Conclusione Violazione dell’art. 6-1; parzialmente inammissibile; Danno patrimoniale – domanda respinta; Danno morale – constatazione di violazione sufficiente
QUINTA SEZIONE
CAUSA 3A.CZ S.R.O. C. REPUBBLICA CECA
( Richiesta no 21835/06)
SENTENZA
STRASBURGO
10 febbraio 2011
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa 3A.CZ s.r.o. c. Repubblica ceca,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, quinta sezione, riunendosi in una camera composta da:
Peer Lorenzen, presidente, Karel Jungwiert, Marco Villiger, Isabelle Berro-Lefèvre, Zdravka Kalaydjieva, Angelika Nußberger, Julia Laffranque, giudici,
e da Claudia Westerdiek, cancelliera di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 18 gennaio 2011,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 21835/06) diretta contro la Repubblica ceca e in cui una società a responsabilità limitata di diritto ceco, 3A.CZ s.r.o. (“la società richiedente”), ha investito la Corte il 9 maggio 2006 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. La società richiedente è rappresentata da A. V., avvocato al foro ceco. Il governo ceco (“il Governo”) è rappresentato dal suo agente, il Sig. V. A. Schorm.
3. La società richiedente si lamenta di essersi vista ingiungere di pagare gli oneri del procedimento di esecuzione condotto contro il suo debitore e di non essersi vista comunicare per replica le osservazioni sottoposte alla Corte costituzionale da un’altra giurisdizione.
4. Il 31 agosto 2007, il presidente della quinta sezione ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Come permette l’articolo 29 § 1 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la camera si sarebbe pronunciata sull’ammissibilità ed il merito allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
5. La richiedente è una società a responsabilità di diritto ceco, avente la sua sede sociale a Praga.
6. Col giudizio dell’ 8 ottobre 2001, un anziano impiegato della società richiedente, P.Š, fu condannato per sottrazione di oggetti appartenenti a questa e si vide ingiungere di pagarle i danno-interessi.
7. Il 30 luglio 2002, la società richiedente investì il tribunale di distretto (Okresní soud) di Praga-est di un’istanza tesa all’esecuzione di suddetto giudizio, al motivo che P.Š. non aveva saldato la somma aggiudicata. Propose che l’esecuzione venisse effettuata da un ufficiale giudiziario secondo la legge no 120/2001 (qui di seguito “codice di esecuzione”).
8. L’ 11 ottobre 2002, il tribunale accolse l’istanza della società richiedente ed incaricò dell’esecuzione l’ufficiale giudiziario proposto da questa.
9. Con l’ordinanza di esecuzione del 20 gennaio 2004, l’ufficiale giudiziario decise di procedere alla vendita di tutti i beni mobili di P.Š.
10. Il 29 giugno 2004, l’ufficiale giudiziario fece sapere al tribunale che non era stato trovato nessun bene del debitore suscettibile di essere colpito dall’esecuzione. Propose quindi di pronunciare l’estinzione del procedimento di esecuzione in ragione dell’insolvenza di P.Š. e chiese, in virtù dell’articolo 89 del codice di esecuzione, che la società richiedente gli rimborsasse gli oneri di esecuzione.
11. Il 5 novembre 2004, il tribunale di distretto pronunciò l’estinzione del procedimento di esecuzione secondo gli articoli 55 del codice di esecuzione e 268 § 1 e) del codice di procedimento civile. Decise, in virtù degli articoli 52 e 89 del codice di esecuzione e 271 del codice di procedimento civile che P.Š. era tenuto a rimborsare gli oneri di esecuzione alla società richiedente e che questa doveva pagare la stessa somma, ossia 7 025 CZK, circa 285 EUR di cui 3 000 CZK, 122 EUR, come rimunerazione all’ufficiale giudiziario.
12. Il 7 dicembre 2004, la società richiedente fece appello sulla decisione sugli oneri di esecuzione, adducendo che lei stessa non era incorsa negli oneri che il debitore avrebbe dovuto rimborsarle secondo l’articolo 87 § 2 del codice di esecuzione. Sostenne in compenso che il debitore avrebbe dovuto pagare gli oneri di esecuzione incorsi dall’ufficiale giudiziario, in virtù dell’articolo 87 § 3.
13. Il 28 febbraio 2005, il tribunale regionale (Krajský soud) di Praga riformò la decisione del 5 novembre 2004 decidendo che nessuna delle parti aveva diritto al rimborso degli oneri incorsi dinnanzi al tribunale di prima istanza; confermò tuttavia la decisione secondo la quale spettava alla società richiedente rimborsare gli oneri di esecuzione all’ufficiale giudiziario. Il tribunale rilevò che ai termini dell’articolo 271 del codice di procedimento civile, quando c’era l’estinzione del procedimento di esecuzione, la decisione sugli oneri di questa era tributaria del motivo di questa estinzione. Bisognava esaminare dunque se l’estinzione dell’istanza era, del punto di vista procedurale, imputabile all’avente diritto. Su questo punto, il tribunale regionale rilevò che la società richiedente aveva scelto, tra due possibilità di esecuzione, quella garantita da un ufficiale giudiziario; doveva sapere dunque che l’ufficiale giudiziario, esercitando le sue funzioni come un libero professionista, aveva diritto ad una rimunerazione. Le spettava anche soppesare le probabilità reali del successo di questa esecuzione; ora, la sua ipotesi che il debitore nello specifico era solvibile si era rivelata erronea. Secondo il tribunale, visto che la società richiedente non aveva cercato di sapere, prima di chiedere l’esecuzione, se il debitore possedeva dei beni, non aveva fatto prova di sufficiente zelo. Dal momento che l’estinzione dell’istanza di esecuzione le era così imputabile, le toccava rimborsare all’ufficiale giudiziario gli oneri di questa.
14. Il 1 giugno 2005, la società richiedente attaccò la decisione del tribunale regionale con un ricorso costituzionale in cui invocava i suoi diritti ad un processo equo, alla protezione giudiziale ed al rispetto dei beni, e contestava un’interpretazione estrema ed arbitraria della nozione di imputabilità procedurale. Sostenne in particolare che non disponeva di nessun strumento giuridico che le permettesse di stabilire la situazione patrimoniale del debitore che non soggiornava all’indirizzo della sua residenza permanente. Secondo lei, la decisione sugli oneri di esecuzione non avrebbe dovuto servire a proteggere questo comportamento inaccettabile ed a sanzionare l’avente diritto che cerca di ricuperare il suo credito.
