SECONDA SEZIONE
CAUSA AĞNİDİS C. TURCHIA
( Richiesta no 21668/02)
SENTENZA
(merito)
STRASBURGO
23 febbraio 2010
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Ağnidis c. Turchia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Ireneu Cabral Barreto, Vladimiro Zagrebelsky, Danutė Jočienė, Dragoljub Popović, Nona Tsotsoria, Işıl Karakaş, giudici,
e da Sally Dollé, greffière di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 2 febbraio 2010,
Rende la sentenza che ha adottato in questa ultima data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 21668/02) diretta contro la Repubblica della Turchia e in cui due cittadine di questo Stato, le Sig.re E. A. ed E. A. (“le richiedenti”), hanno investito la Corte il 27 febbraio 2002 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Le richiedenti sono rappresentate dai L.-A. S. e C.M., avvocati ad Atene. Il governo turco (“il Governo”) è rappresentato dal suo agente.
3. Le richiedenti adducevano in particolare che l’annullamento del loro certificato di successione da parte delle giurisdizioni turche aveva infranto l’articolo 1 del Protocollo no 1 e l’articolo 14 della Convenzione. Si lamentavano anche del difetto di equità del procedimento dinnanzi alla pretura.
4. Il 10 novembre 2006, la Corte ha deciso di comunicare le richieste al Governo. Avvalendosi delle disposizioni dell’articolo 29 § 3, ha deciso che sarebbero state esaminate l’ammissibilità e la fondatezza della causa allo stesso tempo.
5. Il governo greco ha esercitato il suo diritto di intervenire nel procedimento scritto, articoli 36 § 1 della Convenzione e 44 § 1 b) dell’ordinamento. Il governo convenuto ha risposto alle osservazioni di questo, articolo 44 § 5 dell’ordinamento.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
6. Le richiedenti sono nate rispettivamente nel 1912 e 1937 e risiedono ad Istanbul.
7. Le richiedenti sono rispettivamente la moglie e la figlia di A. A., di nazionalità greca, deceduto il 2 marzo 1987 ad Istanbul.
8. Il 21 settembre 1950, A. A. acquisì tramite eredità i beni immobiliari di suo padre Y. A.. Con un giudizio di questa data, la corte d’appello di Istanbul designò A. come erede di Y. e gli rilasciò il suo certificato come erede.
9. Seguito al decesso di A., con un giudizio del 6 maggio 1987, la pretura di Istanbul (“la pretura”) designò le richiedenti come le sue eredi, rilasciò loro il loro certificato come eredi e decise che le richiedenti avevano ereditato rispettivamente un quarto, E. A. in quanto moglie, e trequarti, E. A. in quanto ragazza, dei beni di A..
10. Il 25 marzo 1994, la Direzione del servizio dei contenziosi di Istanbul (“la Direzione”), agendo a nome del Tesoro pubblico (“il Tesoro”), investì la pretura di un’istanza d’ annullamento del certificato di eredità di A. A. e chiese l’iscrizione del Tesoro in quanto erede di Y.. Sostenne che Y. A. era deceduto senza lasciare eredi e che in queste circostanze la sua successione spettava al Tesoro pubblico.
Le richiedenti si costituirono parte intervenute nel procedimento, sostenendo che erano le eredi legali di A. A., secondo il giudizio della pretura di Istanbul del 6 maggio 1987. Chiesero al tribunale di respingere questa istanza formulata contro una persona deceduta, ossia A. A..
11. Su richiesta della pretura, la Direzione generale delle relazioni estere e del diritto internazionale del ministero della Giustizia indirizzò un rapporto al tribunale. Il passaggio di questo rapporto come citato nella sentenza del tribunale si può leggere come segue:
“(…) secondo le leggi e i decreti promulgati dalla Grecia nel 1924, 1925, 1926, 1927, 1938 e 1990, i cittadini turchi che non sono di origine greca possono acquisire legalmente dei beni immobiliari su una zona che rappresenta il 55% del territorio greco sotto condizione di un’autorizzazione preliminare, utilizzata nella pratica come meccanismo che restringe le acquisizioni immobiliari. In queste condizioni, la condizione di reciprocità non è assolta. “
12. Il 3 luglio 1996, prendendo in considerazione il rapporto sopra citato, il fatto che la controversia riguardava dei beni immobiliari situati nelle isole Burgaz e Büyükada, il fatto che Y. A. era di nazionalità greca e l’articolo 35 del codice fondiario, la pretura annullò il giudizio del 21 settembre 1950 della corte d’appello di Istanbul e dichiarò unico successore di Y. A. il Tesoro.
