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Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE AGNIDIS c. TURQUIE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 3
Articoli:
Numero: 21668/02/2010
Stato: Turchia
Data: 2010-02-23 00:00:00
Organo: Sezione Seconda
Testo Originale

SECONDA SEZIONE
CAUSA AĞNİDİS C. TURCHIA
( Richiesta no 21668/02)
SENTENZA
(merito)
STRASBURGO
23 febbraio 2010
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.

Nella causa Ağnidis c. Turchia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Ireneu Cabral Barreto, Vladimiro Zagrebelsky, Danutė Jočienė, Dragoljub Popović, Nona Tsotsoria, Işıl Karakaş, giudici,
e da Sally Dollé, greffière di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 2 febbraio 2010,
Rende la sentenza che ha adottato in questa ultima data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 21668/02) diretta contro la Repubblica della Turchia e in cui due cittadine di questo Stato, le Sig.re E. A. ed E. A. (“le richiedenti”), hanno investito la Corte il 27 febbraio 2002 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Le richiedenti sono rappresentate dai L.-A. S. e C.M., avvocati ad Atene. Il governo turco (“il Governo”) è rappresentato dal suo agente.
3. Le richiedenti adducevano in particolare che l’annullamento del loro certificato di successione da parte delle giurisdizioni turche aveva infranto l’articolo 1 del Protocollo no 1 e l’articolo 14 della Convenzione. Si lamentavano anche del difetto di equità del procedimento dinnanzi alla pretura.
4. Il 10 novembre 2006, la Corte ha deciso di comunicare le richieste al Governo. Avvalendosi delle disposizioni dell’articolo 29 § 3, ha deciso che sarebbero state esaminate l’ammissibilità e la fondatezza della causa allo stesso tempo.
5. Il governo greco ha esercitato il suo diritto di intervenire nel procedimento scritto, articoli 36 § 1 della Convenzione e 44 § 1 b) dell’ordinamento. Il governo convenuto ha risposto alle osservazioni di questo, articolo 44 § 5 dell’ordinamento.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
6. Le richiedenti sono nate rispettivamente nel 1912 e 1937 e risiedono ad Istanbul.
7. Le richiedenti sono rispettivamente la moglie e la figlia di A. A., di nazionalità greca, deceduto il 2 marzo 1987 ad Istanbul.
8. Il 21 settembre 1950, A. A. acquisì tramite eredità i beni immobiliari di suo padre Y. A.. Con un giudizio di questa data, la corte d’appello di Istanbul designò A. come erede di Y. e gli rilasciò il suo certificato come erede.
9. Seguito al decesso di A., con un giudizio del 6 maggio 1987, la pretura di Istanbul (“la pretura”) designò le richiedenti come le sue eredi, rilasciò loro il loro certificato come eredi e decise che le richiedenti avevano ereditato rispettivamente un quarto, E. A. in quanto moglie, e trequarti, E. A. in quanto ragazza, dei beni di A..
10. Il 25 marzo 1994, la Direzione del servizio dei contenziosi di Istanbul (“la Direzione”), agendo a nome del Tesoro pubblico (“il Tesoro”), investì la pretura di un’istanza d’ annullamento del certificato di eredità di A. A. e chiese l’iscrizione del Tesoro in quanto erede di Y.. Sostenne che Y. A. era deceduto senza lasciare eredi e che in queste circostanze la sua successione spettava al Tesoro pubblico.
Le richiedenti si costituirono parte intervenute nel procedimento, sostenendo che erano le eredi legali di A. A., secondo il giudizio della pretura di Istanbul del 6 maggio 1987. Chiesero al tribunale di respingere questa istanza formulata contro una persona deceduta, ossia A. A..
11. Su richiesta della pretura, la Direzione generale delle relazioni estere e del diritto internazionale del ministero della Giustizia indirizzò un rapporto al tribunale. Il passaggio di questo rapporto come citato nella sentenza del tribunale si può leggere come segue:
“(…) secondo le leggi e i decreti promulgati dalla Grecia nel 1924, 1925, 1926, 1927, 1938 e 1990, i cittadini turchi che non sono di origine greca possono acquisire legalmente dei beni immobiliari su una zona che rappresenta il 55% del territorio greco sotto condizione di un’autorizzazione preliminare, utilizzata nella pratica come meccanismo che restringe le acquisizioni immobiliari. In queste condizioni, la condizione di reciprocità non è assolta. “
12. Il 3 luglio 1996, prendendo in considerazione il rapporto sopra citato, il fatto che la controversia riguardava dei beni immobiliari situati nelle isole Burgaz e Büyükada, il fatto che Y. A. era di nazionalità greca e l’articolo 35 del codice fondiario, la pretura annullò il giudizio del 21 settembre 1950 della corte d’appello di Istanbul e dichiarò unico successore di Y. A. il Tesoro.
13. Il 28 novembre 1996, la Corte di cassazione annullò il giudizio reso dalla prima istanza al motivo che l’azione della Direzione era intentata contro A. A., deceduto prima della data di immissione nel processo della pretura.
14. Il 5 giugno 1997, la pretura si conformò alla sentenza resa dalla Corte di cassazione e respinse la domanda della Direzione.
15. Il 22 settembre 1997, la Direzione introdusse allora un’azione contro le richiedenti e chiese l’annullamento del loro certificato di eredità del 21 settembre 1950, sostenendo che questo non rifletteva la verità.”
16. L’ 8 dicembre 1997, su richiesta del Tesoro pubblico, la pretura ordinò l’iscrizione di un sequestro conservatorio sul registro fondiario concernente i seguenti beni immobiliari: l’appezzamento no 6 (isolato 119) a Büyükada e gli appezzamenti numeri 2 (isolato 53); 1 (isolato 69); 3, 4 e 5 (isolato 71); 2 (isolato 74, e 10) (isolato 56, a Burgazada,).
17. Con una sentenza del 21 aprile 1998, la pretura, deliberando per difetto, annullò il giudizio del 21 settembre 1950 della corte d’appello, dichiarò unico successore di Y. A. il Tesoro e decise il trasferimento dei beni ereditati al Tesoro.
Nelle sue considerazioni, il tribunale notò da prima che la convocazione delle richiedenti era stata fatta tramite un annuncio sulla stampa, ma che non si erano presentate alle udienze.
Poi, il tribunale constatò che tutte le prove erano state raccolte durante il precedente procedimento, che si era procurato di una copia del giudizio del 21 settembre 1950, ma che la pratica non era stata trovata, che era stabilito chiaramente che A., o A., era di nazionalità greca, avuto riguardo alla richiesta di introduzione della domanda indirizzata al tribunale di Istanbul nel 1987 da parte delle richiedenti ed allo scritto del Consolato generale della Grecia ad Istanbul del 16 aprile 1987.
Infine, il tribunale notò che, secondo l’articolo 35 del codice fondiario, doveva ricercare se la condizione di reciprocità era assolta, ma basandosi sul rapporto presentato dalla Direzione generale delle relazioni estere e dal diritto internazionale del ministero della Giustizia, constatò che suddetta condizione di reciprocità non era, de facto, rispettata .
18. Il 13 settembre 1999, le richiedenti investirono la pretura di un’istanza di riesame della causa. Affermarono che il procedimento per annullamento del certificato di eredità si era svolto in loro assenza e che a seguito di questo giudizio la corte d’appello di Beyoğlu aveva deciso di registrare i loro beni immobiliari a nome del Tesoro pubblico. Secondo le richiedenti, la convocazione per il procedimento era stata mandata ad un indirizzo che avevano lasciato il 27 febbraio 1998; poi la convocazione era stata fatta tramite un annuncio sulla stampa; infine la notifica del giudizio di annullamento era stata fatta per mezzo di un annuncio sulla stampa e non erano state avvisate regolarmente.
19. La pretura accettò l’istanza delle richiedenti per il riesame della causa. Il 9 marzo 2000, respinse tuttavia, la loro istanza sul merito, interinò di nuovo il suo precedente giudizio ed annullò il giudizio del 21 settembre 1950 della corte d’appello.
20. Il ricorso in cassazione introdotto dalle richiedenti fu respinto dalla Corte di cassazione il 6 novembre 2000.
21. Il ricorso per rettifica della sentenza intentata dalle richiedenti fu respinto il 27 settembre 2001.
II. I DOCUMENTI PRODOTTI DALLE PARTI
22. Le richiedenti hanno prodotto uno scritto della Direzione dei titoli e del catasto del 15 giugno 2007 secondo cui il bene immobiliare che le richiedenti utilizzavano come domicilio familiare, ubicato a Büyükada e registrato sotto i numeri isolato 119 ed appezzamento 6, è stato registrato a nome del Tesoro pubblico il 3 marzo 2006, mentre era fino a quel momento a nome delle richiedenti. Secondo questa informazione, il 1 giugno 2007, questo bene immobiliare è stato ceduto per 49 anni al club di sport nautici e di scherma.