15. Prima di decidere, la Corte costituzionale (Ústavní soud) invitò il tribunale regionale così come P.Š. a pronunciarsi su suddetto ricorso. Nelle sue osservazioni tese a confutare le obiezioni della società richiedente, il tribunale regionale sviluppò la sua argomentazione concernente la responsabilità dell’avente diritto, il rischio che doveva assumersi e le difficoltà di ingiungere gli oneri al debitore la cui insolvenza aveva provocato l’estinzione dell’esecuzione. Queste osservazioni furono riassunte nella decisione della Corte costituzionale senza essere state mandate prima di tutto alla società richiedente per un commento.
16. Il 9 novembre 2005, la Corte costituzionale respinse il ricorso della società richiedente registrata sotto il no II. ÚS 313/05 per difetto manifesto di fondamento. Si riferì alla sua sentenza no II. ÚS 372/04 dell’ 8 agosto 2005, relativa ad una causa in cui i tribunali avevano rifiutato all’ufficiale giudiziario il diritto al rimborso degli oneri di esecuzione. Aveva rilevato in questa sentenza che, a causa della posizione specifica dell’ufficiale giudiziario che aveva il dovere di essere imparziale ed indipendente nell’esercizio delle competenze che lo stato gli aveva delegato, questo doveva ricevere una rimunerazione; non era possibile non rimborsargli i suoi oneri (comprendenti la rimunerazione) invocando una mancanza di imputabilità procedurale, dunque. Questi oneri dovevano essere pagati dunque o dal debitore, o, se il tribunale avesse concluso all’esistenza di motivi che giustificavano di non ingiungere questo obbligo a questo ultimo, dall’avente diritto. Incombeva sull’avente diritto soppesare questo rischio, tenuto conto delle possibilità del debitore, all’epoca dell’introduzione dell’istanza di esecuzione. Nello specifico, la decisione sugli oneri di giustizia era debitamente motivata e conforme alla Costituzione, per il fatto che il tribunale aveva garantito la rimunerazione dell’ufficiale giudiziario senza superare i limiti previsti dal codice di esecuzione. La Corte costituzionale stimò anche che gli oneri incorsi dalla società richiedente, ossia gli oneri dell’ufficiale giudiziario, non potevano essere considerati come essendo stati impegnati ragionevolmente e dunque rimborsabili dal debitore, ai sensi dell’articolo 87 § 2 del codice di esecuzione, perché non sottoscrisse il parere della società richiedente che arguiva di non disporre di mezzi che le permettessero di stabilire la situazione patrimoniale di P.Š. Rilevò su questo punto che il codice di procedimento civile permetteva al creditore di chiedere al tribunale di raccogliere le informazione necessarie circa il debitore o di invitarlo a fare una dichiarazione sulla sua situazione patrimoniale. Ora, la richiedente non si era avvalsa di questa possibilità.
II. IL DIRITTO E LA PRATICA INTERNA PERTINENTI
A. Codice di esecuzione (legge no 120/2001 nella sua versione in vigore al momento dei fatti)
17. Secondo l’articolo 52 § 1, le disposizioni del codice di procedimento civile sono applicabili al procedimento di esecuzione ai sensi di questa legge salvo se questa dispone diversamente.
18. Risulta dall’articolo 55 § 1 che non spetta all’ufficiale giudiziario, ma al tribunale, decidere l’estinzione del procedimento di esecuzione.
19. In virtù dell’articolo 87 § 2, l’avente diritto, ha il diritto di farsi rimborsare gli oneri impegnati ragionevolmente in vista della realizzazione della sua pretesa. Questi oneri sono pagabili dal debitore.
20. L’articolo 87 § 3 dispone che è il debitore che rimborsa all’ufficiale giudiziario i suoi oneri di esecuzione.
21. Ai termini dell’articolo 89 come formulato fino al 31 dicembre 2007, quando c’è stata l’estinzione del procedimento di esecuzione, il tribunale poteva ingiungere all’avente diritto di rimborsare gli oneri di esecuzione.
Dal 1 gennaio 2008, questa disposizione precisa che in caso di estinzione del procedimento di esecuzione, gli oneri dell’esecuzione e delle parti devono essere pagati da quella a cui questa estinzione è imputabile. Quando l’estinzione è stata pronunciata ragionevolmente in ragione dell’insolvenza del debitore, gli oneri forfetari o gli oneri impegnati devono essere rimborsati all’ufficiale giudiziario dall’avente diritto. A contare dal 1 novembre 2009, l’articolo 89 aggiunge in fine che, per il caso di estinzione del procedimento di esecuzione in ragione dell’insolvenza del debitore, l’avente diritto e l’ufficiale giudiziario possono ragionevolmente convenire in anticipo dell’importo degli oneri impegnati.
B. Codice di procedimento civile (legge no 99/1963)
22. Ai termini dell’articolo 268 § 1 e, il tribunale pronuncia l’estinzione del procedimento di esecuzione se lo svolgimento di questa lascia apparire che il rendimento ottenuto non sarà sufficiente nemmeno a coprire gli oneri di esecuzione.
23. L’articolo 271 dispone che se c’è l’estinzione del procedimento di esecuzione, il tribunale delibera sugli oneri di esecuzione incorsi dalle parti in funzione del motivo per cui questa estinzione è stata pronunciata.
C. Prativa interna
1. Decisioni dei tribunali inferiori citate dalla società richiedente
24. La società richiedente menziona la decisione no 39 Co 339/2004 adottata dal tribunale municipale (Městský soud) il 30 settembre 2004 secondo la quale il fatto che l’avente diritto ha optato per un’esecuzione tramite l’ufficiale giudiziario che è restata senza risultato non costituisce un motivo per ingiungerle di pagare gli oneri di esecuzione secondo l’articolo 89 del codice di esecuzione.
