SECONDA SEZIONE
CAUSA ABDELHEDI C. ITALIA
( Richiesta no 2638/07)
SENTENZA
STRASBURGO
24 marzo 2009
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Abdelhedi c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta dai:
Francesca Tulkens, presidentessa, Ireneu Cabral Barreto, Vladimiro Zagrebelsky, Danutė Jočienė, Dragoljub Popović, András Sajó, Işıl Karakaş, giudici,
e di Sally Dollé, cancelliera di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 3 marzo 2009,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data,:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 2638/07) diretta contro la Repubblica italiana e in cui un cittadino tunisino, il Sig. M A. (“il richiedente”), ha investito la Corte l’ 8 gennaio 2007 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente è rappresentato da G. R., avvocato a Milano. Il governo italiano (“il Governo”) è rappresentato dal suo agente, la Sig.ra E. Spatafora e dal suo co-agente aggiunto, il Sig. N. Lettieri.
3. Il richiedente adduce che il collocamento in esecuzione della decisione di espellerlo verso la Tunisia l’esporrebbe ad un rischio di tortura e che non ha beneficiato della possibilità di fare valere le ragioni che militano contro questa decisione.
4. Il 2 maggio 2007, la presidentessa della seconda sezione ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Come permesso dall’articolo 29 § 3 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la Camera si sarebbe pronunciato sull’ammissibilità e sul merito della causa allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
5. Il richiedente è nato nel 1965 e ha risieduto a Varese.
A. I perseguimenti e l’ordinanza di espulsione contro il richiedente
6. Il richiedente risiede in Italia dal 4 settembre 1989. È sposato con una cittadina tunisina. La coppia ha quattro bambini. Il 14 marzo 2002, la Prefettura (Questura) di Varese ha concesso al richiedente un permesso di soggiorno di durata indeterminata.
7. Nel 2003, il richiedente fu arrestato. Era accusato di appartenenza ad un’associazione di malviventi legati ai gruppi terroristici esteri ed aventi per oggetto, in particolare, il traffico di armi, la ricettazione, la falsificazione di documenti e l’assistenza all’immigrazione clandestina.
8. Il richiedente fu assegnato poi alla residenza. Con un giudizio del 3 dicembre 2004, il tribunale di Milano lo condannò a quattro anni ed otto mesi di detenzione e 1 700 euro di multa. Era precisato nel giudizio che dopo avere scontato la sua pena, il richiedente avrebbe dovuto essere espulso verso la Tunisia. Difatti, ai termini dell’articolo 235 del codice penale (“il CP”), quando uno straniero viene condannato ad una pena di più di due anni di detenzione, il giudice ordina la sua espulsione.
9. Il richiedente interpose appello.
10. Con una sentenza del 29 settembre 2005, la corte di appello di Milano, stimando che non era stabilito che l’organizzazione alla quale il richiedente apparteneva fosse legata ai gruppi terroristici esteri, ridusse la pena inflitta all’interessato a tre anni e quattro mesi di detenzione e 1 700 euro di multa. Confermò il giudizio di prima istanza per il surplus.
11. Il richiedente non ricorse in cassazione e la sua condanna acquisì forza di cosa giudicata il 13 febbraio 2006.
12. Il 30 marzo 2006, il Procuratore generale della Repubblica di Milano ordinò la sospensione dell’esecuzione della pena (un anno, tre mesi e diciassette giorni di detenzione) che il richiedente doveva ancora scontare. Il richiedente presentò dinnanzi al tribunale di applicazione delle pene di Milano un’istanza di assegnazione probatoria al servizio sociale (affidamento in prova al servizio sociale).
13. Mentre il procedimento dinnanzi al tribunale di applicazione delle pene era pendente, la legge no 241 del 31 luglio 2006, che stabiliva le condizioni per la concessione di una rimessa generale delle pene (indulto), entrò in vigore. Ai termini di questa legge, la pena che il richiedente doveva ancora scontare era ridotta interamente. Secondo le informazione fornite dal richiedente il 28 marzo 2007, il tribunale di applicazione delle pene aspettava a questa data di ricevere una decisione che applicava la riduzione di pena al suo caso; e dopo la produzione di questo documento, il tribunale avrebbe potuto prendere solamente atto del fatto che la pena in questione non doveva più essere eseguita. Il richiedente dunque teme di potere essere espulso in ogni momento in esecuzione dell’ordine contenuto nel giudizio del tribunale di Milano del 3 dicembre 2004, e confermato dalla corte di appello di Milano.
14. Su richiesta del richiedente, la presidentessa della seconda sezione ha deciso, il 13 aprile 2007, di indicare al governo italiano, in applicazione dell’articolo 39 dell’ordinamento della Corte, che era auspicabile, nell’interesse delle parti e del buon svolgimento del procedimento dinnanzi alla Corte, di non espellere il richiedente verso la Tunisia fino a nuovo ordine. Ha chiamato l’attenzione del Governo sul fatto che, quando un Stato contraente non si conforma ad una misura indicata a titolo dell’articolo 39 dell’ordinamento, ciò può provocare una violazione dell’articolo 34 della Convenzione (vedere Mamatkoulov ed Askarov c. Turchia [GC], numeri 46827/99 e 46951/99, §§ 128-129 e punto 5 del dispositivo, CEDH 2005-I).