23. Hanno prodotto anche dei titoli di proprietà che dimostravano che i beni immobiliari in questione erano stati registrati a loro nome sul registro fondiario il 9 settembre 1987 per il bene immobiliare ubicato a Büyükada ed il 6 aprile 1990 per gli altri -ossia l’appezzamento no 6 (isolato 119) di 642 m² a Büyükada, e gli appezzamenti numeri 2 (isolato 53), 3 (isolato 71), 4 (isolato 71, e 5) (isolato 71) di 1485,5 m², 329 m², 338 m² e 351 m² a Burgazada.
24. Le richiedenti hanno prodotto anche un certo numero di ricevute che dimostrano che hanno saldato imposte sull’eredità nel 1987 e le imposte fondiarie fino al 2004 per i beni immobiliari che hanno ereditato.
III. IL DIRITTO E LE PRATICA INTERNA PERTINENTI
25. Il diritto e la pratica interna pertinenti sono descritti nella sentenza Apostolidi ed altri c. Turchia (no 45628/99, §§ 49-56, 27 marzo 2007,).
IN DIRITTO
I. SULL’ECCEZIONE DEL GOVERNO
26. Il Governo chiede alla Corte di dichiarare la richiesta inammissibile nella misura in cui le richiedenti non hanno introdotto la loro richiesta entro sei mesi a decorrere a partire dal 23 settembre 1998, data in cui il giudizio del 21 aprile 1998 sarebbe diventato definitivo, in mancanza di ricorso in cassazione da parte loro. Questo procedimento si è svolto in assenza delle richiedenti, perché sono restate indifferenti e non hanno comunicato il loro nuovo indirizzo al tribunale, mentre si erano costituite parte intervenuta al precedente procedimento che riguardava stesso motivo e dovevano aspettarsi un nuovo procedimento.
Secondo il Governo, anche se le richiedenti hanno introdotto un’istanza di riesame della causa il 13 settembre 1999 dinnanzi alla pretura di Istanbul, questa via di ricorso è una via straordinaria e non è necessaria per l’introduzione della richiesta dinnanzi alla Corte ai sensi dell’articolo 35 della Convenzione. Di conseguenza, secondo lui, il termine dei sei mesi previsto dall’articolo 35 § 1 della Convenzione deve decorrere a partire dal 23 settembre 1998.
27. Le richiedenti sostengono che hanno esaurito tutte le vie di ricorso interne necessarie e pertinenti prima di introdurre la loro richiesta dinnanzi alla Corte. Fanno sapere che in seguito alla loro istanza formulata il 13 settembre 1999, la pretura ha riesaminato il merito della causa e ha rettificato l’errore concernente l’irregolarità della notifica. Riferendosi alla giurisprudenza della Corte secondo la quale la finalità dell’articolo 35 § 1 della Convenzione è di predisporre agli Stati contraenti l’occasione di prevenire o risanare le violazioni addotte contro loro prima che queste affermazioni vengano sottoposte agli organi della Convenzione (vedere, tra altre, Selmouni c. Francia [GC], no 25803/94, § 74, CEDH 1999-V) le richiedenti pretendono che l’ultima decisione interna è la sentenza della Corte di cassazione del 27 settembre 2001 e chiedono alla Corte di respingere l’eccezione del Governo.
28. Anche il governo greco chiede alla Corte di respingere l’eccezione del Governo derivata dell’inosservanza del termine dei sei mesi. Sostiene che la pretura di Istanbul si è impadronita di nuovo della causa su richiesta delle richiedenti del 13 settembre 1999 e che questo procedimento ha dato adito a nuovo giudizio. Con questo nuovo giudizio del 9 marzo 2000, la pretura ha annullato il certificato di eredità di A. A.. La sentenza della Corte di cassazione del 27 settembre 2001 è l’ultima sentenza di questo procedimento e, di conseguenza, il termine dei sei mesi ai sensi dell’articolo 35 § 1 della Convenzione devono cominciare a decorrere a partire dalla data della comunicazione di questa ultima sentenza.
29. La Corte ricorda che il termine dei sei mesi previsto dall’articolo 35 § 1 della Convenzione può cominciare a decorrere solo a partire dal momento in cui l’interessato ha una cognizione effettiva e sufficiente della decisione interna definitiva. Peraltro, è allo stato che eccepisce dell’inosservanza del termine di sei mesi che appartiene stabilire la data in cui il richiedente ha avuto cognizione della decisione interna definitiva (Baghli c. Francia, no 34374/97, § 31, CEDH 1999-VIII). Nell’occorrenza, la Corte constata che non è stato dimostrato che le richiedenti abbiano ricevuto convocazione in buona e dovuta forma per il procedimento iniziato dal Tesoro pubblico il 22 settembre 1997 né notifica in buona e dovuta forma del giudizio del 23 settembre 1998. Nota che le richiedenti hanno introdotto un’istanza di riesame della causa il 13 marzo 1999, che la pretura l’ha accettata e respinta poi sul merito. La data in cui le richiedenti hanno introdotto la loro richiesta, ossia il 27 febbraio 2002, si trova chiaramente all’interno dei sei seguenti mesi la dato della sentenza della sentenza della Corte di cassazione del 27 settembre 2001 sul ricorso per rettifica. Secondo la Corte, questa sentenza costituisce l’ultima decisione interna definitiva ai sensi dell’articolo 35 § 1 della Convenzione. Perciò, l’eccezione del Governo deve essere respinta.
30. La Corte constata che la richiesta non è manifestamente mal fondata ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. Rileva peraltro che questa non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararla ammissibile.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 1
31. Le richiedenti sostengono che annullando il loro certificato di eredità, le giurisdizioni interne hanno violato il loro diritto al rispetto dei loro beni. Secondo loro, la privazione di proprietà è stata operata in condizioni contrarie ai principi generali del diritto internazionale. Vedono una violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 che recita come segue:
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non a causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non recano offesa al diritto che possiedono gli Stati di mettere in vigore le leggi che giudicano necessarie per regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale o per garantire il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle multe. “
A. Argomenti delle parti
1. Il governo convenuto
32. Il Governo sostiene che le richiedenti non disponevano di un “bene” ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n no 1. Riferendosi in materia alla giurisprudenza della Corte (vedere, tra altre, Marckx c. Belgio, 13 giugno 1979, § 50, serie A no 31) sostiene che questa disposizione vale solamente per i beni reali e non garantisce il diritto ad acquisirne tramite successione ab intestat o liberalità. Fa osservare che il certificato di eredità fa nascere solamente una semplice presunzione e non costituisce una re judicata. A questo motivo, fa ricordare che i due beni immobiliari controversi, ossia gli appezzamenti numeri 1 (isolato 69, e 2 (isolato 74) ubicato a Burgazada, non sono stati mai registrati a nome delle richiedenti sul registro fondiario. Peraltro, il governo convenuto sostiene che per avvalersi della protezione di questa disposizione, le richiedenti dovevano ancora disporre legalmente dei beni in questione. Secondo lui, ne va diversamente nello specifico. Spiega che in virtù dell’articolo 22 della legge no 2675 relativo al diritto internazionale privato ed ai procedimenti ivi relativi, se il defunto non ha eredi al senso del diritto turco, la proprietà dei beni che figurano nel suo patrimonio viene trasferita al Tesoro pubblico.
Peraltro, secondo l’articolo 35 del codice fondiario, i cittadini esteri possono acquisire la proprietà di un bene immobile tramite successione solo se la condizione di reciprocità viene assolta che può essere de jure o de facto. A questo riguardo, fa notare che la Corte ha ammesso la possibilità per gli Stati di restringere l’acquisizione di beni immobili da parte dei cittadini esteri e si riferisce alla causa Jantner c. Slovacchia (no 39050/97, 4 marzo 2003,). Aggiunge che in virtù della legge no 1062 del 28 maggio 1927 relativa alla reciprocità (mukabele-i bilmisil kanunu) le autorità possono sequestrare i beni dei no-nazionali il cui paese restringe i diritti dei cittadini turchi.
