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Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE A. MENARINI DIAGNOSTICS S.R.L. c. ITALIE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 2
Articoli: 06
Numero: 43509/08/2011
Stato: Italia
Data: 2011-09-27 00:00:00
Organo: Sezione Seconda
Testo Originale

Conclusione Non – violazione dell’art. 6-1
SECONDA SEZIONE
CAUSA A. MENARINI DIAGNOSI S.R.L. c. ITALIA
( Richiesta no 43509/08)
SENTENZA
STRASBURGO
27 settembre 2011
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.

Nella causa A. Menarini Diagnosi S.R.L. c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Davide Thór Björgvinsson, Dragoljub Popović, Giorgio Malinverni, András Sajó, Guido Raimondi, Paulo Pinto di Albuquerque, giudici,
e da Stanley Naismith, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 30 agosto 2011,
Rende la sentenza che ha adottata in questa data,:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 43509/08) diretta contro la Repubblica italiana e in cui una società di questo Stato, OMISSIS (“il richiedente”), ha investito la Corte il 10 settembre 2008 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. La società richiedente è stata rappresentata da G. R., avvocato a Benevento, ed A. M., avvocato a Verona. Il governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo agente, la Sig.ra E. Spatafora, e dal suo coagente la Sig.ra P. Accardo.
3. La società richiedente si lamenta della mancanza di “piena giurisdizione” delle giurisdizioni amministrative nel sistema nazionale, il che dà problemi sotto l’angolo dell’accesso ad un tribunale secondo lei.
4. Il 20 aprile 2010, il presidente della seconda sezione ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Come permette l’articolo 29 § 1 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la camera si sarebbe pronunciata sull’ammissibilità ed il merio allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
5. Il richiedente, OMISSIS, è una società italiana che ha la sua sede sociale a Firenze.
6. I fatti della causa, come sono stati esposti dalle parti, si possono riepilogare come segue.
7. La società richiedente commercializza numerosi test di diagnosi del diabete. Nel 2001, l’autorità italiana di regolazione della concorrenza, l’AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato), autorità amministrativa indipendente, sollecitò un’inchiesta contro la società richiedente e quattro altre società farmaceutiche per avere messo in opera dei pratiche anticoncorrenziali, sul fondamento dell’articolo 2 della legge no 287 del 10 ottobre 1990 sulla concorrenza e le pratiche commerciali leali.
8. Nel 2003, l’AGCM rimproverò alla richiedente di avere partecipato ad un’intesa avente avuto per oggetto la determinazione dei prezzi e la divisione dei mercati dei test diagnostici per il diabete.
9. Con una decisione del 30 aprile 2003, notificata alla società richiedente il 15 maggio 2003, l’AGCM inflisse alla società richiedente una sanzione pecuniaria di sei milioni di euro per pratiche anticoncorrenziali sul mercato dei test diagnostici per il diabete, sul fondamento delle regole di concorrenza prescritte dalla legge no 287 del 10 ottobre 1990. In particolare, l’AGCM affermò che la sanzione doveva essere dissuasiva per ogni società farmaceutica.
10. La richiedente pagò la somma il 26 gennaio 2004.
11. Il 8 luglio 2003, la società richiedente formò un ricorso contro questa decisione dinnanzi al tribunale amministrativo del Lazio, qui di seguito TAR. In appoggio al suo ricorso contestò il fatto di avere partecipato ad un’intesa avente per oggetto la determinazione dei prezzi dei test diagnostici e criticò l’analisi considerata contro lei. Inoltre, la società contestò l’esposizione e la qualifica dei fatti considerati dall’AGCM.
12. In più, la società contestò l’importo della multa ed eccepì dell’incostituzionalità dell’articolo 33 della legge no 287 del 1990 nella sua parte che escludeva un controllo di piena giurisdizione da parte dei tribunali. La società richiedente chiese al tribunale di sospendere la decisione dell’AGCM, di annullarla sul merito e di sminuire la sanzione del 10%.
13. Con un giudizio del 3 dicembre 2003, il TAR respinse il ricorso della richiedente. Ricordò che il controllo del tribunale sulle decisioni dell’AGCM era esclusivamente un controllo di legalità. Nella misura in cui il motivo di appello della società richiedente riguardava l’eccesso di potere dell’autorità amministrativa, il giudice amministrativo poteva controllare esclusivamente la pertinenza e la motivazione dell’atto dell’amministrazione, ma non aveva il potere di sostituirsi all’AGCM.
14. Il TAR sottolineò che il suo controllo era completo sulla valutazione dei fatti e sull’applicazione della sanzione, ma che trattandosi della qualifica giuridica dei fatti considerati dall’AGCM, il controllo era limitato esclusivamente alla legalità dell’atto amministrativo.
15. In quanto alla sanzione, il TAR confermò l’applicazione dell’articolo 15 della legge no 287 del 1990. In particolare, il TAR enunciò che quando il motivo di appello riguarda l’eccesso di potere, il giudice amministrativo può verificare se la decisione attaccata è logica, adeguata, ragionevole, correttamente motivata e non può sostituire le sue proprie valutazioni sulla fondatezza a quelle dell’AGCM. Affermò che il controllo giurisdizionale è allora “debole” perché si tratta di un controllo del buonsenso così come della coerenza tecnica della decisione adottata, senza che il giudice possa fare prevalere la sua propria valutazione tecnica su quella dell’AGCM. In questo contesto, il TAR sottolineò che c’era “sicuramente una perdita in quanto all’effettività della difesa, dato che è vietato al giudice effettuare un controllo intrinseco.” In più, secondo il TAR il giudice “non può sostituire le sue proprie valutazioni a quelle dell’AGCM; il giudice può applicare parimenti, solamente delle norme identificate dall’AGCM e non può sostituirle con altre; non può modificare le caratteristiche dell’inchiesta, e di conseguenza neanche la decisione adottata. Ne può verificare solamente la legalità.”
16. Il 15 luglio 2004, il richiedente attaccò l’ordinanza dinnanzi al Consiglio di stato.
17. La società richiedente faceva valere che il TAR, limitandosi a controllare la legalità dell’atto dell’AGCM, aveva omesso di valutare il comportamento della società richiedente sanzionata dall’AGCM. Sosteneva inoltre che la sanzione applicata era illegale. In particolare, faceva valere che il contenuto della norma che definiva il reato non era stato determinato dal legislatore e che l’AGCM aveva il potere di determinane il contenuto al momento della valutazione del caso di specie. Infine, si lamentava della mancanza di “piena giurisdizione” nel sistema nazionale delle giurisdizioni amministrative.
18. Con una sentenza del 16 marzo 2006, il Consiglio di stato respinse il ricorso della società richiedente. Osservò che la competenza del giudice amministrativo è limitata ad un controllo di legalità ma che l’accesso al tribunale non se ne trovava ristretto, nella misura in cui il giudice amministrativo poteva valutare gli elementi di prova raccolti dall’AGCM. In più, il Consiglio di stato ricordò che quando l’amministrazione dispone di un potere discrezionale, il giudice amministrativo non ha il potere di sostituirsi all’autorità amministrativa indipendente; tuttavia, può verificare se l’amministrazione ha fatto un uso adeguato dei suoi poteri. In quanto alla sanzione, il Consiglio di stato ricordò che il suo controllo era di piena giurisdizione nella misura in cui poteva verificare l’adeguamento della sanzione al reato commesso ed all’occorrenza sostituire la sanzione.
19. Il Consiglio di stato stimò che il controllo del giudice amministrativo era compatibile con la Costituzione.
20. Il 10 luglio 2006, la società richiedente ricorse in cassazione.
21. Con una sentenza depositata alla cancelleria il 17 marzo 2008, la Corte di cassazione dichiarò inammissibile il ricorso della società richiedente. L’alta giurisdizione confermò la sentenza del Consiglio di stato ed affermò che, trattandosi delle decisioni dell’AGCM, il controllo esercitato dalle giurisdizioni amministrative era un controllo di piena giurisdizione, poiché il giudice amministrativo può verificare la veracità dei fatti alla base della sanzione. Tuttavia, quando l’amministrazione dispone di un potere discrezionale, il giudice amministrativo non ha il potere di sostituirsi all’autorità amministrativa indipendente; ma può verificare la logica e la coerenza del potere esercitato dall’amministrazione. Secondo la Corte di cassazione, la questione sollevata dalla società richiedente non riguardava la funzione giurisdizionale del giudice amministrativo ma l’esercizio di questa. Nel caso di specie, le giurisdizioni amministrative avevano esercitato correttamente il loro potere di valutazione dei fatti.
22. In conclusione, ricordando che esercitava solamente una competenza di natura giurisdizionale, la Corte dichiarò inammissibile il ricorso della società richiedente.
II. IL DIRITTO E LE PRATICA INTERNE PERTINENTI
23. L’autorità di regolazione della concorrenza è una “autorità indipendente” creata dalla legge no 287 del 10 ottobre 1990 (legge sulla concorrenza e le pratiche commerciali leali-“la legge”). In quanto autorità indipendente, ha lo statuto di organo pubblico e le sue decisioni sono prese in virtù della legge senza nessuna possibilità di ingerenza del governo. Questa autorità ha per compito di deliberare sulle pratiche e le intese che restringono la libera concorrenza così come sulle pubblicità menzognere e comparative. In più, è incaricata di decidere i conflitti di interesse in virtù della legge no 215 del 20 luglio 2004.
24. La Legge no 287 del 10 ottobre 1990 sulla concorrenza e le pratiche commerciali leali
Articolo 2-Intese che restringono la libera concorrenza
“1. Sono considerate come le intese: gli accordi e/o le pratiche convenute tra imprese, così come le decisioni, anche fondate su delle disposizioni statutarie o regolamentari, adottate dai consorzi, delle associazioni di imprese o delle entità simili.
2. Sono proibite le intese tra imprese che hanno per oggetto o effetto di impedire, di restringere o di falsare in modo sensibile il gioco della concorrenza in seno al mercato nazionale o di una parte importante di questo, in particolare per mezzo di atti che consistono a:
a) fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita, o di altre condizioni contrattuali;
b) ostacolare o limitare la produzione, gli sbocchi commerciali o l’accesso al mercato, gli investimenti, lo sviluppo tecnico o il progresso tecnologico,;
c) ripartire i mercati o le sorgenti di approvvigionamento,;
d) applicare, nelle relazioni commerciali con altri partner, delle condizioni obiettivamente differenti per le transazioni equivalenti, infliggendo così a questi partner un svantaggio concorrenziale ingiustificabile;
e) assoggettare la conclusione di contratti all’accettazione con gli altri partner di obblighi complementari che, avuto riguardo alla loro natura o alle pratiche commerciali, sono senza rapporto con l’oggetto dei tali contratti.
3. Le intese proibite sono nulle e di nullo effetto. “
Articolo 15-Avvertimenti e sanzioni
“1. Se l’inchiesta contemplata all’articolo 14 rivela una violazione all’articolo 2 o all’articolo 3, l’autorità impartisce alle imprese ed alle entità riguardate un termine per ovviare al reato in questione. In caso di reato serio, infligge, in funzione della gravità e della durata del reato, una multa di un importo massimo equivalente al dieci per cento del fatturato realizzato da ciascuna delle imprese o entità riguardate all’epoca del precedente esercizio, ed impartisce alle imprese un termine per l’ordinamento della multa.
2. In caso di inosservanza dell’avvertimento del paragrafo 1 sopra, l’autorità infligge una multa di un importo massimo equivalente al dieci per cento del fatturato realizzato o, se la sanzione contemplata al paragrafo 1 è stata già pronunciata, di un importo corrispondente almeno al doppio della multa già inflitta, nel limite del dieci per cento del fatturato come definito al paragrafo 1. L’autorità fissa in più un termine per l’ordinamento della multa. In caso di inosservanza ripetuta, l’autorità può ordinare all’impresa riguardata di sospendere le sue attività durante una durata che può andare fino a trenta giorni.
2-bis. L’autorità, conformemente al diritto dell’unione europea, definisce per mezzo di una disposizione generale propria i casi in cui, sulla base della collaborazione fornita dalle imprese previste da un’inchiesta per determinare i reati alle regole della concorrenza, la multa non potrebbe essere applicata o potrebbe essere ridotta nei casi previsti dal diritto dell’unione europea. “
Articolo 33-Competenza giurisdizionale
“1. I ricorsi contro le misure amministrative adottate in virtù delle disposizioni che figurano ai titoli I ad IV della presente legge dipendono dalla competenza esclusiva delle giurisdizioni amministrative. Simili ricorsi devono essere depositati presso il Tribunale amministrativo regionale del Lazio.
2. I ricorsi per annullamento e azioni per il risarcimento, così come i ricorsi tesi all’ottenimento di misure di emergenza nel contesto di una violazione alle disposizioni che figurano ai titoli I ad IV devono essere depositati presso la corte di appello competente sul piano territoriale. “
25. Il diritto interno pertinente all’epoca dei fatti1
Tre tipi di giurisdizione sono assegnate ai tribunali amministrativi:
a) La giurisdizione generale di legalità;
b) La giurisdizione speciale del pieno contenzioso;
c) La giurisdizione speciale esclusiva,;
d) Le autorità amministrative indipendenti (AAI).
A. La giurisdizione generale di legalità (Giurisdizione generale di legittimità)
La giurisdizione di legalità del giudice amministrativo è generale. Il giudice amministrativo è competente per tutti i contenziosi concernenti la legalità di un atto amministrativo che ha leso un interesse legittimo2 a meno che suddetti contenziosi siano riservati alla competenza di altre giurisdizioni speciali (Corte dei conti, Corte superiore dell’acqua, Commissione delle imposte).
Nella giurisdizione di legalità, l’oggetto del contenzioso è costituito dalla misura controversa e non dal rapporto giuridico che ha dato adito alla controversia. A questo riguardo, la giurisdizione di legalità si differenzia della giurisdizione esclusiva. Conviene aggiungere che il controllo del giudice amministrativo, sebbene limitato alla protezione degli interessi legittimi, può ampliarsi, incidenter tantum (con gli effetti limitati alla causa giudicata) alle questioni pregiudiziali ed accessorie relative ai diritti soggettivi la cui risoluzione è necessaria nei confronti della questione principale.
Il giudice amministrativo, nella giurisdizione di legalità, può pronunciare con effetto costitutivo dei giudizi di annullamento degli atti amministrativi illegittimi, quando i fatti non corrispondono a quelli che l’amministrazione ha preso in conto per l’adozione della misura. Però, il giudice non può sostituire l’autorità amministrativa per adottare, al suo posto, la misura chiesta dal richiedente. A questo riguardo, la giurisdizione di legalità si differenzia dalla giurisdizione del pieno contenzioso. All’infuori dei casi espressamente definiti dal legislatore, il giudice amministrativo non ha il potere di ordinare all’amministrazione di prendere certe misure.
B. La giurisdizione del pieno contenzioso (Giurisdizione estesa al merito)
La giurisdizione del pieno contenzioso dei tribunali amministrativi costituisce un’eccezione. Può essere esercitata solamente per le materie rigorosamente regolamentate dalla legge. Queste materie non possono essere estese per via di analogia a causa della natura eccezionale delle norme che contemplano la competenza di piena giurisdizione. Questa ultima permette al giudice di esaminare non solo la legalità, ma anche la fondatezza dell’atto amministrativo in causa, intromettendosi in un ambito di abitudine sottoposto alla competenza del giudice amministrativo.
