto al versamento di una pensione complementare. Ai termini della seconda disposizione addizionale della nuova convenzione collettiva, gli impiegati che avevano beneficiato di pensioni complementari avevano diritto al versamento di un solo importo corrispondente a tre mensilità, calcolate rispetto alle somme versate dalla società a titolo del complemento nel luglio 1994. Su questo importo, dovevano applicarsi delle riduzioni in funzione dell’età della pensione.
17. Il 6 marzo 2002, i richiedenti investirono il giudice del lavoro no 1 di Bilbao di un’istanza tesa a constatare che i loro diritti ad una pensione complementare non potevano essere lesi dalla nuova convenzione collettiva. Sostennero che questa convenzione collettiva era stata conclusa tra la società debitrice ed i rappresentanti degli impiegati attivi che non potevano agire in nessun caso a loro nome perché difendevano degli interessi che erano loro sfavorevoli.
18. Con un giudizio del 13 settembre 2002, il giudice del lavoro no 1 di Bilbao fece parzialmente diritto ai richiedenti e condannò la società convenuta al versamento delle pensioni sollecitate. Il giudice del lavoro respinse i richiedenti 7 e 30 delle loro pretese, nella misura in cui erano deceduti rispettivamente il 12 marzo 2001 ed il 9 ottobre 2001.
19. Contro questo giudizio, la società fece appello (suplicación) presso il Tribunale superiore di giustizia del Paese basco che lo respinse con una sentenza dell’ 11 febbraio 2003.
20. La società ricorse allora in cassazione in vista di garantire l’armonizzazione della giurisprudenza. Con una sentenza dell’ 8 aprile 2005, notificata ai richiedenti il 18 maggio 2005, il Tribunale supremo fece diritto alla società, annullò la decisione attaccata e respinse i richiedenti delle loro istanze. Il Tribunale supremo si riferì all’articolo 82 § 4 dello Statuto dei lavoratori (vedere sotto, § 22) e notò che il legislatore spagnolo aveva optato per un sistema che premiava la libertà di negoziato collettivo sui compromessi acquisiti in virtù delle convenzioni collettive anteriori, a prescindere dalla natura dei diritti assegnati. A questo riguardo, ricordò che all’epoca dell’adozione dello Statuto dei lavoratori, il Parlamento aveva respinto una proposta tesa ad includere una clausola di salvaguardia concernente i diritti acquisiti. Il Tribunale considerò dunque che i diritti riconosciuti da una convenzione collettiva anteriore potevano smettere di essere effettivi quando erano oggetto di una revisione tramite una convenzione collettiva posteriore, salvo disposizione contraria. Sottolineò che nello specifico, le due convenzioni collettive che si erano succedute nel tempo avevano lo stesso grado. Trattandosi dell’interpretazione dell’articolo 192 della legge generale sulla sicurezza sociale (vedere sotto, § 22,) il Tribunale supremo stimò che il diritto ad un miglioramento complementare di una prestazione periodica poteva essere annullato o sminuito solo in conformità con le norme che regolano la sua riconoscenza, nello specifico la convenzione collettiva che aveva riconosciuto i miglioramenti in questione. Nella misura in cui la convenzione collettiva non conteneva nessuna disposizione relativa alla sua applicazione nel tempo o alla sua intangibilità di fronte alle convenzioni posteriori, questi miglioramenti potevano essere modificati o annullati da una convenzione collettiva posteriore, conformemente all’articolo 82 § 4 dello Statuto dei lavoratori.
21. Il Tribunale supremo notò che ad ogni modo, la convenzione collettiva posteriore non aveva annullato i diritti riconosciuti dalla prima convenzione, ma che li aveva sostituiti con altri diritti di natura equivalente. Ora, i richiedenti non accettarono le nuove modalità riconosciute dalla nuova convenzione (il versamento di una somma unica). Rilevò anche che la cattiva situazione finanziaria della società, in particolare durante i tre ultimi anni, era all’origine della modifica dei diritti riconosciuti ai pensionati. A questo riguardo, il Tribunale supremo notò che i vecchi impiegati pensionati tra cui i richiedenti, non erano stati trattati in modo discriminatorio, nella misura in cui anche gli impiegati attivi della società avevano rinunciato alla loro pensione complementare con una convenzione collettiva del 31 gennaio 1995.
II. IL DIRITTO E LA PRATICA PERTINENTI
22. Il diritto interno pertinente
1. La Costituzione
Articolo 37 § 1
“La legge garantisce il diritto al negoziato collettivo in materia di lavoro tra i rappresentanti dei lavoratori e dei capi dell’ impresa, così come il carattere costrittivo delle convenzioni. “
2. Lo Statuto dei lavoratori (Decreto-legislativo reale 1/1995, del 24 marzo 1995)
Articolo 82 § 4
“La convenzione collettiva che sostituisce una convenzione collettiva precedente può disporre dei diritti riconosciuti da questa ultima. In questo caso, si applicano di pieno dritto le stipulazioni della nuova convenzione collettiva.”
3. La Legge generale sulla sicurezza sociale (Decreto-legislativa reale 1/1994, del 20 giugno 1994)
Articolo 192
“I datori di lavoro possono migliorare direttamente le prestazioni del regime generale, a loro esclusivo carico. Eccezionalmente, con l’accordo preliminare del Ministero del lavoro e delle cause sociali, il versamento di quote dagli impiegati può essere stabilito, purché possano aderire o meno, individualmente e di loro gradimento, ai miglioramenti offerti dai datori di lavoro a questo fine.
Nonostante il carattere volontario, per i datori di lavoro, dell’introduzione di tali miglioramenti al quale questo articolo fatto riferimento, quando un impiegato ha ottenuto il diritto ad un complemento della prestazione periodica, questo diritto può essere annullato o sminuito solo in conformità con le norme che regolano la sua riconoscenza. “
23. La giurisprudenza del Tribunale supremo
Il Tribunale supremo stabilisce la sua giurisprudenza sulla questione delle convenzioni collettive successive e dei miglioramenti volontari delle prestazioni di pensione esistenti all’infuori del regime nazionale di previdenza sociale, in una sentenza del 16 luglio 2003 (concernente la stessa controversia tra i richiedenti e la società) i cui principi sono stati seguiti dalla sentenza dell’ 8 aprile 2005 messa in causa nello specifico.
Nella sua sentenza del 16 luglio 2003, tre magistrati espressero un’opinione dissidente. I magistrati dissidenti considerarono che bisognava fare una distinzione tra gli impiegati attivi della società ed i pensionati, nella misura in cui gli ultimi non erano rappresentati dagli organi di rappresentanza abilitati a concludere delle nuove convenzioni collettive. Peraltro, l’articolo 192 § 2 della legge generale sulla previdenza sociale doveva essere considerata come una lex specialis rispetto allo Statuto dei lavoratori, potendo dunque aver luogo l’annullamento o la modifica dei diritti acquisiti solo avendo riconosciuto questi diritti in virtù della norma. Nel rispetto del principio di sicurezza giuridica, il caso di tale modifica o annullamento dovrebbe essere previsto dalla norma che ha riconosciuto i diritti in questione. Infine, i magistrati dissidenti sottolinearono che tale modifica a posteriori era incompatibile col carattere vitalizio della pensione complementare.
24. Il Diritto comunitario
La direttiva 80/987/CEE del Consiglio, del 20 ottobre 1980, concernente l’avvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relativi alla protezione dei lavoratori salariati in caso di insolvenza del datore di lavoro
Articolo 8
“Gli Stati membri si assicurano che vengano prese le misure necessarie per proteggere gli interessi dei lavoratori salariati e delle persone che hanno già lasciato l’impresa o lo stabile del datore di lavoro in data del sopraggiungere dell’insolvenza di questo, per ciò che riguarda i loro diritti acquisiti, o i loro diritti in fase di acquisizione, alle prestazioni di vecchiaia, ivi comprese le prestazioni di superstiti, a titolo di regimi complementari di previdenza professionali o interprofessionali esistenti all’infuori dei regimi legali nazionali di previdenza sociale. “
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 1
25. I richiedenti si lamentano di essere stati privati dei loro diritti ad una pensione complementare sulla base di una convenzione collettiva conclusa tra la società ed i rappresentanti degli impiegati attivi, mentre questi non potevano rappresentarli né difendere i loro interessi. Sostengono che l’interpretazione fatta dal Tribunale supremo della legislazione interna ha recato offesa al loro diritto di proprietà. Invocano l’articolo 1 del Protocollo no 1, così formulato:
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non a causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non recano offesa al diritto che possiedono gli Stati di mettere in vigore le leggi che giudicano necessarie per regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale o per garantire il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle multe. “
26. Il Governo si oppone a questa tesi.
A. Sull’ammissibilità
1. Locus standi dei richiedenti
27. La Corte deve dedicarsi innanzitutto sulla questione del locus standi dei richiedenti.
28. La Corte riafferma che l’esistenza di una vittima, cioè di un individuo che viene toccato personalmente dalla violazione addotta di un diritto garantito dalla Convenzione, è necessaria affinché venga innestato il meccanismo di protezione previsto da questa, sebbene questo criterio non possa essere applicato in modo rigido, meccanico ed inflessibile per tutto il procedimento (Karner c. Austria, no 40016/98, § 25, CEDH 2003-IX).
29. La Corte autorizza normalmente i prossimi della vittima a mantenere la richiesta introdotta da questa prima del suo decesso purché abbiano un interesse sufficiente per agire (Malhous c. Repubblica ceca, (dec.), no 33071/96, CEDH 2000-XII). Tuttavia, la situazione è differente quando la vittima diretta è deceduta prima di avere sottoposto una richiesta alla Corte (Sanles Sanles c. Spagna (dec.), no 48335/99, CEDH 2000-XI). Se è vero che i prossimi di persone decedute in circostanze che sollevano delle questioni sotto l’angolo dell’articolo 2 della Convenzione possono dichiararsi a pieno titolo richiedenti, vi è una situazione particolare regolata dalla natura della violazione addotta e dalle considerazioni legate all’applicazione effettiva di una delle disposizioni più fondamentali del sistema della Convenzione. I casi dei richiedenti deceduti prima dell’introduzione della richiesta devono essere distinti dunque dai casi dei richiedenti deceduti durante il procedimento dinnanzi alla Corte per cui si deve prendere in conto la volontà di proseguire questo espressa dagli eredi o affini prossimi (vedere, tra altre, le sentenze Deweer c. Belgio, 27 febbraio 1980, serie A no 35, § 37, e Dalban c. Romania [GC], no 28114/95, § 39, CEDH 1999-VI).