15. Il 23 maggio 2007, la Prefettura di Varese ha revocato il permesso di soggiorno del richiedente.
B. Le assicurazioni diplomatiche ottenute dalle autorità italiane
16. Il 29 agosto 2008, l’ambasciata dell’Italia a Tunisi indirizzò al ministero tunisino delle Cause estere la nota verbale (no 3124) seguente:
“L’ambasciata dell’Italia presenta i suoi complimenti al ministero delle Cause Estere e si riferisce alle sue proprie note verbali no 2738 del 21 luglio e no 2911 del 6 agosto scorsi ed alla visita in Tunisia della delegazione tecnica dei rappresentanti dei ministeri italiani dell’interno e della Giustizia, tenutasi il 24 luglio scorso, concernente un esame dei procedimenti da seguire a proposito dei ricorsi pendenti della Corte europea dei diritti dell’uomo, presentato dai cittadini tunisini, che sono stati o che potrebbero essere oggetto di decreti di espulsione.
L’ambasciata dell’Italia ringrazia il ministero delle Cause Estere per la nota verbale DGAC no 011998 del 26 agosto scorso e tramite questo il ministero della Giustizia e dei diritti dell’uomo per la concreta collaborazione espressa per il caso del Sig. E. S. B. K..
Conformemente a ciò che era stato convenuto all’epoca della riunione del 24 luglio, le autorità italiane hanno l’onore di sottoporre qui di seguito tramite via diplomatica la loro richiesta di elementi addizionali specifici che si rivelano necessari nel contenzioso in corso dinnanzi alla Corte di Strasburgo tra l’Italia ed i cittadini tunisine citati qui sotto: (…)
A questo effetto, l’ambasciata dell’Italia ha l’onore di chiedere al ministero delle Cause Estere di volere cortesemente investire le autorità tunisine competenti affinché possano fornire tramite via diplomatica le assicurazioni specifiche su ciascuno di questi ricorrenti che si riferiscono ai seguenti argomenti:
– in caso di espulsione verso la Tunisia del ricorrente le cui generalità saranno specificate, non sarà sottomesso a torture né a pene o trattamenti disumani o degradanti;
– che possa essere giudicato da un tribunale indipendente ed imparziale, secondo i procedimenti che, nell’insieme, saranno conformi ai principi di un processo equo e pubblico;
– che possa, durante la sua detenzione, ricevere le visite dei suoi avvocati ivi compreso quello italiano che lo rappresenta nel processo dinnanzi alla Corte di Strasburgo, così come dei membri della sua famiglia e di un medico.
Poiché la scadenza per la presentazione delle osservazioni del governo italiano a Strasburgo per suddetto caso è fissata al 19 settembre prossimo, l’ambasciata dell’Italia sarebbe grata al ministero delle Cause Estere di volere cortesemente farle giungere al più presto gli elementi richiesti, fondamentali per la strategia della difesa del governo italiano e suggerisce che la Sig.ra C., primo segretario [dell’] ambasciata, possa recarsi al ministero della Giustizia e dei diritti dell’uomo per fornire ogni delucidazione opportuna.
L’ambasciata dell’Italia sarebbe inoltre grata al ministero delle Cause Estere di volere cortesemente verificare se le autorità tunisine competenti giudicano opportuno che il governo tunisino partecipi, per suddetto ricorso, ai procedimenti dinnanzi alla Corte di Strasburgo, in quanto terzo, e questo, conformemente agli articoli 36 [della Convenzione], 44 dell’ordinamento della Corte [e] A1 paragrafo 2 dell’allegato all’ordinamento.
L’ambasciata dell’Italia ringrazia in anticipo il ministero delle Cause Estere per l’attenzione che sarà riservata alla presente nota ed coglie l’occasione per rinnovargli le assicurazioni della sua alta considerazione. ”
17. Il 5 novembre 2008, le autorità tunisine fecero pervenire la loro risposta, firmata dall’avvocato generale alla direzione generale dei servizi giudiziali. Nelle sue parti pertinenti, questa risposta si legge come segue:
“Nella sua nota verbale in data del 29 agosto 2008, come completata dalla sua nota verbale datata del 4 settembre 2008, l’ambasciata dell’Italia a Tunisi ha sollecitato, dalle autorità tunisine, le assicurazioni, qui di seguito enumerate, concernente i cittadini tunisini M. A.[ed altri] nel caso dovessero essere espulsi verso la Tunisia.
I. Le autorità tunisine sottolineano, innanzitutto, che li denominati e M. A. non sono oggetto, attualmente, di perseguimenti giudiziali in Tunisia. La giustizia tunisina, non avendo nessuna cognizione della loro eventuale implicazione in fatti delittuosi, non ha intentato a loro carico perseguimenti penali.
Non essendo sotto l’influenza di nessuna condanna o perseguimenti penali, gli interessati beneficiano, come ogni cittadino tunisino, e sullo stesso piano di uguaglianza, di tutti i diritti che sono riconosciuti loro dalla costituzione tunisina il cui articolo 6 dispone che “tutti i cittadini hanno gli stessi diritti e gli stessi doveri. Sono uguali dinnanzi alla legge.” L’articolo 7 della Costituzione aggiunge che “esercitano la pienezza dei loro diritti nelle forme e condizioni previste dalla legge.” (…)
1. La garanzia del rispetto della dignità degli interessati:
Il rispetto della dignità degli interessati è garantito, la sua origine risiede nel principio del rispetto della dignità di ogni persona qualunque sia lo stato in cui si trova, principio fondamentale riconosciuto dal diritto tunisino e garantito per ogni persona e più particolarmente per i detenuti il cui statuto è regolamentato minuziosamente.