13. Il 28 novembre 1996, la Corte di cassazione annullò il giudizio reso dalla prima istanza al motivo che l’azione della Direzione era intentata contro A. A., deceduto prima della data di immissione nel processo della pretura.
14. Il 5 giugno 1997, la pretura si conformò alla sentenza resa dalla Corte di cassazione e respinse la domanda della Direzione.
15. Il 22 settembre 1997, la Direzione introdusse allora un’azione contro le richiedenti e chiese l’annullamento del loro certificato di eredità del 21 settembre 1950, sostenendo che questo non rifletteva la verità.”
16. L’ 8 dicembre 1997, su richiesta del Tesoro pubblico, la pretura ordinò l’iscrizione di un sequestro conservatorio sul registro fondiario concernente i seguenti beni immobiliari: l’appezzamento no 6 (isolato 119) a Büyükada e gli appezzamenti numeri 2 (isolato 53); 1 (isolato 69); 3, 4 e 5 (isolato 71); 2 (isolato 74, e 10) (isolato 56, a Burgazada,).
17. Con una sentenza del 21 aprile 1998, la pretura, deliberando per difetto, annullò il giudizio del 21 settembre 1950 della corte d’appello, dichiarò unico successore di Y. A. il Tesoro e decise il trasferimento dei beni ereditati al Tesoro.
Nelle sue considerazioni, il tribunale notò da prima che la convocazione delle richiedenti era stata fatta tramite un annuncio sulla stampa, ma che non si erano presentate alle udienze.
Poi, il tribunale constatò che tutte le prove erano state raccolte durante il precedente procedimento, che si era procurato di una copia del giudizio del 21 settembre 1950, ma che la pratica non era stata trovata, che era stabilito chiaramente che A., o A., era di nazionalità greca, avuto riguardo alla richiesta di introduzione della domanda indirizzata al tribunale di Istanbul nel 1987 da parte delle richiedenti ed allo scritto del Consolato generale della Grecia ad Istanbul del 16 aprile 1987.
Infine, il tribunale notò che, secondo l’articolo 35 del codice fondiario, doveva ricercare se la condizione di reciprocità era assolta, ma basandosi sul rapporto presentato dalla Direzione generale delle relazioni estere e dal diritto internazionale del ministero della Giustizia, constatò che suddetta condizione di reciprocità non era, de facto, rispettata .
18. Il 13 settembre 1999, le richiedenti investirono la pretura di un’istanza di riesame della causa. Affermarono che il procedimento per annullamento del certificato di eredità si era svolto in loro assenza e che a seguito di questo giudizio la corte d’appello di Beyoğlu aveva deciso di registrare i loro beni immobiliari a nome del Tesoro pubblico. Secondo le richiedenti, la convocazione per il procedimento era stata mandata ad un indirizzo che avevano lasciato il 27 febbraio 1998; poi la convocazione era stata fatta tramite un annuncio sulla stampa; infine la notifica del giudizio di annullamento era stata fatta per mezzo di un annuncio sulla stampa e non erano state avvisate regolarmente.
19. La pretura accettò l’istanza delle richiedenti per il riesame della causa. Il 9 marzo 2000, respinse tuttavia, la loro istanza sul merito, interinò di nuovo il suo precedente giudizio ed annullò il giudizio del 21 settembre 1950 della corte d’appello.
20. Il ricorso in cassazione introdotto dalle richiedenti fu respinto dalla Corte di cassazione il 6 novembre 2000.
21. Il ricorso per rettifica della sentenza intentata dalle richiedenti fu respinto il 27 settembre 2001.
II. I DOCUMENTI PRODOTTI DALLE PARTI
22. Le richiedenti hanno prodotto uno scritto della Direzione dei titoli e del catasto del 15 giugno 2007 secondo cui il bene immobiliare che le richiedenti utilizzavano come domicilio familiare, ubicato a Büyükada e registrato sotto i numeri isolato 119 ed appezzamento 6, è stato registrato a nome del Tesoro pubblico il 3 marzo 2006, mentre era fino a quel momento a nome delle richiedenti. Secondo questa informazione, il 1 giugno 2007, questo bene immobiliare è stato ceduto per 49 anni al club di sport nautici e di scherma.