30. Per ciò che riguarda il presente caso, la Corte osserva che, come risulta dal giudizio del giudice del lavoro no 1 di Bilbao del 13 settembre 2002, i richiedenti 7 e 30 erano deceduto rispettivamente il 12 marzo 2001 ed il 9 ottobre 2001. Nota peraltro che con una lettera del 28 marzo 2009, il rappresentante dei richiedenti informò la cancelleria della Corte che certi richiedenti erano deceduti, e fornisce dei certificati di decesso a loro riguardo. Risulta da questi documenti che oltre i richiedenti 7 e 30, i richiedenti 3, 13, 14, 25, 35, 45 e 47 erano deceduti rispettivamente il 30 maggio 2003, il 19 gennaio 2005, il 18 febbraio 2004, il 2 luglio 2004, il 23 giugno 2003, il 19 ottobre 2005 ed il 13 luglio 2003. Questi richiedenti dunque erano tutti deceduti prima dell’introduzione della richiesta a loro nome da essi riconosciuta. Secondo la pratica della Corte, e conformemente all’articolo 34 della Convenzione, una richiesta può essere presentata solo da persone viventi o a loro nome (Varnava ed altri c. Turchia [GC], numeri 16064/90, 16065/90, 16066/90, 16068/90, 16069/90, 16070/90, 16071/90, 16072/90 e 16073/90, § 111, 18 settembre 2009). Quindi, la Corte considera che questi richiedenti non potevano investire validamente la Corte di una richiesta e che la richiesta introdotta a loro nome deve essere respinta per incompatibilità ratione personae con le disposizioni della Convenzione, in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione. Per ciò che riguarda i parenti stretti, coniugi o eredi che hanno espresso la loro intenzione di assumere l’istanza a nome di questi richiedenti, eccetto il richiedente 47 per cui nessun erede o coniuge ha espresso tale intenzione, constata che supponendo anche che possano avere la qualità di vittime (vedere Marie-Louise Loyen ed altro c. Francia, no 55929/00, § 29, 5 luglio 2005, Ressegatti c. Svizzera, no 17671/02, § 25, 13 luglio 2006, Micallef c,. Malta [GC], no 17056/06, §§ 44-51, 15 ottobre 2009 e a contrario Fairfield ed altri c. Regno Unito, (dec.), no 24790/04, CEDH 2005-VI) hanno espresso il loro desiderio di assumere la presente richiesta solo il 28 marzo 2009, o più di sei mesi dopo la decisione interna definitiva, la sentenza del 8 aprile 2005 del Tribunale supremo, notificata ai richiedenti il 18 maggio 2005.
31. Per ciò che riguarda il richiedente 4, deceduto il 16 febbraio 2007, o dopo l’introduzione della richiesta, la Corte nota che nessun avente diritto o parente stretto ha espresso la sua volontà di proseguire l’istanza dinnanzi a lei. La Corte ricorda che ha per pratica di cancellare le richieste dal ruolo quando nessun erede o affine prossimo vuole proseguire l’istanza (vedere, tra altre, Scherer c. Svizzera, sentenza del 25 marzo 1994, §§ 31-32, serie A no 287, Thévenon c. Francia, (dec.), no 2476/02, CEDH 2006-III, e Léger c. Francia (radiazione) [GC], no 19324/02, § 44, CEDH 2009 -…). Conformemente all’articolo 37 § 1 c, della Convenzione, considera che non si giustifica più di proseguire l’esame della richiesta a riguardo di questo richiedente.
32. Trattandosi dei richiedenti 22, 32, 38 e 51, la Corte nota che il rappresentante dei richiedenti ammette di non avere potuto ottenere delle informazione a loro riguardo dalla comunicazione della richiesta al Governo, in particolare sul loro eventuale decesso o l’esistenza di eredi o parenti stretti. Nota peraltro che le procure mandate dal rappresentante dei richiedenti dopo la comunicazione della richiesta non sono state firmate né da questi richiedenti né dagli eventuali eredi/prossimi affini.
33. La Corte ricorda che ai termini dell’articolo 36 § 1 del suo ordinamento, “[le] persone fisiche possono sottoporre inizialmente delle richieste agendo o tramite [loro]-stesse, o tramite un rappresentante.” Inoltre, una volta che la richiesta viene notificata alla Parte contraente convenuta, ogni richiedente deve, salvo decisione contraria del presidente della camera, essere rappresentato da un consigliere abilitato ad esercitare in una qualsiasi delle Parti contraenti e residente sul territorio di una di esse (vedere i paragrafi 2 e 4 a) dell’articolo 36 precitato). Ogni richiesta formulata in virtù dell’articolo 34 della Convenzione deve essere presentata infine, per iscritto e deve essere firmata dal richiedente o dal suo rappresentante; quando un richiedente viene rappresentato, il suo o i suoi rappresentanti devono produrre una procura scritta (articolo 45 §§ 1 e 3 dell’ordinamento della Corte).
34. Nello specifico, i richiedenti 22, 32, 38 e 51 non hanno presentato la loro richiesta agendo da soli ; gli interessati sono difatti passati tramite i rappresentanti, ossia inizialmente un procuratore legale, e poi, a partire dal gennaio 2009, un avvocato. Quindi, suddetti rappresentati erano tenuti a produrre una procura scritta firmata dai loro clienti. Ora, le procure scritte concernenti il procedimento dinnanzi alla Corte che sono giunte alla cancelleria dopo la comunicazione della richiesta non erano firmate da questi richiedenti. Peraltro, dal febbraio 2009, la cancelleria della Corte aveva invitato il rappresentante dei richiedenti a produrre una procura debitamente compilata e firmato dai suoi clienti, e poi, ad informarla dell’eventuale decesso di questi richiedenti.
35. In queste circostanze, la Corte considera che i richiedenti 22, 32, 38 e 51 non intendono mantenere più la loro richiesta (vedere, mutatis mutandis, Cherif ed altri c. Italia, no 1860/07, § 42, 7 aprile 2009). Ne segue che ai termini dell’articolo 37 § 1 a) della Convenzione, c’è luogo di cancellare la causa dal ruolo nella misura in cui è stata introdotta da questi richiedenti.
36. Infine, per ciò che riguarda i richiedenti 2, 9, 10, 11, 15, 18, 19, 29, 40, 49, 50 e 53, tutti deceduti dopo l’introduzione della richiesta dinnanzi alla Corte il 17 novembre 2005, osserva che il loro rappresentante ha fatto pervenire alla cancelleria della Corte, dopo la comunicazione della richiesta al Governo, delle procure scritte firmate dai loro parenti stretti, coniugi o eredi. In queste circostanze, la Corte considera che queste persone possono proseguire la richiesta dinnanzi a lei a nome degli interessati deceduti (vedere Malhous, decisione precitata,).
37. Trattandosi dei richiedenti 1, 5, 6, 8, 12, 16, 17, 20, 21, 23, 24, 26, 27, 28, 31, 33, 34, 36, 37, 39, 41, 42, 43, 44, 46, 48, 52, 54, 55 e 56, la Corte constata che l’esame della presente richiesta può essere proseguito.
2. Applicabilità ratione materiae dell’articolo 1 del Protocollo no 1
38. La Corte ha stimato che il diritto alla pensione fondato sull’impiego poteva in certe circostanze essere assimilato ad un diritto di proprietà quando in particolare il datore di lavoro aveva preso l’impegno più generale di versare una pensione a condizioni che possono essere considerate come facenti parte dal contratto di lavoro (Laloyaux c. Belgio, (dec.), no 73511/01, 9 marzo 2006, e Sture Stigson c. Svezia, no 12264/86, decisione della Commissione del 13 luglio 1988, Decisioni e rapporti 57, p. 131). Tuttavia, l’articolo 1 del Protocollo no 1 non potrebbe essere interpretato come generante un diritto ad una pensione di un determinato importo (vedere, tra altre, Aunola c. Finlandia, (dec.), no 30517/96, 15 marzo 2001).
39. Nell’occorrenza, la Corte nota che il diritto ad una pensione complementare era stato riconosciuto ai richiedenti in virtù di un accordo collettivo concluso il 22 dicembre 1983 tra il loro vecchio datore di lavoro ed i rappresentanti degli impiegati. Osserva che i richiedenti, a contare dal loro collocamento in pensione anticipata, hanno percepito queste pensioni fino al momento in cui la società ha smesso di versarle loro, nel 1994. I richiedenti hanno richiesto poi queste pensioni dinnanzi ai tribunali che hanno dato seguito alle loro istanze condannando la società a proseguire il pagamento delle pensioni complementari. Una nuova convenzione collettiva pubblicata il 10 aprile 2000 ha abrogato le convenzioni collettive anteriori che avevano riconosciuto il diritto al versamento di una pensione complementare. Dopo avere attaccato questa convenzione collettiva con successo in prima e seconda istanza, i richiedenti si sono visti privati dei loro diritti ad una pensione complementare in modo definitivo da una sentenza del Tribunale supremo che ha dato guadagno di causa alla società convenuta. La Corte rileva che questa sentenza del Tribunale supremo ha convalidato la clausola controversa della convenzione collettiva del 2000, annullando le decisioni dei tribunali inferiori favorevoli ai richiedenti e decidendo in modo definitivo la contestazione sui loro diritti ad una pensione complementare.
40. La Corte considera che i richiedenti avevano, perlomeno, la speranza legittima di continuare a percepire le pensioni complementari previste dall’accordo collettivo del 1983. In queste circostanze, è pronta a partire dall’ipotesi di lavoro che il diritto ad una pensione complementare riconosciuto ai richiedenti con l’accordo collettivo del 1983 si analizzava in un valore patrimoniale che dipende dal campo di applicazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1.
3. Decisione della Corte sull’ammissibilità
41. In conclusione, la Corte stima che la richiesta, per quanto riguarda i richiedenti 3, 7, 13, 14, 25, 30, 35, 45 e 47, deve essere dichiarata inammissibile in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione. Decide di cancellare la richiesta dal ruolo nella misura in cui è stata introdotta dai richiedenti 4, 22, 32, 38 e 51 conformemente all’articolo 37 § 1 della Convenzione. In compenso, per ciò che riguarda i richiedenti 1, 2, 5, 6, 8, 9, 10, 11, 12, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21, 23, 24, 26, 27, 28, 29, 31, 33, 34, 36, 37, 39, 40, 41, 42, 43, 44, 46, 48, 49, 50, 52, 53, 54, 55 e 56, la Corte considera che la richiesta non è manifestamente mal fondata ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. Rileva peraltro che questa parte della richiesta non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararla ammissibile.