La competenza di piena giurisdizione si differenzia da quella di legalità per i poteri più larghi che sono accordati al giudice amministrativo.
Questa implica un esame più largo dei fatti, senza le limitazioni proprie ai contenziosi di legalità. In particolare, è permesso al giudice di verificare, in modo autonomo, i fatti, di valutare la corrispondenza tra le misure ed i bisogni presi in conto dalla legge e di determinare con precisione la portata esatta del principio di diritto stabilito da una decisione.
Il giudice gode, anche, di importanti poteri di inchiesta: oltre ad esercitare i poteri tipici della giurisdizione di legalità, può ordinare ogni misura di inchiesta, secondo le modalità determinate dall’ordinamento di procedimento. In generale, sono ammessi tutti i mezzi di prove ammissibili nei contenziosi civili, purché siano compatibili con le caratteristiche della giurisdizione amministrativa. Sono ammissibili, in particolare, le prove da parte di testimoni, le ispezioni, le perizie ed ogni altra investigazione che possa condurre alla scoperta della verità.
Il giudice può annullare non solo l’atto amministrativo attaccato, ma anche riformarlo e sostituirlo o sostituirsi all’autorità amministrativa nell’emissione dell’atto amministrativo e, di conseguenza, prendere delle nuove misure. Il tribunale può conoscere anche di tutte le questioni relative all’indennizzo. Peraltro, il giudice può pronunciare un giudizio di condanna per la somma di cui l’amministrazione è debitrice.
L’ambito principale della giurisdizione del pieno contenzioso è quella dell’esecuzione della cosa giudicata (giudizio di ottemperanza). Il giudice amministrativo, con un commissario ad acta, sostituisce l’amministrazione inadempiente nella presa delle misure necessarie per soddisfare l’istanzadel richiedente.
C. La giurisdizione esclusiva
La giurisdizione amministrativa esclusiva è istituita dalla legge sui TAR e da altre leggi concernenti le materie per cui la competenza del giudice amministrativo non si limita agli interessi legittimi, ma si dilunga anche ai diritti soggettivi.
Per ciò che riguarda i poteri di inchiesta, il legislatore ha assegnato al giudice amministrativo, nella cornice della giurisdizione esclusiva, degli attrezzi analoghi a quelli appartenenti al giudice giudiziale. L’articolo 7 del legge no205 del 2000 ha introdotto la possibilità di utilizzare i mezzi di prova previsti dal codice di procedimento civile e, inoltre, di ricorrere alle perizie.
Nell’esercizio della competenza esclusiva, esistono da una parte dei giudizi costitutivi di annullamento con cui il giudice elimina la misura che lede la posizione giuridica del richiedente; e dall’altra parte dei giudizi di valutazione, per la risoluzione di difficoltà concernenti l’esistenza di una situazione giuridica soggettiva. In caso di annullamento di un atto amministrativo, il giudice indica delle direttive all’amministrazione.
Nel caso in cui il giudice accoglie il ricorso per le ragioni di merito, può modificare o sostituire l’atto. Peraltro, il giudice può emettere dei giudizi di condanna che obbligano l’amministrazione a tenere un comportamento particolare. L’articolo 35 del decreto legislativo no 80 del 1998 permette al giudice di ordinare adesso la restitutio in integrum.
Sebbene il potere di mancata applicazione (“disapplicazione”) è contemplato solamente per i giudici giudiziali secondo la giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato, Sez. V, no 154 di 1992 e 799 del 1993) il giudice amministrativo può, anche d’ ufficio, allontanare l’applicazione degli atti amministrativi contrari alle norme di livello superiore, purché non siano oggetto di contestazione.
D. Le autorità amministrative indipendenti (AAI)
Non esiste nessuna disposizione di legge che dà in modo generale al giudice amministrativo una giurisdizione esclusiva sugli atti delle autorità indipendenti; al contrario, sono le differenti leggi che riguardano suddette autorità che assegnano competenza al giudice amministrativo nei contenziosi che implicano le autorità indipendenti. Queste autorità, di fatto, godono di una posizione particolare di indipendenza.
Il controllo del giudice amministrativo è limitato ad una valutazione tecnica degli atti dell’autorità (potere di discrezione tecnica).
La giurisprudenza è ben consolidata in quanto alla superficie dei poteri del giudice in relazione con le autorità indipendenti: il controllo giurisdizionale copre, senza limitazioni, l’insieme dell’esercizio del loro potere da parte delle autorità amministrative indipendenti (Consiglio di stato, Sez. VI, 8 febbraio 2007, no 515).
Trattandosi delle sanzioni dell’AGCM concernenti le intese restrittive di concorrenza, la giurisdizione del giudice amministrativo è una giurisdizione di pieno contenzioso ai sensi dell’articolo 23 della legge no 689 del 1981, applicabile sulla base dell’articolo 31 della legge no 287 del 1990. Per questo fatto il giudice, può annullare l’atto amministrativo e modificarlo per ciò che riguarda la sanzione.
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
26. La società richiedente si lamenta di non avere avuto accesso ad un tribunale ai sensi dell’articolo 6 § 1 della Convenzione che, nella sua parte pertinente, si legge come segue:
“Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia equamente sentita da un tribunale indipendente ed imparziale, stabilito dalla legge che deciderà, della fondatezza di ogni accusa in materia penale diretta contro lei. “
27. Il Governo si oppone a questa tesi.
A. Sull’ammissibilità
1. Tesi delle parti
28. Il Governo solleva al primo colpo un’eccezione tratta dall’incompatibilità ratione materiae della richiesta con la Convenzione. Fa valere che il risvolto penale dell’articolo 6 § 1 della Convenzione non entra in fila di conto.
29. In quanto al primo dei tre criteri della giurisprudenza Engel ed altri c. Paesi Bassi, (8 giugno 1976, serie A no 22) il Governo afferma innanzitutto che le decisioni dell’AGCM a livello nazionale sono archiviate tra le “sanzioni amministrative” e non tra le “sanzioni penali.” In più, i comportamenti anticoncorrenziali sono sanzionati non sul fondamento del diritto penale, ma su quello della legge no 287 del 10 ottobre 1990 sulla concorrenza e le pratiche commerciali leali.
30. In quanto al secondo criterio il Governo osserva che lo scopo perseguito dalla legge no 287 del 10 ottobre 1990 è di preservare la libera concorrenza sul mercato. Ricorda che questa legge non si applica alle imprese che gestiscono dei servizi di interesse economico generale o esercitano un’attività in regime di monopolio sul mercato. Non lede dunque normalmente gli interessi generali della società protetti dal diritto penale. Inoltre, il Governo ricorda che le regole procedurali previste da suddetta legge sono differenti delle regole penali.
31. In quanto al terzo criterio, concernente la natura ed il grado di severità della “sanzione”, il Governo sostiene che lo scopo principale della misura è di impedire il perseguimento di un’attività particolare in violazione della concorrenza e che l’applicazione della sanzione è solamente eventuale. Per queste ragioni, il Governo fa valere che l’effetto dissuasivo della sanzione coesiste con un effetto riparatore. In quanto alla gravità della sanzione, il Governo è del parere che questo deve essere proporzionale al peso economico della società richiedente, un’impresa multinazionale, con una grande portata economica.
32. Secondo il Governo la causa Société Stenuit c. Francia, (rapporto della Commissione del 30 maggio 1991, serie A no 232-A) non è applicabile al caso di specieo. Ricorda che in parecchie cause contro la Russia (OOO Neste St Petersburg, ZAO Kirishiavtoservice, OOO Nevskaya Toplivnaya, ZAO Transservice, OOO Faeton, OOO PTK-servizio c,. Russia, numeri 69042/01, 69050/01, 69054/01, 69055/01, 69056/01, 69058/01, decisione del 3 giugno 2004) la Corte ha stimato che l’articolo 6 non si applicava.
33. La società richiedente contesta gli argomenti del Governo. È del parere che la decisione dell’AGCM equivale ad una decisione sulla fondatezza di un’accusa in materia penale.
34. Innanzitutto, la società richiedente ricorda che, trattandosi della natura della sanzione, le indicazioni fornite dal diritto interno hanno solamente un valore relativo. Difatti, lo scopo perseguito dalla decisione controversa è di mantenere la libera concorrenza sul mercato italiano. Il fatto che l’AGCM, intervenendo nel caso di specie, abbia regolamentato il mercato che riguarda un prodotto specifico fornito da certe imprese farmaceutiche non può ridurre la portata della legge no 287 del 1990. Creando l’AGCM, con lo statuto di autorità amministrativa indipendente, il legislatore ha inteso garantire una sorveglianza degli accordi restrittivi di concorrenza così come degli abusi di posizione dominante.
35. Secondo la società richiedente, nel sistema economico italiano fondato sulla libertà del commercio e dell’industria, l’AGCM riveste una funzione fondamentale perché sta attenta ad instaurare un regime di concorrenza credibile per le imprese. Difatti, i mercati possono concorrere all’efficacia economica solo se delle regole di diritto garantiscono agli operatori la libertà di fissare i loro prezzi, il libero accesso al mercato, ma anche la mancanza di abuso di posizione dominante per coloro che la detengono. L’agcm è incaricata di fare rispettare questo equilibrio. La legge no 287 del 1990 lede dunque degli interessi generali della società protetti normalmente dal diritto penale (vedere, mutatis mutandis, Stenuit с. Francia, precitata, § 64).
36. In quanto alla gravità della sanzione, la società richiedente osserva che la sanzione ha raggiunto un importo di sei milioni di euro, somma molto elevata per lei. In più, è stata obbligata a pagarla qualche mese dopo la sua pronunzia. Inoltre, come affermato dall’AGCM stessa, questa misura doveva essere dissuasiva per ogni società farmaceutica. La società richiedente contesta l’affermazione del Governo italiano secondo la quale la sanzione inflitta dall’AGCM sarebbe solamente eventuale. I fatti controversi dimostrano che l’AGCM ha identificato la sanzione con una somma importante e che l’autorità amministrativa indipendente gli ha assegnato un carattere eminentemente punitivo. In appoggio della sua tesi, la società richiedente sottolinea che il carattere punitivo di questo tipo di reato risulta anche dalla giurisprudenza del Consiglio di stato (vedere, tra altre, le cause Lottomatica S.p.A. ed altri, sentenza no 6469/07, SOGEC s.r.l. ed altri, sentenza no 695/08 e Cinema Orchidea s.r.l., sentenza no 697/08,). In queste cause, il giudice amministrativo ha sottolineato che la sanzione “antitrust” è “tipicamente punitiva.” Nella causa RIVOIRA S.p.A. ed altri, (sentenza no 1006/08) il Consiglio di stato ha riaffermato l’esigenza che la sanzione abbia “un’efficacia adeguata di dissuasione.” Nella sentenza no 5050 del 5 marzo 2010, la Corte di cassazione ha sottolineato Infine l’aspetto punitivo delle sanzioni “antitrust”, l’AGCM, nel suo rapporto annuo del 30 aprile 2008, ha riaffermato la natura dissuasiva della sanzione.
37. In conclusione, la decisione dell’AGCM di infliggere alla società richiedente una sanzione pecuniaria di sei milioni di euro deve essere considerata, secondo la società richiedente, allo sguardo della Convenzione, come una decisione sulla fondatezza di un’accusa penale (vedere, mutatis mutandis, Stenuit с. Francia, precitata, § 65).
2. Valutazione della Corte
38. La Corte ricorda la sua giurisprudenza consolidata secondo la quale occorre, per determinare l’esistenza di una “accusa in materia penale”, avere riguardo a tre criteri,: la qualifica giuridica della misura controversa in diritto nazionale, la natura stessa di questa, e la natura ed il grado di severità della “sanzione” (Engel, precitata). Questi criteri sono peraltro alternativi e non cumulativi: affinché l’articolo 6 § 1 si applichi a titolo delle parole “accusa in materia penale”, basta che il reato in causa sia, per natura, “penale” allo sguardo della Convenzione, o abbia esposto l’interessato ad una sanzione che, per sua natura ed il suo grado di gravità, risultava in generale alla “materia penale.” Ciò non impedisce l’adozione di un approccio cumulativo se l’analisi separata da ogni criterio non permette di arrivare ad una conclusione chiara in quanto all’esistenza di una “accusa in materia penale” (Jussila c. Finlandia [GC], no 73053/01, §§ 30 e 31, CEDH 2006-XIII, e Zaicevs c. Lettonia, no 65022/01, § 31, CEDH 2007-IX (brani)).
39. La Corte constata di prima che le pratiche anticoncorrenziali rimproverate nello specifico alla società richiedente non costituiscono una violazione penale ai sensi del diritto italiano. I comportamenti anticoncorrenziali sono sanzionati difatti non sul fondamento del diritto penale, ma su quello della legge no 287 del 10 ottobre 1990 sulla concorrenza e le pratiche commerciali leali. Ciò non è tuttavia decisivo ai fini dell’applicabilità dell’articolo 6 della Convenzione, avendo le indicazioni che forniscono il diritto interno solamente un valore relativo (Öztürk c. Germania, 21 febbraio 1984, § 52, serie A nº 73).
40. In quanto alla natura del reato, appare che le disposizioni di cui la violazione è stata rimproverata alla società richiedente miravano a preservare la libera concorrenza sul mercato. La Corte ricorda che l’AGCM, autorità amministrativa indipendente, ha come scopo di esercitare una sorveglianza sugli accordi restrittivi della concorrenza così come sugli abusi di posizione dominante. Lede dunque normalmente gli interessi generali della società protetti dal diritto penale (Stenuit c. Francia, precitata, § 62). Inoltre, conviene notare che la multa inflitta prevedeva essenzialmente a punire per impedire la reiterazione del maneggio incriminato. Se ne può concludere quindi che la multa inflitta era fondata su delle norme che inseguivano al tempo stesso uno scopo preventivo e repressivo (mutatis mutandis, Jussila, precitata, § 38).
41. In quanto alla natura ed alla severità della sanzione “suscettibile di essere inflitta” al richiedente (Ezeh e Connors c. Regno Unito [GC], i nostri 39665/98 e 40086/98, § 120, CEDH 2003-X) la Corte constata che la multa in questione non poteva essere sostituita da una pena privativa di libertà in caso di mancato pagamento (a contrario, Anghel c. Romania, nº 28183/03, § 52, 4 ottobre 2007). Però, nota che l’AGCM ha pronunciato nello specifico una sanzione pecuniaria di sei milioni di euro, sanzione che presentava un carattere repressivo poiché mirava a sanzionare un’irregolarità, e preventivo, essendo lo scopo perseguito di dissuadere la società interessata dal ricominciare. Inoltre, la Corte nota che il richiedente sottolinea che il carattere punitivo di questo tipo di reato risulta anche dalla giurisprudenza del Consiglio di stato.
42. Alla luce di ciò che precede e tenuto conto dell’importo elevato della multa inflitta, la Corte stima che la sanzione dipende, per la sua severità, dalla materia penale (Öztürk precitata, § 54, e, a contrario, Inocêncio c. Portogallo, (dec.), no 43862/98, CEDH 2001-I).