23. Hanno prodotto anche dei titoli di proprietà che dimostravano che i beni immobiliari in questione erano stati registrati a loro nome sul registro fondiario il 9 settembre 1987 per il bene immobiliare ubicato a Büyükada ed il 6 aprile 1990 per gli altri -ossia l’appezzamento no 6 (isolato 119) di 642 m² a Büyükada, e gli appezzamenti numeri 2 (isolato 53), 3 (isolato 71), 4 (isolato 71, e 5) (isolato 71) di 1485,5 m², 329 m², 338 m² e 351 m² a Burgazada.
24. Le richiedenti hanno prodotto anche un certo numero di ricevute che dimostrano che hanno saldato imposte sull’eredità nel 1987 e le imposte fondiarie fino al 2004 per i beni immobiliari che hanno ereditato.
III. IL DIRITTO E LE PRATICA INTERNA PERTINENTI
25. Il diritto e la pratica interna pertinenti sono descritti nella sentenza Apostolidi ed altri c. Turchia (no 45628/99, §§ 49-56, 27 marzo 2007,).
IN DIRITTO
I. SULL’ECCEZIONE DEL GOVERNO
26. Il Governo chiede alla Corte di dichiarare la richiesta inammissibile nella misura in cui le richiedenti non hanno introdotto la loro richiesta entro sei mesi a decorrere a partire dal 23 settembre 1998, data in cui il giudizio del 21 aprile 1998 sarebbe diventato definitivo, in mancanza di ricorso in cassazione da parte loro. Questo procedimento si è svolto in assenza delle richiedenti, perché sono restate indifferenti e non hanno comunicato il loro nuovo indirizzo al tribunale, mentre si erano costituite parte intervenuta al precedente procedimento che riguardava stesso motivo e dovevano aspettarsi un nuovo procedimento.
Secondo il Governo, anche se le richiedenti hanno introdotto un’istanza di riesame della causa il 13 settembre 1999 dinnanzi alla pretura di Istanbul, questa via di ricorso è una via straordinaria e non è necessaria per l’introduzione della richiesta dinnanzi alla Corte ai sensi dell’articolo 35 della Convenzione. Di conseguenza, secondo lui, il termine dei sei mesi previsto dall’articolo 35 § 1 della Convenzione deve decorrere a partire dal 23 settembre 1998.
27. Le richiedenti sostengono che hanno esaurito tutte le vie di ricorso interne necessarie e pertinenti prima di introdurre la loro richiesta dinnanzi alla Corte. Fanno sapere che in seguito alla loro istanza formulata il 13 settembre 1999, la pretura ha riesaminato il merito della causa e ha rettificato l’errore concernente l’irregolarità della notifica. Riferendosi alla giurisprudenza della Corte secondo la quale la finalità dell’articolo 35 § 1 della Convenzione è di predisporre agli Stati contraenti l’occasione di prevenire o risanare le violazioni addotte contro loro prima che queste affermazioni vengano sottoposte agli organi della Convenzione (vedere, tra altre, Selmouni c. Francia [GC], no 25803/94, § 74, CEDH 1999-V) le richiedenti pretendono che l’ultima decisione interna è la sentenza della Corte di cassazione del 27 settembre 2001 e chiedono alla Corte di respingere l’eccezione del Governo.
28. Anche il governo greco chiede alla Corte di respingere l’eccezione del Governo derivata dell’inosservanza del termine dei sei mesi. Sostiene che la pretura di Istanbul si è impadronita di nuovo della causa su richiesta delle richiedenti del 13 settembre 1999 e che questo procedimento ha dato adito a nuovo giudizio. Con questo nuovo giudizio del 9 marzo 2000, la pretura ha annullato il certificato di eredità di A. A.. La sentenza della Corte di cassazione del 27 settembre 2001 è l’ultima sentenza di questo procedimento e, di conseguenza, il termine dei sei mesi ai sensi dell’articolo 35 § 1 della Convenzione devono cominciare a decorrere a partire dalla data della comunicazione di questa ultima sentenza.