Riferendosi al rapporto preparato dalla Direzione generale delle relazioni estere e del diritto internazionale del ministero della Giustizia su cui si è basata la pretura, il Governo fa osservare che le giurisdizioni turche hanno considerato che la legislazione greca e la pratica in vigore all’epoca dei fatti non permettevano l’acquisizione di beni immobili da parte dei cittadini turchi. Secondo lui, la legge greca del 1990 vietava ai cittadini turchi ogni transazione relativa all’acquisizione di un bene immobile su circa il 55% del territorio greco. Sottolinea che né le richiedenti né il governo greco hanno prodotto alcuna prova, come una decisione di giustizia o un’iscrizione sul registro, che dimostrasse che i cittadini turchi potevano acquisire un bene immobile traite eredità. Ne conclude che le restrizioni imposte ai cittadini greci sono conformi al principio di reciprocità, come previsto dall’articolo 35 del codice fondiario e dall’articolo 1 della legge del 28 maggio 1927.
2. Le richiedenti
33. Le richiedenti contestano gli argomenti del Governo. Fanno sapere al primo colpo che la presente causa ha molte similitudini col causa Apostolidi ed altri c. Turchia, precitata nella quale la Corte ha concluso alla violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1. Fanno osservare che l’insieme dei beni immobiliari che sono oggetto della presente richiesta era stato ereditato da A. A. ai termini del giudizio della pretura di Istanbul del 21 settembre 1950, che il certificato di eredità rilasciato da questo giudizio non era mai stato contestato fino al 1987, anno del decesso dell’interessato, ed alla fine le richiedenti hanno ereditato suddetti beni immobiliari tramite certificato di eredità rilasciato dalla pretura di Istanbul il 6 maggio 1987. Sottolineano che il Tesoro pubblico non ha messo in dubbio la validità del certificato del 1950 che nel 1994, o 44 anni dopo essere stato rilasciato. Ricordano che durante tutto questo periodo, hanno utilizzato pacificamente i beni in questione e hanno pagato le imposte per l’insieme dei beni fino al 2004.
Per ciò che riguarda le osservazioni del governo convenuto in quanto ai due beni immobiliari, ossia gli appezzamenti numeri 1 (isolato 69) e 2 (isolato 74) ubicato a Burgazada, le richiedenti fanno sapere che non è contestato da questo che anche questi due beni immobiliari erano iscritti a nome di A. A, sul registro fondiario fino alla sua morte, nel 1987. Sostengono anche che il Governo non ha contestato mai il fatto che erano le eredi legali del de cujus. Infine, sostengono che l’annullamento del loro certificato di eredità costituisce un’ingerenza ingiustificata, che sono state private del loro diritto di proprietà senza che esistesse una causa di utilità pubblica, che questa ingerenza non è prevista dalla legge e che, alla fine, non è proporzionata nella misura in cui nessuna indennità è stata accordata loro.
3. Il governo greco
34. Il governo greco sostiene che le richiedenti erano titolari di un “bene” ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo no 1. Fa notare che le richiedenti si erano viste rilasciare dalle giurisdizioni turche un certificato di eredità nel 1987 in seguito al decesso di A. A.. Sostiene che la giustificazione considerata dalle giurisdizioni interne per annullare questo certificato non è pertinente nella misura in cui, da una parte, il principio di reciprocità non si applica per le questioni relative alla protezione dei diritti dell’uomo e, dall’altra parte, i cittadini turchi possono accedere alla proprietà di beni immobili in Grecia tramite successione. Nessuna disposizione della legislazione greca vieta ai cittadini turchi di accedere alla proprietà tramite successione, e questo in qualsiasi regione del paese. Trattandosi della restrizione prevista dalla legge del 1990, fa notare che questa riguarda solamente una parte del territorio situato nelle regioni di frontiera e che è giustificata da interessi legittimi di protezione della difesa e della sicurezza nazionale. In più, questa interdizione riguarda esclusivamente gli atti inter vivos e non gli atti mortis causa.
35. Il governo greco aggiunge che l’ingerenza nel diritto delle richiedenti al rispetto dei loro beni non era previsto dai principi generali del diritto internazionale, tanto più che non lo era dalla legislazione nazionale stessa nella misura in cui il decreto ministeriale turco del 1988 ha abolito le restrizioni in quanto all’acquisizione di beni immobili sul territorio turco da parte dei cittadino greco. Le giurisdizioni turche hanno negato così di conformarsi al loro proprio diritto nazionale. Aggiunge che l’interpretazione fatta dalle giurisdizioni nazionali ha creato una situazione arbitraria ed una mancanza di sicurezza e di prevedibilità.
B. Parere della Corte
1. Sull’esistenza di un bene
36. La Corte ricorda che la nozione di “bene” previsto dalla prima parte dell’articolo 1 del Protocollo no 1 ha una portata autonoma che è indipendente rispetto alle qualifiche formali del diritto interno (Beyeler c. Italia [GC], no 33202/96, § 100, CEDH 2000-I). Questo articolo si limita a consacrare il diritto di ciascuno al rispetto dei “suoi” beni, vale di conseguenza solo per i beni reali e non garantisce il diritto di acquisirne tramite successione ab intestato o liberalità” (Marckx c. Belgio, precitato, § 50, ed Inze c. Austria, 28 ottobre 1987, § 37, serie A no 126). La nozione di “bene” può ricoprire tanto i “beni reali” che i valori patrimoniali, ivi compreso dei crediti, in virtù dei quali un richiedente può pretendere di avere almeno una “speranza legittima” di ottenere il godimento effettivo di un diritto di proprietà (Kopecký c. Slovacchia [GC], no 44912/98, § 35, CEDH 2004-IX).
37. Nello specifico, la Corte nota al primo colpo che i beni immobiliari erano iscritti sul registro fondiario al nome del de cujus in data del suo decesso. Il 6 maggio 1987, la pretura ha rilasciato alle richiedenti un certificato di eredità dopo avere stabilito il loro legame di parentela con A. A.. Secondo il diritto turco, questo certificato è necessario per attestare la qualità di erede presso le autorità o terzi e per potere disporre dei beni ereditati (vedere Apostolidi ed altri, precitata, § 54). E’ per questo del resto che le richiedenti hanno proceduto, per una parte dei beni immobiliari (paragrafo 23 sopra) all’iscrizione del loro nome sul registro fondiario. A questo riguardo, la Corte nota che la persona il cui il nome figuri al registro fondiario viene reputata essere il proprietario del bene in questione e gode di tutti i ivi diritti afferenti. Per il restante dei beni immobiliari, avevano il diritto di chiedere la loro iscrizione sul registro basandosi sul certificato di eredità rilasciato dalla pretura il 6 maggio 1987. Non essendo stato contestato affatto il legame di parentela delle richiedenti col de cujus, la Corte stima che queste erano titolari di un diritto patrimoniale riconosciuto in diritto turco che si può qualificare come “bene” ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo no 1 per tutto il periodo di validità del certificato di eredità ( vedere Inze, precitata, § 38 ed Apostolid ed altri, precitata, § 67).
38. La Corte stima che l’annullamento del certificato di erede, sulla base del quale le richiedenti hanno proceduto all’iscrizione del bene controverso al registro fondiario, ha costituito un’ingerenza nel diritto delle interessate al rispetto dei loro beni. Stima dovere esaminare questa ingerenza alla luce della norma generale.
2. Sul principio di legalità
39. L’articolo 1 del Protocollo no 1 esige, innanzitutto e soprattutto, che un’ingerenza dell’autorità pubblica nel godimento del diritto al rispetto dei beni sia legale. La preminenza del diritto, uno dei principi fondamentali di una società democratica, è inerente all’insieme degli articoli della Convenzione (Amuur c. Francia, 25 giugno 1996, § 50, Raccolta delle sentenze e decisioni 1996-III, ed Iatridis c. Grecia [GC], no 31107/96, § 58, CEDH 1999-II). L’esistenza in quanto tale di una base legale non basta a soddisfare il principio di legalità e la Corte stima utile dedicarsi sulla questione della qualità della legge (Pasculli c. Italia, no 36818/97, § 84, 17 maggio 2005). Il principio di legalità significa l’esistenza di norme di diritto interno sufficientemente accessibili, precise e prevedibili (Hentrich c. Francia, 22 settembre 1994, § 42, serie A no 296-A, e Lithgow ed altri c. Regno Unito, 8 luglio 1986, § 110, serie A no 102). La valutazione di questo principio implica anche il fatto di verificare se il modo in cui il diritto interno viene applicato dalle giurisdizioni interne ha prodotto degli effetti conformi ai principi della Convenzione.