25. Sottopone anche alla Corte la decisione no Nc 12066/2004 resa il 31 maggio 2006 dal tribunale di distretto (Obvodní soud) di Praga 3 in una causa che l’opponeva ad un altro debitore la cui insolvenza aveva provocato anche l’estinzione dell’esecuzione. Con questa decisione, è il debitore che si è visto ingiungere di rimborsare gli oneri di esecuzione all’ufficiale giudiziario, in virtù dell’articolo 271 del codice di procedimento civile. Il tribunale si è riferito, tra l’altro, al parere della Corte suprema così come alle decisioni della Corte costituzionale del 14 aprile e dell’ 11 maggio 2006 (vedere paragrafi sotto 30 e 31). Secondo lui, non era possibile concludere nello specifico ad un imputabilità procedurale dell’avente diritto perché questo aveva sempre il diritto di chiedere il recupero del suo credito tramite l’esecuzione prevista dal codice di esecuzione. Il fatto che l’ufficiale giudiziario non ha ottenuto un rendimento sufficiente per coprire gli oneri di esecuzione non poteva essere imputabile all’avente diritto. Dal momento che non si poteva rimproverare all’avente diritto la mancanza dello zelo necessario, gli oneri dovevano essere pagati dal debitore. Tale decisione costituiva un nuovo titolo di esecuzione a profitto dell’ufficiale giudiziario, sapendo che la situazione patrimoniale del debitore poteva cambiare nel futuro in modo da permettere di soddisfare questo credito.
2. Parere della Corte suprema
26. Secondo il parere della Corte suprema relativa all’interpretazione della legge no 120/2001 (no Cpjn 200/2005) l’avente diritto, può vedersi ingiungere di rimborsare gli oneri di esecuzione in caso di estinzione del procedimento (articolo 89 del codice di esecuzione) purché sia, dal punto di vista dei principi enunciati all’articolo 271 del codice di procedimento civile, la persona tenuta al rimborso di questi oneri. Ora, se l’estinzione dell’esecuzione al motivo che non è stato trovato nessun bene suscettibile di essere colpito dall’esecuzione a casa il debitore (articolo 268 § 1 e) del codice di procedimento civile) non è imputabile all’avente diritto, non è possibile ingiungere a questo ultimo di rimborsare gli oneri di esecuzione; in tal caso, è il debitore che è tenuto a rimborsarli all’ufficiale giudiziario. C’è luogo di decidere solamente secondo l’articolo 89 del codice di esecuzione nei casi in cui ciò si giustifica con l’imputabilità procedurale, in particolare la negligenza, dell’avente diritto. Non si potrebbe aderire alle decisioni dunque, rese frequentemente nella cornice dell’estinzione del procedimento in ragione dell’insolvenza del debitore ai sensi dell’articolo 268 § 1 e) del codice di procedimento civile che ingiunge di rimborsare gli oneri di esecuzione all’avente diritto ed infliggono allo stesso tempo lo stesso obbligo a favore dell’avente diritto al debitore. Se il risultato del procedimento, ossia la mancanza di beni del debitore suscettibile di essere colpiti dall’esecuzione, non è imputabile all’avente diritto, questo ultimo non può vedersi ingiungere di rimborsare gli oneri di procedimento perché, avuto riguardo all’articolo 271 del codice di procedimento civile, l’articolo 89 del codice di esecuzione non si applicherà. Ci sarà luogo dunque di applicare l’articolo87 § 3 del codice di esecuzione e di ingiungere il pagamento degli oneri di esecuzione al debitore, nonostante questo sia stato considerato insolvibile nel procedimento di esecuzione.
3. Giurisprudenza della Corte costituzionale
27. Con la sentenza no I. ÚS 350/04 datata 15 settembre 2004, la Corte costituzionale ha annullato la decisione di una giurisdizione di appello che ha inflitto agli interessati l’obbligo di rimborsare gli oneri incorsi dall’altra parte in un procedimento riguardante la loro istanza di esecuzione che è stata respinta a ragione dei vizi della decisione giudiziale da eseguire. Ha notato che la decisione sul rimborso degli oneri di procedimento non poteva essere considerata come un attrezzo punitivo teso a sanzionare una parte al procedimento per avere realizzato i suoi diritti, tanto più se questa parte è stata guidata dalla presunzione bona fide che la decisione giudiziale che gli accordava questi diritti era corretta, eseguibile.
28. Con le decisioni no II. ÚS 150/04 datata 31 agosto 2004 e no III. ÚS 118/05 datata 29 giugno 2005, la Corte costituzionale ha respinto per difetto manifesto di fondamento il ricorso introdotto dagli ufficiali giudiziari di giustizia che contestavano le decisioni, rese in virtù degli articoli 87 e 89 del codice di esecuzione con cui l’obbligo di rimborsare loro gli oneri di esecuzione era stato inflitto al debitore. La corte ha rilevato che l’ufficiale giudiziario esercitava la sua attività in quanto imprenditore secondo il codice del commercio, cioè con un certo rischio. Così, aveva diritto ad una rimunerazione in caso di successo dell’esecuzione ma correva anche il rischio che i beni del debitore non bastassero al rimborso degli oneri di esecuzione. La Corte costituzionale ha considerato dunque che, senza giustificazione, questo rischio non poteva essere trasferito all’avente diritto.
29. Nelle decisioni no II. ÚS 372/04 dell’ 8 agosto 2005 (vedere anche paragrafo 16 sopra) e no I. ÚS 290/05 del 23 febbraio 2006, la Corte costituzionale ha sottolineato che non era possibile non rimborsare gli oneri in cui era incorso all’ufficiale giudiziario e che questi dovevano essere pagati o dal debitore o dall’avente diritto.