29. La Corte ricorda che il termine dei sei mesi previsto dall’articolo 35 § 1 della Convenzione può cominciare a decorrere solo a partire dal momento in cui l’interessato ha una cognizione effettiva e sufficiente della decisione interna definitiva. Peraltro, è allo stato che eccepisce dell’inosservanza del termine di sei mesi che appartiene stabilire la data in cui il richiedente ha avuto cognizione della decisione interna definitiva (Baghli c. Francia, no 34374/97, § 31, CEDH 1999-VIII). Nell’occorrenza, la Corte constata che non è stato dimostrato che le richiedenti abbiano ricevuto convocazione in buona e dovuta forma per il procedimento iniziato dal Tesoro pubblico il 22 settembre 1997 né notifica in buona e dovuta forma del giudizio del 23 settembre 1998. Nota che le richiedenti hanno introdotto un’istanza di riesame della causa il 13 marzo 1999, che la pretura l’ha accettata e respinta poi sul merito. La data in cui le richiedenti hanno introdotto la loro richiesta, ossia il 27 febbraio 2002, si trova chiaramente all’interno dei sei seguenti mesi la dato della sentenza della sentenza della Corte di cassazione del 27 settembre 2001 sul ricorso per rettifica. Secondo la Corte, questa sentenza costituisce l’ultima decisione interna definitiva ai sensi dell’articolo 35 § 1 della Convenzione. Perciò, l’eccezione del Governo deve essere respinta.
30. La Corte constata che la richiesta non è manifestamente mal fondata ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. Rileva peraltro che questa non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararla ammissibile.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 1
31. Le richiedenti sostengono che annullando il loro certificato di eredità, le giurisdizioni interne hanno violato il loro diritto al rispetto dei loro beni. Secondo loro, la privazione di proprietà è stata operata in condizioni contrarie ai principi generali del diritto internazionale. Vedono una violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 che recita come segue:
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non a causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non recano offesa al diritto che possiedono gli Stati di mettere in vigore le leggi che giudicano necessarie per regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale o per garantire il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle multe. “
A. Argomenti delle parti
1. Il governo convenuto
32. Il Governo sostiene che le richiedenti non disponevano di un “bene” ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n no 1. Riferendosi in materia alla giurisprudenza della Corte (vedere, tra altre, Marckx c. Belgio, 13 giugno 1979, § 50, serie A no 31) sostiene che questa disposizione vale solamente per i beni reali e non garantisce il diritto ad acquisirne tramite successione ab intestat o liberalità. Fa osservare che il certificato di eredità fa nascere solamente una semplice presunzione e non costituisce una re judicata. A questo motivo, fa ricordare che i due beni immobiliari controversi, ossia gli appezzamenti numeri 1 (isolato 69, e 2 (isolato 74) ubicato a Burgazada, non sono stati mai registrati a nome delle richiedenti sul registro fondiario. Peraltro, il governo convenuto sostiene che per avvalersi della protezione di questa disposizione, le richiedenti dovevano ancora disporre legalmente dei beni in questione. Secondo lui, ne va diversamente nello specifico. Spiega che in virtù dell’articolo 22 della legge no 2675 relativo al diritto internazionale privato ed ai procedimenti ivi relativi, se il defunto non ha eredi al senso del diritto turco, la proprietà dei beni che figurano nel suo patrimonio viene trasferita al Tesoro pubblico.
Peraltro, secondo l’articolo 35 del codice fondiario, i cittadini esteri possono acquisire la proprietà di un bene immobile tramite successione solo se la condizione di reciprocità viene assolta che può essere de jure o de facto. A questo riguardo, fa notare che la Corte ha ammesso la possibilità per gli Stati di restringere l’acquisizione di beni immobili da parte dei cittadini esteri e si riferisce alla causa Jantner c. Slovacchia (no 39050/97, 4 marzo 2003,). Aggiunge che in virtù della legge no 1062 del 28 maggio 1927 relativa alla reciprocità (mukabele-i bilmisil kanunu) le autorità possono sequestrare i beni dei no-nazionali il cui paese restringe i diritti dei cittadini turchi.