B. Sul merito
1. Le osservazioni delle parti
a) I richiedenti
42. I richiedenti adducono di essere stati lesi gravemente per il fatto che il loro diritto ad una pensione complementare a vita è stato sostituito da una prestazione equivalente a tre mensilità, in virtù della convenzione collettiva del 10 aprile 2000 tra il loro vecchio datore di lavoro ed i rappresentanti dei lavoratori attivi della società. Difatti, il compenso che era offerto loro in cambio della perdita delle pensioni complementari non era proporzionale. I richiedenti sottolineano che questo accordo è stato concluso tra terze parti, da una parte la società debitrice della prestazione a vita, e dall’ altra parte i rappresentanti dei lavoratori attivi i cui interessi erano opposti a quelli del collettivo dei pensionati. Sostengono peraltro che sono stati oggetto di una discriminazione poiché, anche se la soppressione del diritto ad una pensione complementare era prevista nell’avvenire per tutti i lavoratori che sarebbero stati messi in pensione, solo le persone già pensionate si vedevano private di un diritto a ricevere una pensione complementare di pensionamento, convenuta con la società e poi inclusa nelle successive convenzioni collettive.
43. I richiedenti fanno valere che la causa di utilità pubblica richiesta dall’articolo 1 del Protocollo no 1 non era presente nello specifico, nella misura in cui i soli beneficiari del sacrificio che è stato imposto loro sono la società e, indirettamente, i lavoratori attivi, avuto riguardo alla situazione finanziaria della società in causa. Per i richiedenti, è incomprensibile che lo stato possa favorire una politica di rafforzamento della situazione finanziaria delle società a prezzo di sacrificare i diritti dei creditori, in particolare quando questi ultimi sono dei pensionati che non possono ottenere più di redditi in sostituzione. Nello specifico, questo sacrificio non è peraltro proporzionato alle difficoltà economiche della società.
44. Per concludere, i richiedenti mettono in causa l’interpretazione del diritto interno fatto dal Tribunale supremo, che considerano incompatibile con le garanzie derivanti dall’articolo 1 del Protocollo no 1. Appellandosi alla sentenza Evaldsson ed altri c. Svezia ( no 75252/01, §§ 62-64, 13 febbraio 2007) sostengono che lo stato spagnolo aveva l’obbligo positivo di proteggere i loro interessi, così che se la nuova convenzione collettiva avesse potuto lederli anche in un modo grave, avrebbero dovuto avere la possibilità legale di essere informati e di intervenire in modo efficace nel negoziato. I richiedenti adducono infine che la Spagna non aveva messo ancora in opera la Direttiva 80/987/CEE del Consiglio, del 20 ottobre 1980, sull’avvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relativi alla protezione dei lavoratori salariati in caso di insolvenza del datore di lavoro (vedere sopra, § 24,).
b) Il Governo
45. Il Governo sottolinea al primo colpo che le pensioni controverse non dipendono dal regime generale della previdenza sociale, ma che costituivano dei miglioramenti volontari a carico della società, riconosciuti da una convenzione collettiva e non con un patto individuale. Aggiunge che suddetto miglioramento è stato sostituito dall’assegnazione di un importo unico per tutti i lavoratori della società. Si trattava di una modifica realizzata nella cornice del negoziato collettivo dunque, accordata tra la società ed i rappresentanti dei lavoratori in ragione di un cambiamento sostanziale delle condizioni esistenti al momento della riconoscenza della prestazione in causa. Il Governo ricorda che l’articolo 192 della Legge generale sulla previdenza sociale contempla la possibilità per i datori di lavoro di migliorare direttamente le prestazioni del regime generale, a loro carico esclusivo o mediante il versamento di quote da parte degli impiegati. Nella misura in cui queste prestazioni complementari sono finanziate dai fondi propri alle società, queste ultime possono essere costrette a subire un carico sproporzionato. Il Governo sostiene che non esiste nessuna ragione per la quale un miglioramento volontario riconosciuto da una convenzione collettiva non possa essere modificato da una convenzione collettiva posteriore, cioè da una norma di uguale rango ed uguale campo di applicazione. Peraltro, come il Tribunale supremo ha rilevato, la pensione complementare è stata sostituita da un’altra prestazione che i richiedenti hanno liberamente e volontariamente respinto.
46. Il Governo fa valere che l’intervento dello stato nel presente caso si è limitato alla riconoscenza tramite i tribunali spagnoli della legalità della modifica controversa, conformemente all’articolo 82 § 4 dello Statuto dei lavoratori, regolando la questione delle convenzioni collettive successive (vedere sopra, § 22,). Le autorità spagnole hanno fatto solamente riconoscere e rispettare i risultati del negoziato collettivo.
47. Per di più, il Governo adduce che, come risulta dalla giurisprudenza del Tribunale supremo, le giurisdizioni interne sono in grado di verificare se la misura controversa era proporzionata all’alterazione sostanziale delle condizioni che ledono la società o se comprendeva una discriminazione dei pensionati rispetto agli impiegati attivi. Ricorda infine che, secondo la giurisprudenza della Corte, l’articolo 1 del Protocollo no 1 non potrebbe essere interpretato come generante un diritto ad una pensione di un determinato importo. Per concludere, il Governo sostiene che, nella misura in cui la pensione del regime della previdenza sociale dei richiedenti è intatta ed il miglioramento volontario è stato modificato da una nuova convenzione collettiva, applicata in modo proporzionata e non discriminatorio, affermare l’intangibilità assoluta del miglioramento volontario andrebbe contro l’autonomia collettiva dei datori di lavoro ed impiegati così come della giurisprudenza della Corte.
2. Valutazione della Corte
48. La Corte stima che la modifica o la soppressione del diritto alle prestazioni complementari di pensione, sulla base della convenzione collettiva del 2000 validata dalla sentenza definitiva del Tribunale supremo dell’ 8 aprile 2005, costituiva un attentato al diritto di proprietà dei richiedenti e che questa non corrispondeva né ad un’espropriazione né ad una misura di regolamentazione dell’uso dei beni; deve essere esaminata sotto l’angolo della prima frase del primo capoverso dell’articolo 1 dunque. Conviene anche determinare se un giusto equilibrio è stato predisposto tra le esigenze relative all’interesse generale della società e gli imperativi legati alla protezione dei diritti fondamentali dell’individuo.
49. La Corte osserva che la questione controversa trova la sua origine in un accordo collettivo concluso tra persone private che è stato poi ripreso da convenzioni collettive. Nota che le convenzioni collettive hanno una forza di norma obbligatoria nel sistema giuridico spagnolo (vedere, sopra, § 22). Da una parte, la Corte ha giudicato già che il diritto di condurre dei negoziati collettivi col datore di lavoro sia, in principio, diventato uno degli elementi essenziali del “diritto di fondare con altri sindacati e di affiliarsi ai sindacati per la difesa dei propri interessi” enunciato all’articolo 11 della Convenzione (Demir e Baykara c. Turchia [GC], no 34503/97, § 154, 12 novembre 2008). D’altra parte, gli Stati, delegando la regolamentazione e la legislazione relativa ad importanti questioni di lavoro agli organismi indipendenti tramite un sistema di convenzioni collettive, possono avere degli obblighi positivi di proteggere gli interessi delle persone riguardate (vedere, mutatis mutandis, Evaldsson ed altri c. Svezia, no 75252/01, § 63, 13 febbraio 2007).
50. In più, l’articolo 1 del Protocollo no 1 fa obbligo allo stato di prendere le misure necessarie alla protezione del diritto al rispetto dei beni, anche quando sono in causa delle controversie che oppongono dei semplici individui. Lo stato ha in particolare l’obbligo di offrire alle parti in conflitto dei procedimenti giudiziali che presentano le garanzie procedurali richieste, in modo da permettere alle giurisdizioni nazionali di deliberare in modo effettivo ed equo alla luce della legislazione applicabile (Anheuser-Busch Inc. c. Portogallo [GC], no 73049/01, § 83, CEDH 2007-I). Tuttavia, questo obbligo non si estende ad obbligare lo stato ad assumere la responsabilità di riprendere gli impegni di una società o di un’altra persona giuridica privata che non è più in grado di versare una pensione ai suoi vecchi impiegati, o di mantenerla allo stesso livello, in ragione delle difficoltà finanziarie.
51. Nello specifico, la Corte rileva che il Tribunale supremo ha convalidato la clausola controversa della convenzione collettiva del 2000, annullando le decisioni dei tribunali inferiori favorevoli ai richiedenti e decidendo in modo definitivo la contestazione sui diritti alle pensioni complementari dei richiedenti. In queste circostanze, la Corte ha il dovere di esaminare il modo in cui i tribunali interni hanno deciso la questione portata dinnanzi a loro. Però, ricorda che dispone di una competenza limitata trattandosi di verificare se il diritto nazionale è stato interpretato ed applicato correttamente; non le appartiene sostituirsi ai tribunali nazionali, consistendo il suo ruolo soprattutto nell’ assicurarsi che le decisioni di questi ultimi non siano inficiate di arbitrarietà o di irrazionalità manifesta (Anheuser-Busch Inc., precitata, § 83).
52. La Corte osserva che il Tribunale supremo ha notato che il legislatore spagnolo aveva optato per un sistema che premiava la libertà di negoziato collettivo sui compromessi acquisiti in virtù delle convenzioni collettive anteriori. L’alta giurisdizione ha considerato che, nel sistema giuridico spagnolo, i diritti riconosciuti da una convenzione collettiva anteriore potevano smettere di essere effettivi quando erano oggetto di una revisione tramite una convenzione collettiva posteriore, salvo disposizione contraria. Non appartiene alla Corte esaminare l’interpretazione data dal Tribunale supremo alla legislazione interna relativa ai rapporti tra convenzioni collettive successive, in particolare alle disposizioni dello Statuto dei lavoratori e della legge generale sulla previdenza sociale. Si limita a constatare che i richiedenti hanno avuto la possibilità, per tutto il procedimento che si è svolto dinnanzi alle giurisdizioni spagnole, di presentare la loro interpretazione della legislazione che stimavano applicabili nello specifico e di sottoporre la soluzione che consideravano come più adeguata in quanto alla questione giuridica sollevata nello specifico. Di fronte a due interpretazioni divergenti, a riguardo delle regole concernenti la successione nel tempo delle convenzioni collettive in materia di miglioramenti volontari delle prestazioni di pensioni complementari, il Tribunale supremo ha preso la sua decisione, dopo avere ascoltato le parti interessate e sulla base della giurisprudenza stabilita nella sua sentenza del 16 luglio 2003 (vedere sopra, § 23,).