43. La Corte ricorda del resto, anche che a proposito di certe autorità amministrative francesi competenti in diritto economico e finanziario e che dispongono di poteri di sanzione, ha giudicato che l’articolo 6, sotto il suo risvolto penale, si applicava in particolare a proposito del Consiglio della concorrenza (Lilly c. Francia, (dec.), no 53892/00, 3 dicembre 2002, del Consiglio dei mercati finanziari, Didier c. Francia, (dec.), no 58188/00, 27 agosto 2002, e della Commissione bancaria, Dubus S.p.A. c. Francia, no 5242/04, § 36, 11 giugno 2009).
44. Tenuto conto dei diversi aspetti della causa, ed avendo esaminato il loro rispettivo peso, la Corte stima che la multa inflitta alla società richiedente ha un carattere penale, così che l’articolo 6 § 1 si trova ad applicare, nell’occorrenza, sotto il suo risvolto penale. Pertanto, conviene respingere l’eccezione sollevata dal Governo in quanto all’inapplicabilità ratione materiae dell’articolo 6 della Convenzione.
45. La Corte constata che la richiesta non è manifestamente mal fondata ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. Rileva peraltro che questa non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dichiararla ammissibile dunque.
B. Sul merito
1. Argomenti delle parti
46. Il Governo nota innanzitutto che le giurisdizioni amministrative nazionali esercitano la loro attività sul piano della legalità e che la portata del loro controllo è indicata nella sentenza del Consiglio di stato depositato alla cancelleria il 16 marzo 2006. Nel caso di specie le giurisdizioni amministrative avevano una giurisdizione esclusiva che ha permesso loro di conoscere l’insieme del contenzioso senza distinzione tra interessi legittimi e diritti soggettivi.
47. Il Governo afferma che le giurisdizioni interne si sono concesse ad un esame approfondito del merito della controversia. Il fatto che il controllo del giudice amministrativo sia qualificato come controllo di “legalità” non significa che si limita all’aspetto formale della controversia. Ricorda che il TAR limita il suo controllo al carattere ragionevole della decisione ed alla sua coerenza tecnica senza sostituire la sua valutazione tecnica a quella dell’amministrazione. Il giudice amministrativo può esaminare la fondatezza e la proporzionalità delle scelte effettuate dall’amministrazione pubblica.
48. Il Governo ricorda inoltre che il Consiglio di stato ha respinto gli argomenti della società richiedente poiché il controllo giurisdizionale sulla sanzione inflitta è “pieno e particolarmente penetrante.” In particolare, il giudice amministrativo può annullare le valutazioni di ordine tecnico che non sono ragionevoli, logiche e coerenti e può annullare la decisione amministrativa controversa. Nel caso di specie, i giudici amministrativi avevano il potere di annullare le ingerenze dell’AGCM ed il controllo esercitato sulla sanzione pecuniaria poteva, all’occorrenza, manifestarsi in una riduzione dei suoi effetti.
49. Il Governo ricorda la giurisprudenza del Consiglio di stato che riconosce che, per ciò che riguarda le valutazioni tecniche dell’AGCM, il giudice amministrativo deve fare appello alle regole e delle cognizioni tecniche che appartengono alla stessa scienza di quella utilizzata dall’amministrazione. In più, il controllo del giudice può riguardare anche l’analisi fatta dall’AGM e può condurlo per questo fatto a rivalutare le sue scelte tecniche.
50. Per queste ragioni, il Governo chiede alla Corte di respingere la richiesta.
51. La società richiedente stima che nella presente causa i giudici amministrativi hanno effettuato solamente un controllo di legalità e che questo tipo di controllo non le ha permesso di sottoporre le sue contestazioni ad un “tribunale” che soddisfacesse le esigenze dell’articolo 6 § 1 della Convenzione. Ricorda che all’epoca di un intervento da parte di un organo non giurisdizionale come l’AGCM, la Corte esige che ogni decisione adottata sia soggetta al controllo ulteriore di un organo giudiziale di piena giurisdizione che soddisfaccia le garanzie dell’articolo 6 della Convenzione (vedere, tra altre, Öztürk с. Germania, precitata, § 56). Tuttavia, nel caso di specie, il controllo del giudice amministrativo si è limitato a ricercare se l’AGCM aveva utilizzato il suo potere discrezionale in un modo compatibile con la legge no 287 del 1990 (vedere, mutatis mutandis, Obermeier c. Austria, 28 giugno 1990, § 70, serie A no 179).
52. La società richiedente ricorda che il controllo giurisdizionale del TAR è di tipo “debole” e che c’era “sicuramente una perdita in quanto all’effettività della difesa, dato che è vietato al giudice effettuare un controllo intrinseco.” In più, ricorda che secondo il TAR il giudice non può sostituire le sue proprie valutazioni a quelle dell’AGCM, può applicare solamente delle norme identificate dall’AGCM e non può modificare le caratteristiche dell’inchiesta e non può modificare di conseguenza neanche la decisione adottata.
53. Infine, la società richiedente nota che la Corte di cassazione ha affermato che, quando l’amministrazione dispone di un potere discrezionale, il giudice amministrativo non ha il potere di sostituirsi all’autorità amministrativa indipendente, ma può verificare solamente la logica e la coerenza del potere esercitato dall’amministrazione. Secondo la Corte di cassazione, la questione sollevata dalla società richiedente non riguardava la funzione giurisdizionale del giudice amministrativo ma l’esercizio di questa.
54. Il fatto che i giudici amministrativi abbiano limitato il loro controllo alla legalità dell’atto non ha permesso loro di esaminare la fondatezza della decisione adottata dall’AGCM, perché i giudici amministrativi nazionali non potevano sostituirsi all’AGCM né modificare la qualifica giuridica dei fatti considerati da lei.
55. Su questo punto, la società richiedente osserva che il contenuto della norma che definisce il reato non è determinato dal legislatore (“norma penale in bianco”) e che l’AGCM ha il potere di determinarne il suo contenuto al momento della valutazione del caso di specie. Ora, un semplice controllo di legalità, anche chiamato controllo “debole” dalle giurisdizioni interne, ha come conseguenza una considerevole riduzione delle garanzie, e non può fornire una protezione adeguata contro l’arbitrarietà.
56. In conclusione, la società richiedente stima di non avere beneficiato mai di un esame della sua causa da parte di un “tribunale” dotato della pienezza di giurisdizione e che avrebbe deliberato sulla fondatezza dell’accusa in materia penale diretta contro lei (vedere, mutatis mutandis, Colozza c. Italia, 12 febbraio 1985, § 32, serie A no 89, e Stenuit с Francia, precitata, § 72).
2. Valutazione della Corte
57. La Corte osserva che i motivi di appello della società richiedente hanno fatto riferimento al diritto di accesso ad un tribunale dotato della pienezza di giurisdizione ed al riesame giudiziale, presumibilmente incompleto, della decisione amministrativa resa dall’AGCM.
58. Nello specifico, la sanzione controversa non è stata inflitta da un giudice alla conclusione di un procedimento giudiziale contraddittorio, ma dall’AGCM. Se affidare alle autorità amministrative il compito di perseguire e di reprimere le multe non è incompatibile con la Convenzione, bisogna sottolineare che l’interessato deve potere investire di ogni decisione così presa a suo carico un tribunale che offre le garanzie dell’articolo 6 (Kadubec v. Slovacchia, 2 settembre 1998, § 57, Raccolta delle sentenze e decisioni 1998-VI, e Čanády c. Slovacchia, no 53371/99, § 31, 16 novembre 2004).
59. Il rispetto dell’articolo 6 della Convenzione non esclude dunque che in un procedimento di natura amministrativa, una “pena” venga imposta da prima da un’autorità amministrativa. Suppone che la decisione di un’autorità amministrativa che non adempie lei stessa le condizioni dell’articolo 6 § 1 subisse il controllo ulteriore di un organo giudiziale di piena giurisdizione (Schmautzer, Umlauft, Gradinger, Pramstaller, Palaoro e Pfarrmeier c. Austria, sentenze del 23 ottobre 1995, serie A numeri 328 Avere-C e 329 Avere-C, rispettivamente §§ 34, 37, 42 e 39, 41 e 38). Tra le caratteristiche di un organo giudiziale di piena giurisdizione figuro il potere di riformare in ogni punto, in fatto come in diritto, la decisione presa, resa dall’organo inferiore. Deve avere in particolare competenza per dedicarsi a tutte le questioni di fatto e di diritto pertinente per la controversia di cui si trova investita( Chevrol c. Francia, no 49636/99, § 77, CEDH 2003-III, e Silvester’s Horeca Servizio c. Belgio, nº 47650/99, § 27, 4 marzo 2004).
60. Nello specifico, la società richiedente ha potuto attaccare la sanzione amministrativa controversa dinnanzi al TAR di Roma, ed interporre appello contro la decisione di questo ultima dinnanzi al Consiglio di stato. Secondo la giurisprudenza della Corte, questi organi soddisfanno le esigenze di indipendenza e di imparzialità che un “tribunale” deve possedere ai sensi dell’articolo 6 della Convenzione, (Predil Anstalt S.p.A. c. Italia,(dec.), no 31993/96, 8 giugno 1999).
61. La Corte ricorda, innanzitutto che merita la denominazione di “tribunale” a sensi dell’articolo 6 § 1 solo un organo gaudente della pienezza di giurisdizione e rispondente ad una serie di esigenze come l’indipendenza al riguardo dell’esecutivo come delle parti in causa (vedere, tra altre, le sentenze Ringeisen c. Austria, 16 luglio 1971, § 95, serie A no 13; Le Compte, Van Leuven e De Meyere c. Belgio, 23 giugno 1981, § 55, serie A no 43; Belilos c. Svizzera, 29 aprile 1988, § 64, serie A no 132, e soprattutto la sentenza Beaumartin c. Francia, 24 novembre 1994, § 38 e 39, serie A no 296-B).
62. Peraltro, la Corte ricorda che la natura di un procedimento amministrativo può differire, sotto parecchi aspetti, dalla natura di un procedimento penale nel senso stretto del termine. Se queste differenze non potrebbero esonerare gli Stati contraenti dal loro obbligo di rispettare tutte le garanzie offerte dal risvolto penale dell’articolo 6, possono tuttavia influenzare le modalità della loro applicazione, (Valico S.r.l. c. Italia, (dec.), no 70074/01, CEDH 2006-III).
63. La Corte nota che nel caso di specie, le giurisdizioni amministrative si sono dedicate alle differenti affermazioni di fatto e di diritto della società richiedente. Hanno esaminato quindi gli elementi di prova raccolti dall’AGCM. In più, il Consiglio di stato ha ricordato che quando l’amministrazione dispone di un potere discrezionale, anche se il giudice amministrativo non ha il potere di sostituirsi all’autorità amministrativa indipendente, può verificare tuttavia se l’amministrazione ha fatto un uso adeguato dei suoi poteri.
64. Per questo fatto, la Corte nota che la competenza delle giurisdizioni amministrative non era limitata ad un semplice controllo di legalità. Le giurisdizioni amministrative hanno potuto verificare se, rispetto alle circostanze particolari della causa, l’AGCM aveva fatto un uso adeguato dei suoi poteri. Hanno potuto esaminare la fondatezza e la proporzionalità delle scelte dell’AGCM ed anche verificare le sue valutazioni di ordine tecnico.
65. In più, il controllo effettuato sulla sanzione è stato di piena giurisdizione nella misura in cui il TAR ed il Consiglio di stato hanno potuto verificare l’adeguatezza della sanzione al reato commessa ed avrebbero potuto sostituire all’occorrenza la sanzione (vedere, a contrario, Silvester’s Horeca Service c. Belgio, no 47650/99, § 28, 4 marzo 2004).
66. In particolare, il Consiglio di stato, andando al di là di un controllo “esterno” sulla coerenza logica della motivazione dell’AGCM, si è concesso ad un’analisi dettagliata dell’adeguatezza della sanzione rispetto ai parametri pertinenti, ivi compresa la proporzionalità della sanzione stessa.
67. Essendo stata la decisione dell’AGCM sottoposta al controllo ulteriore di organi giudiziali di piena giurisdizione, nessuna violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione non saprebbe essere scoperta nello specifico.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE,
1. Dichiara, all’unanimità, la richiesta ammissibile,;
2. Stabilisce, per 6 voci contro 1, che non c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 27 settembre 2011, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Stanley Naismith Francesca Tulkens
Cancelliere Presidentessa
Alla presente sentenza si trova unita, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 dell’ordinamento, l’esposizione delle seguenti opinioni separate:
-opinione concordante del giudice Sajó;
-opinione dissidente del giudice Pinto de Albuquerque.
F.T.
S.H.N.

OPINIONE CONCORDANTE DEL GIUDICE SAJÓ
(Traduzione)
Come la maggioranza dei miei colleghi, ho concluso in questa causa alla non-violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione. Mi sembra tuttavia necessario sottolineare che, per valutare la natura del controllo giurisdizionale di decisioni amministrative stimate dalle autorità indipendenti, è importante seguire le considerazioni esposte dal giudice Pinto de Albuquerque nella sua opinione dissidente. La ragione per la quale non ho potuto concordare con questa è puramente relativa ai fatti. È vero che la legge in vigore e certi giudizi interpretativi che provengono dai tribunali italiani non incitavano i tribunali ad esercitare un vero controllo giurisdizionale. Questo contesto giuridico autorizzava apparentemente, solamente un’analisi formale, (un controllo di legalità o “controllo giurisdizionale debole”). Ora, nello specifico, il Consiglio di stato si è lanciato de facto in un’analisi del merito soddisfacente alle esigenze dell’articolo 6. Inoltre, il Consiglio di stato aveva il potere di annullare la decisione amministrativa che provocava una sanzione penale. Certo, procedendo a questo controllo del fondo, ha utilizzato una terminologia che dà a pensare che esercitava un controllo giurisdizionale debole, ma il Consiglio di stato sembra non avere agito come annunciava che lo faceva. Ai fini dell’articolo 6, ciò che conta è che nello specifico i diritti enunciati dalla Convenzione sono stati protetti effettivamente, e non la terminologia imposta dalla legislazione “interpretata” dal Consiglio di stato.

OPINIONE DISSIDENTE
DEL GIUDICE PINTO DE ALBUQUERQUE
1. L’autorità italiana di regolazione della concorrenza (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato – « l’AGCM ») condannò la società richiedente ad una “sanzione amministrativa pecuniaria” (sanzione amministrativa pecuniaria) di 6 milioni di euro per i pratiche anticoncorrenziali sul mercato dei test diagnostici per il diabete. Il fondamento della condanna era la legge no 287 del 10 ottobre 1990 sulla concorrenza e le pratiche commerciali leali. Le giurisdizioni amministrative successivamente chiamate a conoscere della causa tra cui il tribunale amministrativo del Lazio (“il TAR”), il Consiglio di stato e la Corte di cassazione, respinsero i ricorsi della società richiedente.