30. Con la decisione no III. ÚS 282/06 datata 14 aprile 2006, la Corte costituzionale ha respinto per difetto manifesto di fondamento il ricorso introdotto da un ufficiale giudiziario che contestava la decisione sull’estinzione dell’esecuzione per insolvenza del debitore in virtù della quale questo ultimo doveva rimborsargli gli oneri di esecuzione. La corte ha di sottolineato prima la differenza tra i casi, analoghi a quello nello specifico, dove la richiesta dell’ufficiale giudiziario di vedersi rimborsare gli oneri di esecuzione era stata accolta e questo obbligo imposto al debitore, sebbene insolvibile, ed i casi in cui era stato deciso che l’ufficiale giudiziario non aveva dritto al rimborso di detti oneri ( sentenza no II. ÚS 372/04 dell’ 8 agosto 2005). Difatti, l’insolvenza del debitore non equivaleva al rifiuto di rimborsare gli oneri all’ufficiale giudiziario, tanto più che l’avente diritto poteva essere anche insolvibile e che un debitore insolvibile in un certo momento poteva diventare solvibile più tardi. Secondo la corte, gli articoli 87-89 del codice di esecuzione così come l’articolo 271 del codice di procedimento civile partivano dal principio che l’avente diritto la cui istanza di esecuzione era stata accolta doveva essere considerato come se avesse avuto guadagno di causa; peraltro, la posizione dell’ufficiale giudiziario era in questo caso analoga all’avente diritto, perché l’articolo 87 § 3 del codice di esecuzione ingiungeva al debitore di rimborsargli gli oneri di esecuzione. Per ciò che riguarda le situazioni di estinzione dell’esecuzione, non risultava all’epoca dell’articolo 89 del codice di esecuzione né l’obbligo di ingiungere il rimborso degli oneri all’avente diritto, né i criteri secondo cui il tribunale doveva decidere sugli oneri; questi criteri difatti erano enunciati nell’articolo 271 del codice di procedimento civile. La Corte costituzionale ha rilevato che la mancanza dei beni suscettibili di essere colpiti dall’esecuzione provocava abitualmente, e logicamente, l’obbligo per il debitore di rimborsare gli oneri, eccetto in situazioni in cui l’avente diritto non aveva rispettato le esigenze di prudenza e di zelo ed aveva chiesto l’esecuzione benché avesse avuto a sua disposizione le informazioni che gli permettono di contemplare tale risultato. La corte ha ricordato infine che la legge permetteva all’ufficiale giudiziario di fare fronte a questo rischio patrimoniale autorizzandolo a chiedere un anticipo sugli oneri e, se tale anticipo non era stato versato, di negare di eseguire l’atto chiesto o di chiedere al tribunale di pronunciare l’estinzione dell’esecuzione.
31. In una causa analoga decisa il 11 maggio 2006 con la decisione no III. ÚS 283/06, la Corte costituzionale ha rilevato in particolare che non risultava dalla pratica (e neanche il querelante l’affermava) che l’avente diritto sapeva prima di chiedere l’esecuzione che il suo credito non era recuperabile. Quindi, non era possibile constatare che l’estinzione del procedimento di esecuzione era imputabile all’avente diritto e, di conseguenza, il pagamento degli oneri di esecuzione poteva essere inflitto al debitore.
32. Il 12 settembre 2006, il plénum della Corte costituzionale ha adottato un parere (Pl. ÚS-st. 23/06) mirando ad unificare la sua giurisprudenza in cui giudicò conforme alla Costituzione il ragionamento enunciato nella decisione no III. ÚS 282/06 (vedere sopra paragrafo 30). Secondo il plénum, non è contrario ai diritti alla protezione giudiziale ed al rispetto dei beni se il tribunale decide, in caso di estinzione dell’esecuzione per insolvenza del debitore e quando non c’è nessuna imputabilità procedurale dell’avente diritto, di ingiungere di rimborsare gli oneri dell’ufficiale giudiziario al debitore. L’articolo 89 del codice di esecuzione riguarda esplicitamente la relazione procedurale tra gli ufficiali giudiziari e l’avente diritto, essendo regolata la relazione tra gli ufficiali giudiziari ed il debitore dall’articolo 87 § 3 di suddetto codice, mentre l’articolo 271 del codice di procedimento civile enuncia i criteri per decidere degli oneri di esecuzione in caso di estinzione. Quando, alla luce di questi criteri, l’obbligo di rimborsare gli oneri incorsi dalla’avente diritto incombe sul debitore, è il debitore che deve pagare anche gli oneri di esecuzione all’ufficiale giudiziario; se l’obbligo di rimborsare gli oneri dell’altra parte incombe secondo l’articolo 271 del codice di procedimento civile su l’avente diritto, questo sarà tenuto anche a saldare gli oneri dell’ufficiale giudiziario ai sensi dell’articolo 89 del codice di esecuzione. A questo riguardo, importa esaminare quale è stato il motivo dell’estinzione dell’esecuzione, sapendo che l’indigenza del debitore non costituisce un criterio per decidere chi sarà tenuto a rimborsare gli oneri dell’ufficiale giudiziario. Infliggere il pagamento degli oneri dell’ufficiale giudiziario al debitore, sebbene insolvibile, non equivale ad un rifiuto di rimborsare questi oneri che sarebbe contrario al diritto di proprietà. In più, se ance l’avente diritto può non essere solvibile ed un debitore insolvibile in un certo momento può diventare solvibile più tardi. Peraltro, il procedimento di esecuzione non attesta con certezza l’insolvenza totale del debitore; tale conclusione può essere fatta solo in un procedimento di fallimento. Un’eccezione esiste però secondo la Corte costituzionale: se l’avente diritto non ha rispettato le esigenze di prudenza e di ponderatezza necessarie e se ha chiesto l’esecuzione pure avendo a sua disposizione delle informazione che permettevano di contemplare l’indigenza del debitore, l’estinzione dell’esecuzione può essere imputatagli e può vedersi ingiungere di rimborsare gli oneri del debitore così come quelli dell’ufficiale giudiziario.
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE NEL PROCEDIMENTO DINNANZI ALLA CORTE COSTITUZIONALE
33. La società richiedente si lamenta che la Corte costituzionale non le ha comunicato le osservazioni di un’altra parte al procedimento dinnanzi a lei, ossia il tribunale regionale, e che è stata privata della possibilità di reagire dunque. Invoca a questo riguardo l’articolo 6 § 1 della Convenzione la cui parte pertinente dispone come segue:
“Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia equamente sentita da un tribunale che deciderà delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile “
A. Sull’ammissibilità
34. La Corte deve da prima distinguere il presente caso dalla causa Holub c. Repubblica ceca ( (dec.) no 24880/05, 14 dicembre 2010) nella quale un motivo di appello analogo è stato dichiarato inammissibile al motivo che il richiedente non aveva subito un danno importante ai sensi dell’articolo 35 § 3 b) della Convenzione come emendato dal Protocollo no 14 entrato in vigore il 1 giugno 2010. La differenza risiede secondo la Corte nel fatto che, nello specifico, il tribunale regionale non si è limitato, nelle sue osservazioni presentate alla Corte costituzionale a proposito del ricorso introdotto dalla società richiedente, a rinviare alla sua decisione del 28 febbraio 2005. Il tribunale regionale vi ha sviluppato al contrario, piuttosto la sua argomentazione, fornendo così una motivazione addizionale rispetto alla sua decisione iniziale (vedere sopra paragrafo 15). Non può essere escluso dunque che suddette osservazioni contenevano degli elementi sconosciuti della società richiedente ai quali questa poteva desiderare legittimamente di reagire, tanto più che si trattava di esaminare una questione che dà in pratica luogo d opinioni un po’ divergenti. Non si potrebbe allontanare neanche la possibilità che questi elementi abbiano pesato nella decisione adottata nello specifico dalla Corte costituzionale. In queste condizioni, la Corte potrebbe concludere che la società richiedente non abbia subito un “danno importante” nell’esercizio del suo diritto di partecipare in modo adeguato al procedimento dinnanzi alla Corte costituzionale. Il presente motivo di appello non può essere dichiarato inammissibile in virtù dell’articolo 35 § 3 b) della Convenzione, dunque.
