I GIUDICI ITALIANI DEVONO APPLICARE DIRETTAMENTE LE NORME CEDU
(senza costringere l'espropriato a ricorrere alla Corte Europea)
Qui di seguito il testo integrale di una sentenza ottenuta dai
nostri Fiduciari, con tutte le argomentazioni del caso.
La Corte d'Appello
di Firenze
liquida oltre 2 milioni di euro
ad un espropriato cui l'Amministrazione aveva offerto soltanto 53
milioni di lire.
CORTE D'APPELLO DI FIRENZE
Sentenza 25 marzo 2007 pubblicata il 6 giugno 2007
Repubblica italiana
In nome del Popolo italiano
La Corte di Appello di Firenze
prima sezione civile, composta dai magistrati:
1) dott. Aldo Chiari, Presidente, rel.,
2) dott. Giulio De Simone, Consigliere,
3) dott. Valentino Pezzuti, Consigliere,
ha pronunziato la seguente
S e n t e n z a
nelle cause riunite iscritte ai nn. 337 e 590-90 del ruolo generale
degli affari contenziosi civili, aventi ad oggetto: espropriazione,
vertenti
tra
NOTA I dati identificativi dei soggetti privati vengono omessi in
ottemperanza alle disposizioni di legge (art 52 comma 1 d.lgs.
30 giugno 196, c.d. legge sulla privacy) ed in ottemperanza a
quanto disposto in merito dalla Corte di Cassazione
attore,
e
convenuto.
All’udienza collegiale dell’11 maggio 2007 la causa passava
in decisione sulle seguenti conclusioni:
per l’attore: voglia la Corte dichiarare il Comune
convenuto tenuto a pagare il giusto prezzo dei beni espropriati,
come descritti in atti di citazione; per l’effetto, o comunque
rideterminare l’indennità di espropriazione dei beni immobili, nella
misura di £ 1.683.414.000, salvo diversa, maggiore o minore, di
giustizia, rivalutazione, interessi; ordinare, se del caso,
l’immediato deposito delle suddette somme presso la Cassa DD. PP.;
spese ed onorari di causa;
per il convenuto: voglia la Corte,dato atto della
dichiarazione di non accettazione del contraddittorio sulla domanda
nuova di rideterminazione dell’indennità di espropriazione,
respingere tutte le domande formulate dall’atto- re, con condanna
del medesimo alle spese, diritti ed onorari del giudizio, comprese
le spese di ctu.
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato in data 13 marzo 1990
M.G. chiedeva che il convenuto fosse dichiarato tenuto al
pagamento del giusto prezzo di mercato, tenuto conto della vocazione
edificatoria dei terreni di sua proprietà
distinti in catasto al foglio 61 mappali: n. 675 (ex 31/b) di mq.
3.660; n. 677 (ex 34/b) di mq. 10; n. 677 (ex 37/b) di mq. 3.220; n.
679 (ex 39/b) di mq. 570; n. 681 (ex 200/b) di mq. 1.650; n. 33 di
mq. 4.970 e n. 38 di mq. 1960 e così per una superficie complessiva
di 16.040 mq. (s.e.o.), espropriatigli con il decreto emesso in data
17 febbraio 1990.
Si costituiva il convenuto depositando fascicolo e comparsa con la
quale chiedeva il rigetto della domanda avversaria, non avendo mai
avuto i terreni in questione vocazione edificatoria.
Con successivo atto di citazione notificato in data 26 aprile 1990
il M. rinnovava la stessa domanda a seguito della
comunicazione da parte del convenuto dell’importo dell’indennità di
espropriazione. Il convenuto si costituiva ribadendo le medesime
deduzioni e conclusioni.
Riunite le due cause, ed espletata la ctu, il Collegio riteneva di
richiamare il ctu a chiarimenti in ordine agl’in- dici di
fabbricabilità indicati nella sua relazione e, successivamente,
sospendeva il giudizio in attesa della definizione di altra causa
pregiudiziale pendente presso la Corte di Cassazione.
Riassunta ritualmente la causa, sulle conclusioni definitive di
epigrafe la stessa veniva decisa nella Camera di Consiglio del
25 maggio 2007.
Motivi della decisione
Va osservato, in primo luogo che, essendo oggetto del presente
giudizio l’opposizione alla stima dell’indennità di espropriazione,
la stessa appartiene senza alcun dubbio alla giurisdizione
ordinaria, sia per gli effetti dell’art. 19 della legge n. 865/1971
(sotto la cui vigenza e’ stato incardinato il presente giudizio),
sia per gli effetti dell’art. 34 d.lgs. n. 80/1998 (“Nulla e’
innovato in ordine… alla giurisdizione del giudice ordinario per le
controversie riguardanti la determinazione e la corresponsione delle
indennita’ in conseguenza dell'adozione di atti di natura
espropriativa o ablativa”), sia per gli effetti dell’art. 7 della
legge n. 205/2000 (che non ha modificato sul punto la previsione del
citato art. 34), sia
infine per gli effetti dell’art. 53/3 d.p.r. n. 327/2001 (“Resta
ferma la giurisdizione del giudice ordinaria per le controversia
riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in
conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativi o
ablativa”).
Analogamente nessun dubbio può sussistere in ordine alla competenza
della Corte di Appello adita quale giudice funzionalmente competente
in unico grado a conoscere del giudizio di opposizione alla stima
della indennità di esproprio incardinato ai sensi dell’art. 19 della
legge n. 865/1971.
In ordine alla sospensione del presente giudizio ex art. 295 c.p.c.