Riferendosi al rapporto preparato dalla Direzione generale delle relazioni estere e del diritto internazionale del ministero della Giustizia su cui si è basata la pretura, il Governo fa osservare che le giurisdizioni turche hanno considerato che la legislazione greca e la pratica in vigore all’epoca dei fatti non permettevano l’acquisizione di beni immobili da parte dei cittadini turchi. Secondo lui, la legge greca del 1990 vietava ai cittadini turchi ogni transazione relativa all’acquisizione di un bene immobile su circa il 55% del territorio greco. Sottolinea che né le richiedenti né il governo greco hanno prodotto alcuna prova, come una decisione di giustizia o un’iscrizione sul registro, che dimostrasse che i cittadini turchi potevano acquisire un bene immobile traite eredità. Ne conclude che le restrizioni imposte ai cittadini greci sono conformi al principio di reciprocità, come previsto dall’articolo 35 del codice fondiario e dall’articolo 1 della legge del 28 maggio 1927.
2. Le richiedenti
33. Le richiedenti contestano gli argomenti del Governo. Fanno sapere al primo colpo che la presente causa ha molte similitudini col causa Apostolidi ed altri c. Turchia, precitata nella quale la Corte ha concluso alla violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1. Fanno osservare che l’insieme dei beni immobiliari che sono oggetto della presente richiesta era stato ereditato da A. A. ai termini del giudizio della pretura di Istanbul del 21 settembre 1950, che il certificato di eredità rilasciato da questo giudizio non era mai stato contestato fino al 1987, anno del decesso dell’interessato, ed alla fine le richiedenti hanno ereditato suddetti beni immobiliari tramite certificato di eredità rilasciato dalla pretura di Istanbul il 6 maggio 1987. Sottolineano che il Tesoro pubblico non ha messo in dubbio la validità del certificato del 1950 che nel 1994, o 44 anni dopo essere stato rilasciato. Ricordano che durante tutto questo periodo, hanno utilizzato pacificamente i beni in questione e hanno pagato le imposte per l’insieme dei beni fino al 2004.
Per ciò che riguarda le osservazioni del governo convenuto in quanto ai due beni immobiliari, ossia gli appezzamenti numeri 1 (isolato 69) e 2 (isolato 74) ubicato a Burgazada, le richiedenti fanno sapere che non è contestato da questo che anche questi due beni immobiliari erano iscritti a nome di A. A, sul registro fondiario fino alla sua morte, nel 1987. Sostengono anche che il Governo non ha contestato mai il fatto che erano le eredi legali del de cujus. Infine, sostengono che l’annullamento del loro certificato di eredità costituisce un’ingerenza ingiustificata, che sono state private del loro diritto di proprietà senza che esistesse una causa di utilità pubblica, che questa ingerenza non è prevista dalla legge e che, alla fine, non è proporzionata nella misura in cui nessuna indennità è stata accordata loro.
3. Il governo greco
34. Il governo greco sostiene che le richiedenti erano titolari di un “bene” ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo no 1. Fa notare che le richiedenti si erano viste rilasciare dalle giurisdizioni turche un certificato di eredità nel 1987 in seguito al decesso di A. A.. Sostiene che la giustificazione considerata dalle giurisdizioni interne per annullare questo certificato non è pertinente nella misura in cui, da una parte, il principio di reciprocità non si applica per le questioni relative alla protezione dei diritti dell’uomo e, dall’altra parte, i cittadini turchi possono accedere alla proprietà di beni immobili in Grecia tramite successione. Nessuna disposizione della legislazione greca vieta ai cittadini turchi di accedere alla proprietà tramite successione, e questo in qualsiasi regione del paese. Trattandosi della restrizione prevista dalla legge del 1990, fa notare che questa riguarda solamente una parte del territorio situato nelle regioni di frontiera e che è giustificata da interessi legittimi di protezione della difesa e della sicurezza nazionale. In più, questa interdizione riguarda esclusivamente gli atti inter vivos e non gli atti mortis causa.
35. Il governo greco aggiunge che l’ingerenza nel diritto delle richiedenti al rispetto dei loro beni non era previsto dai principi generali del diritto internazionale, tanto più che non lo era dalla legislazione nazionale stessa nella misura in cui il decreto ministeriale turco del 1988 ha abolito le restrizioni in quanto all’acquisizione di beni immobili sul territorio turco da parte dei cittadino greco. Le giurisdizioni turche hanno negato così di conformarsi al loro proprio diritto nazionale. Aggiunge che l’interpretazione fatta dalle giurisdizioni nazionali ha creato una situazione arbitraria ed una mancanza di sicurezza e di prevedibilità.