2. Condivido l’opinione della maggioranza secondo la quale l’articolo 6 della Convenzione è applicabile nel caso di specie. È consolidato che suddetta “sanzione amministrativa pecuniaria” cambio, secondo il diritto italiano, del diritto amministrativo e si distingue nettamente delle sanzioni del diritto penale, sulla natura e l’importanza delle sanzioni amministrative nella cornice del movimento di depenalizzazione in diritto italiano e la sedicente “teoria formale” di distinzione tra le sanzioni amministrative e le sanzioni penali, (vedere, tra altre, Giorgio Colla e Gianfranco Manzo, Le Sanzioni Amministrative, Milano, Giuffrè, 2001 pp,. 79-107, Casetta, Illicito amministrativo, in Digesto delle Disciplina Publicistiche, Volume VIII, Torino, UTET, 1993, pp,. 89-90, ed Aldo Travi, Sanzioni Amministrative e Pubblica Ammnistrazione, Padova, CEDAM, 1983, pp,. 11-87). Nonostante, l’applicabilità dell’articolo 6 della Convenzione, sotto il suo risvolto penale, al procedimento amministrativo e giurisdizionale in causa è evidente, alla vista del carattere repressivo e preventivo della sanzione amministrativa pecuniaria. La sanzione presentava un carattere repressivo poiché mirava a sanzionare un comportamento contrario alla legge. Da un altro lato, aveva anche un carattere preventivo perché lo scopo perseguito era di dissuadere la persona giuridica interessata dal reiterare nel futuro la condotta censurata. In più, l’ampiezza considerevole della tabella del compendio della sanzione fissata dal legislatore ed anche la severità dell’importo concreto della sanzione determinata dai tribunali nazionali concorre alla conclusione già enunciata di applicabilità dell’articolo 6.
3. Mi allontano però dalla maggioranza a proposito della conclusione secondo la quale non c’è stata violazione di suddetto articolo. Al mio parere, le giurisdizioni amministrative italiane non hanno esercitato, nel caso di specie, un vero potere di controllo di “piena giurisdizione” sulle decisioni di condanna prese dall’AGCM.
4. I giudici nazionali hanno definito esattamente ed a più riprese quale era l’ampiezza della loro competenza di controllo a riguardo della decisione dell’AGCM. Secondo la loro propria interpretazione della legge italiana applicabile prima dell’entrata in vigore del nuovo codice di procedura amministrativa, i giudici amministrativi non “possono esercitare un potere sostitutivo che va a sostituire con la sua propria valutazione tecnica dei fatti quello dell’autorità amministrativa.” Ciò significa che il nocciolo duro del giudizio è sottratto alla competenza dei tribunali amministrativi italiani. Il giudizio di imputazione di responsabilità appartiene realmente all’autorità amministrativa indipendente e non ai tribunali amministrativi.
5. La base di questa interpretazione della legge nazionale è la sentenza del Consiglio di stato nº 2199/2002 del 23 aprile 2002 che armonizza e consolida una giurisprudenza già enunciata nelle precedenti sentenze del Consiglio di stato no 699 del 9 aprile 1999, nº 1348 del 14 marzo 2000, nº 1671 del 20 marzo 2001, nº 4118 del 26 luglio 2001, no 5287 del 6 ottobre 2001, e nº 5733 del 8 novembre 2001. Secondo la giurisprudenza precedente definita nelle sentenze numeri 1348, 1671, 4118 e 5733, il giudice amministrativo poteva controllare solamente i vizi classici di incompetenza, di violazione della legge e di eccesso di potere commessi dalle autorità amministrative indipendenti, senza disporre di nessun potere di controllo sulle valutazioni del fondo fatto dall’amministrazione. Peraltro, la sentenza no 699 aveva riconosciuto già l’estensione della competenza delle giurisdizioni amministrative al potere discrezionale tecnico dell’amministrazione, in particolare sulle sue valutazioni tecniche discutibili. La sentenza no 5287 aveva introdotto alla fine la famosa distinzione tra un controllo “forte” che si manifesta in un potere di sostituzione del giudice amministrativo alla valutazione tecnica fatta dall’amministrazione, ed un controllo “debole”, ristretto ad una valutazione del buonsenso e della coerenza tecnica della decisione amministrativa.
Facendo la sintesi della giurisprudenza precedente, la sentenza nº 2119/2002 stabilisce nettamente i limiti della giurisdizione dei tribunali amministrativi sulle decisioni dell’AGCM. Il Consiglio di stato descrive il procedimento decisionale seguito dall’AGCM, riconoscendo l’esistenza di quattro fasi distinte: 1, l ‘ “determinazione dei fatti”, 2, “contestualizzazione” della norma protettiva della concorrenza che, facendo riferimento ai “concetti giuridici indeterminati”, come il mercato pertinente, l’abuso di posizione dominante, gli accordi restrittivi della concorrenza, ha bisogno di un’individualizzazione esatta degli elementi del reato imputato”, 3, il confronto dei fatti col parametro già contestualizzato, e 4, l’applicazione delle sanzioni. Secondo il Consiglio di stato, il giudice amministrativo ha pieno potere di controllo sulla prima e l’ ultima fase del procedimento decisionale amministrativo, ma ha invece solo un potere molto limitato sulle altre fasi, dove il potere discrezionale tecnico dell’amministrazione entra in gioco. Così, il potere di controllo del giudice amministrativo include la “veracità” degli elementi di fatto, ciò che presuppone la valutazione delle prove raccolte dall’AGCM e la difesa. Può valutare anche la proporzionalità delle sanzioni applicate. Può effettuare in compenso, solamente un controllo “debole” sulle altre fasi del procedimento decisionale amministrativo, alla vista del fatto che l’AGCM esercita in parte “almeno, un’attività discrezionale tecnica” e che “le valutazioni tecniche dell’AGCM non si basano su delle regole scientifiche, esatte ed indiscutibili, ma sono il frutto delle scienze inesatte e discutibili, principalmente di carattere economico con cui sono definiti i concetti giuridici indeterminati.”
La sentenza menzionata del Consiglio di stato fu confermata dalla sentenza delle sezioni unite della Corte di cassazione no 8882 del 29 aprile 2005 che ha stabilito la giurisprudenza secondo la quale “il limite identificato dal giudice amministrativo si riferisce alla possibilità, esclusiva, di esercitare a quanto sembra un controllo di tipo “forte” sulle valutazioni tecniche discutibili, cioè la possibilità da parte del giudice di esercitare un potere di sostituzione che va fino a sovrapporre la valutazione tecnica discutibile dello stesso giudice a quella dell’amministrazione.”
La Corte di cassazione non ha lasciato nessun dubbio sulla sua posizione di principio in materia di sanzioni amministrative applicate dall’AGCM: “si ripete il principio che questa Corte ha già sostenuto, ossia che la giurisdizione del giudice amministrativo, sebbene esclusiva, resta una giurisdizione di legalità e non include il merito(…) Pertanto, il Consiglio di stato ha concluso correttamente che i procedimenti dell’AGCM erano controllabili per vizi di legalità e non sul merito.”
6. Questa interpretazione “debole” del potere di controllo giurisdizionale fu seguita dal TAR nel suo giudizio del 3 dicembre 2003, dal Consiglio di stato nella sua sentenza del 16 marzo 2006, ed alla fine dalla Corte di cassazione nella sua sentenza del 17 marzo 2008.
Prendendo in prestito i termini stessi dal Consiglio di stato, il TAR stimò che il suo controllo sulle decisioni dell’AGCM era esclusivamente un controllo dei vizi di legalità, per i soli vizi di legittimità. Nella sua sentenza, il TAR affermò che, quando “un eccesso di potere è constatato, il giudice amministrativo può verificare solamente se risulta che la decisione attaccata è logica, adeguata, ragionevole, correttamente motivata ed istruita (logico, congruo, ragionevole, correttamente motivato ed istruito) ma non può sostituire però le sue proprie valutazioni sul merito a quelle evolute dall’AGCM, unica a potere procedere alle tali valutazioni. Conformemente ai principi che regolano la giurisdizione generale di legalità, questa affermazione acquisisce un rilievo specifico rispetto ai limiti esistenti all’epoca della verifica dei fatti che sono alla base della decisione attaccata.” Il TAR sottolineò che il suo controllo era completo in quanto alla valutazione dei fatti verificati ed all’applicazione della sanzione. Però, trattandosi della qualifica giuridica dei fatti considerati dall’AGCM, l’esame del TAR era limitato esclusivamente alla legalità della condanna. In particolare, il TAR affermò che, in quanto alla seconda ed alla terza fase del procedimento logico seguito dall’autorità, “il controllo giurisdizionale è “debole” perché il giudice si limita ad effettuare un controllo di buonsenso e di coerenza tecnica della decisione adottata, senza fare prevalere la sua propria valutazione tecnica discutibile su quella dell’AGCM”. In questo contesto, il TAR ammise che c’era “sicuramente una perdita in quanto all’effettività della difesa, dato che è vietato al giudice effettuare un controllo intrinseco.” In più, il TAR affermò che “il giudice non può sostituire le sue proprie valutazioni a quelle dell’AGCM, per esempio sulla determinazione del mercato; il giudice può applicare ugualmente, solamente delle norme identificate dall’AGCM e non può sostituirle con altre; non può modificare delle caratteristiche dell’inchiesta e, di conseguenza, neanche la decisione adottata. Può verificare però, solamente la sua legittimità” (pp. 14-18 della sentenza del 3 dicembre 2003).
Nella sua sentenza del 16 marzo 2006, il Consiglio di stato ricordò una volta in più il suo parere secondo cui “il controllo del giudice amministrativo non permette un potere sostitutivo del giudice che va fino a sostituire la sua propria valutazione tecnica discutibile o il suo proprio modello logico di applicazione del concetto indeterminato a quella realizzata dall’autorità” (p. 19 della sentenza del 16 marzo 2006).
La Corte di cassazione italiana confermò questo ragionamento, affermando che “ciò che non è consentito al Consiglio di stato, è a quanto sembra un controllo del tipo “forte” sulle valutazioni tecniche discutibili, cioè l’esercizio da parte del giudice di un potere sostitutivo che va fino a sostituire la sua propria valutazione tecnica discutibile a quella dell’amministrazione” (p. 22 della sentenza del 17 marzo 2008).
7. Le giurisdizioni amministrative non hanno sostenuto i principi suddetti in abstracto. Li hanno applicati in concreto. Nel caso di specie, le giurisdizioni amministrative hanno agito in rigorosa coerenza con questo controllo giurisdizionale di tipo “debole” secondo cui era vietato al giudice effettuare un controllo autonomo e disteso della decisione amministrativa. Il TAR ha ricapitolato molto chiaramente i principi di questa giurisprudenza e li ha applicati rigorosamente (vedere le pagine 14-17 della sentenza suddetta del 3 dicembre 2003). Dopo avere enunciato i principi della sua giurisprudenza, il Consiglio di stato ha sostenuto in concreto parecchie volte questa limitazione gnoseologica del suo proprio potere dicendo che “la sezione osserva che i lamenti presentati dalle parti chiamate non sono di natura tale da annullare le conclusioni dell’autorità che sono ad esaminare nella cornice di un controllo che non riguarda ” il merito delle valutazioni tecniche menzionate al paragrafo 4(da scrutinare nell’ alveo del sindacato non sostitutivo del merito delle valutazioni tecniche di cui si è detto al precedente par. 4, vedere pagina 31 della sentenza del 16 marzo 2006). In un altro passaggio sulla questione di diritto fondamentale dell’esistenza di una segmentazione tra le distribuzioni dirette ed indirette, il Consiglio di stato si dimette deliberatamente dai suoi poteri riconoscendo che “la pretesa segmentazione tra le distribuzioni dirette ed indirette non è in fin dei conti convincente, sempre alla luce del suddetto campo riservato al controllo giurisdizionale (sempre alla luce al descritto ambito riservato al sindacato giurisdizionale, vedere pagina 34 della sentenza del 16 marzo 2006).
Ripetendo la motivazione dei fatti invocati dalla condanna amministrativa, spesso con le stesse espressioni e frasi, i giudici amministrativi hanno dato un beneplacito formale e hanno realizzato un controllo “interno” che non costituisce nessuna garanzia reale e pratica per i motivi già condannati. Una lettura attenta dei motivi della decisione sui fatti rivela che la sentenza del TAR fa più di 60 citazioni e riferimenti ai paragrafi della decisione di condanna dell’AGCM, ed il Consiglio di stato più di 40 citazioni e riferimenti a detto testo. Le istanze giurisdizionali hanno fatto ripetere che uno dopo l’altro gli argomenti già sostenuti dall’AGCM, rinviando con un’insistenza notevole alla lettera stessa dei paragrafi della decisione amministrativa. La pretesa analisi degli argomenti del ricorso del richiedente è stata solamente un’adesione formale dei tribunali alla valutazione tecnica “indiscutibile” ed incontestabile dell’AGCM. Non c’è stata infine nessuna valutazione autonoma, concreta e dettagliata dell’illiceità e della colpevolezza della condotta del richiedente.
In conclusione, il controllo delle giurisdizioni amministrative è stato semplicemente formale perché non ha toccato il nocciolo duro del ragionamento della decisione amministrativa di condanna, ossia la valutazione tecnica dei fatti imputati al richiedente. Il richiedente si è visto privato di un’analisi autonoma dei motivi del suo ricorso.
8. Per la Corte, non è necessario che l’organo o la persona che ha pronunciato una sanzione rispetti pienamente le regole enunciate dall’articolo 6 dal momento che la sanzione può subire il controllo ulteriore di un “tribunale” che presenta le garanzie di questo articolo ed avendo “piena giurisdizione” sulla causa (vedere la sentenza-chiave Öztürk c. Germania, 21 febbraio 1984, § 56, serie A no 73 che si è dedicato per la prima volta ai reati amministrativi, Ordnungswidrigkeiten in diritto tedesco della strada, e è stato confermato dalle sentenze Schmautzer c. Austria, 23 ottobre 1995, § 34, serie A no 328-ha, Umlauft c. Austria, 23 ottobre 1995, § 37, serie A no 328-B, Gradinger c. Austria, 23 ottobre 1995, § 42, serie A no 328-C, Pramstaller c. Austria, 23 ottobre 1995, § 39, serie A no 329-A, Palaoro c. Austria, 23 ottobre 1995, § 41, serie A no 329-B, e Pfarrmeier c. Austria, 23 ottobre 1995, § 38, serie A no 329-C che si è dedicato alle multe amministrative, Verwaltungsübertretungen in diritto austriaco della strada e, nella causa Pramstaller, in diritto austriaco della costruzione civile; lascio da parte la questione spinosa di sapere se la nozione di “piena giurisdizione” nella tenuta non penale deve essere sottoposta ad un trattamento giuridico differente, addirittura meno esigente di quello dato nella tenuta penale; su questa questione, vedere gli argomenti di F. Sudre, nota sotto Cass.com, 29 aprile 1997, Ferreira c/DGI, JCP, 1997, éd,. G, II, 22935)
La nozione di “piena giurisdizione” nella tenuta penale ha una portata allargata ed illimitata poiché include non solo il controllo del quid delle sanzioni amministrative,( le sanzioni applicate erano previste dalla legge?) e del quanto delle sanzioni amministrative, (le sanzioni applicate erano proporzionate alla gravità dei fatti rimproverati?), ma anche della realtà del reato amministrativo (le persone hanno, con azione o con omissione, commesso in modo illecito e con colpevolezza una violazione punita dalla legge?). La pienezza di giurisdizione suppone che il giudice vada al di là del semplice controllo degli errori manifesti, (o “illogici”, “incoerenti”, “irragionevoli”) di valutazione e possa allontanare gli errori di valutazione che non sono manifesti, o “illogici”, “incoerenti”, “irragionevoli”). Tutta l’operazione di valutazione delle prove, di determinazione e di qualifica dei fatti, di interpretazione della legge applicabile e di modulazione delle sanzioni alla gravità del reato può essere annullata e può essere rifatta dal giudice, a prescindere della natura fissa o variabile della sanzione prevista dalla legge, il tribunale che non ha nessuno dovere di rinviare la causa alle autorità amministrative. In termini classici, il ricorso di “piena giurisdizione” non è un semplice reformatio, (riforma) della decisione amministrativa contestata, è piuttosto una revisio (riesame, della causa,). Detto diversamente, la causa è devoluta al giudice amministrativo.