35. La Corte constata inoltre che questo motivo di appello non è manifestamente mal fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 a) della Convenzione e che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararlo ammissibile.
B. Sul merito
36. La società richiedente non ha presentato osservazioni su questo punto.
37. Riferendosi alle sentenze Milatová ed altri c. Repubblica ceca (no 61811/00, CEDH 2005-V) e Mareš c. Repubblica ceca (no 1414/03, 26 ottobre 2006,) il Governo si rimette alla saggezza della Corte.
38. La Corte ricorda che la nozione di processo equo comprende il diritto ad un processo contraddittorio che implica il diritto per le parti di fare conoscere gli elementi che sono necessari al successo delle loro pretese, ma anche di prendere cognizione di ogni documento od osservazione presentati al giudice in vista di influenzare la sua decisione, e di discuterli (vedere, tra molte altre, Nideröst-Huber c. Svizzera, sentenza del 18 febbraio 1997, Raccolta delle sentenze e decisioni 1997-I, § 24; Krčmář ed altri c. Repubblica ceca, no 35376/97, § 40, 3 marzo 2000).
39. Nello specifico, come la Corte ha già detto sopra (vedere paragrafo 34), le osservazioni che il tribunale regionale ha presentato alla Corte costituzionale contenevano certi elementi addizionali rispetto alla sua decisione del 28 febbraio 2005 contro la quale la società richiedente era ricorsa. In queste condizioni, non è possibile concludere che queste osservazioni erano superflue o che non avevano nessuna incidenza sulla decisione della giurisdizione costituzionale. Pertanto, la Corte stima che il rispetto del diritto ad un processo equo, in particolare preso sotto l’angolo del rispetto del principio del contraddittorio, esigeva che la società richiedente avesse la possibilità di sottoporre i suoi commenti alle osservazioni del tribunale regionale o, perlomeno, che ne venisse informata per decidere, all’occorrenza, di rispondere (vedere, mutatis mutandis, Asnar c. Francia (no 2), no 12316/04, § 28, 18 ottobre 2007). Ora, questa facoltà non le è stata data.
40. C’è stata dunque violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione su questo punto.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE ALLO SGUARDO DELLA DECISIONE SUGLI ONERI DI ESECUZIONE
41. Sul terreno dell’articolo 6 § 1, la società richiedente si lamenta inoltre di essersi vista ingiungere di pagare gli oneri del procedimento di esecuzione, mentre tale obbligo non ha secondo lei alcun appoggio nella legge.
42. Il Governo si oppone a questa tesi, rilevando che il motivo di appello riguarda l’interpretazione e l’applicazione del diritto interno da parte delle autorità nazionali che, in mancanza di arbitrarietà, sfuggono alla competenza della Corte. Nello specifico, i tribunali nazionali si sono concessi all’interpretazione di una legislazione la cui applicazione in pratica era relativamente recente e, nella misura in cui le loro conclusioni non possono essere qualificate arbitrarie, la Corte non dovrebbe metterle in causa.
43. In quanto alle divergenze di giurisprudenza denunciate dalla società richiedente, il Governo nota che esiste in ogni ordine giuridico delle norme la cui interpretazione solleva delle controversie e si stabilizza solamente dopo un certo tempo. Tale è stato secondo lui il caso nello specifico per il fatto che la giurisprudenza dei tribunali cechi sulla questione degli oneri di esecuzione ha conosciuto un’evoluzione dinamica. Secondo il Governo, l’articolo 6 § 1 della Convenzione non esige però la revoca delle decisioni fondate su un’opinione giuridica superata.
44. Da parte sua, la società richiedente osserva che la decisioni che l’obbligavano a saldare gli oneri di esecuzione sono state rese il 5 novembre 2004 ed il 28 febbraio 2005, o più di tre anni dopo che il codice di esecuzione è entrato in vigore. Secondo lei, i tribunali hanno disposto dunque di sufficiente tempo per giungere ad un’interpretazione conforme alla Costituzione e rispettosa del diritto ad un processo equo. Riferendosi tra l’altro alla sentenza del tribunale municipale di Praga no 39 Co 339/2004 (vedere sopra paragrafo 24) ed alla sentenza della Corte costituzionale no I. ÚS 350/04 (vedere sopra paragrafo 27), la società richiedente sottolinea che una parte non può essere sanzionata, tramite decisione sugli oneri di procedimento, per avere cercato di realizzare i suoi diritti avendo ricorso ad un ufficiale giudiziario.
45. Secondo la società richiedente, un Stato di diritto si distingue da altri per la prevedibilità delle decisioni giudiziali; i principi dell’uguaglianza delle parti e della sicurezza giuridica esigono difatti che i tribunali decidano allo stesso modo cause che sono simili sul piano dei fatti e del diritto. Ora, nello specifico, la Corte costituzionale si sarebbe scostata dalla sua pratica anteriore (vedere sopra paragrafo 28) così come dal parere della Corte suprema no Cpjn 200/2005. Questo parere, come quello del plénum della Corte costituzionale, confermano secondo la società richiedente la sua tesi secondo la quale l’indigenza del debitore ed il fallimento dell’esecuzione non costituisce un motivo per ingiungere il rimborso degli oneri di esecuzione all’avente diritto.
46. La società richiedente contesta infine che, nonostante il fatto che i tribunali ed anche le differenti camere della Corte costituzionale divergevano sulla questione di sapere su chi incombeva il pagamento degli oneri di esecuzione in caso di estinzione del procedimento, la Corte costituzionale ha respinto il suo ricorso come manifestamente mal fondato senza averlo esaminato al merito.