È a questo riguardo utile ricordare che l’articolo 13 della Costituzione tunisina dispone nel suo capoverso 2 che “ogni individuo che ha perso la sua libertà è trattato umanamente, nel rispetto della sua dignità.”
La Tunisia ha ratificato peraltro senza nessuna riserva la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti. Ha riconosciuto così la competenza del comitato contro la tortura per ricevere ed esaminare le comunicazioni presentate da o per conto di individui che dipendono dalla sua giurisdizione che pretendono essere vittime di violazione delle disposizioni della Convenzione (ratifica con la legge no 88-79 del 11 luglio 1988. Gazzetta ufficiale della Repubblica tunisina no 48 del 12-15 luglio 1988 (pagina 1035).
Le disposizioni di suddetta Convenzione sono state trasposte in diritto interno, l’articolo 101 bis del codice penale definisce la tortura come “ogni atto con cui un dolore o delle sofferenze acute, fisiche o mentali, sono inflitte intenzionalmente in particolare ad una persona ai fini di ottenere da lei o da una terza persona delle informazioni o delle confessioni, di punirla di un atto che lei o una terza persona ha commesso o è sospettata di avere commesso, di intimidirla o di fare pressione su una terza persona, o quando il dolore o le sofferenze acute sono inflitte per ogni altro motivo fondato su una forma di discriminazione [qualunque] sia.”
Il legislatore ha contemplato delle pene severe per questo genere di violazioni, così l’articolo 101 bis sopra citato dispone che è punito con una detenzione di otto anni il funzionario o assimilato che sottopone una persona alla tortura e questo, nell’esercizio o in occasione dell’esercizio delle sue funzioni.”
È da segnalare che la custodia preventiva è, secondo l’articolo 12 della Costituzione, sottoposta al controllo giudiziale e che si può procedere al carcere preventivo solo su ordine giurisdizionale. È vietato sottoporre chiunque ad una detenzione arbitraria. Parecchi garanzie accompagnano il procedimento della custodia preventiva e tendono a garantire il rispetto dell’integrità fisica e morale del detenuto tra cui in particolare:
– Il diritto della persona in custodia preventiva di informare, fin dal suo arresto, i membri della sua famiglia.
– Il diritto di chiedere durante il termine della custodia preventiva o alla sua scadenza di essere sottomessi ad un esame medico. Questo diritto può essere esercitato all’occorrenza dai membri della famiglia.
– La durata del carcere preventivo è regolamentata, il suo prolungamento è eccezionale e deve essere motivato dal giudice.
C’è luogo anche di notare che [la] legge del 14 maggio 2001 relativa all’organizzazione delle prigioni dispone nel suo articolo primo che ha per obiettivo di regolare “le condizioni di detenzione nelle prigioni preventiva di garantire l’integrità fisica e morale del detenuto, di prepararlo alla vita libera e di aiutare al suo reinserimento. “
Questo dispositivo legislativo è rinforzato dal collocamento in posto di un sistema di controllo destinato a garantire il rispetto effettivo della dignità dei detenuti. Si tratta di parecchi tipi di controlli effettuati da diversi organi ed istituzioni:
– C’è da prima un controllo giudiziale assicurato dal giudice di esecuzione delle pene tenuto, secondo i termini dell’articolo 342-3 del codice di procedura penale tunisino, [a] visitare la struttura penitenziaria che dipende dalla sua giurisdizione per prendere cognizione delle condizioni dei detenuti, queste visite sono in pratica effettuate in media nell’ordine di due volte alla settimana.
– C’è poi il controllo effettuato dal comitato superiore dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, il presidente di questa istituzione nazionale indipendente può effettuare delle visite inopinate alle strutture penitenziarie per informarsi dello stato e delle condizioni dei detenuti.
– C’è anche il controllo amministrativo interno effettuato dai servizi dell’ispezione generale del ministero della Giustizia e dei diritti dell’uomo e l’ispezione generale che dipende dalla direzione generale delle prigioni e della rieducazione. È da notare in questa cornice che l’amministrazione penitenziaria dipende dal ministero della Giustizia e che gli ispettori di suddetto ministero sono dei magistrati di formazione il che costituisce una garanzia supplementare di un controllo rigoroso delle condizioni di detenzione.
– Bisogna segnalare infine che il comitato internazionale della Croce Rossa è abilitato dal 2005 ad effettuare delle visite nei luoghi di detenzione, prigioni e locali della polizia abilitati ad accogliere dei detenuti tenuti in custodia preventiva. Al termine di queste visite dei rapporti dettagliati vengono stabiliti e degli incontri vengono organizzati dai servizi riguardati per mettere in opera le raccomandazioni formulate dal comitato sullo stato dei detenuti.
Le autorità tunisine ricordano che non esitano ad indagare su tutte le affermazioni di tortura ogni volta che ci sono dei motivi ragionevoli che lasciano credere che un atto di maltrattamenti è stato commesso. Si citeranno a delucidazione due esempi: il primo riguarda tre agenti dell’amministrazione penitenziaria che hanno maltrattato un detenuto, a seguito di un’inchiesta aperta per questo motivo i tre agenti sono stati deferiti dinnanzi alla giustizia e sono stati condannati ciascuno a quattro anni di detenzione con una sentenza della corte di appello di Tunisi resa il 25 gennaio 2002.