40. Poiché le giurisdizioni interne hanno annullato il certificato di eredità riferendosi al principio di reciprocità, la Corte ricorda che a differenza dei trattati internazionali di tipo classico, la Convenzione oltrepassa la cornice dalla semplice reciprocità tra Stati contraenti. Al di là di una rete di impegni sinallagmatici bilaterali, crea degli obblighi obiettivi che, ai termini del suo preambolo, beneficiano di una “garanzia collettiva” (Irlanda c. Regno Unito, 18 gennaio 1978, § 239, serie A no 25). Concludendo la Convenzione, gli Stati Contraenti non hanno voluto concedersi dei diritti e degli obblighi reciproci utili al perseguimento dei loro rispettivi interessi nazionali, ma realizzare gli obiettivi e gli ideali del Consiglio dell’Europa ed instaurare un ordine pubblico comunitario delle libere democrazie dell’Europa per salvaguardare il loro patrimonio comune di tradizioni politiche, di ideali, di libertà e di preminenza del diritto (Austria c. Italia, no 788/60, decisione della Commissione dell’ 11 gennaio 1961, Decisioni e rapporti, (DR, 1961-4, p,). 139).
41. Nello specifico, la Corte non stima necessario esaminare in abstracto se l’applicazione del principio di reciprocità in diritto turco è compatibile con la Convenzione ma ricercare se il modo in cui ha colpito le richiedenti ha infranto la Convenzione. A questo riguardo, osserva che l’applicazione di questo principio alle richiedenti non soddisfa l’esigenza di legalità, questo per le ragioni indicate qui di seguito.
42. La Corte osserva che, nei suoi giudizi in materia, ed in particolare nel suo giudizio del 9 marzo 2000, la pretura si è basata sulle conclusioni del rapporto del ministero della Giustizia per considerare che la condizione di reciprocità non era assolta e ha annullato il certificato di eredità delle richiedenti.
Ora, nella sua sentenza concernente la causa Apostolidi ed altri c. Turchia (precitata, paragrafi 73-78) a proposito di fatti simili che si erano svolti nello stesso periodo, la Corte ha stimato che non era stabilito che esisteva in Grecia una restrizione per i cittadini turchi in quanto all’acquisizione di un bene immobile tramite successione. Ha constatato inoltre che il rapporto menzionava espressamente la mancanza di restrizioni in quanto all’acquisizione di un bene immobile tramite successione, questo sia in data del decesso del de cujus che all’epoca del procedimento dinnanzi alla pretura. Se questo rapporto fa stato di informazioni secondo cui questo tipo di acquisizione viene impedito con diversi mezzi, queste non sono fondate su delle prove concrete (Apostolidi ed altri, precitata, §§ 73-74).
La Corte ha sottolineato anche in questa causa che, secondo una nota esplicativa della direzione generale delle cause giuridiche del ministero della Giustizia del 4 marzo 1987, le acquisizioni tramite successione non erano oggetto di restrizioni in Grecia, e questo tipo di acquisizione non era riguardata dalla limitazione geografica. La nota faceva stato di cittadini turchi che avevano acquisito dei beni tramite successione in Grecia (Apostolidi ed altri, § 75).
Inoltre, la Corte ha constatato che la regolamentazione in Turchia aveva subito una modifica il 3 febbraio 1988, con l’abrogazione del decreto del 2 novembre 1964 che era in vigore in data del decesso del de cujus della causa Apostolidi, come quello della presente causa. Il decreto del 23 marzo 1988, adottato a titolo addizionale a quello del 3 febbraio 1988, mirava espressamente ad ovviare alla situazione degli eredi che non avevano potuto procedere all’iscrizione dei loro beni immobili sul registro fondiario in ragione della restrizione imposta dal decreto del 1964 (Apostolidi ed altri, § 76).
La Corte ha preso anche nota della modifica legislativa portata nel 2005 all’articolo 35 del codice fondiario che riconosce il diritto d’ora in poi alla successione per i cittadini non nazionali anche se la condizione di reciprocità non è assolta. Se resta vero che il diritto di proprietà non è riconosciuto in questo caso specifico, il bene così ereditato viene liquidato e l’erede viene allora indennizzato (Apostolidi ed altri, § 77).
43. Nell’occorrenza, la Corte constata che non esiste nessuna circostanza che possa portarla a scostarsi dalle sue precedenti conclusioni. Alla vista dell’insieme degli elementi della pratica, ed avuto riguardo al fatto che non è stabilito che il principio di reciprocità non si applicava in Grecia ai cittadini turchi in quanto all’acquisizione di beni immobili tramite successione, l’applicazione alle richiedenti dell’articolo 35 del codice fondiario non poteva passare per sufficientemente prevedibile. La Corte ne conclude che l’ingerenza controversa è incompatibile col principio di legalità e che non è dunque conforme all’articolo 1 del Protocollo no 1.
III. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 14 DELLA CONVENZIONE
44. Le richiedenti si lamentano di un trattamento discriminatorio contrario all’articolo 14 della Convenzione.
45. Alla vista delle sue conclusioni sull’articolo 1 del Protocollo no 1, la Corte stima che non c’è luogo di esaminare separatamente se le richiedenti sono state vittime, in ragione della loro nazionalità, di una discriminazione contraria all’articolo 14.
IV. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
46. Le richiedenti sostengono che non hanno beneficiato di un processo equo all’epoca del procedimento dinnanzi alla pretura di Istanbul.
Si lamentano che le giurisdizioni interne non hanno interpretato correttamente il rapporto della Direzione generale delle relazioni estere e del diritto internazionale del ministero della Giustizia che è stato decisivo sulla conclusione della controversia dinnanzi a loro. Si lamentano anche del fatto che le sentenze della Corte di cassazione non erano sufficientemente motivate. Invocano a questo riguardo l’articolo 6 § 1 della Convenzione.
47. La Corte stima che questo motivo di appello non necessita un esame separato e che è assorbito da quello derivato dall’articolo 1 del Protocollo no 1.
V. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
48. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
49. Le richiedenti adducono di avere subito un danno, tanto patrimoniale che morale. Per il danno patrimoniale, le richiedenti richiedono 4 300 000 dollari americani (USD) (circa 3 118 600 euro (EUR)) all’epoca della richiesta, il 14 luglio 2007. Per la giustificazione, si riferiscono ad un rapporto di perizia, preparato da una società anonima Apeks Real Estate Appraisal Center Inc., il 12 giugno 2007. Il rapporto esamina in dettaglio i dati che riguardano i sette beni immobiliari in questione.
50. A titolo del danno morale, le richiedenti richiedono 500 000 USD (circa 362 600 EUR) indicando in particolare di essere state, costrette a lasciare il loro paese in seguito alla privazione controversa. Fanno sapere che sono state anche private del loro domicilio familiare e che la loro casa è stata affittata ad un club sportivo per una durata di 49 anni.
A titolo degli oneri e delle spese, chiedono il rimborso di 20 000 USD (circa 14 500 EUR) per il procedimento dinnanzi ai tribunali interni. Per il procedimento dinnanzi alla Corte, chiedono 1 613 USD (circa 1 170 EUR) per gli oneri di perizia ed il 6% della somma che sarà assegnata a titolo del danno materiale e morale per la parcella dei loro avvocati. Producono una fattura per il pagamento degli oneri della perizia ed una convenzione di parcella. Secondo questa ultima, i loro rappresentanti hanno percepito 10 000 EUR di anticipo, anticipo che sarà dedotto dall’ordinamento definitivo.
51. Il Governo contesta queste pretese che giudica eccessive.
52. Nelle circostanze della presente causa, la Corte stima che la questione dell’applicazione dell’articolo 41 non è matura, così che conviene riservarla tenendo in conto l’eventualità di un accordo tra lo stato convenuto ed le richiedenti.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ
1. Dichiara la richiesta ammissibile;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1;
3. Stabilisce che non è necessario esaminare separatamente i motivi di appello tratti dagli articoli 6 e 14 della Convenzione;
4. Stabilisce che la questione dell’applicazione dell’articolo 41 della Convenzione non è matura; perciò,
a) la riserva per intero;
b) invita il Governo ed le richiedenti a sottoporle per iscritto le loro osservazioni sulla questione entro tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva in virtù dell’articolo 44 § 2 della Convenzione e, in particolare, a darle cognizione di ogni accordo al quale potrebbero arrivare;
c) riserva l’ ulteriore procedimento e delega alla presidentessa della camera la cura di fissarlo all’occorrenza.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 23 febbraio 2010, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Sally Dollé Francesca Tulkens
Cancelliera Presidentessa

Testo Tradotto

DEUXIÈME SECTION
AFFAIRE AĞNİDİS c. TURQUIE
(Requête no 21668/02)
ARRÊT
(fond)
STRASBOURG
23 février 2010
Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l’article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire Ağnidis c. Turquie,
La Cour européenne des droits de l’homme (deuxième section), siégeant en une chambre composée de :
Françoise Tulkens, présidente,
Ireneu Cabral Barreto,
Vladimiro Zagrebelsky,
Danutė Jočienė,
Dragoljub Popović,
Nona Tsotsoria,
Işıl Karakaş, juges,
et de Sally Dollé, greffière de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 2 février 2010,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette dernière date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 21668/02) dirigée contre la République de Turquie et dont deux ressortissantes de cet Etat, Mmes E. A. et E. A. (« les requérantes »), ont saisi la Cour le 27 février 2002 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (« la Convention »).