B. Parere della Corte
1. Sull’esistenza di un bene
36. La Corte ricorda che la nozione di “bene” previsto dalla prima parte dell’articolo 1 del Protocollo no 1 ha una portata autonoma che è indipendente rispetto alle qualifiche formali del diritto interno (Beyeler c. Italia [GC], no 33202/96, § 100, CEDH 2000-I). Questo articolo si limita a consacrare il diritto di ciascuno al rispetto dei “suoi” beni, vale di conseguenza solo per i beni reali e non garantisce il diritto di acquisirne tramite successione ab intestato o liberalità” (Marckx c. Belgio, precitato, § 50, ed Inze c. Austria, 28 ottobre 1987, § 37, serie A no 126). La nozione di “bene” può ricoprire tanto i “beni reali” che i valori patrimoniali, ivi compreso dei crediti, in virtù dei quali un richiedente può pretendere di avere almeno una “speranza legittima” di ottenere il godimento effettivo di un diritto di proprietà (Kopecký c. Slovacchia [GC], no 44912/98, § 35, CEDH 2004-IX).
37. Nello specifico, la Corte nota al primo colpo che i beni immobiliari erano iscritti sul registro fondiario al nome del de cujus in data del suo decesso. Il 6 maggio 1987, la pretura ha rilasciato alle richiedenti un certificato di eredità dopo avere stabilito il loro legame di parentela con A. A.. Secondo il diritto turco, questo certificato è necessario per attestare la qualità di erede presso le autorità o terzi e per potere disporre dei beni ereditati (vedere Apostolidi ed altri, precitata, § 54). E’ per questo del resto che le richiedenti hanno proceduto, per una parte dei beni immobiliari (paragrafo 23 sopra) all’iscrizione del loro nome sul registro fondiario. A questo riguardo, la Corte nota che la persona il cui il nome figuri al registro fondiario viene reputata essere il proprietario del bene in questione e gode di tutti i ivi diritti afferenti. Per il restante dei beni immobiliari, avevano il diritto di chiedere la loro iscrizione sul registro basandosi sul certificato di eredità rilasciato dalla pretura il 6 maggio 1987. Non essendo stato contestato affatto il legame di parentela delle richiedenti col de cujus, la Corte stima che queste erano titolari di un diritto patrimoniale riconosciuto in diritto turco che si può qualificare come “bene” ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo no 1 per tutto il periodo di validità del certificato di eredità ( vedere Inze, precitata, § 38 ed Apostolid ed altri, precitata, § 67).
38. La Corte stima che l’annullamento del certificato di erede, sulla base del quale le richiedenti hanno proceduto all’iscrizione del bene controverso al registro fondiario, ha costituito un’ingerenza nel diritto delle interessate al rispetto dei loro beni. Stima dovere esaminare questa ingerenza alla luce della norma generale.
2. Sul principio di legalità
39. L’articolo 1 del Protocollo no 1 esige, innanzitutto e soprattutto, che un’ingerenza dell’autorità pubblica nel godimento del diritto al rispetto dei beni sia legale. La preminenza del diritto, uno dei principi fondamentali di una società democratica, è inerente all’insieme degli articoli della Convenzione (Amuur c. Francia, 25 giugno 1996, § 50, Raccolta delle sentenze e decisioni 1996-III, ed Iatridis c. Grecia [GC], no 31107/96, § 58, CEDH 1999-II). L’esistenza in quanto tale di una base legale non basta a soddisfare il principio di legalità e la Corte stima utile dedicarsi sulla questione della qualità della legge (Pasculli c. Italia, no 36818/97, § 84, 17 maggio 2005). Il principio di legalità significa l’esistenza di norme di diritto interno sufficientemente accessibili, precise e prevedibili (Hentrich c. Francia, 22 settembre 1994, § 42, serie A no 296-A, e Lithgow ed altri c. Regno Unito, 8 luglio 1986, § 110, serie A no 102). La valutazione di questo principio implica anche il fatto di verificare se il modo in cui il diritto interno viene applicato dalle giurisdizioni interne ha prodotto degli effetti conformi ai principi della Convenzione.