53. Peraltro, la Corte osserva che, come il Tribunale supremo ha rilevato nella sua sentenza dell’ 8 aprile 2005, la clausola controversa della convenzione collettiva non aveva annullato i diritti riconosciuti ai richiedenti, ma li aveva sostituiti col pagamento di una somma forfetaria. In più, il Tribunale supremo ha considerato anche che la cattiva situazione finanziaria della società era stata all’origine della modifica dei diritti riconosciuti ai richiedenti. Tenuto conto di ciò che precede, la Corte considera che l’ingerenza controversa inseguiva uno scopo di interesse generale, ossia il mantenimento della buona salute finanziaria delle società e dei loro creditori, la protezione dell’impiego, così come il rispetto del diritto di condurre dei negoziati collettivi.
54. La Corte nota infine, come il Tribunale supremo, che la modifica dei diritti riconosciuti ai richiedenti non era discriminatoria, nella misura in cui gli impiegati attivi della società avevano in quanto a loro rinunciato alla loro pensione complementare con una convenzione collettiva del 31 gennaio 1995.
55. Secondo la Corte, questi motivi non potrebbero passare per irragionevoli o sproporzionati. Non scopre nessun elemento che permette di concludere che la decisione del Tribunale supremo era inficiata di arbitrarietà o imponeva un carico sproporzionato ai richiedenti a causa della modifica dei loro diritti ad una pensione complementare.
56. I richiedenti sostengono che la Spagna non aveva messo in opera la direttiva 80/987/CEE del Consiglio, del 20 ottobre 1980, sull’avvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alla protezione dei lavoratori salariati in caso di insolvenza del datore di lavoro (vedere sopra, § 24,). A questo riguardo, la Corte, pure considerando gli obiettivi generali di questa direttiva come auspicabili, ricorda che non le appartiene sconfinare su delle questioni riguardanti la compatibilità del diritto interno di un Stato membro col diritto comunitario (vedere, mutatis mutandis, Partito nazionalista basco-Organizzazione regionale di Iparralde c. Francia, no 71251/01, § 48, CEDH 2007-VII).
57. Avuto riguardo a questi elementi ed al margine di valutazione di cui beneficiano gli Stati parti alla Convenzione nell’ambito dalla determinazione della politiche sociali ed economiche, la Corte stima che la sentenza controversa del Tribunale supremo non ha portato un attentato sproporzionato al diritto al rispetto dei beni dei richiedenti ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo no 1 (vedere, mutatis mutandis, Gascón Moreno c. Spagna,( dec.), no 49151/99, 1 ottobre 2002).
58. Non c’è stata dunque violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE,
1. Decide, all’unanimità, di cancellare la richiesta dal ruolo nella misura in cui è stata introdotta dai richiedenti 4, 22, 32, 38 e 51;
2. Dichiara, all’unanimità, la richiesta ammissibile per quanto riguarda i richiedenti 1, 2, 5, 6, 8, 9, 10, 11, 12, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21, 23, 24, 26, 27, 28, 29, 31, 33, 34, 36, 37, 39, 40, 41, 42, 43, 44, 46, 48, 49, 50, 52, 53, 54, 55 e 56, ed inammissibile per il surplus;
3. Stabilisce, per sei voci contro una, che non c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1;
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 2 febbraio 2010, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Stanley Naismith Josep Casadevall
Cancelliere aggiunto Presidente
Alla presente sentenza si trova unita, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 dell’ordinamento, l’esposizione dell’opinione separata dal giudice Myjer.
J.C.M.
S.H.N.

OPINIONE DISSIDENTE DEL GIUDICE MYJER
(Traduzione)
Secondo me, l’approccio scelto dalla maggioranza nello specifico è preoccupante.
È giusto che i salariati pensionati siano privati del loro diritto ad una pensione complementare-acquisita nel 1983, in buona fede, e riaffermata nelle ulteriori convenzioni collettive – con una nuova convenzione collettiva tra gli impiegati attivi di una società e la società stessa, senza essere stati coinvolti o rappresentati nei negoziati concernenti questa convenzione collettiva?
L’articolo 82 § 4 dello Statuto dei lavoratori (1995) enuncia semplicemente che “[la] convenzione collettiva che sostituisce una convenzione collettiva precedente può disporre dei diritti riconosciuti da questa ultima. In questo caso, sono le stipulazioni della nuova convenzione collettiva che si applicano di pieno dritto.” Ciò basta in una causa come questa? Quando lo Statuto è stato dibattuto al Parlamento, questo ha respinto una proposta tesa ad includere una clausola di salvaguardia dei diritti acquisiti. Avuto riguardo all’applicabilità dell’articolo 1 del Protocollo no 1 alle cause come questa, lo stato non aveva inoltre un dovere di vigilanza?
È pertinente sottolineare che apparentemente la società si trovava in una situazione finanziaria difficile e che in caso di fallimento nessun pensionato percepirebbe alcuna pensione complementare?
È legittimo dichiarare -come ha fatto la sentenza al paragrafo 53-che l’ingerenza controversa inseguiva uno scopo di interesse generale, ossia il mantenimento della buona salute finanziaria delle società e dei loro creditori, la protezione dell’impiego, così come il rispetto del diritto di condurre dei negoziati collettivi? A questo proposito, trovo illogico includere il diritto di negoziato collettivo -tra datori di lavoro e salariati -negli obiettivi di un accordo collettivo che lede delle persone che non dipendono da nessuna di queste due categorie.
Ciò che è accaduto mi sembra ingiusto.
Aderisco innanzitutto, pienamente al ragionamento esposto al paragrafo 49 della sentenza secondo cui gli Stati, delegando la regolamentazione e la legislazione relativa ad importanti questioni di lavoro agli organismi indipendenti tramite un sistema di convenzioni collettive, possono avere degli obblighi positivi di proteggere gli interessi delle persone riguardate. Ed aggiungo che più queste persone sono vulnerabili, più hanno diritto ad una protezione.
Secondo me, è precisamente là il cuore del motivo: se difatti il diritto spagnolo ammette le convenzioni collettive che recano offesa ai diritti acquisiti dei lavoratori e dei pensionati, ciò significa che nel sistema spagnolo i datori di lavoro ed i salariati in attività possono schernire gli interessi dei pensionati senza difesa che non sono rappresentati negli organi di rappresentanza abilitata a concludere delle nuove convenzioni collettive.
La causa si riduce così, alla fine ad una mancanza di garanzie che dipendono dall’articolo 1 del Protocollo per proteggere dei pensionati vulnerabili contro gli attentati ai loro diritti a pensione.
I pensionati sono per molti versi una categoria vulnerabile. La prova più evidente è che, contrariamente ai salariati in attività, non possono fare ricorso al diritto di sciopero per difendere ciò che considerano come i loro interessi legittimi. A causa di questa vulnerabilità, è essenziale che i pensionati beneficino di una protezione giuridica rinforzata quando si propongono delle modifiche che restringono i loro diritti alla pensione. Tale è particolarmente il caso quando, come nello specifico, una società privata cerca di annullare i diritti alla pensione complementare dei suoi pensionati avvalendosi di una nuova convenzione collettiva che è stata negoziata solamente dai salariati in attività della società; una o l’altra delle parti, o entrambe , possono avere un interesse a fare sopportare il carico finanziario ai pensionati.
Ciò distingue anche la causa di una convenzione collettiva conclusa a livello nazionale. Il fatto che i salariati, trattando la nuova convenzione collettiva, abbiano potuto avere l’intenzione di migliorare la situazione finanziaria apparentemente poco fiorente della società e contribuire così alla sopravvivenza di questa ed alla possibilità di conservare i loro propri impieghi, non potrebbe condurmi ad un’altra conclusione.
Peraltro, certi paesi esigono che tutti i fondi di pensione abbiano la sua propria personalità giuridica, distinta da quella della sua società madre. Tale non sembra essere il caso in Spagna. Sebbene, apparentemente, questo aspetto della questione non sia stato abbordato all’epoca delle discussioni, è ben menzionarlo a questo stadio. Dei fondi di pensione autonoma costituiscono un buono mezzo di protezione dei diritti dei pensionati contro le condizioni economiche o una cattiva gestione che danneggia la società madre.

ANNESSO
ELENCO DEI RICHIEDENTI
OMISSIS

Testo Tradotto

Conclusion Radiation partielle du rôle ; Partiellement irrecevable ; Non-violation de P1-1
TROISIÈME SECTION
AFFAIRE AIZPURUA ORTIZ ET AUTRES c. ESPAGNE
(Requête no 42430/05)
ARRÊT
STRASBOURG
2 février 2010
Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l’article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire Aizpurua Ortiz et autres c. Espagne,
La Cour européenne des droits de l’homme (troisième section), siégeant en une chambre composée de :
Josep Casadevall, président,
Elisabet Fura,
Boštjan M. Zupančič,
Alvina Gyulumyan,
Egbert Myjer,
Luis López Guerra,
Ann Power, juges,
et de Stanley Naismith, greffier adjoint de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 12 janvier 2010,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 42430/05) dirigée contre le Royaume d’Espagne et dont Mme B. P.d. l. T. a saisi la Cour le 17 novembre 2005 au nom de M. M. A. O. et cinquante-cinq autres ressortissants de cet Etat (« les requérants »), dont les noms figurent en annexe, en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (« la Convention »).
2. Les requérants sont représentés par Me R. Z. E., avocat à Bilbao. Le gouvernement espagnol (« le Gouvernement ») est représenté par son agent, M. I. Blasco Lozano, chef du service juridique des droits de l’homme au ministère de la Justice.
3. Les requérants se plaignent en particulier qu’ils ont été privés de leurs droits à une pension complémentaire sur la base d’une convention collective conclue entre leur ancien employeur et les représentants des employés.
4. Le 20 novembre 2008, le président de la troisième section a décidé de communiquer la requête au Gouvernement. Comme le permet l’article 29 § 3 de la Convention, il a en outre été décidé que la chambre se prononcerait en même temps sur la recevabilité et le fond.
EN FAIT
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
5. Les requérants résident ou résidaient dans la province de Biscaye.
A. Faits relatifs à l’introduction de la requête devant la Cour
6. Le 17 novembre 2005, Mme B. P. d. l. T., avouée, envoya à la Cour une lettre introductive de requête au nom des cinquante-six requérants. Elle fournit des pouvoirs par lesquels les intéressés lui donnaient mandat pour les représenter dans tout type de procédure.
7. Le 29 décembre 2005, B.P. envoya à la Cour le formulaire de requête au nom des requérants. Par une lettre du 11 janvier 2006, le greffe confirma à B.P. l’enregistrement de la requête et l’invita à le tenir informé de tout développement pertinent pour l’affaire en cause.
8. Par une lettre du 27 novembre 2008, le greffier notifia à B.P. que le président de la section avait décidé de communiquer au Gouvernement la requête en question. Il attira son attention sur l’article 36 §§ 2 et 4 du règlement de la Cour, selon lequel les requérants doivent à ce stade de la procédure être représentés devant la Cour par un conseil.