-Il secondo esempio riguarda un agente di polizia che è stato perseguito per percosse e lesioni volontarie e che è stato condannato a 15 anni di detenzione con una sentenza resa dalla corte di appello di Tunisi il 2 aprile 2002.
Questi due esempi dimostrano che le autorità tunisine non tollerano nessuno maltrattamento e non esitano ad impegnare i perseguimenti necessari contro gli agenti dell’applicazione della legge ogni volta che ci sono dei motivi ragionevoli che lasciano credere che atti di tale natura [sono] stati commessi.
Alcuni casi di condanna per maltrattamenti sono stati segnalati nel rapporto presentato dalla Tunisia dinnanzi al Consiglio dei diritti dell’uomo e dinnanzi al Comitato dei diritti dell’uomo denotando così una politica di volontà dello stato si perseguire e reprimere ogni atto di tortura o di maltrattamento, il che è di natura tale da confutare ogni affermazione di violazione sistematica dei diritti dell’uomo.
(…)
2. La garanzia di un processo equo agli interessati:
Se essi [vengono] espulsi in Tunisia, gli interessati beneficeranno in particolare di procedimenti di perseguimento, di istruzione e di giudizio che offrono tutte le garanzie necessarie ad un processo equo,:
– Il rispetto del principio della separazione tra le autorità di perseguimento, di istruzione e di giudizio.
– L’istruzione in materia di crimini è obbligatoria. Ubbidisce al principio del doppio grado di giurisdizione (giudice istruttore e camera di accusa).
– Le udienze di giudizio sono pubbliche e rispettano il principio del contraddittorio.
– Ogni persona sospettata di crimine ha obbligatoriamente diritto all’assistenza di uno o parecchi avvocati. Gliene viene, all’occorrenza, commesso uno d’ufficio e gli oneri sono sopportati dallo stato. L’assistenza dell’avvocato prosegue durante tutte le tappe del procedimento: istruzione preparatoria e fase di giudizio.
– L’esame dei crimini è di competenza dei corsi criminali che sono formati dai cinque magistrati, questa formazione allargata rinforza le garanzie dell’imputato.
– Il principio del doppio grado di giurisdizione in materia criminale è consacrato dal diritto tunisino. Il diritto di fare appello ai giudizi di condanna è dunque un diritto fondamentale per l’imputato.
– Nessuna condanna può essere resa se non sulla base di prove solide che sono state oggetto di dibattimenti contraddittori dinnanzi alla giurisdizione competente. Anche la confessione dell’imputato non è considerata come una prova determinante. Questa posizione è stata confermata dalla sentenza della Corte di cassazione tunisina no 12150 del 26 gennaio 2005 con cui la Corte ha affermato che la confessione estorta con violenza è nulla e non avvenuta e questo, in applicazione dell’articolo 152 del codice di procedura penale che dispone che: “la confessione, come ogni elemento di prova, è lasciata alla libera valutazione dei giudici.” Il giudice deve dunque valutare tutte le prove che gli sono presentate per decidere della forza probante da conferire a dette prove secondo la sua intima convinzione.
3. La garanzia del diritto di ricevere delle visite:
Se l’arresto degli interessati [viene] deciso dall’autorità giudiziale competente, beneficeranno dei diritti garantiti ai detenuti dalla legge del 14 maggio 2001 relativa all’organizzazione delle prigioni. Questa legge consacra il diritto di ogni prevenuto a ricevere la visita dell’avvocato incaricato della sua difesa, senza la presenza di un agente della prigione così come la visita dei membri delle loro famiglie. Se il loro arresto [viene] deciso, gli interessati godranno di questo diritto conformemente alla regolamentazione, in vigore e senza restrizione nessuna.
Concernente la domanda di visita degli interessati da parte degli avvocati che li rappresentano nel procedimento in corso dinnanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo, le autorità tunisine osservano che tale visita non può essere autorizzata in mancanza di convenzione o di cornice legale interna che l’autorizzi.
Difatti la legge relativa alle prigioni determina le persone abilitate ad esercitare questo diritto: si tratta in particolare dei membri della famiglia del detenuto e del suo avvocato tunisino.
La Convenzione di aiuto giudiziale concluso tra la Tunisia e l’Italia il 15 novembre 1967 non contempla la possibilità per gli avvocati italiani di rendere visita ai detenuti tunisini. Tuttavia gli interessati potranno, se lo desiderano, incaricare degli avvocati tunisini di loro scelta [di] rendere loro visita e di procedere, coi loro omologhi italiani, al coordinamento delle loro azioni nella preparazione degli elementi della loro difesa dinnanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo.
4. La garanzia del diritto di beneficiare delle cure mediche:
La legge precitata relativa all’organizzazione delle prigioni dispone che ogni detenuto ha diritto alla gratuità delle cure e dei medicinali dentro alle prigioni e, a difetto, nella struttura ospedaliera. Inoltre, l’articolo 336 del codice di procedura penale autorizza il giudice di esecuzione delle pene a sottoporre il condannato ad esame medico.