47. La Corte ricorda che ha per compito, ai termini dell’articolo 19 della Convenzione, di garantire il rispetto degli impegni che risultano dalla Convenzione per gli Stati contraenti. Incombe da prima alle autorità nazionali, ed in particolare ai tribunali, interpretare ed applicare il diritto interno (vedere, tra molte altre, Rotaru c. Romania [GC], no 28341/95, § 53, CEDH 2000-V). Non appartiene alla Corte valutare lei stessa gli elementi di fatto che hanno condotto una giurisdizione nazionale ad adottare tale decisione piuttosto che un’altra, sotto riserva dell’esame di compatibilità con le disposizioni della Convenzione. Se no, si erigerebbe ad una corte di terza o quarta istanza ed ignorerebbe i limiti della sua missione (Contal c. Francia, (dec.), no 67603/01, 3 settembre 2000). La Corte ha per sola funzione, allo sguardo dell’articolo 6 della Convenzione, di esaminare le richieste che adducono che le giurisdizioni nazionali hanno ignorato delle garanzie procedurali specifiche enunciate da questa disposizione o che la condotta del procedimento nel suo insieme non ha garantito un processo equo al richiedente (Sarkisova c. Georgia, (dec.), no 73239/01, 6 settembre 2005).
48. La presente causa riguarda essenzialmente l’interpretazione dell’articolo 89 della legge no 120/2001. Questa disposizione, combinata con l’articolo 271 del codice di procedimento civile, è nello specifico servita come base alla decisione che infligge alla società richiedente l’obbligo di rimborsare gli oneri incorsi dall’ufficiale giudiziario nel procedimento di esecuzione che si era concluso con un’estinzione in ragione dell’indigenza del debitore dell’interessata. La Corte osserva che la parte pertinente della legge no 120/2001 che ha aperto la possibilità di fare eseguire una decisione giudiziale con un ufficiale giudiziario che esercita privatamente, è entrata in vigore il 1 settembre 2001. Nella sua versione in vigore al momento dei fatti, l’articolo 89 di suddetta legge permetteva, senza più precisione, di ingiungere il rimborso degli oneri di un procedimento di esecuzione annullata all’avente diritto. Questa disposizione è stata oggetto dell’interpretazione da parte delle differenti giurisdizioni nazionali che hanno dovuto in seguito tutte ricorrere al principio dell’imputabilità procedurale enunciato dall’articolo 271 del codice di procedimento civile. Dopo che è stato chiarito che l’ufficiale giudiziario doveva avere diritto al rimborso degli oneri incorsi malgrado il fallimento dell’esecuzione dovuta all’insolvenza del debitore, si è posta la questione di sapere chi tra l’avente diritto ed il debitore doveva pagare questi oneri. A questo riguardo, la Corte costituzionale ha constatato che occorreva una “giustificazione” per imporre questo obbligo all’avente diritto (vedere sopra 28 in fine paragrafo). Ora, il punto su cui i tribunali divergevano era quello di sapere in quali circostanze l’estinzione del procedimento di esecuzione motivata dall’indigenza del debitore poteva essere imputata all’avente diritto, cioè quale era il livello di zelo richiesta da questo ultimo ed in quale misura doveva informarsi, prima di chiedere l’esecuzione, sulla situazione patrimoniale del debitore.
Nella causa della società richiedente, il tribunale regionale ha adottato un approccio relativamente rigoroso, rimproverandole di non avere cercato prima di tutto di sapere se il debitore possedeva dei beni che permettevano di soddisfare il suo credito; da parte sua, la Corte costituzionale sembra avere considerato che l’indigenza del debitore giustificava da sola, a prescindere dall’imputabilità procedurale, di non ingiungergli l’obbligo di rimborsare gli oneri. In altri casi, il fatto che l’ufficiale giudiziario non aveva ottenuto un rendimento sufficiente per coprire gli oneri di esecuzione non è stato considerato come imputabile all’avente diritto (vedere sopra paragrafo 25), o che bastava per non ingiungere il rimborso degli oneri all’avente diritto che questo non fosse stato negligente (vedere sotto paragrafo 26) o che non avesse avuto cognizione dell’indigenza del debitore (vedere paragrafi sopra 30 e 31). Infine, il plénum della Corte costituzionale ha constatato nel suo parere del 12 settembre 2006 che bisognava applicare i criteri dell’articolo 271 del codice di procedimento civile per decidere su chi incombeva rimborsare gli oneri dell’altra parte e dell’ufficiale giudiziario; questo obbligo poteva essere inflitto all’avente diritto se questo non ha rispettato le esigenze di prudenza e di ponderatezza necessarie e se ha chiesto l’esecuzione pure avendo a sua disposizione delle informazione che permettevano di contemplare l’indigenza del debitore.
49. Ne segue che per decidere a chi poteva essere imputata l’estinzione del procedimento di esecuzione e, pertanto, l’obbligo di rimborsare gli oneri di questo, i tribunali cechi dovevano all’epoca dei fatti analizzare un certo numero di punti di fatto, come le informazione sul patrimonio del debitore che l’avente diritto aveva a sua disposizione o che poteva ottenere prima di chiedere l’esecuzione, ed il livello di prudenza o di zelo di cui aveva fatto prova. È questo a cui il tribunale regionale di Praga si è concesso nello specifico, appellandosi a degli elementi che ha chiarito nella sua decisione. Così, ha assolto il ruolo conferito ai tribunali in un Stato di diritto e, ciò facendo, non ha, secondo le conclusioni della Corte costituzionale che la Corte non potrebbe mettere in causa, superato la cornice del suo potere di valutazione delimitato dall’ordine costituzionale. Nella misura in cui la società richiedente non è stata privata della possibilità di difendere la sua causa e dove la decisione del tribunale regionale espone con sufficiente precisione i motivi su cui si basa, la Corte non vi scopre nessun elemento di arbitrarietà suscettibile di generare un attentato al diritto ad un processo equo.