Così, la restrizione dell’ampiezza della giurisdizione amministrativa col ragionamento del Consiglio di stato e della Corte di cassazione è logicamente insopportabile. Svuota anche di contenuto reale e pratichi il controllo giurisdizionale sui fatti della decisione di condanna, sull’importanza della salvaguardia del contenuto effettivo, reale e pratico del diritto di accesso ad un tribunale, vedere Jean Francesco Renucci, Trattato di diritto europeo dei diritti dell’uomo, Parigi, LGDJ, 2007, p,. 339, Walter Goolwitzer, Menschenrechte im Strafverfahren, MRK und IPBPR Kommentar, Berlino, di Gruyter, 2005, p,. 304, e Christoph Grabenwarter, Europäische Menschenrechtskonvention, 4. Auflage, München, Beck, 2009, p,. 355.
Il controllo giurisdizionale « pieno » è giustamente caratterizzato dalla sua natura esaustiva poiché può e deve includere tutti gli aspetti, sia di fatto che di diritto, della responsabilità imputata al soggetto dell’infrazione. La giurisdizione non è “piena” se non è esauriente. La “pienezza” della giurisdizione implica necessariamente la sua esaustività. In pura logico, sono contraddittori delle proposte che presentano dei requisiti incompatibili, come per esempio: il giudice controlla pienamente la decisione amministrativa ma non può sostituire le sue proprie valutazioni tecniche a queste della decisione amministrativa. Con un’implicazione logica elementare, una sola di queste proposte è vera, l’altro è falso. Nel caso di specie, è la seconda parte della fras

Testo Tradotto

Conclusion Non-violation de l’art. 6-1
DEUXIÈME SECTION
AFFAIRE A. MENARINI DIAGNOSTICS S.R.L. c. ITALIE
(Requête no 43509/08)
ARRÊT
STRASBOURG
27 Septembre 2011
Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l’article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire A. Menarini Diagnostics S.R.L. c. Italie,
La Cour européenne des droits de l’homme (deuxième section), siégeant en une chambre composée de :
Françoise Tulkens, présidente,
David Thór Björgvinsson,
Dragoljub Popović,
Giorgio Malinverni,
András Sajó,
Guido Raimondi,
Paulo Pinto de Albuquerque, juges,
et de Stanley Naismith, greffier de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 30 août 2011,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 43509/08) dirigée contre la République italienne et dont une société de cet Etat, OMISSIS (« la requérante »), a saisi la Cour le 10 septembre 2008 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (« la Convention »).
2. La société requérante a été représentée par Mes G. R., avocat à Bénévent, et A. M., avocat à Vérone. Le gouvernement italien (« le Gouvernement ») a été représenté par son agent, Mme E. Spatafora, et par son coagent Mme P. Accardo.
3. La société requérante se plaint du manque de « pleine juridiction » des juridictions administratives dans le système national, ce qui selon elle pose problème sous l’angle de l’accès à un tribunal.
4. Le 20 avril 2010, le président de la deuxième section a décidé de communiquer la requête au Gouvernement. Comme le permet l’article 29 § 1 de la Convention, il a en outre été décidé que la chambre se prononcerait en même temps sur la recevabilité et le fond.
EN FAIT
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
5. La requérante, OMISSIS , est une société italienne ayant son siège social à Florence.
6. Les faits de la cause, tels qu’ils ont été exposés par les parties, peuvent se résumer comme suit.
7. La société requérante commercialise de nombreux tests de diagnostic du diabète. En 2001, l’autorité italienne de régulation de la concurrence, l’AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato), autorité administrative indépendante, diligenta une enquête contre la société requérante et quatre autres sociétés pharmaceutiques pour avoir mis en place des pratiques anticoncurrentielles, sur le fondement de l’article 2 de la loi no 287 du 10 octobre 1990 sur la concurrence et les pratiques commerciales loyales.
8. En 2003, l’AGCM reprocha à la requérante d’avoir participé à une entente ayant eu pour objet la fixation des prix et le partage des marchés de tests diagnostiques pour le diabète.
9. Par une décision du 30 avril 2003, notifiée à la société requérante le 15 mai 2003, l’AGCM infligea à la société requérante une sanction pécuniaire de six millions d’euros pour des pratiques anticoncurrentielles sur le marché des tests diagnostiques pour le diabète, sur le fondement des règles de concurrence prescrites par la loi no 287 du 10 octobre 1990. En particulier, l’AGCM affirma que la sanction devait être dissuasive pour toute société pharmaceutique.
10. La requérante paya la somme le 26 janvier 2004.
11. Le 8 juillet 2003, la société requérante forma un recours contre cette décision devant le tribunal administratif du Latium (ci-après TAR). A l’appui de son recours elle contesta le fait d’avoir participé à une entente ayant pour objet la fixation des prix des tests diagnostiques et critiqua l’analyse retenue contre elle. En outre, la société contesta l’exposé et la qualification des faits retenus par l’AGCM.
12. De plus, la société contesta le montant de l’amende et excipa de l’inconstitutionnalité de l’article 33 de la loi no 287 de 1990 dans sa partie excluant un contrôle de pleine juridiction de la part des tribunaux. La société requérante demanda au tribunal de suspendre la décision de l’AGCM, de l’annuler sur le fond et de diminuer la sanction de 10 %.
13. Par un jugement du 3 décembre 2003, le TAR rejeta le recours de la requérante. Il rappela que le contrôle du tribunal sur les décisions de l’AGCM était exclusivement un contrôle de légalité. Dans la mesure où le grief de la société requérante portait sur l’excès de pouvoir de l’autorité administrative, le juge administratif pouvait contrôler exclusivement la pertinence et la motivation de l’acte de l’administration, mais il n’avait pas le pouvoir de se substituer à l’AGCM.
14. Le TAR souligna que son contrôle était complet sur l’évaluation des faits et sur l’application de la sanction, mais que s’agissant de la qualification juridique des faits retenue par l’AGCM, le contrôle était limité exclusivement à la légalité de l’acte administratif.
15. Quant à la sanction, le TAR confirma l’application de l’article 15 de la loi no 287 de 1990. En particulier, le TAR énonça que lorsque le grief porte sur l’excès de pouvoir, le juge administratif peut vérifier si la décision attaquée est logique, appropriée, raisonnable, correctement motivée et ne peut pas substituer ses propres évaluations sur le bien-fondé à celles de l’AGCM. Il affirma que le contrôle juridictionnel est alors « faible » car il s’agit d’un contrôle du bon sens ainsi que de la cohérence technique de la décision adoptée, sans que le juge puisse faire prévaloir sa propre appréciation technique sur celle de l’AGCM. Dans ce contexte, le TAR souligna qu’il y avait « sûrement une perte quant à l’effectivité de la défense, attendu qu’il est interdit au juge d’effectuer un contrôle intrinsèque ». De plus, selon le TAR « le juge ne peut pas substituer ses propres appréciations à celles de l’AGCM ; de même, le juge ne peut appliquer que des normes identifiées par l’AGCM et il ne peut pas les remplacer par d’autres ; il ne peut pas modifier les caractéristiques de l’enquête, et par conséquent même pas non plus la décision adoptée. Il peut seulement en vérifier la légalité ».
16. Le 15 juillet 2004, la requérante attaqua l’arrêté devant le Conseil d’Etat.
17. La société requérante faisait valoir que le TAR, en se limitant à contrôler la légalité de l’acte de l’AGCM, avait omis d’évaluer le comportement de la société requérante sanctionné par l’AGCM. Elle soutenait en outre que la sanction appliquée était illégale. En particulier, elle faisait valoir que le contenu de la norme qui définissait l’infraction n’avait pas été déterminé par le législateur et que l’AGCM avait le pouvoir d’en déterminer le contenu au moment de l’évaluation du cas d’espèce. Enfin, elle se plaignait du manque de « pleine juridiction » dans le système national des juridictions administratives.
18. Par un arrêt du 16 mars 2006, le Conseil d’Etat rejeta le recours de la société requérante. Il observa que la compétence du juge administratif est limitée à un contrôle de légalité mais que l’accès au tribunal ne s’en trouvait pas restreint, dans la mesure où le juge administratif pouvait évaluer les éléments de preuve recueillis par l’AGCM. De plus, le Conseil d’Etat rappela que lorsque l’administration dispose d’un pouvoir discrétionnaire, le juge administratif n’a pas le pouvoir de se substituer à l’autorité administrative indépendante ; toutefois, il peut vérifier si l’administration a fait un usage approprié de ses pouvoirs. Quant à la sanction, le Conseil d’Etat rappela que son contrôle était de pleine juridiction dans la mesure où il pouvait vérifier l’adéquation de la sanction à l’infraction commise et le cas échéant remplacer la sanction.
19. Le Conseil d’Etat estima que le contrôle du juge administratif était compatible avec la Constitution.
20. Le 10 juillet 2006, la société requérante se pourvut en cassation.
21. Par un arrêt déposé au greffe le 17 mars 2008, la Cour de cassation déclara irrecevable le recours de la société requérante. La haute juridiction confirma l’arrêt du Conseil d’Etat et affirma que, s’agissant des décisions de l’AGCM, le contrôle exercé par les juridictions administratives était un contrôle de pleine juridiction, puisque le juge administratif peut vérifier la véracité des faits à la base de la sanction. Toutefois, lorsque l’administration dispose d’un pouvoir discrétionnaire, le juge administratif n’a pas le pouvoir de se substituer à l’autorité administrative indépendante ; mais il peut vérifier la logique et la cohérence du pouvoir exercé par l’administration. Selon la Cour de cassation, la question soulevée par la société requérante ne concernait pas la fonction juridictionnelle du juge administratif mais l’exercice de celle-ci. Dans le cas d’espèce, les juridictions administratives avaient exercé correctement leur pouvoir d’évaluation des faits.
22. En conclusion, rappelant qu’elle n’exerçait qu’une compétence de nature juridictionnelle, la Cour déclara irrecevable le recours de la société requérante.
II. LE DROIT ET LA PRATIQUE INTERNES PERTINENTS
23. L’autorité de régulation de la concurrence est une « autorité indépendante » créée par la loi no 287 du 10 octobre 1990 (loi sur la concurrence et les pratiques commerciales loyales – « la loi »). En tant qu’autorité indépendante, elle a le statut d’organe public et ses décisions sont prises en vertu de la loi sans aucune possibilité d’ingérence du gouvernement. Cette autorité a pour tâche de statuer sur les pratiques et les ententes restreignant la libre concurrence ainsi que sur les publicités mensongères et comparatives. De plus, elle est chargée de trancher les conflits d’intérêt en vertu de la loi no 215 du 20 juillet 2004.
24. Loi no 287 du 10 octobre 1990 sur la concurrence et les pratiques commerciales loyales
Article 2 – Ententes restreignant la libre concurrence
« 1. Sont considérés comme des ententes : les accords et/ou les pratiques convenus entre entreprises, ainsi que les décisions, même fondées sur des dispositions statutaires ou réglementaires, adoptées par des consortiums, des associations d’entreprises ou des entités similaires.
2. Sont prohibées les ententes entre entreprises ayant pour objet ou effet d’empêcher, de restreindre ou de fausser de manière sensible le jeu de la concurrence au sein du marché national ou d’une part importante de celui-ci, notamment au moyen d’actes consistant à :
a) fixer directement ou indirectement les prix d’achat ou de vente, ou d’autres conditions contractuelles ;
b) entraver ou limiter la production, les débouchés commerciaux ou l’accès au marché, les investissements, le développement technique ou le progrès technologique ;
c) répartir les marchés ou les sources d’approvisionnement ;
d) appliquer, dans les relations commerciales avec d’autres partenaires, des conditions objectivement différentes pour des transactions équivalentes, infligeant ainsi à ces partenaires un désavantage concurrentiel injustifiable ;
e) assujettir la conclusion de contrats à l’acceptation par les autres partenaires d’obligations complémentaires qui, eu égard à leur nature ou aux pratiques commerciales, sont sans rapport avec l’objet de tels contrats.
3. Les ententes prohibées sont nulles et de nul effet. »
Article 15 – Avertissements et sanctions
« 1. Si l’enquête prévue à l’article 14 révèle une infraction à l’article 2 ou à l’article 3, l’Autorité impartit aux entreprises et aux entités concernées un délai pour remédier à l’infraction en question. En cas d’infraction sérieuse, elle inflige, en fonction de la gravité et de la durée de l’infraction, une amende d’un montant maximal équivalent à dix pour cent du chiffre d’affaires réalisé par chacune des entreprises ou entités concernées lors du précédent exercice (…), et impartit aux entreprises un délai pour le règlement de l’amende.
2. En cas d’inobservation de l’avertissement visé au paragraphe 1 ci-dessus, l’Autorité inflige une amende d’un montant maximal équivalent à dix pour cent du chiffre d’affaires réalisé ou, si la sanction prévue au paragraphe 1 a déjà été prononcée, d’un montant correspondant au moins au double de l’amende déjà infligée, dans la limite de dix pour cent du chiffre d’affaires tel que défini au paragraphe 1. L’Autorité fixe de plus un délai pour le règlement de l’amende. En cas d’inobservation répétée, l’Autorité peut ordonner à l’entreprise concernée de suspendre ses activités pendant une durée pouvant aller jusqu’à trente jours.
2-bis. L’Autorité, conformément au droit de l’Union européenne, définit au moyen d’une disposition générale propre les cas dans lesquels, sur la base de la collaboration fournie par les entreprises visées par une enquête pour déterminer les infractions aux règles de la concurrence, l’amende pourrait ne pas être appliquée ou être réduite dans les cas prévus par le droit de l’Union européenne. »
Article 33 – Compétence juridictionnelle
« 1. Les recours contre les mesures administratives adoptées en vertu des dispositions figurant aux titres I à IV de la présente loi relèvent de la compétence exclusive des juridictions administratives. Pareils recours doivent être déposés auprès du Tribunal administratif régional du Latium.
2. Les recours en annulation et actions en réparation, ainsi que les recours tendant à l’obtention de mesures d’urgence dans le contexte d’une infraction aux dispositions figurant aux titres I à IV doivent être déposés auprès de la cour d’appel compétente sur le plan territorial. »
25. Le droit interne pertinent à l’époque des faits1
Trois types de juridiction sont attribués aux tribunaux administratifs :
a) La juridiction générale de légalité ;
b) La juridiction spéciale de plein contentieux ;
c) La juridiction spéciale exclusive ;
d) Les autorités administratives indépendantes (AAI).
A. La juridiction générale de légalité (Giurisdizione generale di legittimità)
La juridiction de légalité du juge administratif est générale. Le juge administratif est compétent pour tous les contentieux concernant la légalité d’un acte administratif qui a lésé un intérêt légitime2 à moins que lesdits contentieux soient réservés à la compétence des autres juridictions spéciales (Cour des comptes, Cour supérieure de l’eau, Commission des impôts).