9. Le 15 janvier 2009, Me R. Z. E., avocat, envoya au greffe les formulaires lui donnant pouvoir aux fins de représenter les requérants dans la procédure devant la Cour.
10. Par une lettre du 11 février 2009, le greffe indiqua à Me Z. que les 2e, 3e, 4e, 7e, 9e, 10e, 13e, 14e, 15e, 18e, 19e, 22e, 25e, 29e, 30e, 32e, 35e, 38e, 40e, 45e, 47e, 49e, 50e, 51e et 53e requérants n’avaient pas signé leurs pouvoirs et que les pouvoirs relatifs aux 12e et 20e requérants apparaissaient signés par d’autres personnes.
11. Par une lettre du 25 février 2009, le représentant des requérants répondit que, vu l’âge des requérants, tous retraités, il devait se renseigner sur des éventuels décès ou incapacités ayant pu affecter la régularité des signatures requises.
12. Par une lettre du 6 mars 2009, le greffier invita le représentant des requérants à l’informer de l’éventuel décès des requérants n’ayant pas signé leurs pouvoirs. Il lui demanda également de l’informer de l’existence d’héritiers ou proches parents qui souhaiteraient assumer et poursuivre l’instance au nom des requérants décédés et de lui envoyer, le cas échéant, les pouvoirs signés par ces personnes.
13. Par une lettre du 28 mars 2009, le représentant des requérants indiqua que les 2e, 3e, 4e, 7e, 9e, 10e, 13e, 14e, 15e, 18e, 19e, 25e, 29e, 30e, 35e, 40e, 45e, 47e, 49e, 50e et 53e requérants étaient décédés et que le 11e requérant était décédé récemment. Il fournit pour la plupart de ces requérants des certificats de décès, des certificats d’héritiers, ainsi que des pouvoirs signés par les héritiers ou proches parents intéressés. S’agissant des 4e et 47e requérants, décédés, aucun héritier ou proche parent n’avait signé un pouvoir aux fins de leur représentation devant la Cour. Le représentant des requérants indiqua également que les 12e et 20e requérants étaient en état d’incapacité et que les pouvoirs envoyés avaient été signés respectivement par son épouse M. G. A. et sa fille M. G.. Enfin, pour ce qui est des 22e, 32e, 38e et 51e requérants, le représentant des requérants n’avait pas pu obtenir des informations sur leur situation personnelle.
B. Faits relatifs à l’objet de l’affaire
14. Les requérants étaient employés par la société « S. S.A. » (ci-après, « la société ») jusqu’à leur mise à la retraite anticipée et bénéficiaient de pensions complémentaires conformément aux conditions prévues par un accord collectif conclu entre les représentants des employés et la société le 22 décembre 1983. Parmi les conditions établies, était prévu le versement d’une pension complémentaire annuelle de caractère viager jusqu’à l’âge de 65 ans, moment auquel le montant acquerrait un caractère dynamique. Ces conditions furent reprises dans les conventions collectives conclues ultérieurement. Elles s’appliquaient aux employés ayant commencé à travailler pour la société avant 1984.
15. En août 1994, la société cessa de verser aux requérants les pensions complémentaires prévues par l’accord collectif du 22 décembre 1983. Les requérants saisirent alors les juges du travail de Bilbao de plusieurs demandes afin de solliciter les montants dus au titre des pensions complémentaires. Ils obtinrent gain de cause. Les jugements rendus en leur faveur furent confirmés par plusieurs arrêts du Tribunal supérieur de justice du Pays Basque (arrêts de 1997, 1998, 1999, 2000 et 2002).
16. En vertu d’une nouvelle convention collective publiée le 10 avril 2000, les conditions de paiement des prestations complémentaires aux requérants furent modifiées, en raison du changement substantiel des conditions économiques existantes en 1983. Cette convention abrogea avec effet au 1er janvier 2000 toutes les conventions collectives antérieures ayant reconnu le droit au versement d’une pension complémentaire. Aux termes de la deuxième disposition additionnelle de la nouvelle convention collective, les employés ayant bénéficié de pensions complémentaires avaient droit au versement d’un seul montant correspondant à trois mensualités, calculées par rapport aux sommes versées par la société au titre du complément en juillet 1994. Sur ce montant, des réductions devaient s’appliquer en fonction de l’âge de la retraite.
17. Le 6 mars 2002, les requérants saisirent le juge du travail no 1 de Bilbao d’une demande tendant à constater que leurs droits à une pension complémentaire ne pouvaient être affectés par la nouvelle convention collective. Ils soutinrent que cette convention collective avait été conclue entre la société débitrice et les représentants des employés actifs, qui ne pouvaient en aucun cas agir en leur nom car ils défendaient des intérêts qui leur étaient défavorables.
18. Par un jugement du 13 septembre 2002, le juge du travail no 1 de Bilbao fit partiellement droit aux requérants et condamna la société défenderesse au versement des pensions sollicitées. Le juge du travail débouta les 7e et 30e requérants de leurs prétentions, dans la mesure où ils étaient décédés respectivement le 12 mars 2001 et le 9 octobre 2001.
19. Contre ce jugement, la société fit appel (suplicación) auprès du Tribunal supérieur de justice du Pays Basque, qui le rejeta par un arrêt du 11 février 2003.
20. La société se pourvut alors en cassation en vue d’assurer l’harmonisation de la jurisprudence. Par un arrêt du 8 avril 2005, notifié aux requérants le 18 mai 2005, le Tribunal suprême fit droit à la société, cassa la décision attaquée et débouta les requérants de leurs demandes. Le Tribunal suprême se référa à l’article 82 § 4 du Statut des travailleurs (voir ci-dessous, § 22) et nota que le législateur espagnol avait opté pour un système qui primait la liberté de négociation collective sur les compromis acquis en vertu des conventions collectives antérieures, indépendamment de la nature des droits affectés. A cet égard, il rappela que lors de l’adoption du Statut des travailleurs, le Parlement avait rejeté une proposition visant à inclure une clause de sauvegarde concernant les droits acquis. Le Tribunal considéra donc que les droits reconnus par une convention collective antérieure pouvaient cesser d’être effectifs lorsqu’ils faisaient l’objet d’une révision par une convention collective postérieure, sauf disposition contraire. Il souligna qu’en l’espèce, les deux conventions collectives qui s’étaient succédées dans le temps avaient le même rang. S’agissant de l’interprétation de l’article 192 de la loi générale sur la sécurité sociale (voir ci-dessous, § 22), le Tribunal suprême estima que le droit à une amélioration complémentaire d’une prestation périodique ne pouvait être annulé ou diminué qu’en conformité avec les normes régissant sa reconnaissance, en l’espèce la convention collective ayant reconnu les améliorations en question. Dans la mesure où la convention collective ne contenait aucune disposition relative à son application dans le temps ou à son intangibilité face aux conventions postérieures, ces améliorations pouvaient être modifiées ou annulées par une convention collective postérieure, conformément à l’article 82 § 4 du Statut des travailleurs.
21. Le Tribunal suprême nota qu’en tout état de cause, la convention collective postérieure n’avait pas supprimé les droits reconnus par la première convention, mais qu’elle les avait remplacés par d’autres droits de nature équivalente. Or, les requérants n’acceptèrent pas les nouvelles modalités reconnues par la nouvelle convention (le versement d’une somme unique). Il releva également que la mauvaise situation financière de la société, notamment pendant les trois dernières années, était à l’origine de la modification des droits reconnus aux retraités. A cet égard, le Tribunal suprême nota que les anciens employés retraités, dont les requérants, n’avaient pas été traités de manière discriminatoire, dans la mesure où les employés actifs de la société avaient également renoncé à leur pension complémentaire par une convention collective du 31 janvier 1995.
II. LE DROIT ET LA PRATIQUE PERTINENTS
22. Le droit interne pertinent
1. La Constitution
Article 37 § 1
« La loi garantit le droit à la négociation collective en matière de travail entre les représentants des travailleurs et des chefs d’entreprise, ainsi que le caractère contraignant des conventions. »
2. Le Statut des travailleurs (Décret-législatif royal 1/1995, du 24 mars 1995)
Article 82 § 4
« La convention collective qui remplace une convention collective précédente peut disposer des droits reconnus par cette dernière. Dans ce cas, ce sont les stipulations de la nouvelle convention collective qui s’appliquent de plein droit ».
3. La Loi générale sur la sécurité sociale (Décret-législatif royal 1/1994, du 20 juin 1994)
Article 192
« Les employeurs peuvent améliorer directement les prestations du régime général, à leur charge exclusive. Exceptionnellement, avec l’accord préalable du Ministère du travail et des affaires sociales, le versement de cotisations par les employés peut être établi, à condition qu’ils puissent adhérer ou non, individuellement et de leur gré, aux améliorations offertes par les employeurs à cette fin.
Nonobstant le caractère volontaire, pour les employeurs, de l’introduction de telles améliorations auquel cet article fait référence, lorsqu’un employé a obtenu le droit à un complément de la prestation périodique, ce droit ne peut être annulé ou diminué qu’en conformité avec les normes régissant sa reconnaissance. »
23. La jurisprudence du Tribunal suprême
Le Tribunal suprême établit sa jurisprudence sur la question des conventions collectives successives et des améliorations volontaires des prestations de retraite existant en dehors du régime national de sécurité sociale, dans un arrêt du 16 juillet 2003 (concernant le même litige entre les requérants et la société), dont les principes ont été suivis par l’arrêt du 8 avril 2005 mis en cause en l’espèce.
Dans son arrêt du 16 juillet 2003, trois magistrats exprimèrent une opinion dissidente. Les magistrats dissidents considérèrent qu’il fallait faire une distinction entre les employés actifs de la société et les retraités, dans la mesure où les derniers n’étaient pas représentés aux organes de représentation habilités à conclure des nouvelles conventions collectives. Par ailleurs, l’article 192 § 2 de la loi générale sur la sécurité sociale devait être considérée comme une lex specialis par rapport au Statut des travailleurs, l’annulation ou la modification des droits acquis ne pouvant donc avoir lieu qu’en vertu de la norme ayant reconnu ces droits. Dans le respect du principe de sécurité juridique, la cause d’une telle modification ou annulation devrait être prévue par la norme ayant reconnu les droits en question. Enfin, les magistrats dissidents soulignèrent qu’une telle modification a posteriori était incompatible avec le caractère viager de la pension complémentaire.