2. Les requérantes sont représentées par Mes L.-A. S. et C. M., avocats à Athènes. Le gouvernement turc (« le Gouvernement ») est représenté par son agent.
3. Les requérantes alléguaient en particulier que l’annulation de leur certificat de succession par les juridictions turques avait enfreint l’article 1 du Protocole no 1 et l’article 14 de la Convention. Elles se plaignaient aussi du défaut d’équité de la procédure devant le tribunal d’instance.
4. Le 10 novembre 2006, la Cour a décidé de communiquer les requêtes au Gouvernement. Se prévalant des dispositions de l’article 29 § 3, elle a décidé que seraient examinés en même temps la recevabilité et le bien-fondé de l’affaire.
5. Le gouvernement grec a exercé son droit d’intervenir dans la procédure écrite (articles 36 § 1 de la Convention et 44 § 1 b) du règlement). Le gouvernement défendeur a répondu aux observations de celui-ci (article 44 § 5 du règlement).
EN FAIT
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
6. Les requérantes sont nées respectivement en 1912 et 1937 et résident à Istanbul.
7. Les requérantes sont respectivement l’épouse et la fille d’A. A., de nationalité grecque, décédé le 2 mars 1987 à Istanbul.
8. Le 21 septembre 1950, A. A. acquit par héritage les biens immobiliers de son père Y. A.. Par un jugement de cette date, le tribunal de grande instance d’Istanbul désigna A. comme héritier de Y. et lui délivra son certificat d’héritier.
9. Suite au décès d’A., par un jugement du 6 mai 1987, le tribunal d’instance d’Istanbul (« le tribunal d’instance ») désigna les requérantes comme ses héritieres, leur délivra leur certificat d’héritier et décida que les requérantes avaient hérité respectivement du quart (Ekaterina A. en tant qu’épouse) et des trois-quarts (E.A. en tant que fille) des biens d’A..
10. Le 25 mars 1994, la Direction du service des contentieux d’Istanbul (« la Direction »), agissant au nom du Trésor public (« le Trésor »), saisit le tribunal d’instance d’une demande en annulation du certificat d’héritier d’A. A. et demanda l’inscription du Trésor en tant qu’héritier de Y.. Elle soutint que Y. A. était décédé sans laisser d’héritier et que dans ces circonstances sa succession revenait au Trésor public.
Les requérantes se constituèrent partie intervenante dans la procédure, en soutenant qu’elles étaient les héritières légales d’A. A., d’après le jugement du tribunal d’instance d’Istanbul du 6 mai 1987. Elles demandèrent au tribunal de rejeter cette demande formulée contre une personne décédée, à savoir A. A..
11. Sur demande du tribunal d’instance, la Direction générale des relations étrangères et du droit international du ministère de la Justice adressa un rapport au tribunal. Le passage de ce rapport tel que cité dans l’arrêt du tribunal peut se lire comme suit :
« (…) d’après les lois et décrets promulgués par la Grèce en 1924, 1925, 1926, 1927, 1938 et 1990, les ressortissants turcs qui ne sont pas d’origine grecque peuvent légalement acquérir des biens immobiliers sur une zone représentant 55 % du territoire grec sous condition d’une autorisation préalable, utilisée dans la pratique comme un mécanisme restreignant les acquisitions immobilières. Dans ces conditions, la condition de réciprocité n’est pas remplie. »
12. Le 3 juillet 1996, prenant en considération le rapport suscité, le fait que le litige concernait les biens immobiliers situés dans les îles Burgaz et Büyükada, le fait que Y. A. était de nationalité grecque et l’article 35 du code foncier, le tribunal d’instance annula le jugement du 21 septembre 1950 du tribunal de grande instance d’Istanbul et déclara le Trésor unique successeur de Y. A..
13. Le 28 novembre 1996, la Cour de cassation annula le jugement rendu par la première instance au motif que l’action de la Direction était intentée à l’encontre d’A. A., décédé avant la date de saisine du tribunal d’instance.
14. Le 5 juin 1997, le tribunal d’instance se conforma à l’arrêt rendu par la Cour de cassation et rejeta la demande de la Direction.
15. Le 22 septembre 1997, la Direction introduisit alors une action à l’encontre des requérantes et demanda l’annulation de leur certificat d’héritier du 21 septembre 1950, en soutenant que celui-ci « ne reflétait pas la vérité ».
16. Le 8 décembre 1997, sur la demande du Trésor public, le tribunal d’instance ordonna l’inscription d’une saisie conservatoire au registre foncier concernant les biens immobiliers suivants: la parcelle no 6 (îlot 119) à Büyükada et les parcelles numéros 2 (îlot 53) ; 1 (îlot 69) ; 3, 4 et 5 (îlot 71) ; 2 (îlot 74) et 10 (îlot 56) à Burgazada.
17. Par un arrêt du 21 avril 1998, le tribunal d’instance, statuant par défaut, annula le jugement du 21 septembre 1950 du tribunal de grande instance, déclara le Trésor unique successeur de Yorgi Ağnidis et décida le transfert des biens hérités au Trésor.
Dans ses attendus, le tribunal nota d’abord que la convocation des requérantes avait été faite par une annonce dans la presse, mais qu’elles ne s’étaient pas présentées aux audiences.
Ensuite, le tribunal constata que toutes les preuves avaient été recueillies pendant la procédure précédente, qu’il s’était procuré d’une copie du jugement du 21 septembre 1950, mais que le dossier n’avait pas été trouvé, qu’il était clairement établi qu’A. (ou A.) était de nationalité grecque, eu égard à la requête d’introduction de la demande adressée au tribunal d’Istanbul en 1987 par les requérantes et à l’écrit du Consulat général de Grèce à Istanbul du 16 avril 1987.
Enfin, le tribunal nota que, d’après l’article 35 du code foncier, il devait rechercher si la condition de réciprocité était remplie, mais en se fondant sur le rapport suscité de la Direction générale des relations étrangères et du droit international du ministère de la Justice, il constata que ladite condition de réciprocité n’était, de facto, pas remplie.
18. Le 13 septembre 1999, les requérantes saisirent le tribunal d’instance d’une demande de réexamen de l’affaire. Elles affirmèrent que la procédure en annulation du certificat d’héritier s’était déroulée en leur absence et que suite à ce jugement le tribunal de grande instance de Beyoğlu avait décidé d’enregistrer leurs biens immobiliers au nom du Trésor public. Selon les requérantes, la convocation pour la procédure avait été envoyée à une adresse qu’elles avaient quittée le 27 février 1998 ; ensuite la convocation avait été faite par une annonce dans la presse ; enfin la notification du jugement d’annulation avait été faite au moyen d’une annonce dans la presse et elles n’en avaient pas été régulièrement avisées.
19. Le tribunal d’instance accepta la demande des requérantes pour le réexamen de l’affaire. Toutefois, le 9 mars 2000, elle rejeta leur demande sur le fond, entérina à nouveau son jugement précédent et annula le jugement du 21 septembre 1950 du tribunal de grande instance.
20. Le recours en cassation introduit par les requérantes fut rejeté par la Cour de cassation le 6 novembre 2000.
21. Le recours en rectification de l’arrêt intenté par les requérantes fut rejeté le 27 septembre 2001.
II. LES DOCUMENTS PRODUITS PAR LES PARTIES
22. Les requérantes ont produit un écrit de la Direction des titres et du cadastre du 15 juin 2007, selon lequel le bien immobilier que les requérantes utilisaient comme maison familiale, sis à Büyükada et enregistré sous les numéros îlot 119 et parcelle 6, a été enregistré au nom du Trésor public le 3 mars 2006, alors qu’il l’était jusque là au nom des requérantes. Selon cette information, le 1er juin 2007, ce bien immobilier a été cédé pour 49 ans au club de sports nautiques et d’escrime.