Dans la juridiction de légalité, l’objet du contentieux est constitué par la mesure litigieuse et non pas par le rapport juridique qui a donné lieu au litige. À cet égard, la juridiction de légalité se différencie de la juridiction exclusive. Il convient d’ajouter que le contrôle du juge administratif, bien que limité à la protection des intérêts légitimes, peut s’étendre, incidenter tantum (avec des effets limités à l’affaire jugée), à des questions préjudicielles et accessoires relatives aux droits subjectifs, dont la résolution est nécessaire vis-à-vis de la question principale.
Le juge administratif, dans la juridiction de légalité, peut prononcer avec effet constitutif des jugements d’annulation des actes administratifs illégitimes, lorsque les faits ne correspondent pas à ceux que l’administration a pris en compte pour l’adoption de la mesure. Cependant, le juge ne peut pas remplacer l’autorité administrative pour adopter, à sa place, la mesure demandée par le requérant. À cet égard, la juridiction de légalité se différencie de la juridiction de plein contentieux. En dehors des cas expressément définis par le législateur, le juge administratif n’a pas le pouvoir d’ordonner à l’administration de prendre certaines mesures.
B. La juridiction de plein contentieux (Giurisdizione estesa al merito)
La juridiction de plein contentieux des tribunaux administratifs constitue une exception. Elle ne peut être exercée que pour les matières strictement réglementées par la loi. Ces matières ne peuvent pas être étendues par voie d’analogie à cause de la nature exceptionnelle des normes qui prévoient la compétence de pleine juridiction. Cette dernière permet au juge d’examiner non seulement la légalité, mais aussi le bien-fondé de l’acte administratif en cause, en s’ingérant dans un domaine d’habitude soustrait à la compétence du juge administratif.
La compétence de pleine juridiction se différencie de celle de légalité par les pouvoirs plus larges qui sont accordés au juge administratif.
Celle-ci implique un examen plus large des faits, sans les limitations propres aux contentieux de légalité. En particulier, il est permis au juge de vérifier, de manière autonome, les faits, d’apprécier la correspondance entre la mesure et les besoins pris en compte par la loi et de déterminer avec précision la portée exacte du principe de droit établi par une décision.
Le juge y jouit, aussi, d’importants pouvoirs d’enquête: en plus d’exercer les pouvoirs typiques de la juridiction de légalité, il peut ordonner toutes mesures d’enquête, selon les modalités déterminées par le règlement de procédure. En général, sont admis tous les moyens de preuves recevables dans les contentieux civils, à condition qu’ils soient compatibles avec les caractéristiques de la juridiction administrative. Sont recevables, en particulier, la preuve par témoins, les inspections, les expertises et toutes autres investigations qui peuvent conduire à la découverte de la vérité.
Le juge peut non seulement annuler l’acte administratif attaqué, mais aussi le réformer et le remplacer ou se substituer à l’autorité administrative dans l’émission de l’acte administratif et, par conséquent, prendre de nouvelles mesures. Le tribunal peut également connaître de toutes les questions relatives à l’indemnisation. Par ailleurs, le juge peut prononcer un jugement de condamnation pour la somme dont l’administration est redevable.
Le domaine principal de la juridiction de plein contentieux est celui de l’exécution de la chose jugée (giudizio di ottemperanza). Le juge administratif, par un commissaire ad acta, remplace l’administration défaillante dans la prise des mesures nécessaires pour satisfaire la demande du requérant.
C. La juridiction exclusive
La juridiction administrative exclusive est instituée par la loi sur les TAR et par d’autres lois concernant des matières pour lesquelles la compétence du juge administratif ne se limite pas aux intérêts légitimes, mais s’étend aussi aux droits subjectifs.
Pour ce qui concerne les pouvoirs d’enquête, le législateur a attribué au juge administratif, dans la cadre de la juridiction exclusive, des outils analogues à ceux appartenant au juge judiciaire. L’article 7 de la loi no205 de 2000 a introduit la possibilité d’utiliser les moyens de preuve prévus par le code de procédure civile et, en outre, de recourir à des expertises.
Dans l’exercice de la compétence exclusive, il existe d’une part des jugements constitutifs d’annulation, par lesquels le juge élimine la mesure qui lèse la position juridique du requérant ; et d’autre part des jugements d’évaluation, pour la résolution de difficultés concernant l’existence d’une situation juridique subjective. En cas d’annulation d’un acte administratif, le juge indique des directives à l’administration.
Dans le cas où le juge accueille le recours pour des raisons de fond, il peut modifier ou remplacer l’acte. Par ailleurs, le juge peut émettre des jugements de condamnation qui obligent l’administration à tenir un comportement particulier. L’article 35 du décret législatif no 80 de 1998 permet maintenant au juge d’ordonner la restitutio in integrum.
Bien que le pouvoir de non-application (« disapplicazione ») soit prévu seulement pour les juges judiciaires selon la jurisprudence administrative (Cons. État, Sect. V, no 154 de 1992 et 799 de 1993), le juge administratif peut, même d’office, écarter l’application des actes administratifs contraires aux normes de niveau supérieur, à condition qu’ils ne soient pas objet de contestation.
D. Les autorités administratives indépendantes (AAI)
Il n’existe aucune disposition de loi qui donne de manière générale au juge administratif une juridiction exclusive sur les actes des autorités indépendantes; au contraire, ce sont les différentes lois concernant lesdites autorités qui attribuent compétence au juge administratif dans les contentieux impliquant les autorités indépendantes. Ces autorités, en fait, jouissent d’une position particulière d’indépendance.
Le contrôle du juge administratif est limité à une évaluation technique des actes de l’autorité (pouvoir de discrétion technique).
La jurisprudence est bien établie quant à l’étendue des pouvoirs du juge en relation avec les autorités indépendantes : le contrôle juridictionnel couvre, sans limitations, l’ensemble de l’exercice de leur pouvoir par les autorités administratives indépendantes (Conseil d’État, Sect. VI, 8 février 2007, no 515).
S’agissant des sanctions de l’AGCM concernant les ententes restrictives de concurrence, la juridiction du juge administratif est une juridiction de plein contentieux au sens de l’article 23 de la loi no 689 de 1981, applicable sur la base de l’article 31 de la loi no 287 de 1990. De ce fait le juge, peut annuler l’acte administratif et le modifier en ce qui concerne la sanction.
EN DROIT
I. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 6 § 1 DE LA CONVENTION
26. La société requérante se plaint de ne pas avoir eu accès à un tribunal au sens de l’article 6 § 1 de la Convention qui, dans sa partie pertinente, se lit comme suit :
« Toute personne a droit à ce que sa cause soit entendue équitablement (…) par un tribunal indépendant et impartial, établi par la loi, qui décidera (…) du bien-fondé de toute accusation en matière pénale dirigée contre elle. »
27. Le Gouvernement s’oppose à cette thèse.
A. Sur la recevabilité
1. Thèses des parties
28. Le Gouvernement soulève d’emblée une exception tirée de l’incompatibilité ratione materiae de la requête avec la Convention. Il fait valoir que le volet pénal de l’article 6 § 1 de la Convention n’entre pas en ligne de compte.
29. Quant aux premier des trois critères de la jurisprudence Engel et autres c. Pays-Bas, (8 juin 1976, série A no 22), le Gouvernement affirme tout d’abord que les décisions de l’AGCM au niveau national sont classées parmi les « sanctions administratives » et non parmi les « sanctions pénales ». De plus, les comportements anticoncurrentiels sont sanctionnés non pas sur le fondement du droit pénal, mais sur celui de la loi no 287 du 10 octobre 1990 sur la concurrence et les pratiques commerciales loyales.
30. Quant au deuxième critère le Gouvernement observe que le but poursuivi par la loi no 287 du 10 octobre 1990 est de préserver la libre concurrence sur le marché. Il rappelle que cette loi ne s’applique pas aux entreprises qui gèrent des services d’intérêt économique général ou exercent une activité en régime de monopole sur le marché. Elle n’affecte donc pas les intérêts généraux de la société normalement protégés par le droit pénal. En outre, le Gouvernement rappelle que les règles procédurales prévues par ladite loi sont différentes des règles pénales.
31. Quant au troisième critère, concernant la nature et le degré de sévérité de la « sanction », le Gouvernement soutient que le but principal de la mesure est d’empêcher la poursuite d’une activité particulière en violation de la concurrence et que l’application de la sanction est seulement éventuelle. Par ces raisons, le Gouvernement fait valoir que l’effet dissuasif de la sanction coexiste avec un effet réparateur. Quant à la gravité de la sanction, le Gouvernement est d’avis que celui-ci doit être proportionnel au poids économique de la société requérante, une entreprise multinationale, avec une grande envergure économique.
32. Selon le Gouvernement l’affaire Société Stenuit c. France (rapport de la Commission du 30 mai 1991, série A no 232-A) n’est pas applicable au cas d’espèce. Il rappelle que dans plusieurs affaires contre la Russie (OOO Neste St. Petersburg, ZAO Kirishiavtoservice, OOO Nevskaya Toplivnaya, ZAO Transservice, OOO Faeton, OOO PTK-Service c. Russie, nos 69042/01, 69050/01, 69054/01, 69055/01, 69056/01, 69058/01, décision du 3 juin 2004) la Cour a estimé que l’article 6 ne s’appliquait pas.
33. La société requérante conteste les arguments du Gouvernement. Elle est d’avis que la décision de l’AGCM équivaut à une décision sur le bien-fondé d’une accusation en matière pénale.
34. Tout d’abord, la société requérante rappelle que, s’agissant de la nature de la sanction, les indications fournies par le droit interne n’ont qu’une valeur relative. En effet, le but poursuivi par la décision litigieuse est de maintenir la libre concurrence dans le marché italien. Le fait que l’AGCM, en intervenant dans le cas d’espèce, ait réglementé le marché concernant un produit spécifique fourni par certaines entreprises pharmaceutiques ne peut pas réduire la portée de la loi no 287 de 1990. En créant l’AGCM, avec le statut d’autorité administrative indépendante, le législateur a entendu garantir une surveillance des accords restrictifs de concurrence ainsi que des abus de position dominante.
35. Selon la société requérante, dans le système économique italien fondé sur la liberté du commerce et de l’industrie, l’AGCM revêt une fonction fondamentale car elle veille à instaurer un régime de concurrence crédible pour les entreprises. En effet, les marchés ne peuvent concourir à l’efficacité économique que si des règles de droit garantissent aux opérateurs la liberté de fixer leurs prix, le libre accès au marché, mais aussi l’absence d’abus de position dominante par ceux qui la détiennent. L’AGCM est chargée de faire respecter cet équilibre. La loi no 287 de 1990 affecte donc des intérêts généraux de la société normalement protégés par le droit pénal (voir, mutatis mutandis, Stenuit с. France, précité, § 64).
36. Quant à la gravité de la sanction, la société requérante observe que la sanction a atteint un montant de six millions d’euros, somme très élevée pour elle. De plus, elle a été obligée de la payer quelque mois après son prononcé. En outre, comme affirmé par l’AGCM elle-même, cette mesure devait être dissuasive pour toute société pharmaceutique. La société requérante conteste l’affirmation du Gouvernement italien selon laquelle la sanction infligée par l’AGCM ne serait qu’éventuelle. Les faits litigieux démontrent que l’AGCM a identifié la sanction avec une somme importante et que l’autorité administrative indépendante lui a attribué un caractère éminemment punitif. A l’appui de sa thèse, la société requérante souligne que le caractère punitif de ce type d’infraction ressort aussi de la jurisprudence du Conseil d’Etat (voir, parmi d’autres, les affaires Lottomatica S.p.A. et autres, arrêt no 6469/07, SOGEC s.r.l. et autres, arrêt no 695/08 et Cinema Orchidea s.r.l., arrêt no 697/08,). Dans ces affaires, le juge administratif a souligné que la sanction « antitrust » est « typiquement punitive ». Dans l’affaire RIVOIRA S.p.A. et autres, arrêt no 1006/08, le Conseil d’Etat a réaffirmé l’exigence que la sanction ait « une efficacité adéquate de dissuasion». Dans l’arrêt no 5050 du 5 mars 2010, la Cour de cassation a souligné l’aspect punitif des sanctions « antitrust » Enfin, l’AGCM, dans son rapport annuel du 30 avril 2008, a réaffirmé la nature dissuasive de la sanction.
37. En conclusion, la décision de l’AGCM d’infliger à la société requérante une sanction pécuniaire de six millions d’euros doit être considérée, selon la société requérante, au regard de la Convention, comme une décision sur le bien-fondé d’une accusation pénale (voir, mutatis mutandis, Stenuit с. France, précité, § 65).
2. Appréciation de la Cour
38. La Cour rappelle sa jurisprudence constante selon laquelle il faut, afin de déterminer l’existence d’une « accusation en matière pénale », avoir égard à trois critères : la qualification juridique de la mesure litigieuse en droit national, la nature même de celle-ci, et la nature et le degré de sévérité de la « sanction » (Engel, précité). Ces critères sont par ailleurs alternatifs et non cumulatifs : pour que l’article 6 § 1 s’applique au titre des mots « accusation en matière pénale », il suffit que l’infraction en cause soit, par nature, « pénale » au regard de la Convention, ou ait exposé l’intéressé à une sanction qui, par sa nature et son degré de gravité, ressortit en général à la « matière pénale ». Cela n’empêche pas l’adoption d’une approche cumulative si l’analyse séparée de chaque critère ne permet pas d’aboutir à une conclusion claire quant à l’existence d’une « accusation en matière pénale » (Jussila c. Finlande [GC], no 73053/01, §§ 30 et 31, CEDH 2006-XIII, et Zaicevs c. Lettonie, no 65022/01, § 31, CEDH 2007-IX (extraits)).
39. La Cour constate d’abord que les pratiques anticoncurrentielles reprochées en l’espèce à la société requérante ne constituent pas une infraction pénale au sens du droit italien. Les comportements anticoncurrentiels y sont en effet sanctionnés non pas sur le fondement du droit pénal, mais sur celui de la loi no 287 du 10 octobre 1990 sur la concurrence et les pratiques commerciales loyales. Cela n’est toutefois pas décisif aux fins de l’applicabilité de l’article 6 de la Convention, les indications que fournit le droit interne n’ayant qu’une valeur relative (Öztürk c. Allemagne, 21 février 1984, § 52, série A nº 73).
40. Quant à la nature de l’infraction, il apparaît que les dispositions dont la violation a été reprochée à la société requérante visaient à préserver la libre concurrence sur le marché. La Cour rappelle que l’AGCM, autorité administrative indépendante, a comme but d’exercer une surveillance sur les accords restrictifs de la concurrence ainsi que sur les abus de position dominante. Elle affecte donc les intérêts généraux de la société normalement protégés par le droit pénal (Stenuit c. France, précité, § 62). En outre, il convient de noter que l’amende infligée visait pour l’essentiel à punir pour empêcher la réitération des agissements incriminés. On peut dès lors en conclure que l’amende infligée était fondée sur des normes poursuivant un but à la fois préventif et répressif (mutatis mutandis, Jussila, précité, § 38).
41. Quant à la nature et à la sévérité de la sanction « susceptible d’être infligée » à la requérante (Ezeh et Connors c. Royaume-Uni [GC], nos 39665/98 et 40086/98, § 120, CEDH 2003-X), la Cour constate que l’amende en question ne pouvait pas être remplacée par une peine privative de liberté en cas de non-paiement (a contrario, Anghel c. Roumanie, nº 28183/03, § 52, 4 octobre 2007). Cependant, elle note que l’AGCM a prononcé en l’espèce une sanction pécuniaire de six millions d’euros, sanction qui présentait un caractère répressif puisqu’elle visait à sanctionner une irrégularité, et préventif, le but poursuivi étant de dissuader la société intéressée de recommencer. En outre, la Cour note que la requérante souligne que le caractère punitif de ce type d’infraction ressort aussi de la jurisprudence du Conseil d’Etat.