Se l’arresto degli interessati [viene] deciso, saranno sottoposti ad esame medico fin dalla loro ammissione nell’unità penitenziaria. Potranno, d’altra parte, beneficiare ulteriormente di un seguito medico nella cornice di esami periodici. In conclusione, gli interessati beneficeranno di un seguito medico regolare come ogni detenuto e non c’è luogo per questo fatto di autorizzare il loro esame da parte di un altro medico.
Le autorità tunisine reiterano la loro volontà di cooperare pienamente con la parte italiana fornendole tutte le informazione ed i dati utili alla sua difesa nel procedimento in corso dinnanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo.”
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
18. I ricorsi che è possibile formare contro un’ordinanza di espulsione in Italia e le regole che disciplinano la riapertura di un processo in contumacia in Tunisia sono descritti in Saadi c. Italia ([GC], no 37201/06, §§ 58-60, 28 febbraio 2008).
III. TESTI E DOCUMENTI INTERNAZIONALI
19. Si trova nella sentenza Saadi precitata una descrizione dei testi, documenti internazionali e sorgenti delle seguenti informazioni: l’accordo di cooperazione in materia di lotta contro la criminalità firmato dall’Italia e Tunisia e l’accordo di associazione tra la Tunisia, l’unione europea ed i suoi Stati membri, (§§ 61-62),; gli articoli 1, 32 e 33 della Convenzione delle Nazioni unite del 1951 relativi allo statuto dei profughi (§ 63); le linee direttive del Comitato dei Ministri del Consiglio dell’Europa (§ 64); i rapporti relativi alla Tunisia di Amnesty Internazionale (§§ 65-72) e di Human Rights Watch (§§ 73-79); le attività del Comitato internazionale della Croce Rossa (§§ 80-81); il rapporto del Dipartimento di stato americano relativo ai diritti dell’uomo in Tunisia (§§ 82-93); le altre sorgenti di informazione relative al rispetto dei diritti dell’uomo in Tunisia (§ 94).
20. Dopo l’adozione della sentenza Saadi, Amnesty International ha pubblicato il suo rapporto annuo 2008. Le parti pertinenti della sezione di questo rapporto consacrato alla Tunisia sono riferite in Ben Khemais c. Italia, no 246/07, § 34,… 2009.
21. Nella sua risoluzione 1433(2005) relativa alla legalità della detenzione di persone da parte degli Stati Uniti a Guantanamo Bay, l’assemblea parlamentare del Consiglio dell’Europa ha chiesto al governo americano, tra l’altro, “di non rinviare o trasferire i detenuti basandosi su delle “assicurazioni diplomatiche” di paesi conosciuti per ricorrere sistematicamente alla tortura ed in ogni caso se la mancanza di rischio di maltrattamento non è fermamente stabilita.”
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 3 DELLA CONVENZIONE
22. Il richiedente considera che l’esecuzione del suo sfratto l’esporrebbe ad un rischio di trattamenti contrari all’articolo 3 della Convenzione. Questa disposizione si legge come segue:
“Nessuno può essere sottomesso a tortura né a pene o trattamenti disumani o degradanti. “
23. Il Governo si oppone a questa tesi.
A. Sull’ammissibilità
1. Le eccezioni di non-esaurimento delle vie di ricorso interne e di tardività sollevate dal Governo
24. Il Governo eccepisce innanzitutto del non-esaurimento delle vie di ricorso interne, arguendo che il richiedente non è ricorso in cassazione contro la sentenza della corte di appello di Milano che confermava la sua condanna e la sua espulsione, e che inoltre, nel suo appello contro la condanna pronunciata dal tribunale di Milano, non ha avanzato nessuno argomento di natura tale da convincere i giudici che rischierebbe in Tunisia di essere sottomesso a trattamenti contrari alla Convenzione.
25. Il Governo osserva anche che la sentenza della Corte di appello di Milano ha acquisito forza di cosa giudicata il 13 febbraio 2006, o più di sei mesi prima della data di introduzione della richiesta, l’8 gennaio 2007. Questa sarebbe dunque tardiva.
26. Il richiedente spiega che non è ricorso in cassazione contro la sentenza della corte di appello di Milano perché questa decisione che aveva escluso la finalità di terrorismo nella violazione di associazione di malviventi, gli era favorevole.
27. La Corte osserva che la misura di sicurezza che consiste nell’espulsione dal territorio italiano che ha applicato il tribunale e la corte di appello di Milano, era, ai termini dell’articolo 235 del CP, una conseguenza automatica della condanna del richiedente. Per evitare tale misura di sicurezza, l’interessato avrebbe dovuto sottoporre degli argomenti che miravano a convincere i giudici interni che la sua pena doveva essere ridotta a meno di due anni di detenzione. Ora, tali argomenti non riguardavano una violazione dei principi della Convenzione. Peraltro, il Governo non ha prodotto nessuno esempio che mostri che le affermazioni di rischio di sottomissione a trattamenti contrari all’articolo 3 della Convenzione nel paese di destinazione potessero portare le giurisdizioni italiane a negare di applicare l’articolo 235 del CP.
28. Per ciò che è dell’eccezione di tardività, la Corte rileva che il motivo di appello del richiedente ricade sull’eventuale collocamento in esecuzione dell’espulsione che non ha avuto ancora luogo, e non sul pronunciamento della decisione di espellerlo.
29. Ne segue che le eccezioni preliminari del Governo non potrebbero essere considerate.
2. Altri motivi di inammissibilità
30. La Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente mal fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione e che non incontra nessuno altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararlo ammissibile.