23. Elles ont produit aussi des titres de propriété démontrant que les biens immobiliers en question avaient été enregistrés à leur nom sur le registre foncier le 9 septembre 1987 pour le bien immobilier sis à Büyükada et le 6 avril 1990 pour les autres – à savoir la parcelle no 6 (îlot 119) de 642 m² à Büyükada, et les parcelles numéros 2 (îlot 53), 3 (îlot 71), 4 (îlot 71) et 5 (îlot 71) de 1485,5 m², 329 m², 338 m² et 351 m² à Burgazada.
24. Les requérantes ont également produit un certain nombre de reçus démontrant qu’elles se sont acquittées des impôts sur l’héritage en 1987 et des impôts fonciers jusqu’en 2004 pour les biens immobiliers qu’elles ont hérités.
III. LE DROIT ET LA PRATIQUE INTERNES PERTINENTS
25. Le droit et la pratique internes pertinents sont décrits dans l’arrêt Apostolidi et autres c. Turquie (no 45628/99, §§ 49-56, 27 mars 2007).
EN DROIT
I. SUR L’EXCEPTION DU GOUVERNEMENT
26. Le Gouvernement demande à la Cour de déclarer la requête irrecevable dans la mesure où les requérantes n’ont pas introduit leur requête dans un délai de six mois courant à partir du 23 septembre 1998, date à laquelle le jugement du 21 avril 1998 serait devenu définitif, faute du pourvoi en cassation de leur part. Cette procédure s’est déroulée en l’absence des requérantes, car elles sont restées indifférentes et n’ont pas communiqué leur nouvelle adresse au tribunal, alors qu’elles s’étaient constituées partie intervenante à la procédure précédente qui portait sur le même sujet et devaient s’attendre à une nouvelle procédure.
D’après le Gouvernement, même si les requérantes ont introduit une demande de réexamen de l’affaire le 13 septembre 1999 devant le tribunal d’instance d’Istanbul, cette voie de recours est une voie extraordinaire et n’est pas nécessaire pour l’introduction de la requête devant la Cour au sens de l’article 35 de la Convention. Par conséquent le délai de six mois prévu par l’article 35 § 1 de la Convention doit courir à partir du 23 septembre 1998, selon lui.
27. Les requérantes soutiennent qu’elles ont épuisé toutes les voies de recours internes nécessaires et pertinentes avant d’introduire leur requête devant la Cour. Elles font savoir qu’à la suite de leur demande formulée le 13 septembre 1999, le tribunal d’instance a réexaminé le fond de l’affaire et rectifié l’erreur concernant l’irrégularité de la notification. Se référant à la jurisprudence de la Cour selon laquelle la finalité de l’article 35 § 1 de la Convention est de ménager aux Etats contractants l’occasion de prévenir ou redresser les violations alléguées contre eux avant que ces allégations ne soient soumises aux organes de la Convention (voir, entres autres, Selmouni c. France [GC], no 25803/94, § 74, CEDH 1999-V), les requérantes prétendent que la dernière décision interne est l’arrêt de la Cour de cassation du 27 septembre 2001 et demande à la Cour de rejeter l’exception du Gouvernement.
28. Le gouvernement grec demande également à la Cour de rejeter l’exception du Gouvernement tiré de l’inobservation du délai de six mois. Il soutient que le tribunal d’instance d’Istanbul s’est saisi à nouveau de l’affaire sur la demande des requérantes du 13 septembre 1999 et que cette procédure a donné lieu à un nouveau jugement. Par ce nouveau jugement du 9 mars 2000, le tribunal d’instance a annulé le certificat d’héritier d’A. A.. L’arrêt de la Cour de cassation du 27 septembre 2001 est le dernier arrêt de cette procédure et, par conséquent, le délai de six mois au sens de l’article 35 § 1 de la Convention doit commencer à courir à partir de la date de la communication de ce dernier arrêt.
29. La Cour rappelle que le délai de six mois prévu par l’article 35 § 1 de la Convention ne peut commencer à courir qu’à partir du moment où l’intéressé a une connaissance effective et suffisante de la décision interne définitive. Par ailleurs, c’est à l’Etat qui excipe de l’inobservation du délai de six mois qu’il appartient d’établir la date à laquelle le requérant a eu connaissance de la décision interne définitive (Baghli c. France, no 34374/97, § 31, CEDH 1999-VIII). En l’occurrence, la Cour constate qu’il n’a pas été démontré que les requérantes aient reçu convocation en bonne et due forme pour la procédure déclenchée par le Trésor public le 22 septembre 1997 ni notification en bonne et due forme du jugement du 23 septembre 1998. Elle note que les requérantes ont introduit une demande de réexamen de l’affaire le 13 mars 1999, que le tribunal d’instance l’a accepté et ensuite rejeté sur le fond. La date à laquelle les requérantes ont introduit leur requête, à savoir le 27 février 2002, se situe bien dans les six mois suivant la date de l’arrêt de l’arrêt de la Cour de cassation du 27 septembre 2001 sur le recours en rectification. Selon la Cour, cet arrêt constitue la dernière décision interne définitive au sens de l’article 35 § 1 de la Convention. En conséquence, l’exception du Gouvernement doit être rejetée.
30. La Cour constate que la requête n’est pas manifestement mal fondée au sens de l’article 35 § 3 de la Convention. Elle relève par ailleurs que celle-ci ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité. Il convient donc de la déclarer recevable.
II. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 1 DU PROTOCOLE NO 1
31. Les requérantes soutiennent qu’en annulant leur certificat d’hérédité, les juridictions internes ont violé leur droit au respect de leurs biens. Selon eux, la privation de propriété s’est opérée dans des conditions contraires aux principes généraux du droit international. Elles y voient une violation de l’article 1 du Protocole no 1 qui se lit comme suit :
« Toute personne physique ou morale a droit au respect de ses biens. Nul ne peut être privé de sa propriété que pour cause d’utilité publique et dans les conditions prévues par la loi et les principes généraux du droit international.
Les dispositions précédentes ne portent pas atteinte au droit que possèdent les États de mettre en vigueur les lois qu’ils jugent nécessaires pour réglementer l’usage des biens conformément à l’intérêt général ou pour assurer le paiement des impôts ou d’autres contributions ou des amendes. »
A. Arguments des parties
1. Le gouvernement défendeur
32. Le Gouvernement soutient que les requérantes ne disposaient pas d’un « bien » au sens de l’article 1 du Protocole n no 1. En se référant à la jurisprudence de la Cour en la matière (voir, entre autres, Marckx c. Belgique, 13 juin 1979, § 50, série A no 31), il soutient que cette disposition ne vaut que pour des biens actuels et ne garantit pas le droit d’en acquérir par voie de succession ab intestat ou de libéralités. Il fait observer que le certificat d’héritier ne fait naître qu’une présomption simple et ne constitue pas une res judicata. A ce sujet, il fait rappeler que les deux biens immobiliers litigieux, à savoir les parcelles numéros 1 (îlot 69) et 2 (îlot 74) sises à Burgazada, n’ont jamais été enregistrées au nom des requérantes sur le registre foncier. Par ailleurs, le gouvernement défendeur prétend que pour se prévaloir de la protection de cette disposition, les requérantes devaient encore disposer légalement des biens en question. Selon lui, il en va autrement en l’espèce. Il explique qu’en vertu de l’article 22 de la loi no 2675 relative au droit international privé et aux procédures y relatives, si le défunt n’a pas d’héritier au sens du droit turc, la propriété des biens figurant dans son patrimoine est transférée au Trésor public.
Par ailleurs, selon l’article 35 du code foncier, les ressortissants étrangers ne peuvent acquérir la propriété d’un bien immeuble par voie de succession que si la condition de réciprocité est remplie, laquelle peut l’être de jure ou de facto. A cet égard, il fait remarquer que la Cour a admis la possibilité pour les États de restreindre l’acquisition de biens immeubles par des ressortissants étrangers et se réfère à l’affaire Jantner c. Slovaquie (no 39050/97, 4 mars 2003). Il ajoute qu’en vertu de la loi no 1062 du 28 mai 1927 relative à la réciprocité (mukabele-i bilmisil kanunu), les autorités peuvent saisir les biens des non-nationaux dont le pays restreint les droits des ressortissants turcs.