50. La Corte stima inoltre che se ci sono state alcune divergenze nella pratica interna, queste risultavano essenzialmente dal differente grado di proattività richiesto dall’avente diritto dalle differenti giurisdizioni, addirittura dalle differenti camere della Corte costituzionale, nell’esercizio del margine di manovra di cui disponevano nella cornice delle disposizioni legali applicabili. Non si potrebbe dire quindi che lo stato non abbia assunto il suo obbligo di reagire con la più grande coerenza in vista di garantire la sicurezza giuridica, nella misura in cui la questione controversa è stata esaminata alla fine dal plénum della Corte costituzionale con l’intenzione di regolare le contraddizioni di giurisprudenza. Infine, l’articolo 89 della legge no 120/2001 è stato emendato nel 2008 precisando così d’ora in poi che in caso di estinzione del procedimento di esecuzione in ragione dell’insolvenza del debitore, gli oneri forfetari o gli oneri ragionevolmente impegnati devono essere rimborsati all’ufficiale giudiziario dall’avente diritto (vedere sopra paragrafo 21). Su questo punto, la Corte rileva che non le appartiene esaminare in abstracto la legislazione e la pratica pertinente né di sostituirsi alle autorità interne competenti per valutare i fatti che hanno condotto queste autorità ad adottare tale decisione piuttosto che tal’ altra. Di conseguenza, la Corte non è competente per decidere se, in un caso concreto, gli oneri dell’ufficiale giudiziario dovevano essere pagati dall’avente diritto o dal debitore; il suo ruolo si limita a verificare la conformità alla Convenzione delle conseguenze che ne derivano. Ora, la decisione contestata nello specifico dalla società richiedente non potrebbe passare per irragionevole o arbitraria, ed il fatto che il tribunale regionale ha adottato un approccio relativamente più rigoroso rispetto ad altri tribunali in cause simili non potrebbe da solo infrangere il principio della sicurezza giuridica.
51. La Corte nota infine che nella sua decisione del 9 novembre 2005, la Corte costituzionale ha dichiarato il ricorso della società richiedente inammissibile per difetto manifesto di fondamento, cioè che ha proceduto ad un certo esame del merito della causa. La Corte rileva anche che la legge sulla Corte costituzionale dà a questa la competenza di respingere un ricorso per mancanza di fondamento tramite una decisione di inammissibilità. Tale decisione rientra nel margine di valutazione di ogni giurisdizione e la Corte non potrebbe prescrivere ai tribunali nazionali in quali casi possono ricorrere a tale soluzione (vedere Mareš c. Repubblica ceca, (dec.), no 1414/03, 5 luglio 2005). Nella presente causa, la decisione della Corte costituzionale è debitamente motivata e non appare arbitraria. Dato che l’interpretazione e l’applicazione del diritto nazionale incombono in primo luogo alle giurisdizioni interne, la Corte non potrebbe mettere in causa la conclusione alla quale la Corte costituzionale è giunta nello specifico, e questo malgrado la trasgressione al principio del contraddittorio constatato sopra (vedere paragrafo 40).
52. Ne segue che questo motivo di appello deve essere respinto per difetto manifesto di fondamento, in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 a) e 4 della Convenzione.
III. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 1
53. La società richiedente sostiene infine che il modo in cui le giurisdizioni nazionali hanno nello specifico deliberato in materia di onere di esecuzione porta attentato al suo diritto al rispetto dei beni, garantito dall’articolo 1 del Protocollo no 1 formulato come segue:
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non a causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non recano offesa al diritto che possiedono gli Stati di mettere in vigore le leggi che giudicano necessarie per regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale o per garantire il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle multe. “
54. Il Governo contesta questa tesi, sostenendo che l’ingerenza nel diritto della società richiedente al rispetto dei suoi beni era giustificata.
55. Rileva che l’interessata non adduce l’inaccessibilità delle disposizioni legali su cui si basava la decisione di ingiungerle il pagamento degli oneri di esecuzione ma denuncia un’interpretazione arbitraria che ne avrebbero fatto i tribunali. Ora, il solo fatto che la legge applicabile suscitava più di un’interpretazione non potrebbe da solo condurre alla conclusione che l’ingerenza in causa era imprevedibile o arbitraria (vedere, mutatis mutandis, O.B. Heller, a.s. e Československá obchodní banka c. Repubblica ceca, (dec.), numeri 55631/00 e 55728/00, 9 novembre 2004). Il Governo sostiene che, dal momento che l’articolo 89 della legge no 120/2001 permetteva insindacabilmente di ingiungere il pagamento degli oneri di esecuzione all’avente diritto, la società richiedente doveva essere cosciente, quando optava per il metodo di esecuzione previsto da questa legge che era all’epoca dei fatti relativamente nuova, del rischio di dover sopportare questi oneri. La decisione resa nello specifico dal tribunale regionale, concludente all’imputabilità procedurale della società richiedente, non può essere considerata dunque in nessun caso come arbitrarietà o come uscente dalla cornice della legge.
56. Secondo il Governo, l’articolo 89 della legge no 120/2001 inseguiva anche uno scopo legittimo, ossia garantire che gli ufficiali giudiziari che giocano un ruolo importante nella società, non debbano sopportare gli oneri di esecuzione quando l’avente diritto manca all’esigenza di prudenza chiedendo l’esecuzione pure avendo a sua disposizione le informazioni sull’indigenza dei debitori.
57. Il Governo nota infine che, per liberarsi dal suo obbligo di zelo prima di chiedere l’esecuzione da parte dell’ufficiale giudiziario, la società richiedente poteva chiedere al tribunale di raccogliere delle informazioni sulla situazione patrimoniale del debitore. Osserva anche che l’importo degli oneri che l’interessata ha dovuto sopportare era relativamente poco elevato. In queste circostanze, il Governo è del parere che la società richiedente non abbia subito un carico sproporzionato.
58. La società richiedente osserva che il tribunale regionale le ha ingiunto non solo di rimborsare gli oneri incorsi dall’ufficiale giudiziario ma che l’ha privata anche del diritto al rimborso degli oneri in cui lei stessa era incorsa dinnanzi al tribunale di prima istanza.
59. La Corte nota da prima che gli oneri di giustizia sono dei “contributi” ai sensi del secondo capoverso dell’articolo 1 del Protocollo no 1; i motivi di appello relativi al rimborso di questi oneri devono essere dunque esaminati sotto l’angolo di questa disposizione (Perdigão c. Portogallo [GC], no 24768/06, §§ 60-61, 16 novembre 2010).
60. Nello specifico, la società richiedente è stata privata di un elemento di proprietà difatti, ossia della somma di 7 025 CZK, circa 285 EUR, che ha dovuto pagare all’ufficiale giudiziario di giustizia a titolo degli oneri di esecuzione, sapendo che in virtù della decisione della giurisdizione di appello P.Š. non era più tenuto di rimborsargli questa somma. La Corte ha il dovere quindi di ricercare se la decisione del tribunale regionale che ingiungeva alla società richiedente suddetto obbligo di pagamento ha rispettato le esigenze dell’articolo 1 del Protocollo no 1.