B. Sul merito
1. Argomenti delle parti
a) Il richiedente
31. Secondo il richiedente, è noto che le persone sospettate di terrorismo sono state torturate uno volta rimpatriate in Tunisia. Precisa che i suoi guai con la giustizia sono stati riferiti dalla stampa scritta, la radio e la televisione così come su Internet. Il suo nome figurerebbe su degli elenchi di persone considerate come pericolose in ragione della loro appartenenza all’organizzazione terroristica “Al Qaida” o dei loro legami con questa organizzazione, e questo malgrado la sentenza della corte di appello di Milano che escludeva l’esistenza di connessioni tra lui e dei gruppi terroristici esteri. Il richiedente chiede che il suo nome sia tolto dagli elenchi in questione. Aggiunge che la sua fotografia figura in un album che la polizia italiano mostra nella cornice di procedimenti penali in materia di terrorismo internazionale.
32. Il richiedente stima che le sorgenti internazionali alle quali si è riferito sono serie e degne di fiducia. Spiega che non ha chiesto la concessione dello statuto di profugo perché viveva da vent’ anni con la sua famiglia in Italia, dove lavorava regolarmente.
33. Peraltro, il richiedente sottolinea che la legislazione tunisina in materia di terrorismo, che stima ispirata dai principi dello stato poliziesco, contempla che le persone accusate di terrorismo sono giudicate dai tribunali militari. Menziona il caso del Sig. H. B. H. L.che è stato espulso verso la Tunisia: per sei mesi, i suoi prossimi non avrebbero potuto ottenere nessuna notizia concernente a lui, poi il suo avvocato avrebbe appreso che era stato arrestato e condannato.
34. Le autorità tunisine avrebbero per pratica di non rinnovare il passaporto delle persone sospettate di terrorismo, obbligandoli così a tornare in Tunisia, dove sarebbero interrogate allo scopo di verificare quale sono le loro idee a proposito del fondamentalismo islamico. I membri della famiglia vicino al richiedente che risiedono in Tunisia, avrebbero subito dei controlli e degli interrogatori delle forze speciali anti-terrorismo che avrebbero reso loro a più riprese visita.
b) Il Governo,
35. Il Governo sottolinea che le affermazioni relative ad un pericolo di morte o al rischio di essere esposto a tortura o a trattamenti disumani e degradanti deve essere supportato da elementi di prova adeguati, e stima che ciò non è stato il caso nello specifico, essendosi limitato il richiedente a descrivere una situazione falsamente generalizzata in Tunisia.
36. Sostiene che i tre casi citati nel rapporto di Amnesty Internazionale sono dei casi isolati, da ricollocare nel contesto della lotta contro il terrorismo, e che non mostrano “niente di inquietante”, si tratta in particolare di persone condannate per terrorismo o in attesa di un processo. Nota per ciò che riguarda le affermazioni di maltrattamenti che il rapporto utilizza dei verbi al condizionale o delle espressioni come “sembra.” Non ci sarebbe dunque a questo riguardo nessuna certezza. Il carattere superficiale del rapporto sarebbe “evidente” se si pensa alle pagine consacrate all’Italia, dove è citata come esempio di violazione dei diritti dell’uomo l’espulsione verso la Siria del Sig. A.-S. di cui la richiesta alla Corte è stata respinta per difetto manifesto di fondamento (vedere Al-Shari ed altri c. Italia, (déc.), no 57/03, 5 luglio 2005). In quanto al rapporto del Dipartimento di stato americano, il Governo rileva che cita in particolare una causa (Moncef Louhici od Ouahichi) per la quale l’esame delle lamentele dei membri della famiglia della persona che sarebbe stata uccisa dalla polizia è in corso.
37. Il Governo nota anche che la Tunisia ha ratificato parecchi strumenti internazionali in materia di protezione dei diritti dell’uomo, ivi compreso un accordo di associazione con l’unione europea, organizzazione internazionale che, secondo la giurisprudenza della Corte, è presunta di offrire una protezione dei diritti fondamentali “equivalenti” a quelli garantiti dalla Convenzione. Sottolinea peraltro che le autorità tunisine permettono alla Croce Rossa internazionale di visitare le prigioni. Secondo il Governo, si può presumere che la Tunisia non si scosterà dagli obblighi che le spettano in virtù dei trattati internazionali.
38. Il Governo rinvia alle assicurazioni diplomatiche fornite dalle autorità tunisine, in cui vede il risultato di un dialogo intergovernativo molto fruttuoso. Queste assicurazioni garantirebbero una protezione adeguata del richiedente contro il rischio di subire, in Tunisia, dei trattamenti vietati dalla Convenzione.
39. Sottolinea che le autorità tunisine hanno corredato suddette assicurazioni con una “lunga e rassicurante spiegazione, in fatto ed in diritto, delle ragioni per cui bisogna credere loro”, e stima che la loro buona fede non dovrebbe essere messa in dubbio. Aggiunge che si è potuto verificare il rispetto effettivo di queste assicurazioni all’epoca dei controlli del Comitato superiore dei diritti dell’uomo e della Croce Rossa, così come delle visite degli avvocati e dei prossimi del richiedente.