En se référant au rapport préparé par la Direction générale des relations étrangères et du droit international du ministère de la Justice sur lequel s’est fondé le tribunal d’instance, le Gouvernement fait observer que les juridictions turques ont considéré que la législation grecque et la pratique en vigueur à l’époque des faits ne permettaient pas l’acquisition de biens immeubles par des ressortissants turcs. Selon lui, la loi grecque de 1990 interdit aux ressortissants turcs toute transaction relative à l’acquisition d’un bien immeuble sur environ 55 % du territoire grec. Il souligne que ni les requérantes ni le gouvernement grec n’ont produit de preuve, telle une décision de justice ou une inscription au registre, démontrant que les ressortissants turcs peuvent acquérir un bien immeuble par voie d’héritage. Il en conclut que les restrictions imposées aux ressortissants grecs sont conformes au principe de réciprocité, tel qu’il est prévu par l’article 35 du code foncier et l’article 1 de la loi du 28 mai 1927.
2. Les requérantes
33. Les requérantes contestent les arguments du Gouvernement. Elles font savoir d’emblée que la présente affaire a beaucoup de similitudes avec l’affaire Apostolidi et autres c. Turquie, précitée, dans laquelle la Cour a conclu à la violation de l’article 1 du Protocole no 1. Elles font observer que l’ensemble des biens immobiliers qui font l’objet de la présente requête avaient été hérités par A. A. aux termes du jugement du tribunal d’instance d’Istanbul du 21 septembre 1950, que le certificat d’héritier délivré par ce jugement n’avait jamais été contesté jusqu’en 1987, année du décès de l’intéressé, et finalement les requérantes ont hérité lesdits biens immobiliers par le certificat d’héritier délivré par le tribunal d’Instance d’Istanbul le 6 mai 1987. Elles soulignent que le Trésor public n’a mis en doute la validité du certificat de 1950 qu’en 1994, soit 44 ans après qu’il ait été délivré. Elles rappellent que pendant toute cette période, elles ont utilisé les biens en question paisiblement et ont payé les impôts pour l’ensemble des biens jusqu’en 2004.
En ce qui concerne les observations du gouvernement défendeur quant aux deux biens immobiliers, à savoir les parcelles numéros 1 (îlot 69) et 2 (îlot 74) sises à Burgazada, les requérantes font savoir qu’il n’est pas contesté par celui-ci que ces deux biens immobiliers étaient également inscrits au nom d’A. A. au registre foncier jusqu’à sa mort, en 1987. Elles soutiennent également que le Gouvernement n’a jamais contesté le fait qu’elles étaient les héritières légales du de cujus. Enfin, elles soutiennent que l’annulation de leur certificat d’héritier constitue une ingérence injustifiée, qu’elles ont été privées de leur droit de propriété sans qu’il existe une cause d’utilité publique, que cette ingérence n’est pas prévue par la loi et que, finalement, elle n’est pas proportionnée dans la mesure où aucune indemnité ne leur a été accordée.
3. Le gouvernement grec
34. Le gouvernement grec soutient que les requérantes étaient titulaires d’un « bien » au sens de l’article 1 du Protocole no 1. Il fait remarquer que les requérantes s’étaient vues délivrer par les juridictions turques un certificat d’héritier en 1987 à la suite du décès d’A. A.. Il soutient que la justification retenue par les juridictions internes pour annuler ce certificat n’est pas pertinente dans la mesure où, d’une part, le principe de réciprocité ne s’applique pas pour les questions relatives à la protection des droits de l’homme et, d’autre part, les citoyens turcs peuvent accéder à la propriété de biens immeubles en Grèce par voie de succession. Aucune disposition de la législation grecque n’interdit aux ressortissants turcs d’accéder à la propriété par voie de succession, et ce dans n’importe quelle région du pays. S’agissant de la restriction prévue par la loi de 1990, il fait remarquer que celle-ci ne concerne qu’une partie du territoire située dans les régions frontalières et qu’elle est justifiée par des intérêts légitimes de protection de la défense et de la sécurité nationales. De plus, cette interdiction concerne exclusivement les actes inter vivos et non les actes mortis causa.
35. Le gouvernement grec ajoute que l’ingérence dans le droit des requérantes au respect de leurs biens n’était pas prévue par les principes généraux du droit international, pas plus qu’elle ne l’était par la législation nationale elle-même dans la mesure où le décret ministériel turc de 1988 a aboli les restrictions quant à l’acquisition de biens immeubles sur le territoire turc par des ressortissant grecs. Les juridictions turques ont ainsi refusé de se conformer à leur propre droit national. Il ajoute que l’interprétation faite par les juridictions nationales a créé une situation arbitraire et un manque de sécurité et de prévisibilité.
B. Avis de la Cour
1. Sur l’existence d’un bien
36. La Cour rappelle que la notion de « biens » prévue par la première partie de l’article 1 du Protocole no 1 a une portée autonome qui est indépendante par rapport aux qualifications formelles du droit interne (Beyeler c. Italie [GC], no 33202/96, § 100, CEDH 2000-I). Cet article « se borne à consacrer le droit de chacun au respect de « ses » biens, ne vaut par conséquent que pour des biens actuels et ne garantit pas le droit d’en acquérir par voie de succession ab intestat ou de libéralités » (Marckx c. Belgique, précité, § 50, et Inze c. Autriche, 28 octobre 1987, § 37, série A no 126). La notion de « bien » peut recouvrir tant des « biens actuels » que des valeurs patrimoniales, y compris des créances, en vertu desquelles un requérant peut prétendre avoir au moins une « espérance légitime » d’obtenir la jouissance effective d’un droit de propriété (Kopecký c. Slovaquie [GC], no 44912/98, § 35, CEDH 2004-IX).
37. En l’espèce, la Cour note d’emblée que les biens immobiliers étaient inscrits au registre foncier au nom du de cujus à la date de son décès. Le 6 mai 1987, le tribunal d’instance a délivré aux requérantes un certificat d’héritier après avoir établi leur lien de parenté avec A. A.. Selon le droit turc, ce certificat est nécessaire pour attester la qualité d’héritier auprès des autorités ou des tiers et pour pouvoir disposer des biens hérités (voir Apostolidi et autres, précité, § 54). C’est ainsi du reste que les requérantes ont procédé, pour une partie des biens immobiliers (paragraphe 23 ci-dessus), à l’inscription de leur nom au registre foncier. À cet égard, la Cour note que la personne dont le nom figure au registre foncier est réputée être le propriétaire du bien en question et jouit de tous les droits y afférents. Pour le restant des biens immobiliers, elles avaient le droit de demander leur inscription au registre en se fondant sur le certificat d’héritier délivré par le tribunal d’instance le 6 mai 1987. Le lien de parenté des requérantes avec le de cujus n’ayant nullement été contesté, la Cour estime que celles-ci étaient titulaires d’un droit patrimonial reconnu en droit turc que l’on peut qualifier de « bien » au sens de l’article 1 du Protocole no 1 pendant toute la période de validité du certificat d’héritier (voir Inze, précité, § 38 et Apostolid et autres, précité, § 67 ).
38. La Cour estime que l’annulation du certificat d’héritier, sur la base duquel les requérantes ont procédé à l’inscription du bien litigieux au registre foncier, a constitué une ingérence dans le droit des intéressées au respect de leurs biens. Elle estime devoir examiner cette ingérence à la lumière de la norme générale.
2. Sur le principe de légalité
39. L’article 1 du Protocole no 1 exige, avant tout et surtout, qu’une ingérence de l’autorité publique dans la jouissance du droit au respect des biens soit légale. La prééminence du droit, l’un des principes fondamentaux d’une société démocratique, est inhérente à l’ensemble des articles de la Convention (Amuur c. France, 25 juin 1996, § 50, Recueil des arrêts et décisions 1996-III, et Iatridis c. Grèce [GC], no 31107/96, § 58, CEDH 1999-II). L’existence en tant que telle d’une base légale ne suffit pas à satisfaire au principe de légalité et la Cour estime utile de se pencher sur la question de la qualité de la loi (Pasculli c. Italie, no 36818/97, § 84, 17 mai 2005). Le principe de légalité signifie l’existence de normes de droit interne suffisamment accessibles, précises et prévisibles (Hentrich c. France, 22 septembre 1994, § 42, série A no 296-A, et Lithgow et autres c. Royaume-Uni, 8 juillet 1986, § 110, série A no 102). L’appréciation de ce principe implique aussi le fait de vérifier si la manière dont le droit interne est appliqué par les juridictions internes a produit des effets conformes aux principes de la Convention.