40. Poiché le giurisdizioni interne hanno annullato il certificato di eredità riferendosi al principio di reciprocità, la Corte ricorda che a differenza dei trattati internazionali di tipo classico, la Convenzione oltrepassa la cornice dalla semplice reciprocità tra Stati contraenti. Al di là di una rete di impegni sinallagmatici bilaterali, crea degli obblighi obiettivi che, ai termini del suo preambolo, beneficiano di una “garanzia collettiva” (Irlanda c. Regno Unito, 18 gennaio 1978, § 239, serie A no 25). Concludendo la Convenzione, gli Stati Contraenti non hanno voluto concedersi dei diritti e degli obblighi reciproci utili al perseguimento dei loro rispettivi interessi nazionali, ma realizzare gli obiettivi e gli ideali del Consiglio dell’Europa ed instaurare un ordine pubblico comunitario delle libere democrazie dell’Europa per salvaguardare il loro patrimonio comune di tradizioni politiche, di ideali, di libertà e di preminenza del diritto (Austria c. Italia, no 788/60, decisione della Commissione dell’ 11 gennaio 1961, Decisioni e rapporti, (DR, 1961-4, p,). 139).
41. Nello specifico, la Corte non stima necessario esaminare in abstracto se l’applicazione del principio di reciprocità in diritto turco è compatibile con la Convenzione ma ricercare se il modo in cui ha colpito le richiedenti ha infranto la Convenzione. A questo riguardo, osserva che l’applicazione di questo principio alle richiedenti non soddisfa l’esigenza di legalità, questo per le ragioni indicate qui di seguito.
42. La Corte osserva che, nei suoi giudizi in materia, ed in particolare nel suo giudizio del 9 marzo 2000, la pretura si è basata sulle conclusioni del rapporto del ministero della Giustizia per considerare che la condizione di reciprocità non era assolta e ha annullato il certificato di eredità delle richiedenti.
Ora, nella sua sentenza concernente la causa Apostolidi ed altri c. Turchia (precitata, paragrafi 73-78) a proposito di fatti simili che si erano svolti nello stesso periodo, la Corte ha stimato che non era stabilito che esisteva in Grecia una restrizione per i cittadini turchi in quanto all’acquisizione di un bene immobile tramite successione. Ha constatato inoltre che il rapporto menzionava espressamente la mancanza di restrizioni in quanto all’acquisizione di un bene immobile tramite successione, questo sia in data del decesso del de cujus che all’epoca del procedimento dinnanzi alla pretura. Se questo rapporto fa stato di informazioni secondo cui questo tipo di acquisizione viene impedito con diversi mezzi, queste non sono fondate su delle prove concrete (Apostolidi ed altri, precitata, §§ 73-74).
La Corte ha sottolineato anche in questa causa che, secondo una nota esplicativa della direzione generale delle cause giuridiche del ministero della Giustizia del 4 marzo 1987, le acquisizioni tramite successione non erano oggetto di restrizioni in Grecia, e questo tipo di acquisizione non era riguardata dalla limitazione geografica. La nota faceva stato di cittadini turchi che avevano acquisito dei beni tramite successione in Grecia (Apostolidi ed altri, § 75).
Inoltre, la Corte ha constatato che la regolamentazione in Turchia aveva subito una modifica il 3 febbraio 1988, con l’abrogazione del decreto del 2 novembre 1964 che era in vigore in data del decesso del de cujus della causa Apostolidi, come quello della presente causa. Il decreto del 23 marzo 1988, adottato a titolo addizionale a quello del 3 febbraio 1988, mirava espressamente ad ovviare alla situazione degli eredi che non avevano potuto procedere all’iscrizione dei loro beni immobili sul registro fondiario in ragione della restrizione imposta dal decreto del 1964 (Apostolidi ed altri, § 76).
La Corte ha preso anche nota della modifica legislativa portata nel 2005 all’articolo 35 del codice fondiario che riconosce il diritto d’ora in poi alla successione per i cittadini non nazionali anche se la condizione di reciprocità non è assolta. Se resta vero che il diritto di proprietà non è riconosciuto in questo caso specifico, il bene così ereditato viene liquidato e l’erede viene allora indennizzato (Apostolidi ed altri, § 77).