40. Secondo il Governo, l’impossibilità per il rappresentante del richiedente dinnanzi alla Corte di visitare il suo cliente se incarcerato in Tunisia si spiega col fatto che questo Stato non ha aderito alla Convenzione. Sarebbe dunque ragionevole non permettere le visite di avvocati esteri che operano fuori dalla cornice nazionale ed internazionale in cui si iscrive la Tunisia. A questo riguardo, il Governo osserva che l’interessato potrà, se lo desidera, dare mandato agli avvocati tunisini di sua scelta affinché procedano, in collaborazione con gli omologhi italiani, alla preparazione della sua difesa dinnanzi alla Corte.
41. Secondo il Governo, le assicurazioni date dalla Tunisia sono rassicuranti per ciò che riguarda la sicurezza ed il benessere del richiedente così come il rispetto del suo diritto ad un processo equo. Sottolineando che nella causa Saadi precitata, avendo la Corte stessa chiesto se tali assicurazioni erano state sollecitate ed ottenute, il Governo stima che, senza che ci sia questione di rimetterli in causa, i principi affermati dalla Grande Camera devono essere adattati alle particolari circostanze di fatto del caso specifico.
2. Valutazione della Corte
42. I principi generali relativi alla responsabilità degli Stati contraenti in caso di espulsione, agli elementi da considerare per valutare il rischio di esposizione a trattamenti contrari all’articolo 3 della Convenzione ed alla nozione di “tortura” e di “trattamenti disumani e degradanti” è riassunta nella sentenza Saadi (precitata, §§ 124-136) in cui la Corte ha riaffermato anche l’impossibilità di mettere sulla bilancia il rischio di maltrattamenti ed i motivi invocati per l’espulsione per determinare se la responsabilità di un Stato è impegnata sul terreno dell’articolo 3 (§§ 137-141).
43. La Corte ricorda le conclusioni a cui è giunta nella causa Saadi precitata (§§ 143-146) che erano le seguenti:
– i testi internazionali pertinenti fanno stato di numerosi casi regolari di tortura e di maltrattamenti inflitti in Tunisia a persone sospettate o riconosciute colpevoli di terrorismo;
– questi testi descrivono una situazione preoccupante;
– le visite del Comitato internazionale della Croce Rossa nei luoghi di detenzione tunisina non possono dissipare il rischio di sottomissione a trattamenti contrari all’articolo 3 della Convenzione.
44. La Corte non vede nello specifico nessuna ragione di ritornare su queste conclusioni che si trovano confermate del resto dal rapporto 2008 di Amnesty Internazionale relativo alla Tunisia (vedere sopra il paragrafo 20). Nota per di più che in Italia, il richiedente è stato accusato di terrorismo internazionale e che il suo nome è stato portato su degli elenchi di persone pericolose in ragione della loro appartenenza all’organizzazione terroristica “Al Qaida” o dei loro legami con questa organizzazione.
45. In queste condizioni, la Corte stima che nello specifico, dei fatti seri ed accertati giustifichino di concludere ad un rischio reale di vedere il richiedente subire dei trattamenti contrari all’articolo 3 della Convenzione se venisse espulso verso la Tunisia (vedere, mutatis mutandis, Saadi, precitata, § 146. Resta da verificare se le assicurazioni diplomatiche fornite dalle autorità tunisine bastano ad allontanare questo rischio.
46. A questo riguardo, la Corte ricorda, primariamente, che l’esistenza di testi interni e l’accettazione di trattati internazionali che garantiscono, in principio, il rispetto dei diritti fondamentali non basta, da sola, a garantire una protezione adeguata contro il rischio di maltrattamenti quando, come nello specifico, delle sorgenti affidabili fanno stato di pratiche delle autorità-o tollerate o da queste -manifestamente contrarie ai principi della Convenzione (Saadi, precitata, § 147 in fine). Secondariamente, appartiene alla Corte esaminare se le assicurazioni date dallo stato di destinazione forniscono, nella loro applicazione effettiva, una garanzia sufficiente in quanto alla protezione del richiedente contro il rischio di trattamenti vietati dalla Convenzione (Chahal c. Regno Unito, Raccolta delle sentenze e decisioni 1996-V, § 105, 15 novembre 1996). Il peso da accordare alle assicurazioni che provengono dallo stato di destinazione dipende difatti, in ogni caso, dalle circostanze che prevalgono all’epoca considerata (Saadi, precitata, § 148 in fine).
47. Nel presente caso, l’avvocato generale alla direzione generale dei servizi giudiziali ha garantito che la dignità umana del richiedente sarebbe rispettata in Tunisia, che non sarebbe sottomesso a tortura, a trattamenti disumani o degradanti o ad una detenzione arbitraria, che beneficerebbe di cure mediche adeguate e che potrebbe ricevere delle visite dal suo avvocato e dai membri della sua famiglia. Oltre le leggi tunisine pertinenti ed i trattati internazionali firmati dalla Tunisia, queste assicurazioni si fondano sui seguenti elementi:
– i controlli praticati dal giudice di esecuzione delle pene, dal comitato superiore dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (istituzione nazionale indipendente) e dai servizi dell’ispezione generale del ministero della Giustizia e dei Diritti dell’uomo;
– due casi di condanna di agenti dell’amministrazione penitenziaria e di un agente di polizia per maltrattamenti;
– la giurisprudenza interna, ai termini della quale una confessione estorta sotto la costrizione è nulla e non avvenuta (vedere sopra il paragrafo 17).