24. Le Droit communautaire
La directive 80/987/CEE du Conseil, du 20 octobre 1980, concernant le rapprochement des législations des États membres relatives à la protection des travailleurs salariés en cas d’insolvabilité de l’employeur
Article 8
« Les États membres s’assurent que les mesures nécessaires sont prises pour protéger les intérêts des travailleurs salariés et des personnes ayant déjà quitté l’entreprise ou l’établissement de l’employeur à la date de la survenance de l’insolvabilité de celui-ci, en ce qui concerne leurs droits acquis, ou leurs droits en cours d’acquisition, à des prestations de vieillesse, y compris les prestations de survivants, au titre de régimes complémentaires de prévoyance professionnels ou interprofessionnels existant en dehors des régimes légaux nationaux de sécurité sociale. »
EN DROIT
I. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 1 DU PROTOCOLE No 1
25. Les requérants se plaignent qu’ils ont été privés de leurs droits à une pension complémentaire sur la base d’une convention collective conclue entre la société et les représentants des employés actifs, alors que ceux-ci ne pouvaient les représenter ni défendre leurs intérêts. Ils soutiennent que l’interprétation faite par le Tribunal suprême de la législation interne a porté atteinte à leur droit de propriété. Ils invoquent l’article 1 du Protocole no 1, ainsi libellé :
« Toute personne physique ou morale a droit au respect de ses biens. Nul ne peut être privé de sa propriété que pour cause d’utilité publique et dans les conditions prévues par la loi et les principes généraux du droit international.
Les dispositions précédentes ne portent pas atteinte au droit que possèdent les Etats de mettre en vigueur les lois qu’ils jugent nécessaires pour réglementer l’usage des biens conformément à l’intérêt général ou pour assurer le paiement des impôts ou d’autres contributions ou des amendes. »
26. Le Gouvernement s’oppose à cette thèse.
A. Sur la recevabilité
1. Locus standi des requérants
27. La Cour doit tout d’abord se pencher sur la question du locus standi des requérants.
28. La Cour réaffirme que l’existence d’une victime, c’est-à-dire d’un individu qui est personnellement touché par la violation alléguée d’un droit garanti par la Convention, est nécessaire pour que soit enclenché le mécanisme de protection prévu par celle-ci, bien que ce critère ne puisse être appliqué de façon rigide, mécanique et inflexible tout au long de la procédure (Karner c. Autriche, no 40016/98, § 25, CEDH 2003-IX).
29. La Cour autorise normalement les proches de la victime à maintenir la requête introduite par celle-ci avant son décès à condition qu’ils aient un intérêt suffisant pour agir (Malhous c. République tchèque (déc.), no 33071/96, CEDH 2000-XII). Toutefois, la situation est différente lorsque la victime directe est décédée avant d’avoir soumis une requête à la Cour (Sanles Sanles c. Espagne (déc.), no 48335/99, CEDH 2000-XI). S’il est vrai que les proches de personnes décédées dans des circonstances soulevant des questions sous l’angle de l’article 2 de la Convention peuvent se déclarer requérants à part entière, c’est là une situation particulière régie par la nature de la violation alléguée et des considérations liées à l’application effective de l’une des dispositions les plus fondamentales du système de la Convention. Les cas des requérants décédés avant l’introduction de la requête doit donc être distingué des cas des requérants décédés pendant la procédure devant la Cour, pour lesquels elle doit prendre en compte la volonté de poursuivre celle-ci exprimée par des héritiers ou parents proches (voir, parmi d’autres, les arrêts Deweer c. Belgique, 27 février 1980, série A no 35, § 37, et Dalban c. Roumanie [GC], no 28114/95, § 39, CEDH 1999-VI).
30. Pour ce qui est de la présente espèce, la Cour observe que, tel qu’il ressort du jugement du juge du travail no 1 de Bilbao du 13 septembre 2002, les 7e et 30e requérants étaient décédés respectivement le 12 mars 2001 et le 9 octobre 2001. Elle note par ailleurs que par une lettre du 28 mars 2009, le représentant des requérants informa le greffe de la Cour que certains requérants étaient décédés, et fournit des certificats de décès à leur égard. Il ressort de ces documents qu’outre les 7e et 30e requérants, les 3e, 13e, 14e, 25e, 35e, 45e et 47e requérants étaient décédés respectivement le 30 mai 2003, le 19 janvier 2005, le 18 février 2004, le 2 juillet 2004, le 23 juin 2003, le 19 octobre 2005 et le 13 juillet 2003. Ces requérants étaient donc tous décédés avant l’introduction de la requête en leur nom par leur avouée. D’après la pratique de la Cour, et conformément à l’article 34 de la Convention, une requête ne peut être présentée que par des personnes vivantes ou en leur nom (Varnava et autres c. Turquie [GC], nos 16064/90, 16065/90, 16066/90, 16068/90, 16069/90, 16070/90, 16071/90, 16072/90 et 16073/90, § 111, 18 septembre 2009). Dès lors, la Cour considère que ces requérants ne pouvaient pas saisir valablement la Cour d’une requête et que la requête introduite en leur nom doit être rejetée pour incompatibilité ratione personae avec les dispositions de la Convention, en application de l’article 35 §§ 3 et 4 de la Convention. Pour ce qui est des proches parents, époux ou héritiers qui ont manifesté leur intention d’assumer l’instance au nom de ces requérants (à l’exception du 47e requérant, pour lequel aucun héritier ou époux n’a manifesté une telle intention), elle constate qu’à supposer même qu’ils puissent avoir la qualité de victime (voir Marie-Louise Loyen et autre c. France, no 55929/00, § 29, 5 juillet 2005, Ressegatti c. Suisse, no 17671/02, § 25, 13 juillet 2006, Micallef c. Malte [GC], no 17056/06, §§ 44-51, 15 octobre 2009 et a contrario Fairfield et autres c. Royaume-Uni (déc.), no 24790/04, CEDH 2005-VI), ils n’ont manifesté leur souhait d’assumer la présente requête que le 28 mars 2009, soit plus de six mois après la décision interne définitive (l’arrêt du 8 avril 2005 du Tribunal suprême, notifié aux requérants le 18 mai 2005).
31. En ce qui concerne le 4e requérant, décédé le 16 février 2007, soit après l’introduction de la requête, la Cour note qu’aucun ayant droit ou proche parent n’a manifesté sa volonté de poursuivre l’instance devant elle. La Cour rappelle qu’elle a pour pratique de rayer les requêtes du rôle lorsqu’aucun héritier ou parent proche ne veut poursuivre l’instance (voir, parmi d’autres, Scherer c. Suisse, arrêt du 25 mars 1994, §§ 31-32, série A no 287, Thévenon c. France (déc.), no 2476/02, CEDH 2006-III, et Léger c. France (radiation) [GC], no 19324/02, § 44, CEDH 2009-…). Conformément à l’article 37 § 1 c) de la Convention, elle considère qu’il ne se justifie plus de poursuivre l’examen de la requête à l’égard de ce requérant.
32. S’agissant des 22e, 32e, 38e et 51e requérants, la Cour note que le représentant des requérants admet n’avoir pas pu obtenir des informations à leur égard depuis la communication de la requête au Gouvernement, notamment sur leur éventuel décès ou l’existence d’héritiers ou proches parents. Elle note par ailleurs que les pouvoirs envoyés par le représentant des requérants après la communication de la requête n’ont été signés ni par ces requérants ni par des éventuels héritiers/proches parents.
33. La Cour rappelle qu’aux termes de l’article 36 § 1 de son règlement, « [l]es personnes physiques (…) peuvent initialement soumettre des requêtes en agissant soit par [elles]-mêmes, soit par l’intermédiaire d’un représentant ». En outre, une fois la requête notifiée à la Partie contractante défenderesse, tout requérant doit, sauf décision contraire du président de la chambre, être représenté par un conseil habilité à exercer dans l’une quelconque des Parties contractantes et résidant sur le territoire de l’une d’elles (voir les paragraphes 2 et 4 a) de l’article 36 précité). Enfin, toute requête formulée en vertu de l’article 34 de la Convention doit être présentée par écrit et signée par le requérant ou son représentant ; lorsqu’un requérant est représenté, son ou ses représentants doivent produire une procuration ou un pouvoir écrit (article 45 §§ 1 et 3 du règlement de la Cour).
34. En l’espèce, les 22e, 32e, 38e et 51e requérants n’ont pas présenté leur requête en agissant par eux-mêmes ; les intéressés sont en effet passés par l’intermédiaire des représentants, à savoir initialement une avouée, et ensuite, à partir de janvier 2009, un avocat. Dès lors, lesdits représentants étaient tenus de produire une procuration ou un pouvoir écrit signés par leurs clients. Or, les procurations écrites concernant la procédure devant la Cour qui sont parvenues au greffe après la communication de la requête n’étaient pas signées par ces requérants. Par ailleurs, dès février 2009, le greffe de la Cour avait invité le représentant des requérants à produire une procuration dûment remplie et signée par ses clients, et ensuite, à l’informer de l’éventuel décès de ces requérants.
35. Dans ces circonstances, la Cour considère que les 22e, 32e, 38e et 51e requérants n’entendent plus maintenir leur requête (voir, mutatis mutandis, Cherif et autres c. Italie, no 1860/07, § 42, 7 avril 2009). Il s’ensuit qu’aux termes de l’article 37 § 1 a) de la Convention, il y a lieu de rayer l’affaire du rôle dans la mesure où elle a été introduite par ces requérants.
36. Enfin, en ce qui concerne les 2e, 9e, 10e, 11e, 15e, 18e, 19e, 29e, 40e, 49e, 50e et 53e requérants, tous décédés après l’introduction de la requête devant la Cour le 17 novembre 2005, elle observe que leur représentant a fait parvenir au greffe de la Cour, après la communication de la requête au Gouvernement, des procurations écrites signées par leurs proches parents, époux ou héritiers. Dans ces circonstances, la Cour considère que ces personnes peuvent poursuivre la requête devant elle au nom des intéressés décédés (voir Malhous, décision précitée).
37. S’agissant des 1er, 5e, 6e, 8e, 12e, 16e, 17e, 20e, 21e, 23e, 24e, 26e, 27e, 28e, 31e, 33e, 34e, 36e, 37e, 39e, 41e, 42e, 43e, 44e, 46e, 48e, 52e, 54e, 55e et 56e requérants, la Cour constate que l’examen de la présente requête peut être poursuivi.
2. Applicabilité ratione materiae de l’article 1 du Protocole no 1
38. La Cour a estimé que le droit à pension fondé sur l’emploi pouvait dans certaines circonstances être assimilé à un droit de propriété lorsque notamment l’employeur avait pris l’engagement plus général de verser une pension à des conditions qui peuvent être considérées comme faisant partie du contrat de travail (Laloyaux c. Belgique (déc.), no 73511/01, 9 mars 2006, et Sture Stigson c. Suède, no 12264/86, décision de la Commission du 13 juillet 1988, Décisions et rapports 57, p. 131). Toutefois, l’article 1 du Protocole no 1 ne saurait être interprété comme donnant droit à une pension d’un montant déterminé (voir, parmi d’autres, Aunola c. Finlande (déc.), no 30517/96, 15 mars 2001).