42. A la lumière de ce qui précède et compte tenu du montant élevé de l’amende infligée, la Cour estime que la sanction relève, par sa sévérité, de la matière pénale (Öztürk précité, § 54, et, a contrario, Inocêncio c. Portugal (déc.), no 43862/98, CEDH 2001-I).
43. Au demeurant, la Cour rappelle également qu’à propos de certaines autorités administratives françaises compétentes en droit économique et financier et disposant de pouvoirs de sanction, elle a jugé que l’article 6, sous son volet pénal, s’appliquait notamment à propos du Conseil de la concurrence (Lilly c. France (déc.), no 53892/00, 3 décembre 2002), du Conseil des marchés financiers (Didier c. France (déc.), no 58188/00, 27 août 2002) et de la Commission bancaire (Dubus S.A. c. France, no 5242/04, § 36, 11 juin 2009).
44. Compte tenu des divers aspects de l’affaire, et ayant examiné leur poids respectif, la Cour estime que l’amende infligée à la société requérante a un caractère pénal, de sorte que l’article 6 § 1 trouve à s’appliquer, en l’occurrence, sous son volet pénal. Partant, il convient de rejeter l’exception soulevée par le Gouvernement quant à l’inapplicabilité ratione materiae de l’article 6 de la Convention.
45. La Cour constate que la requête n’est pas manifestement mal fondée au sens de l’article 35 § 3 de la Convention. Elle relève par ailleurs que celle-ci ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité. Il convient donc de la déclarer recevable.
B. Sur le fond
1. Arguments des parties
46. Le Gouvernement note tout d’abord que les juridictions administratives nationales exercent leur activité sur le plan de la légalité et que la portée de leur contrôle est indiquée dans l’arrêt du Conseil d’État déposé au greffe le 16 mars 2006. Dans le cas d’espèce les juridictions administratives avaient une juridiction exclusive qui leur a permis de connaître de l’ensemble du contentieux sans distinction entre intérêts légitimes et droits subjectifs.
47. Le Gouvernement affirme que les juridictions internes se sont livrées à un examen approfondi du fond du litige. Le fait que le contrôle du juge administratif soit qualifié de contrôle de « légalité » ne signifie pas qu’il se limite à l’aspect formel du litige. Il rappelle que le TAR limite son contrôle au caractère raisonnable de la décision et à sa cohérence technique sans substituer son appréciation technique à celle de l’administration. Le juge administratif peut examiner le bien-fondé et la proportionnalité des choix effectués par l’administration publique.
48. Le Gouvernement rappelle en outre que le Conseil d’Etat a rejeté les arguments de la société requérante puisque le contrôle juridictionnel sur la sanction infligée est « plein et particulièrement pénétrant ». En particulier, le juge administratif peut annuler les évaluations d’ordre technique qui ne sont pas raisonnables, logiques et cohérentes et peut annuler la décision administrative litigieuse. Dans le cas d’espèce, les juges administratifs avaient le pouvoir d’annuler les ingérences de l’AGCM et le contrôle exercé sur la sanction pécuniaire pouvait, le cas échéant, se traduire par une réduction de ses effets.
49. Le Gouvernement rappelle la jurisprudence du Conseil d’Etat qui reconnaît que, en ce qui concerne les évaluations techniques de l’AGCM, le juge administratif doit faire appel à des règles et des connaissances techniques appartenant à la même science que celle utilisée par l’administration. De plus, le contrôle du juge peut concerner également l’analyse faite par l’AGM et le conduire de ce fait à réévaluer ses choix techniques.
50. Par ces raisons, le Gouvernement demande à la Cour de rejeter la requête.
51. La société requérante estime que dans la présente affaire les juges administratifs n’ont effectué qu’un contrôle de légalité et que ce type de contrôle ne lui a pas permis de soumettre ses contestations à un « tribunal» répondant aux exigences de l’article 6 § 1 de la Convention. Elle rappelle que lors d’une intervention de la part d’un organe non juridictionnel comme l’AGCM, la Cour exige que toute décision adoptée soit sujette au contrôle ultérieur d’un organe judiciaire de pleine juridiction qui satisfasse aux garanties de l’article 6 de la Convention (voir, parmi d’autres, Öztürk с. Allemagne, précité, § 56). Toutefois, dans le cas d’espèce, le contrôle du juge administratif s’est limité à rechercher si l’AGCM avait utilisé son pouvoir discrétionnaire d’une manière compatible avec la loi no 287 de 1990 (voir, mutatis mutandis, Obermeier c. Autriche, 28 juin 1990, § 70, série A no 179).
52. La société requérante rappelle que le contrôle juridictionnel du TAR est de type « faible » et qu’il y avait « sûrement une perte quant à l’effectivité de la défense, attendu qu’il est interdit au juge d’effectuer un contrôle intrinsèque ». De plus, elle rappelle que selon le TAR le juge ne peut pas substituer ses propres appréciations à celles de l’AGCM, ne peut appliquer que des normes identifiées par l’AGCM et ne peut pas modifier les caractéristiques de l’enquête et par conséquent ne peut pas non plus modifier la décision adoptée.
53. Enfin, la société requérante remarque que la Cour de cassation a affirmé que, lorsque l’administration dispose d’un pouvoir discrétionnaire, le juge administratif n’a pas le pouvoir de se substituer à l’autorité administrative indépendante, mais peut seulement vérifier la logique et la cohérence du pouvoir exercé par l’administration. Selon la Cour de cassation, la question soulevée par la société requérante ne concernait pas la fonction juridictionnelle du juge administratif mais l’exercice de celle-ci.
54. Le fait que les juges administratifs aient limité leur contrôle à la légalité de l’acte ne leur a pas permis d’examiner le bien-fondé de la décision adoptée par l’AGCM, car les juges administratifs nationaux ne pouvaient pas se substituer à l’AGCM ni modifier la qualification juridique des faits retenue par elle.
55. Sur ce point, la société requérante observe que le contenu de la norme qui définit l’infraction n’est pas déterminé par le législateur (« norma penale in bianco ») et que l’AGCM a le pouvoir d’en déterminer son contenu au moment de l’évaluation du cas d’espèce. Or, un simple contrôle de légalité, également appelé contrôle « faible » par les juridictions internes, a comme conséquence une considérable réduction des garanties, et ne peut pas fournir une protection adéquate contre l’arbitraire.
56. En conclusion, la société requérante estime n’avoir jamais bénéficié d’un examen de sa cause par un « tribunal » doté de la plénitude de juridiction et qui aurait statué sur le bien-fondé de l’accusation en matière pénale dirigée contre elle (voir, mutatis mutandis, Colozza c. Italie, 12 février 1985, § 32, série A no 89, et Stenuit с France, précité, § 72).
2. Appréciation de la Cour
57. La Cour observe que les griefs de la société requérante ont trait au droit d’accéder à un tribunal doté de la plénitude de juridiction et au réexamen judiciaire, prétendument incomplet, de la décision administrative rendue par l’AGCM.
58. En l’espèce, la sanction litigieuse n’a pas été infligée par un juge à l’issue d’une procédure judiciaire contradictoire, mais par l’AGCM. Si confier à des autorités administratives la tâche de poursuivre et de réprimer les contraventions n’est pas incompatible avec la Convention, il faut souligner cependant que l’intéressé doit pouvoir saisir de toute décision ainsi prise à son encontre un tribunal offrant les garanties de l’article 6 (Kadubec v. Slovaquie, 2 septembre 1998, § 57, Recueil des arrêts et décisions 1998-VI, et Čanády c. Slovaquie, no 53371/99, § 31, 16 novembre 2004).
59. Le respect de l’article 6 de la Convention n’exclut donc pas que dans une procédure de nature administrative, une « peine » soit imposée d’abord par une autorité administrative. Il suppose cependant que la décision d’une autorité administrative ne remplissant pas elle-même les conditions de l’article 6 § 1 subisse le contrôle ultérieur d’un organe judiciaire de pleine juridiction (Schmautzer, Umlauft, Gradinger, Pramstaller, Palaoro et Pfarrmeier c. Autriche, arrêts du 23 octobre 1995, série A nos 328 A-C et 329 A-C, respectivement §§ 34, 37, 42 et 39, 41 et 38). Parmi les caractéristiques d’un organe judiciaire de pleine juridiction figure le pouvoir de réformer en tous points, en fait comme en droit, la décision entreprise, rendue par l’organe inférieur. Il doit notamment avoir compétence pour se pencher sur toutes les questions de fait et de droit pertinentes pour le litige dont il se trouve saisi (Chevrol c. France, no 49636/99, § 77, CEDH 2003-III, et Silvester’s Horeca Service c. Belgique, nº 47650/99, § 27, 4 mars 2004).
60. En l’espèce, la société requérante a pu attaquer la sanction administrative litigieuse devant le TAR de Rome, et interjeter appel contre la décision de ce dernier devant le Conseil d’Etat. Selon la jurisprudence de la Cour, ces organes satisfont aux exigences d’indépendance et d’impartialité qu’un « tribunal » doit posséder au sens de l’article 6 de la Convention (Predil Anstalt S.A. c. Italie (déc.), no 31993/96, 8 juin 1999).
61. La Cour rappelle, tout d’abord, que seul mérite l’appellation de « tribunal » au sens de l’article 6 § 1 un organe jouissant de la plénitude de juridiction et répondant à une série d’exigences telles que l’indépendance à l’égard de l’exécutif comme des parties en cause (voir, entre autres, les arrêts Ringeisen c. Autriche, 16 juillet 1971, § 95, série A no 13 ; Le Compte, Van Leuven et De Meyere c. Belgique, 23 juin 1981, § 55, série A no 43 ; Belilos c. Suisse, 29 avril 1988, § 64, série A no 132, et surtout l’arrêt Beaumartin c. France, 24 novembre 1994, § 38 et 39, série A no 296-B).
62. Par ailleurs, la Cour rappelle que la nature d’une procédure administrative peut différer, sous plusieurs aspects, de la nature d’une procédure pénale au sens strict du terme. Si ces différences ne sauraient exonérer les Etats contractants de leur obligation de respecter toutes les garanties offertes par le volet pénal de l’article 6, elles peuvent néanmoins influencer les modalités de leur application (Valico S.r.l. c. Italie (déc.), no 70074/01, CEDH 2006-III).
63. La Cour note que dans le cas d’espèce, les juridictions administratives se sont penchées sur les différentes allégations de fait et de droit de la société requérante. Elles ont dès lors examiné les éléments de preuve recueillis par l’AGCM. De plus, le Conseil d’Etat a rappelé que lorsque l’administration dispose d’un pouvoir discrétionnaire, même si le juge administratif n’a pas le pouvoir de se substituer à l’autorité administrative indépendante, il peut toutefois vérifier si l’administration a fait un usage approprié de ses pouvoirs.
64. De ce fait, la Cour note que la compétence des juridictions administratives n’était pas limitée à un simple contrôle de légalité. Les juridictions administratives ont pu vérifier si, par rapport aux circonstances particulières de l’affaire, l’AGCM avait fait un usage approprié de ses pouvoirs. Elles ont pu examiner le bien-fondé et la proportionnalité des choix de l’AGCM et même vérifier ses évaluations d’ordre technique.
65. De plus, le contrôle effectué sur la sanction a été de pleine juridiction dans la mesure où le TAR et le Conseil d’Etat ont pu vérifier l’adéquation de la sanction à l’infraction commise et le cas échéant auraient pu remplacer la sanction (voir, a contrario, Silvester’s Horeca Service c. Belgique, no 47650/99, § 28, 4 mars 2004).
66. En particulier, le Conseil d’Etat, en allant au delà d’un contrôle « externe » sur la cohérence logique de la motivation de l’AGCM, s’est livré à une analyse détaillée de l’adéquation de la sanction par rapport aux paramètres pertinents, y compris la proportionnalité de la sanction même.
67. La décision de l’AGCM ayant été soumise au contrôle ultérieur d’organes judiciaires de pleine juridiction, aucune violation de l’article 6 § 1 de la Convention ne saurait être décelée en l’espèce.
PAR CES MOTIFS, LA COUR,
1. Déclare, à l’unanimité, la requête recevable ;
2. Dit, par 6 voix contre 1, qu’il n’y a pas eu violation de l’article 6 § 1 de la Convention ;
Fait en français, puis communiqué par écrit le 27 septembre 2011, en application de l’article 77 §§ 2 et 3 du règlement.
Stanley Naismith Françoise Tulkens
Greffier Présidente
Au présent arrêt se trouve joint, conformément aux articles 45 § 2 de la Convention et 74 § 2 du règlement, l’exposé des opinions séparées suivantes :
– opinion concordante du juge Sajó ;
– opinion dissidente du juge Pinto de Albuquerque.
F.T.
S.H.N.

OPINION CONCORDANTE DU JUGE SAJÓ
(Traduction)
A l’instar de la majorité des mes collègues, j’ai conclu dans cette affaire à la non-violation de l’article 6 § 1 de la Convention. Il me semble toutefois nécessaire de souligner que, pour évaluer la nature du contrôle juridictionnel de décisions administratives prises par des autorités indépendantes, il est important de suivre les considérations exposées par le juge Pinto de Albuquerque dans son opinion dissidente. La raison pour laquelle je n’ai pas pu me rallier à celle-ci est purement factuelle. Il est vrai que la loi en vigueur et certains des jugements interprétatifs émanant des tribunaux italiens n’incitaient pas les tribunaux à exercer un véritable contrôle juridictionnel. Apparemment, ce contexte juridique n’autorisait qu’une analyse formelle (un contrôle de légalité ou « contrôle juridictionnel faible »). Or, en l’espèce, le Conseil d’Etat s’est lancé de facto dans une analyse du fond satisfaisant aux exigences de l’article 6. En outre, le Conseil d’Etat avait le pouvoir de casser la décision administrative qui entraînait une sanction pénale. Certes, en procédant à ce contrôle du fond, il a utilisé une terminologie donnant à penser qu’il exerçait un contrôle juridictionnel faible, mais le Conseil d’Etat semble ne pas avoir agi comme il annonçait qu’il le faisait. Aux fins de l’article 6, ce qui compte est qu’en l’espèce les droits énoncés par la Convention ont été effectivement protégés, et non la terminologie imposée par la législation « interprétée » par le Conseil d’Etat.

OPINION DISSIDENTE
DU JUGE PINTO DE ALBUQUERQUE
1. L’Autorité italienne de régulation de la concurrence (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato – « l’AGCM ») condamna la société requérante à une « sanction administrative pécuniaire » (sanzione amministrativa pecuniaria) de 6 millions d’euros pour des pratiques anticoncurrentielles sur le marché des tests diagnostiques pour le diabète. Le fondement de la condamnation était la loi no 287 du 10 octobre 1990 sur la concurrence et les pratiques commerciales loyales. Les juridictions administratives successivement appelées à connaître de l’affaire, dont le tribunal administratif du Latium (« le TAR »), le Conseil d’Etat et la Cour de cassation, rejetèrent les recours de la société requérante.