43. Nell’occorrenza, la Corte constata che non esiste nessuna circostanza che possa portarla a scostarsi dalle sue precedenti conclusioni. Alla vista dell’insieme degli elementi della pratica, ed avuto riguardo al fatto che non è stabilito che il principio di reciprocità non si applicava in Grecia ai cittadini turchi in quanto all’acquisizione di beni immobili tramite successione, l’applicazione alle richiedenti dell’articolo 35 del codice fondiario non poteva passare per sufficientemente prevedibile. La Corte ne conclude che l’ingerenza controversa è incompatibile col principio di legalità e che non è dunque conforme all’articolo 1 del Protocollo no 1.
III. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 14 DELLA CONVENZIONE
44. Le richiedenti si lamentano di un trattamento discriminatorio contrario all’articolo 14 della Convenzione.
45. Alla vista delle sue conclusioni sull’articolo 1 del Protocollo no 1, la Corte stima che non c’è luogo di esaminare separatamente se le richiedenti sono state vittime, in ragione della loro nazionalità, di una discriminazione contraria all’articolo 14.
IV. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
46. Le richiedenti sostengono che non hanno beneficiato di un processo equo all’epoca del procedimento dinnanzi alla pretura di Istanbul.
Si lamentano che le giurisdizioni interne non hanno interpretato correttamente il rapporto della Direzione generale delle relazioni estere e del diritto internazionale del ministero della Giustizia che è stato decisivo sulla conclusione della controversia dinnanzi a loro. Si lamentano anche del fatto che le sentenze della Corte di cassazione non erano sufficientemente motivate. Invocano a questo riguardo l’articolo 6 § 1 della Convenzione.
47. La Corte stima che questo motivo di appello non necessita un esame separato e che è assorbito da quello derivato dall’articolo 1 del Protocollo no 1.
V. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
48. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
49. Le richiedenti adducono di avere subito un danno, tanto patrimoniale che morale. Per il danno patrimoniale, le richiedenti richiedono 4 300 000 dollari americani (USD) (circa 3 118 600 euro (EUR)) all’epoca della richiesta, il 14 luglio 2007. Per la giustificazione, si riferiscono ad un rapporto di perizia, preparato da una società anonima Apeks Real Estate Appraisal Center Inc., il 12 giugno 2007. Il rapporto esamina in dettaglio i dati che riguardano i sette beni immobiliari in questione.
50. A titolo del danno morale, le richiedenti richiedono 500 000 USD (circa 362 600 EUR) indicando in particolare di essere state, costrette a lasciare il loro paese in seguito alla privazione controversa. Fanno sapere che sono state anche private del loro domicilio familiare e che la loro casa è stata affittata ad un club sportivo per una durata di 49 anni.
A titolo degli oneri e delle spese, chiedono il rimborso di 20 000 USD (circa 14 500 EUR) per il procedimento dinnanzi ai tribunali interni. Per il procedimento dinnanzi alla Corte, chiedono 1 613 USD (circa 1 170 EUR) per gli oneri di perizia ed il 6% della somma che sarà assegnata a titolo del danno materiale e morale per la parcella dei loro avvocati. Producono una fattura per il pagamento degli oneri della perizia ed una convenzione di parcella. Secondo questa ultima, i loro rappresentanti hanno percepito 10 000 EUR di anticipo, anticipo che sarà dedotto dall’ordinamento definitivo.
51. Il Governo contesta queste pretese che giudica eccessive.
52. Nelle circostanze della presente causa, la Corte stima che la questione dell’applicazione dell’articolo 41 non è matura, così che conviene riservarla tenendo in conto l’eventualità di un accordo tra lo stato convenuto ed le richiedenti.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ
1. Dichiara la richiesta ammissibile;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1;
3. Stabilisce che non è necessario esaminare separatamente i motivi di appello tratti dagli articoli 6 e 14 della Convenzione;
4. Stabilisce che la questione dell’applicazione dell’articolo 41 della Convenzione non è matura; perciò,
a) la riserva per intero;
b) invita il Governo ed le richiedenti a sottoporle per iscritto le loro osservazioni sulla questione entro tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva in virtù dell’articolo 44 § 2 della Convenzione e, in particolare, a darle cognizione di ogni accordo al quale potrebbero arrivare;
c) riserva l’ ulteriore procedimento e delega alla presidentessa della camera la cura di fissarlo all’occorrenza.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 23 febbraio 2010, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Sally Dollé Francesca Tulkens
Cancelliera Presidentessa