39. En l’occurrence, la Cour note que le droit à une pension complémentaire avait été reconnu aux requérants en vertu d’un accord collectif conclu le 22 décembre 1983 entre leur ancien employeur et les représentants des employés. Elle observe que les requérants, à compter de leur mise à la retraite anticipée, ont perçu ces pensions jusqu’au moment où la société a cessé de les verser, en 1994. Les requérants ont ensuite réclamé ces pensions devant les tribunaux, qui ont donné suite à leurs demandes en condamnant la société à poursuivre le paiement des pensions complémentaires. Une nouvelle convention collective publiée le 10 avril 2000 a abrogé les conventions collectives antérieures ayant reconnu le droit au versement d’une pension complémentaire. Après avoir attaqué cette convention collective avec succès en première et deuxième instance, les requérants se sont vus privés de leurs droits à une pension complémentaire de manière définitive par un arrêt du Tribunal suprême qui a donné gain de cause à la société défenderesse. La Cour relève que cet arrêt du Tribunal suprême a validé la clause litigieuse de la convention collective de 2000, en infirmant les décisions des tribunaux inférieurs favorables aux requérants et en tranchant de manière définitive la contestation sur leurs droits à une pension complémentaire.
40. La Cour considère que les requérants avaient, pour le moins, l’espérance légitime de continuer à percevoir les pensions complémentaires prévues par l’accord collectif de 1983. Dans ces circonstances, elle est prête à partir de l’hypothèse de travail que le droit à une pension complémentaire reconnu aux requérants par l’accord collectif de 1983 s’analysait en une valeur patrimoniale relevant du champ d’application de l’article 1 du Protocole no 1.
3. Décision de la Cour sur la recevabilité
41. En conclusion, la Cour estime que la requête, pour autant qu’elle concerne les 3e, 7e, 13e, 14e, 25e, 30e, 35e, 45e et 47e requérants, doit être déclarée irrecevable en application de l’article 35 §§ 3 et 4 de la Convention. Elle décide de rayer la requête du rôle dans la mesure où elle a été introduite par les 4e, 22e, 32e, 38e et 51e requérants conformément à l’article 37 § 1 de la Convention. En revanche, pour ce qui est des 1er, 2e, 5e, 6e, 8e, 9e, 10e, 11e, 12e, 15e, 16e, 17e, 18e, 19e, 20e, 21e, 23e, 24e, 26e, 27e, 28e, 29e, 31e, 33e, 34e, 36e, 37e, 39e, 40e, 41e, 42e, 43e, 44e, 46e, 48e, 49e, 50e, 52e, 53e, 54e, 55e et 56e requérants, la Cour considère que la requête n’est pas manifestement mal fondée au sens de l’article 35 § 3 de la Convention. Elle relève par ailleurs que cette partie de la requête ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité. Il convient donc de la déclarer recevable.
B. Sur le fond
1. Les observations des parties
a) Les requérants
42. Les requérants allèguent qu’ils ont été gravement lésés du fait que leur droit à une pension complémentaire à vie a été remplacé par une prestation équivalente à trois mensualités, en vertu de la convention collective du 10 avril 2000 entre leur ancien employeur et les représentants des travailleurs actifs de la société. En effet, la compensation qui leur était offerte en échange de la perte des pensions complémentaires n’était pas proportionnelle. Les requérants soulignent que cet accord a été conclu entre des tierces parties, d’une part la société débitrice de la prestation à vie, et d’autre part les représentants des travailleurs actifs, dont les intérêts était opposés à ceux du collectif des retraités. Ils soutiennent par ailleurs qu’ils ont fait l’objet d’une discrimination puisque, même si la suppression du droit à une pension complémentaire était envisagée pour l’avenir pour tous les travailleurs qui seraient mis à la retraite, seules les personnes déjà retraitées se voyaient privées d’un droit de recevoir une pension complémentaire de retraite, convenu avec la société et ensuite inclus dans les conventions collectives successives.
43. Les requérants font valoir que la cause d’utilité publique requise par l’article 1 du Protocole no 1 n’était pas présente en l’espèce, dans la mesure où les seuls bénéficiaires du sacrifice qui leur a été imposé sont la société et, indirectement, les travailleurs actifs, eu égard à la situation financière de la société en cause. Pour les requérants, il est incompréhensible que l’Etat puisse favoriser une politique de renforcement de la situation financière des sociétés au prix de sacrifier les droits des créanciers, en particulier lorsque ces derniers sont des retraités qui ne peuvent plus obtenir de revenus de remplacement. En l’espèce, ce sacrifice n’est par ailleurs pas proportionné aux difficultés économiques de la société.
44. Pour conclure, les requérants mettent en cause l’interprétation du droit interne faite par le Tribunal suprême, qu’ils considèrent incompatible avec les garanties découlant de l’article 1 du Protocole no 1. S’appuyant sur l’arrêt Evaldsson et autres c. Suède, no 75252/01, §§ 62-64, 13 février 2007, ils soutiennent que l’Etat espagnol avait l’obligation positive de protéger leurs intérêts, de sorte que si la nouvelle convention collective pouvait les affecter d’une manière aussi grave, ils auraient dû avoir la possibilité légale d’être informés et d’intervenir de manière efficace dans la négociation. Les requérants allèguent enfin que l’Espagne n’avait pas encore mise en œuvre la Directive 80/987/CEE du Conseil, du 20 octobre 1980, sur le rapprochement des législations des Etats membres relatives à la protection des travailleurs salariés en cas d’insolvabilité de l’employeur (voir ci-dessus, § 24).
b) Le Gouvernement
45. Le Gouvernement souligne d’emblée que les pensions litigieuses ne relevaient pas du régime général de la sécurité sociale, mais qu’elles constituaient des améliorations volontaires à la charge de la société, reconnues par une convention collective et non par un pacte individuel. Il ajoute que ladite amélioration a été remplacée par la perception d’un montant unique pour tous les travailleurs de la société. Il s’agissait donc d’une modification réalisée dans le cadre de la négociation collective, accordée entre la société et les représentants des travailleurs en raison d’un changement substantiel des conditions existants au moment de la reconnaissance de la prestation en cause. Le Gouvernement rappelle que l’article 192 de la Loi générale sur la sécurité sociale prévoit la possibilité pour les employeurs d’améliorer directement les prestations du régime général, à leur charge exclusive ou moyennant le versement de cotisations par les employés. Dans la mesure où ces prestations complémentaires sont financées par les fonds propres aux sociétés, ces dernières peuvent être contraintes à subir une charge disproportionnée. Le Gouvernement soutient qu’il n’existe aucune raison pour laquelle une amélioration volontaire reconnue par une convention collective ne puisse pas être modifiée par une convention collective postérieure, c’est-à-dire par une norme d’égal rang et égal champ d’application. Par ailleurs, tel que le Tribunal suprême l’a relevé, la pension complémentaire a été remplacée par une autre prestation que les requérants ont librement et volontairement refusée.
46. Le Gouvernement fait valoir que l’intervention de l’Etat dans la présente espèce s’est limitée à la reconnaissance par les tribunaux espagnols de la légalité de la modification litigieuse, conformément à l’article 82 § 4 du Statut des travailleurs, réglant la question des conventions collectives successives (voir ci-dessus, § 22). Les autorités espagnoles n’ont fait que reconnaître et respecter les résultats de la négociation collective.
47. De surcroît, le Gouvernement allègue que, tel qu’il ressort de la jurisprudence du Tribunal suprême, les juridictions internes sont en mesure de vérifier si la mesure litigieuse était proportionnée à l’altération substantielle des conditions affectant la société ou si elle comportait une discrimination des retraités par rapport aux employés actifs. Il rappelle enfin que, d’après la jurisprudence de la Cour, l’article 1 du Protocole no 1 ne saurait être interprété comme donnant droit à une pension d’un montant déterminé. Pour conclure, le Gouvernement soutient que, dans la mesure où la pension du régime de la sécurité sociale des requérants est intacte et l’amélioration volontaire a été modifiée par une nouvelle convention collective, appliquée de manière proportionnée et non discriminatoire, affirmer l’intangibilité absolue de l’amélioration volontaire irait à l’encontre de l’autonomie collective des employeurs et employés ainsi que de la jurisprudence de la Cour.
2. Appréciation de la Cour
48. La Cour estime que la modification ou la suppression du droit aux prestations complémentaires de retraite, sur la base de la convention collective de 2000 validée par l’arrêt définitif du Tribunal suprême du 8 avril 2005, constituait une atteinte au droit de propriété des requérants et que celle-ci ne correspondait ni à une expropriation ni à une mesure de réglementation de l’usage des biens ; elle doit donc être examinée sous l’angle de la première phrase du premier alinéa de l’article 1. Aussi convient-il de déterminer si un juste équilibre a été ménagé entre les exigences relatives à l’intérêt général de la société et les impératifs liés à la protection des droits fondamentaux de l’individu.
49. La Cour observe que la question litigieuse trouve son origine dans un accord collectif conclu entre personnes privées, qui a été ensuite repris par des conventions collectives. Elle note que les conventions collectives ont une force de norme obligatoire dans le système juridique espagnol (voir, ci-dessus, § 22). D’une part, la Cour a déjà jugé que le droit de mener des négociations collectives avec l’employeur est, en principe, devenu l’un des éléments essentiels du « droit de fonder avec d’autres des syndicats et de s’affilier à des syndicats pour la défense de ses intérêts » énoncé à l’article 11 de la Convention (Demir et Baykara c. Turquie [GC], no 34503/97, § 154, 12 novembre 2008). D’autre part, les Etats, en déléguant la réglementation et la législation relatives à d’importantes questions du travail à des organismes indépendants par le biais d’un système de conventions collectives, peuvent avoir des obligations positives de protéger les intérêts des personnes concernées (voir, mutatis mutandis, Evaldsson et autres c. Suède, no 75252/01, § 63, 13 février 2007).
50. De plus, l’article 1 du Protocole no 1 fait obligation à l’Etat de prendre les mesures nécessaires à la protection du droit au respect des biens, même lorsque sont en cause des litiges opposant de simples particuliers. L’Etat a en particulier l’obligation d’offrir aux parties en conflit des procédures judiciaires présentant les garanties procédurales requises, de manière à permettre aux juridictions nationales de statuer de façon effective et équitable à la lumière de la législation applicable (Anheuser-Busch Inc. c. Portugal [GC], no 73049/01, § 83, CEDH 2007-I). Toutefois, cette obligation ne s’étend pas à obliger l’Etat à assumer la responsabilité de reprendre les engagements d’une société ou d’une autre personne juridique privée qui n’est plus à même de verser une pension à ses anciens employés, ou de la maintenir au même niveau, en raison des difficultés financières.