2. Je partage l’opinion de la majorité selon laquelle l’article 6 de la Convention est applicable dans le cas d’espèce. Il est constant que ladite « sanction administrative pécuniaire » relève, selon le droit italien, du droit administratif et se distingue nettement des sanctions du droit pénal (sur la nature et l’importance des sanctions administratives dans le cadre du mouvement de dépénalisation en droit italien et la soi-disant « théorie formelle » de distinction entre les sanctions administratives et les sanctions pénales, voir, entre autres, Giorgio Colla et Gianfranco Manzo, Le Sanzioni Amministrative, Milano, Giuffrè, 2001 pp. 79-107, Casetta, Illicito amministrativo, in Digesto delle Discipline Publicistiche, Volume VIII, Torino, UTET, 1993, pp. 89-90, et Aldo Travi, Sanzioni Amministrative e Pubblica Ammnistrazione, Padova, CEDAM, 1983, pp. 11-87). Nonobstant, l’applicabilité de l’article 6 de la Convention, sous son volet pénal, à la procédure administrative et juridictionnelle en cause est évidente, au vu du caractère répressif et préventif de la sanction administrative pécuniaire. La sanction présentait un caractère répressif puisqu’elle visait à sanctionner un comportement contraire à la loi. D’un autre côté, elle avait aussi un caractère préventif car le but poursuivi était de dissuader la personne morale intéressée de réitérer à l’avenir la conduite censurée. En plus, l’ampleur considérable du barème abstrait de la sanction fixée par le législateur et même la sévérité du montant concret de la sanction déterminé par les tribunaux nationaux concourent à la conclusion déjà énoncée d’applicabilité de l’article 6.
3. Je m’éloigne cependant de la majorité à propos de la conclusion selon laquelle il n’y a pas eu violation dudit article. A mon avis, les juridictions administratives italiennes n’ont pas exercé, dans le cas d’espèce, un vrai pouvoir de contrôle de « pleine juridiction » sur les décisions de condamnation prises par l’AGCM.
4. Les juges nationaux ont défini exactement et à maintes reprises quelle était l’ampleur de leur compétence de contrôle à l’égard de la décision de l’AGCM. Selon leur propre interprétation de la loi italienne applicable avant l’entrée en vigueur du nouveau code de procédure administrative, les juges administratifs ne peuvent « exercer un pouvoir substitutif qui va jusqu’à remplacer par sa propre évaluation technique des faits celle de l’autorité administrative ». Cela signifie que le noyau dur du jugement est soustrait à la compétence des tribunaux administratifs italiens. Le jugement d’imputation de responsabilité appartient réellement à l’autorité administrative indépendante et non aux tribunaux administratifs.
5. La base de cette interprétation de la loi nationale est l’arrêt du Conseil d’Etat nº 2199/2002 du 23 avril 2002, qui harmonise et consolide une jurisprudence déjà énoncée dans les précédents arrêts du Conseil d’Etat no 699 du 9 avril 1999, nº 1348 du 14 mars 2000, nº 1671 du 20 mars 2001, nº 4118 du 26 juillet 2001, no 5287 du 6 octobre 2001, et nº 5733 du 8 novembre 2001. Selon la jurisprudence précédente définie dans les arrêts nos 1348, 1671, 4118 et 5733, le juge administratif pouvait seulement contrôler les vices classiques d’incompétence, de violation de la loi et d’excès de pouvoir commis par les autorités administratives indépendantes, sans disposer d’aucun pouvoir de contrôle sur les évaluations du fond faites par l’administration. Par ailleurs, l’arrêt no 699 avait déjà reconnu l’extension de la compétence des juridictions administratives au pouvoir discrétionnaire technique de l’administration, en particulier sur ses évaluations techniques discutables. L’arrêt no 5287 avait finalement introduit la fameuse distinction entre un contrôle « fort », qui se traduit par un pouvoir de substitution du juge administratif à l’évaluation technique faite par l’administration, et un contrôle « faible », restreint à une évaluation du bon sens et de la cohérence technique de la décision administrative.
Faisant la synthèse de la jurisprudence précédente, l’arrêt nº 2119/2002 établit nettement les limites de la juridiction des tribunaux administratifs sur les décisions de l’AGCM. Le Conseil d’Etat décrit la procédure décisionnelle suivie par l’AGCM, reconnaissant l’existence de quatre phases distinctes : 1) l’« établissement des faits », 2) « la « contextualisation » de la norme protectrice de la concurrence, qui, faisant référence à des « concepts juridiques indéterminés » (comme le marché pertinent, l’abus de position dominante, les accords restrictifs de la concurrence), a besoin d’une individualisation exacte des éléments de l’infraction imputée », 3) la confrontation des faits avec le paramètre déjà contextualisé, et 4) l’application des sanctions. Selon le Conseil d’Etat, le juge administratif a plein pouvoir de contrôle sur les première et dernière phases de la procédure décisionnelle administrative, mais n’a par contre qu’un pouvoir très limité sur les autres phases, où le pouvoir discrétionnaire technique de l’administration entre en jeu. Ainsi, le pouvoir de contrôle du juge administratif inclut la « véracité » des éléments de fait, ce que présuppose l’évaluation des preuves recueillies par l’AGCM et la défense. Il peut aussi évaluer la proportionnalité des sanctions appliquées. En revanche, il ne peut qu’effectuer un contrôle « faible » sur les autres phases de la procédure décisionnelle administrative, au vu du fait que l’AGCM exerce « au moins en partie, une activité discrétionnaire technique » et que « les évaluations techniques de l’AGCM ne se fondent pas sur des règles scientifiques, exactes et indiscutables, mais sont le fruit des sciences inexactes et discutables (principalement de caractère économique) avec lesquelles sont définis les concepts juridiques indéterminés ».
L’arrêt mentionné du Conseil d’Etat fut confirmé par l’arrêt des sections unies de la Cour de cassation no 8882 du 29 avril 2005, qui a établi la jurisprudence selon laquelle « la limite identifiée par le juge administratif se réfère à la possibilité (exclusive) d’exercer un contrôle soi-disant de type « fort » sur les évaluations techniques discutables, c’est-à-dire la possibilité de la part du juge d’exercer un pouvoir de substitution qui va jusqu’à superposer l’évaluation technique discutable du même juge à celle de l’administration ».
La Cour de cassation n’a laissé aucun doute sur sa position de principe en matière de sanctions administratives appliquées par l’AGCM : « on répète le principe que cette Cour a déjà soutenu, à savoir que la juridiction du juge administratif, quoiqu’exclusive, reste une juridiction de légalité et n’inclut pas le fond (…) Partant, le Conseil d’Etat a correctement conclu que les procédures de l’AGCM étaient contrôlables pour vices de légalité et non sur le fond ».
6. Cette interprétation « faible » du pouvoir de contrôle juridictionnel fut suivie par le TAR dans son jugement du 3 décembre 2003, par le Conseil d’Etat dans son arrêt du 16 mars 2006, et finalement par la Cour de cassation dans son arrêt du 17 mars 2008.
Empruntant les termes mêmes du Conseil d’Etat, le TAR estima que son contrôle sur les décisions de l’AGCM était exclusivement un contrôle des vices de légalité (per i soli vizi di leggitimità). Dans son arrêt, le TAR affirma que, lorsque « un excès de pouvoir est constaté, le juge administratif peut seulement vérifier s’il ressort que la décision attaquée est logique, appropriée, raisonnable, correctement motivée et instruite (logico, congruo, ragionevole, correttamente motivato e istruito), mais ne peut cependant substituer ses propres évaluations sur le fond à celles développées par l’AGCM, seule à pouvoir procéder à de telles évaluations. Conformément aux principes qui règlent la juridiction générale de légalité, cette affirmation acquiert un relief spécifique par rapport aux limites existantes lors de la vérification des faits qui sont à la base de la décision attaquée ». Le TAR souligna que son contrôle était complet quant à l’évaluation des faits vérifiés et à l’application de la sanction. Cependant, s’agissant de la qualification juridique des faits retenue par l’AGCM, l’examen du TAR était limité exclusivement à la légalité de la condamnation. Notamment, le TAR affirma que, quant à la deuxième et à la troisième phase de la procédure logique suivie par l’Autorité, « le contrôle juridictionnel est « faible » car le juge se borne à effectuer un contrôle de bon sens et de cohérence technique de la décision adoptée, sans faire prévaloir sa propre appréciation technique discutable sur celle de l’AGCM ». Dans ce contexte, le TAR admit qu’il y avait « sûrement une perte quant à l’effectivité de la défense, attendu qu’il est interdit au juge d’effectuer un contrôle intrinsèque ». De plus, le TAR affirma que « le juge ne peut pas substituer ses propres appréciations à celles de l’AGCM (par exemple sur la détermination du marché) ; pareillement, le juge ne peut appliquer que des normes identifiées par l’AGCM et il ne peut pas les remplacer par d’autres ; il ne peut pas modifier des caractéristiques de l’enquête et, par conséquent, même pas la décision adoptée. Cependant, il peut en vérifier seulement sa légitimité » (pp. 14-18 de l’arrêt du 3 décembre 2003).
Dans son arrêt du 16 mars 2006, le Conseil d’Etat rappela une fois de plus son avis selon lequel « le contrôle du juge administratif (…) ne permet pas un pouvoir substitutif du juge qui va jusqu’à substituer sa propre évaluation technique discutable ou son propre modèle logique d’application du concept indéterminé à celle réalisée par l’Autorité » (p. 19 de l’arrêt du 16 mars 2006).
La Cour de cassation italienne confirma ce raisonnement, en affirmant que « ce qui n’est pas consenti au Conseil d’Etat, c’est un contrôle soi-disant du type « fort » sur les évaluations techniques discutables, c’est-à-dire l’exercice de la part du juge d’un pouvoir substitutif qui va jusqu’à substituer sa propre évaluation technique discutable à celle de l’Administration » (p. 22 de l’arrêt du 17 mars 2008).
7. Les juridictions administratives n’ont pas soutenu les principes susmentionnés in abstracto. Elles les ont appliqués in concreto. Dans le cas d’espèce, les juridictions administratives ont agi en stricte cohérence avec ce contrôle juridictionnel de type « faible », selon lequel il était interdit au juge d’effectuer un contrôle autonome et étendu de la décision administrative. Le TAR a récapitulé les principes de cette jurisprudence très clairement et les a appliqués strictement (voir les pages 14-17 de l’arrêt susmentionné du 3 décembre 2003). Après avoir énoncé les principes de sa jurisprudence, le Conseil d’Etat a soutenu in concreto plusieurs fois cette limitation gnoséologique de son propre pouvoir en disant que « la section observe que les plaintes présentées par les parties appelantes ne sont pas de nature à infirmer les conclusions de l’Autorité, qui sont à examiner dans le cadre d’un contrôle ne portant pas sur le fond des évaluations techniques mentionné au paragraphe 4 ci-dessus » (da scrutinare nell’ alveo del sindacato non sostitutivo del merito delle valutazioni tecniche di cui si è detto al precedente par. 4, voir page 31 de l’arrêt du 16 mars 2006). Dans un autre passage sur la question de droit fondamentale de l’existence d’une segmentation entre la distribution directe et indirecte, le Conseil d’Etat se démet délibérément de ses pouvoirs en reconnaissant que « la prétendue segmentation entre la distribution directe et indirecte n’est en fin de compte pas convaincante, toujours à la lumière du champ susmentionné réservé au contrôle juridictionnel » (sempre alla luce al descritto ambito riservato al sindacato giurisdizionale, voir page 34 de l’arrêt du 16 mars 2006).
En répétant la motivation des faits invoquée par la condamnation administrative, souvent avec les mêmes expressions et phrases, les juges administratifs ont donné un beneplacitus formel et ont réalisé un contrôle « interne » qui ne constitue aucune garantie réelle et pratique pour les sujets déjà condamnés. Une lecture attentive des motifs de la décision sur les faits révèle que l’arrêt du TAR fait plus de 60 citations et références aux paragraphes de la décision de condamnation de l’AGCM, et le Conseil d’Etat plus de 40 citations et références audit texte. Les instances juridictionnelles n’ont fait que répéter l’une après l’autre les arguments déjà soutenus par l’AGCM, renvoyant avec une insistance remarquable à la lettre même des paragraphes de la décision administrative. La prétendue analyse des arguments du recours de la requérante n’a été qu’une adhésion formelle des tribunaux à l’évaluation technique « indiscutable » et incontestable de l’AGCM. Enfin, il n’y a eu aucune évaluation autonome, concrète et détaillée de l’illicéité et de la culpabilité de la conduite de la requérante.
En conclusion, le contrôle des juridictions administratives a été simplement formel car il n’a pas touché au noyau dur du raisonnement de la décision administrative de condamnation, à savoir l’évaluation technique des faits imputés à la requérante. La requérante s’est vue privée d’une analyse autonome des motifs de son recours.
8. Pour la Cour, il n’est pas nécessaire que l’organe ou la personne ayant prononcé une sanction respecte pleinement les règles énoncées par l’article 6 dès lors que la sanction peut subir le contrôle ultérieur d’un « tribunal » présentant les garanties de cet article et ayant « pleine juridiction » sur l’affaire (voir l’arrêt-clé Öztürk c. Allemagne, 21 février 1984, § 56, série A no 73, qui s’est penché pour la première fois sur les infractions administratives, Ordnungswidrigkeiten en droit allemand de la route, et a été confirmé par les arrêts Schmautzer c. Autriche, 23 octobre 1995, § 34, série A no 328-A, Umlauft c. Autriche, 23 octobre 1995, § 37, série A no 328-B, Gradinger c. Autriche, 23 octobre 1995, § 42, série A no 328-C, Pramstaller c. Autriche, 23 octobre 1995, § 39, série A no 329-A, Palaoro c. Autriche, 23 octobre 1995, § 41, série A no 329-B, et Pfarrmeier c. Autriche, 23 octobre 1995, § 38, série A no 329-C, qui se sont penchés sur les contraventions administratives, Verwaltungsübertretungen en droit autrichien de la route et, dans l’affaire Pramstaller, en droit autrichien de la construction civile ; je laisse de côté la question épineuse de savoir si la notion de « pleine juridiction » dans le domaine non pénal doit être soumise à un traitement juridique différent, voire moins exigeant, que celui donné dans le domaine pénal ; sur cette question, voir les arguments de F. Sudre, note sous Cass.com., 29 avril 1997, Ferreira c/DGI, JCP, 1997, éd. G, II, 22935).
La notion de « pleine juridiction » dans le domaine pénal a une portée élargie et illimitée puisqu’elle inclut non seulement le contrôle du quid des sanctions administratives (est-ce que les sanctions appliquées étaient prévues par la loi ?) et du quantum des sanctions administratives (est-ce que les sanctions appliquées étaient proportionnées à la gravité des faits reprochés ?), mais aussi de la réalité de l’infraction administrative (est-ce que les personnes ont, par action ou par omission, commis de façon illicite et avec culpabilité une infraction punie par la loi ?). La plénitude de juridiction suppose que le juge aille au-delà du simple contrôle des erreurs manifestes (ou « illogiques », « incohérentes », « déraisonnables ») d’évaluation et puisse écarter les erreurs d’évaluation qui ne sont pas manifestes (ou « illogiques », « incohérentes », « déraisonnables »). Toute l’opération d’évaluation des preuves, d’établissement et de qualifica

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