48. La Corte nota, però, che non è stabilito che l’avvocato generale alla direzione generale dei servizi giudiziali fosse competente per dare queste assicurazioni a nome dello stato (vedere, mutatis mutandis, Soldatenko c. Ucraina, no 2440/07, § 73, 23 ottobre 2008.) In più, tenuto conto del fatto che delle sorgenti internazionali serie ed affidabili hanno indicato che le affermazioni di maltrattamenti non erano esaminate dalle autorità tunisine competenti (Saadi, precitata, § 143) il semplice richiamo di due casi di condanna di agenti dello stato per percosse e lesioni su dei detenuti non potrebbe bastare ad allontanare il rischio di tali trattamenti né a convincere la Corte dell’esistenza di un sistema effettivo di protezione contro la tortura, in mancanza di cui è difficile verificare che le assicurazioni date verranno rispettate. A questo riguardo, la Corte ricorda che nel suo rapporto del 2008 relativo alla Tunisia, Amnesty International ha precisato in particolare che, sebbene numerosi detenuti si siano lamentati di essere stati torturati durante la loro custodia provvisoria, “le autorità non hanno condotto praticamente mai alcuna inchiesta né preso una qualsiasi misura per tradurre in giustizia i presunti torturatori ” (vedere sopra il paragrafo 20).
49. In più, nella sentenza Saadi precitata (§ 146), la Corte ha constatato una reticenza delle autorità tunisine a cooperare con le organizzazioni indipendenti di difesa dei diritti dell’uomo, come Human Rights Watch. Nel suo rapporto 2008 precitato, Amnesty International ha notato peraltro che, sebbene il numero di membri del comitato superiore dei diritti dell’uomo sia stato aumentato, questo non includeva organizzazioni indipendenti di difesa dei diritti fondamentali.” L’impossibilità per il rappresentante del richiedente dinnanzi alla Corte di rendere visita al suo cliente nel caso fosse stato incarcerato in Tunisia conferma anche la difficoltà di accesso dei prigionieri tunisini ai consiglieri stranieri indipendenti quando sono parti ai procedimenti giudiziali dinnanzi a delle giurisdizioni internazionali. Questi ultimi rischiano dunque, una volta un richiedente viene espulso in Tunisia, di trovarsi nell’impossibilità di verificare la sua situazione e di conoscere degli eventuali motivi di appello che potrebbe sollevare in quanto ai trattamenti ai quali viene sottoposto (Ben Khemais, precitata, § 63).
50. In queste circostanze, la Corte non potrebbe aderire alla tesi del Governo secondo cui le assicurazioni date nel presente genere offrono una protezione efficace contro il rischio serio che corre il richiedente di essere sottomesso a trattamenti contrari all’articolo 3 della Convenzione (vedere, mutatis mutandis, Soldatenko precitata, §§ 73-74). Ricorda al contrario il principio affermato dall’assemblea parlamentare del Consiglio dell’Europa nella sua risoluzione 1433(2005) secondo cui le assicurazioni diplomatiche non possono bastare quando la mancanza di pericolo di maltrattamento non è fermamente stabilita (vedere sopra il paragrafo 21).
51. Pertanto, la decisione di espellere l’interessato verso la Tunisia violerebbe l’articolo 3 della Convenzione se fosse messa in esecuzione.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 7
52. Il richiedente adduce che il collocamento in esecuzione della decisione di espellerlo violerebbe l’articolo 1 del Protocollo no 7. Ricorda di essere un “straniero che risiede regolarmente” in Italia, e considera che non ha beneficiato della possibilità di fare valere le ragioni che militavano contro la sua espulsione.
L’articolo 1 del Protocollo no 7 si legge come segue:
“1. Uno straniero che risiede regolarmente sul territorio di un Stato può essere espulso solo in esecuzione di una decisione presa conformemente alla legge e deve potere:
a) fare valere le ragioni che militano contro la sua espulsione,
b) fare esaminare il suo caso, e
c) farsi rappresentare a questo fine dinnanzi all’autorità competente o una o parecchie persone nominate da questa autorità.
2. Uno straniero può essere espulso prima dell’esercizio dei diritti enumerati al paragrafo 1 a) b) e c) di questo articolo quando questa espulsione è necessaria nell’interesse dell’ordine pubblico o è basata su dei motivi di sicurezza nazionale. “
53. La Corte osserva che l’espulsione del richiedente è stata ordinata alla conclusione di un procedimento giudiziale contraddittorio durante il quale l’interessato ha goduto di garanzie procedurali sufficienti ed avuto la possibilità di presentare gli argomenti che militavano contro la sua espulsione.
54. In queste circostanze, non potrebbe essere scoperta nessuna apparenza di violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 7.
55. Ne segue che questo motivo di appello è manifestamente mal fondato e deve essere respinto in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
56. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
57. Il richiedente non ha fatto domanda di soddisfazione equa. Pertanto, la Corte stima che non c’è luogo di concedergli di somma a questo titolo.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile in quanto al motivo di appello derivato dell’articolo 3 della Convenzione ed inammissibile per il surplus;
2. Stabilisce che, nell’eventualità di collocamento in esecuzione della decisione di espellere il richiedente verso la Tunisia, ci sarebbe violazione dell’articolo 3 della Convenzione.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 24 marzo 2009, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Sally Dollé Francesca Tulkens
Cancelliera Presidentessa