40. Puisque les juridictions internes ont annulé le certificat d’héritier se référant au principe de réciprocité, la Cour rappelle qu’à la différence des traités internationaux de type classique, la Convention déborde le cadre de la simple réciprocité entre États contractants. Au-delà d’un réseau d’engagements synallagmatiques bilatéraux, elle crée des obligations objectives qui, aux termes de son préambule, bénéficient d’une « garantie collective » (Irlande c. Royaume-Uni, 18 janvier 1978, § 239, série A no 25). En concluant la Convention, les États Contractants n’ont pas voulu se concéder des droits et obligations réciproques utiles à la poursuite de leurs intérêts nationaux respectifs, mais réaliser les objectifs et idéaux du Conseil de l’Europe et instaurer un ordre public communautaire des libres démocraties d’Europe afin de sauvegarder leur patrimoine commun de traditions politiques, d’idéaux, de liberté et de prééminence du droit (Autriche c. Italie, no 788/60, décision de la Commission du 11 janvier 1961, Décisions et rapports (DR) 1961-4, p. 139).
41. En l’espèce, la Cour n’estime pas nécessaire d’examiner in abstracto si l’application du principe de réciprocité en droit turc est compatible avec la Convention mais de rechercher si la manière dont il a touché les requérantes a enfreint la Convention. A cet égard, elle observe que l’application de ce principe aux requérantes ne répond pas à l’exigence de légalité, ce pour les raisons indiquées ci-après.
42. La Cour observe que, dans ses jugements en la matière, et notamment dans son jugement du 9 mars 2000, le tribunal d’instance s’est fondé sur les conclusions du rapport du ministère de la Justice pour considérer que la condition de réciprocité n’était pas remplie et a annulé le certificat d’héritier des requérantes.
Or, dans son arrêt concernant l’affaire Apostolidi et autres c. Turquie, précitée (paragraphes 73-78), à propos de faits similaires qui s’étaient déroulés à la même période, la Cour a estimé qu’il n’était pas établi qu’il existait en Grèce une restriction pour les ressortissants turcs quant à l’acquisition d’un bien immeuble par voie de succession. Elle a en outre constaté que le rapport mentionnait expressément l’absence de restrictions quant à l’acquisition d’un bien immeuble par voie de succession, ce aussi bien à la date du décès de la de cujus que lors de la procédure devant le tribunal d’instance. Si ce rapport fait état d’informations selon lesquelles ce type d’acquisition est empêché par divers moyens, celles-ci ne sont pas fondées sur des preuves concrètes (Apostolidi et autres, précité, §§ 73-74).
La Cour a également souligné dans cette affaire que, selon une note explicative de la direction générale des affaires juridiques du ministère de la Justice du 4 mars 1987, les acquisitions par voie de succession ne faisaient pas l’objet de restrictions en Grèce, et ce type d’acquisition n’était pas concerné par la limitation géographique. La note faisait état de ressortissants turcs ayant acquis des biens par voie de succession en Grèce (Apostolidi et autres, § 75)
De plus, la Cour a constaté que la réglementation en Turquie avait subi une modification le 3 février 1988, par l’abrogation du décret du 2 novembre 1964 qui était en vigueur à la date du décès du de cujus de l’affaire Apostolidi, comme de celui de la présente affaire. Le décret du 23 mars 1988, adopté à titre additionnel à celui du 3 février 1988, visait expressément à remédier à la situation des héritiers qui n’avaient pas pu faire procéder à l’inscription de leurs biens immeubles au registre foncier en raison de la restriction imposée par le décret de 1964 (Apostolidi et autres, § 76).
La Cour a également pris note de la modification législative apportée en 2005 à l’article 35 du code foncier, lequel reconnait dorénavant le droit à la succession pour les ressortissants non nationaux même si la condition de réciprocité n’est pas remplie. S’il reste vrai que le droit de propriété n’est pas reconnu dans ce cas de figure, le bien ainsi hérité est liquidé et l’héritier est alors indemnisé (Apostolidi et autres, § 77).
43. En l’occurrence, la Cour constate qu’il n’existe aucune circonstance pouvant l’amener à s’écarter de ses précédentes conclusions. Au vu de l’ensemble des éléments du dossier, et eu égard au fait qu’il n’est pas établi que le principe de réciprocité s’appliquait en Grèce aux ressortissants turcs quant à l’acquisition de biens immeubles par voie de succession, l’application aux requérantes de l’article 35 du code foncier ne pouvait passer pour suffisamment prévisible. La Cour en conclut que l’ingérence litigieuse est incompatible avec le principe de légalité et qu’elle n’est donc pas conforme à l’article 1 du Protocole no 1.
III. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 14 DE LA CONVENTION
44. Les requérantes se plaignent d’un traitement discriminatoire contraire à l’article 14 de la Convention.
45. Au vu de ses conclusions sur l’article 1 du Protocole no 1, la Cour estime qu’il n’y a pas lieu d’examiner séparément si les requérantes ont été victimes, en raison de leur nationalité, d’une discrimination contraire à l’article 14.
IV. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 6 § 1 DE LA CONVENTION
46. Les requérantes soutiennent qu’elles n’ont pas bénéficié d’un procès équitable lors de la procédure devant le tribunal d’instance d’Istanbul.
Elles se plaignent que les juridictions internes n’ont pas correctement interprété le rapport de la Direction générale des relations étrangères et du droit international du ministère de la Justice, qui a été décisif sur l’issue du litige devant elles. Elles font également grief de ce que les arrêts de la Cour de cassation n’étaient pas suffisamment motivés. Elles invoquent à cet égard l’article 6 § 1 de la Convention.
47. La Cour estime que ce grief ne nécessite pas un examen séparé et qu’il est absorbé par celui tiré de l’article 1 du Protocole no 1.
V. SUR L’APPLICATION DE L’ARTICLE 41 DE LA CONVENTION
48. Aux termes de l’article 41 de la Convention,
« Si la Cour déclare qu’il y a eu violation de la Convention ou de ses Protocoles, et si le droit interne de la Haute Partie contractante ne permet d’effacer qu’imparfaitement les conséquences de cette violation, la Cour accorde à la partie lésée, s’il y a lieu, une satisfaction équitable. »
49. Les requérantes allèguent avoir subi un préjudice, tant matériel que moral. Pour le préjudice matériel, les requérantes réclament 4 300 000 dollars américains (USD) (environ 3 118 600 euros (EUR) à l’époque de la demande, le 14 juillet 2007). Pour la justification, elles se réfèrent à un rapport d’expertise, préparé par la société anonyme Apeks Real Estate Appraisal Center Inc., le 12 juin 2007. Le rapport examine en détails les données concernant les sept biens immobiliers en question.
50. Au titre du dommage moral, les requérantes réclament 500 000 USD (environ 362 600 EUR), indiquant notamment avoir été contraintes de quitter leur pays à la suite de la privation litigieuse. Elles font savoir qu’elles ont également été privées de leur domicile familial et que leur maison a été louée à un club sportif pour une durée de 49 ans.
Au titre des frais et dépens, elles demandent le remboursement de 20 000 USD (environ 14 500 EUR) pour la procédure devant les tribunaux internes. Pour la procédure devant la Cour, elles demandent 1 613 USD environ 1 170 EUR) pour les frais d’expertise et 6 % de la somme qui sera allouée au titre des dommages matériel et moral pour les honoraires de leurs avocats. Elles produisent une facture pour le paiement des frais de l’expertise et une convention d’honoraires. Selon cette dernière, leurs représentants ont perçu 10 000 EUR d’avance, avance qui sera déduite du règlement définitif.
51. Le Gouvernement conteste ces prétentions qu’il juge excessives.
52. Dans les circonstances de la présente affaire, la Cour estime que la question de l’application de l’article 41 ne se trouve pas en état, de sorte qu’il convient de la réserver en tenant compte de l’éventualité d’un accord entre l’Etat défendeur et les requérantes.
PAR CES MOTIFS, LA COUR, À l’UNANIMITÉ,
1. Déclare la requête recevable ;
2. Dit qu’il y a eu violation de l’article 1 du Protocole no 1 ;
3. Dit qu’il n’est pas nécessaire d’examiner séparément les griefs tirés des articles 6 et 14 de la Convention ;
4. Dit que la question de l’application de l’article 41 de la Convention ne se trouve pas en état ; en conséquence,
a) la réserve en entier ;
b) invite le Gouvernement et les requérantes à lui soumettre par écrit leurs observations sur la question dans un délai de trois mois à compter du jour où l’arrêt sera devenu définitif en vertu de l’article 44 § 2 de la Convention et, en particulier, à lui donner connaissance de tout accord auquel ils pourraient aboutir ;
c) réserve la procédure ultérieure et délègue à la présidente de la chambre le soin de la fixer au besoin.
Fait en français, puis communiqué par écrit le 23 février 2010, en application de l’article 77 §§ 2 et 3 du règlement.
Sally Dollé Françoise Tulkens
Greffière Présidente

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