51. En l’espèce, la Cour relève que le Tribunal suprême a validé la clause litigieuse de la convention collective de 2000, en infirmant les décisions des tribunaux inférieurs favorables aux requérants et en tranchant de manière définitive la contestation sur les droits aux pensions complémentaires des requérants. Dans ces circonstances, la Cour se doit d’examiner la manière dont les tribunaux internes ont résolu la question portée devant eux. Cependant, elle rappelle qu’elle dispose d’une compétence limitée s’agissant de vérifier si le droit national a été correctement interprété et appliqué ; il ne lui appartient pas de se substituer aux tribunaux nationaux, son rôle consistant surtout à s’assurer que les décisions de ces derniers ne sont pas entachées d’arbitraire ou d’irrationalité manifeste (Anheuser-Busch Inc., précité, § 83).
52. La Cour observe que le Tribunal suprême a noté que le législateur espagnol avait opté pour un système primant la liberté de négociation collective sur les compromis acquis en vertu des conventions collectives antérieures. La haute juridiction a considéré que, dans le système juridique espagnol, les droits reconnus par une convention collective antérieure pouvaient cesser d’être effectifs lorsqu’ils faisaient l’objet d’une révision par une convention collective postérieure, sauf disposition contraire. Il n’appartient pas à la Cour d’examiner l’interprétation donnée par le Tribunal suprême à la législation interne relative aux rapports entre conventions collectives successives, notamment aux dispositions du Statut des travailleurs et de la loi générale sur la sécurité sociale. Elle se borne à constater que les requérants ont eu la possibilité, tout au long de la procédure qui s’est déroulée devant les juridictions espagnoles, de présenter leur interprétation de la législation qu’ils estimaient applicable en l’espèce et de soumettre la solution qu’ils considéraient comme la plus adéquate quant à la question juridique soulevée en l’espèce. Confrontée à deux interprétations divergentes, à l’égard des règles concernant la succession dans le temps des conventions collectives en matière d’améliorations volontaires des prestations de retraite complémentaires, le Tribunal suprême a pris sa décision, après avoir entendu les parties intéressées et sur la base de la jurisprudence établie dans son arrêt du 16 juillet 2003 (voir ci-dessus, § 23).
53. Par ailleurs, la Cour observe que, tel que le Tribunal suprême l’a relevé dans son arrêt du 8 avril 2005, la clause litigieuse de la convention collective n’avait pas supprimé les droits reconnus aux requérants, mais elle les avait remplacés par le paiement d’une somme forfaitaire. De plus, le Tribunal suprême a également considéré que la mauvaise situation financière de la société avait été à l’origine de la modification des droits reconnus aux requérants. Compte tenu de ce qui précède, la Cour considère que l’ingérence litigieuse poursuivait un but d’intérêt général, à savoir le maintien de la bonne santé financière des sociétés et de leurs créanciers, la protection de l’emploi, ainsi que le respect du droit de mener des négociations collectives.
54. La Cour note enfin, à l’instar du Tribunal suprême, que la modification des droits reconnus aux requérants n’était pas discriminatoire, dans la mesure où les employés actifs de la société avaient quant à eux renoncé à leur pension complémentaire par une convention collective du 31 janvier 1995.
55. De l’avis de la Cour, ces motifs ne sauraient passer pour déraisonnables ou disproportionnés. Elle ne décèle aucun élément permettant de conclure que la décision du Tribunal suprême était entachée d’arbitraire ou imposait une charge disproportionnée aux requérants du fait de la modification de leurs droits à une pension complémentaire.
56. Les requérants soutiennent que l’Espagne n’avait pas mis en œuvre la directive 80/987/CEE du Conseil, du 20 octobre 1980, sur le rapprochement des législations des Etats membres relatives à la protection des travailleurs salariés en cas d’insolvabilité de l’employeur (voir ci-dessus, § 24). A cet égard, la Cour, tout en considérant les objectifs généraux de cette directive comme étant souhaitables, rappelle qu’il ne lui appartient pas d’empiéter sur des questions qui touchent à la compatibilité du droit interne d’un Etat membre avec le droit communautaire (voir, mutatis mutandis, Parti nationaliste basque – Organisation régionale d’Iparralde c. France, no 71251/01, § 48, CEDH 2007-VII).
57. Eu égard à ces éléments et à la marge d’appréciation dont bénéficient les Etats parties à la Convention dans le domaine de la détermination des politiques sociales et économiques, la Cour estime que l’arrêt litigieux du Tribunal suprême n’a pas porté une atteinte disproportionnée au droit au respect des biens des requérants au sens de l’article 1 du Protocole no 1 (voir, mutatis mutandis, Gascón Moreno c. Espagne (déc.), no 49151/99, 1er octobre 2002).
58. Il n’y a donc pas eu violation de l’article 1 du Protocole no 1.
PAR CES MOTIFS, LA COUR,
1. Décide, à l’unanimité, de rayer la requête du rôle dans la mesure où elle a été introduite par les 4e, 22e, 32e, 38e et 51e requérants ;
2. Déclare, à l’unanimité, la requête recevable pour autant qu’elle concerne les 1er, 2e, 5e, 6e, 8e, 9e, 10e, 11e, 12e, 15e, 16e, 17e, 18e, 19e, 20e, 21e, 23e, 24e, 26e, 27e, 28e, 29e, 31e, 33e, 34e, 36e, 37e, 39e, 40e, 41e, 42e, 43e, 44e, 46e, 48e, 49e, 50e, 52e, 53e, 54e, 55e et 56e requérants, et irrecevable pour le surplus ;
3. Dit, par six voix contre une, qu’il n’y a pas eu violation de l’article 1 du Protocole no 1 ;
Fait en français, puis communiqué par écrit le 2 février 2010, en application de l’article 77 §§ 2 et 3 du règlement.
Stanley Naismith Josep Casadevall
Greffier adjoint Président
Au présent arrêt se trouve joint, conformément aux articles 45 § 2 de la Convention et 74 § 2 du règlement, l’exposé de l’opinion séparée du juge Myjer.
J.C.M.
S.H.N.

OPINION DISSIDENTE DU JUGE MYJER
(Traduction)
A mon sens, l’approche choisie par la majorité en l’espèce est préoccupante.
Est-il juste que des salariés retraités soient privés de leur droit à une pension complémentaire – acquis en 1983, en toute bonne foi, et réaffirmé dans des conventions collectives ultérieures – par une nouvelle convention collective entre les employés actifs d’une société et la société elle-même, sans avoir été impliqués ou représentés dans les négociations concernant cette convention collective ?
L’article 82 § 4 du Statut des travailleurs (1995) énonce simplement que « [l]a convention collective qui remplace une convention collective précédente peut disposer des droits reconnus par cette dernière. Dans ce cas, ce sont les stipulations de la nouvelle convention collective qui s’appliquent de plein droit ». Cela suffit-il dans une affaire telle que celle-ci ? Lorsque le Statut a été débattu au Parlement, celui-ci a rejeté une proposition visant à inclure une clause de sauvegarde des droits acquis. Eu égard à l’applicabilité de l’article 1 du Protocole no 1 à des affaires telles que celle-ci, l’Etat n’avait-il pas en outre un devoir de vigilance ?
Est-il pertinent de souligner qu’apparemment la société se trouvait dans une situation financière difficile et qu’en cas de faillite aucun retraité ne percevrait de pension complémentaire ?
Est-il légitime de déclarer – comme le fait l’arrêt au paragraphe 53 – que l’ingérence litigieuse poursuivait un but d’intérêt général, à savoir le maintien de la bonne santé financière des sociétés et de leurs créanciers, la protection de l’emploi, ainsi que le respect du droit de mener des négociations collectives ? A ce propos, je trouve illogique d’inclure le droit de négociation collective – entre employeurs et salariés – dans les objectifs d’un accord collectif affectant des personnes qui ne relèvent d’aucune de ces deux catégories.
Ce qui s’est passé me semble injuste.
Tout d’abord, je souscris pleinement au raisonnement exposé au paragraphe 49 de l’arrêt selon lequel les Etats, en déléguant la réglementation et la législation relatives à d’importantes questions du travail à des organismes indépendants par le biais d’un système de conventions collectives, peuvent avoir des obligations positives de protéger les intérêts des personnes concernées Et j’ajoute que plus ces personnes sont vulnérables, plus elles ont droit à une protection.
A mon sens, c’est précisément là le cœur du sujet : si en effet le droit espagnol admet les conventions collectives qui portent atteinte aux droits acquis des travailleurs et des retraités, cela signifie que dans le système espagnol les employeurs et les salariés en activité peuvent bafouer les intérêts des retraités sans défense qui ne sont pas représentés dans les organes de représentation habilités à conclure de nouvelles conventions collectives.
Ainsi, l’affaire se résume finalement à un manque de garanties relevant de l’article 1 du Protocole pour protéger de vulnérables retraités contre les atteintes à leurs droits à pension.
Les retraités sont à bien des égards une catégorie vulnérable. La preuve la plus évidente en est que, contrairement aux salariés en activité, ils ne peuvent avoir recours au droit de grève afin de défendre ce qu’ils considèrent comme leurs intérêts légitimes. Du fait de cette vulnérabilité, il est essentiel que les retraités bénéficient d’une protection juridique renforcée lorsqu’on en vient à proposer des modifications restreignant leurs droits à pension. Tel est particulièrement le cas lorsque, comme en l’espèce, une société privée cherche à supprimer les droits à pension complémentaires de ses retraités en se prévalant d’une nouvelle convention collective qui n’a été négociée qu’avec les salariés en activité de la société ; l’une ou l’autre des parties, ou les deux, peuvent avoir un intérêt à faire supporter la charge financière par les retraités.
Cela distingue également l’affaire d’une convention collective conclue au niveau national. Le fait que les salariés, en négociant la nouvelle convention collective, aient pu avoir l’intention d’améliorer la situation financière apparemment peu florissante de la société et contribuer ainsi à la survie de celle-ci et à la possibilité de conserver leurs propres emplois, ne saurait me conduire à une autre conclusion.
Par ailleurs, certains pays exigent que tout fonds de pension ait sa propre personnalité juridique, distincte de celle de sa société mère. Tel ne semble pas être le cas en Espagne. Bien que, apparemment, cet aspect de la question n’ait pas été abordé lors des discussions, il est bon de l’évoquer à ce stade. Des fonds de pension autonomes constituent un bon moyen de protéger les droits des retraités contre les conditions économiques ou une mauvaise gestion affectant la société mère.

A N N E X E
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