61. Innanzitutto, la Corte non potrebbe mettere in questione il modo in cui le giurisdizioni ceche hanno deliberato in materia, tanto più che nessun elemento della pratica non le permette di concludere che abbiano fatto un’applicazione manifestamente erronea, o che arrivava a conclusioni arbitrarie, delle disposizioni legali in causa (vedere parte concernente l’articolo 6 § 1, §§ 41 – 52 sotto). Difatti, il solo fatto che la legge applicabile suscitava più di un’interpretazione non potrebbe da solo condurre alla conclusione che l’ingerenza in causa era imprevedibile o arbitraria e di conseguenza incompatibile col principio di legalità (vedere, mutatis mutandis, O.B. Heller, a.s. e Československá obchodní banka, decisione precitata).
62. La Corte accetta poi che le disposizioni relative al pagamento degli oneri di esecuzione e l’applicazione che ne hanno fatto nello specifico i tribunali inseguano lo scopo legittimo di una buona amministrazione della giustizia di cui fanno parte gli ufficiali giudiziari.
63. La questione essenziale è dunque sapere se, in seguito alle decisioni contestate nello specifico dalla società richiedente, questa ha subito un carico speciale ed esorbitante.
A questo riguardo, la Corte osserva che conformemente all’ordinanza ministeriale no 330/2001 relativa alla rimunerazione e agli oneri degli ufficiali giudiziari, la somma degli oneri inflitta alla società richiedente comprendeva unicamente l’importo forfetario della rimunerazione dell’ufficiale giudiziario contemplato tra l’altro per i casi di estinzione dell’esecuzione e che ammontava a 3 000 CZK, (122 EUR) a cui si aggiungeva l’importo degli oneri realmente impegnati dall’ufficiale giudiziario così come la tassa al valore aggiunto. Al totale, la società richiedente si è vista ingiungere di pagare all’ufficiale giudiziario la somma di 7 025 CZK (circa 285 EUR); non adduce però che si tratterebbe di un carico “esorbitante.” Tutto porta del resto a credere che non si è trovata privata e che continua la sua attività (vedere, mutatis mutandis, O.B. Heller, a.s. e Československá obchodní banka, decisione precitata).
Conviene infine notare che l’articolo 89 del codice di esecuzione contemplava all’epoca dei fatti la possibilità di ingiungere il rimborso degli oneri di un procedimento di esecuzione estinto all’avente diritto. Impegnando il procedimento di esecuzione, la società richiedente non poteva dunque escludere il rischio di vedersi imporre tale obbligo.
64. Tenuto conto di ciò che precede, così come del margine di valutazione in materia degli Stati la Corte stima, che, nelle circostanze dello specifico, è stata soddisfatto l’esigenza di proporzionalità dell’ingerenza.
65. Ne segue che questo motivo di appello deve essere respinto per difetto manifesto di fondamento, in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 a) e 4 della Convenzione.
IV. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
66. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
67. La società richiedente richiede 7 025 CZK (circa 285 EUR) a titolo del danno patrimoniale corrispondente all’importo degli oneri di esecuzione che ha dovuto rimborsare all’ufficiale giudiziario di giustizia. Chiede anche 30 000 CZK (1 224 EUR) a titolo del danno morale che avrebbe subito a causa dell’iniquità del procedimento dinnanzi ai tribunali inferiori e della condotta della Corte costituzionale.
68. Il Governo si rimette si alla saggezza della Corte per ciò che riguarda l’importo del danno patrimoniale. In quanto al danno morale, considera che la constatazione di violazione costituirebbe una soddisfazione equa sufficiente.
69. Dato che il danno patrimoniale richiesto dalla società richiedente si riferisce ai motivi di appello che sono stati dichiarati inammissibili e che non si potrebbe speculare sul risultato al quale il procedimento dinnanzi alla Corte costituzionale sarebbe arrivato se la violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione constatata nello specifico non si fosse prodotta, la Corte respinge le pretese della società richiedente in quanto si riferiscono al danno patrimoniale addotto.
In quanto al danno morale, la Corte lo stima riparato sufficientemente dalla constatazione di violazione della Convenzione al quale giunge.
B. Oneri e spese
70. La società richiedente chiede anche 12 025 CZK (490 EUR,) per gli oneri e le spese impegnati dinnanzi alle giurisdizioni interne e 25 702 CZK (1 048 EUR) per quelli impegnati dinnanzi alla Corte di cui secondo le fatture presentate la somma di 10 000 CZK (408 EUR) includente l’IVA impegnata a titolo della sua rappresentanza legale dinnanzi alla Corte ed il resto per le traduzioni della sua corrispondenza e delle sue osservazioni.
71. Il Governo nota che non risulta dalle fatture presentate quali documenti sono stati tradotti e che non si potrebbe rimborsare alla società richiedente gli oneri di una traduzione espressa.
72. Secondo la giurisprudenza della Corte, un richiedente può ottenere il rimborso dei suoi oneri e spese solo nella misura in cui si stabilisca la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevole del loro tasso. La Corte ricorda anche che gli oneri di giustizia sono recuperabili solamente nella misura in cui si riferiscono alla violazione constatata (Beyeler c. Italia (soddisfazione equa) [GC], no 33202/96, § 27, 28 maggio 2002).
73. Dato che la violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione constatata nello specifico si è prodotta dinnanzi alla Corte costituzionale, ossia l’ultima istanza nazionale, la Corte stima che gli oneri e le spese che la società richiedente ha sostenuto a livello interno non sono stati impegnati per impedire la violazione o per farne cancellare le conseguenze; respinge dunque questa parte della richiesta.
Poi, tenuto conto dei documenti in suo possesso e della sua giurisprudenza ed avuto riguardo al fatto che certi motivi di appello sollevati dalla società richiedente sono stati dichiarati inammissibili, la Corte stima ragionevole la somma di 500 EUR per il procedimento dinnanzi alla Corte e l’accorda alla società richiedente.
C. Interessi moratori
74. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile in quanto al motivo di appello derivato dall’impossibilità per il richiedente di reagire alle osservazioni sottoposte alla Corte costituzionale dal tribunale regionale, ed inammissibile per il surplus;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
3. Stabilisce che la constatazione di una violazione fornisce in sé una soddisfazione equa sufficiente per il danno morale subito dalla società richiedente;
4. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare alla società richiedente, entro tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, 500 EUR (cinque cento euro) più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta dalla società richiedente, per oneri e spese; questa somma è da convertire in corone ceche al tasso applicabile in data dell’ordinamento;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questo importo sarà da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
5. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 10 febbraio 2011, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Claudia Westerdiek Peer Lorenzen
Cancelliera Presidente