(rispetto all’altro giudizio risarcitorio già pendente tra le
stesse parti, fondato sulla occupazione appropriativi degli
stessi fondi) la questione deve ritenersi definitivamente
superata con l’intervenuto passaggio in giudicato della sentenza
n. 793/2004 con la quale codesta Corte di Appello di
Firenze ha rigettato la domanda di risarcimento dei danni da
accessione invertita formulata dall’attore.
Ciò posto, nel merito, ritiene il Collegio, in conformità di altre
decisioni già prese sul punto da questa stessa Corte (cfr. le
sentenze n. 1402 e 1403/2006) che, con riferimento al caso di
specie, anche d’ufficio, e senza necessità di alcuna espressa
istanza delle parti, debba trovare applicazione l’art. 1 Protocollo
1 addizionale alla Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo
(c.e.d.u.). In proposito occorre fare
riferimento, in particolare, alla sentenza della Corte
Europea per i Diritti dell’Uomo emessa nel caso Scordino contro
Italia (ricorso n. 36813/1997), con la quale è stato stabilito che
le norme della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti
dell’Uomo sono applicabili direttamente all’inter- no
dell’ordinamento di ogni stato contraente (e dunque anche l’Italia);
che tutti i giudici degli stati contraenti sono tenuti ed obbligati
all’applicazione diretta delle norme della convenzione ogni qual
volta ne ravvisino la violazione; che la giurisprudenza e le
sentenze della Corte Europea, in quanto ritenute dalla stessa Corte
parte integrante della convenzione, sono parimenti vincolanti per i
giudici degli stati contraenti; che (con particolare riferimento
alla tutela del diritto di proprietà) la normativa prevista
dall’art. 5 bis del d.l. n. 333/1992, e successive modificazioni ed
integrazioni, ai fini della determinazione della indennità di
espropriazione, costituisce una violazione dei principi contenuti
nell’art. 1 Protocollo n. 1; che infatti il meccanismo di calcolo
della indennità previsto dalla citata normativa (pari alla semisomma
tra il valore venale ed il coacervo del reddito dominicale
rivalutato ai fini delle imposte dirette) non rispetta il criterio
del giusto equilibrio tra le esigenze di interesse generale ed il
diritto di proprietà; che infatti l’inden- nità così determinata
dalla normativa italiana risulta essere notevolmente inferiore al
valore di mercato dei fondi. Non senza rilevare, in proposito, che,
già con le sentenze n. 1338/04, n. 1339/04, n. 13/2004 e n. 1341/04
le SS.UU. della Corte di Cassazione (sia pure emesse in materia di
ragionevole durata del processo previsto dall’art. 6 c.e.d.u.) hanno
espressamente sancito la vincolatività per il giudice italiano
non
soltanto delle norme della convenzione europea ma anche della stessa
giurisprudenza della Corte Europea di Strasburgo, applicabili
dunque direttamente dai giudici di tutti gli stati firmatari (cfr.,
altresì, da ultimo, Cass. n. 3267/06; Cass. n. 8034/06; Cass. SS.UU.
n. 28957/ 05; Cass. n. 7923/03; Cass. n. 11096/04, anche se, di
recente, con la nota ordinanza n. 2235706 la Corte di Cassazione
ha sollevato la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 5 bis d.l. n. 333/92 anche in relazione al contrasto
con la normativa prevista dalla convenzione europea). Peraltro,
a seguito della legge costituzionale n. 3/2001, la diretta
applicabilità nell’ordinamento delle norme della convenzione
europea trova giustificazione normativa anche nel nuovo testo
dell’art. 117/1 costituzione. Esso infatti prevede che la
potestà legislativa e’ esercitata dallo Stato nel rispetto, tra
l’altro, dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e
dagli obblighi internazionali, tra i quali figura certamente
anche quello del rispetto delle prescrizioni contenute nella
convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e
delle libertà fondamentali, considerato che la convenzione
medesima e’ stata a suo tempo ratificata dallo Stato italiano
con la legge 4.8.1955 n. 848. Non senza rilevare, ulteriormente
che la l. 296-06 ha previsto che “lo Stato ha altresì diritto di
rivalersi sulle regioni, le province autonome di Trento e di
Bolzano, gli enti territoriali, gli altri enti pubblici e i
soggetti equiparati, i quali si siano resi responsabili di
violazioni delle disposizioni della Convenzione per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali,
firmata a Roma il 4 novembre 1950, resa esecutiva dalla legge 4
agosto 1955 n. 848 e dei relativi Protocolli addizionali, degli
oneri finanziari sostenuti per dare esecuzione alle sentenze di
condanna rese dalla Corte europea dei diritti dell'uomo nei
confronti dello Stato in conseguenza delle suddette violazioni”.
Detta norma non può non avere effetti anche nel presente
giudizio. Ed infatti se, con la legge finanziaria dell’anno
2007, lo Stato ha ritenuto di dover legittimamente fondare sulle
norme della convenzione europea per i diritti dell’uomo il
proprio diritto di rivalersi nei confronti dei comuni
esproprianti per ottenere il rimborso delle somme dagli enti
esproprianti i quali si siano resi responsabili di violazioni
delle disposizioni delle convenzione medesima, il citato art. 1
comma 1217 della legge n. 296/2006 costituisce una prova
oggettiva ed univoca del fatto che le norme della convenzione
europea dispiegano efficacia
immediata e diretta nell’ordinamento nazionale, e consente
altresì di superare anche le perplessità sollevate in precedenza
dalla giurisprudenza.
Alla stregua delle considerazioni fin qui svolte ritiene il Collegio
che l’indennità di espropriazione che spetta allo attore deve essere
legittimamente determinata nella misura del valore venale di mercato
che i fondi avevano alla data di emissione del decreto definitivo di
espropriazione (17 febbraio 1990).
Passando all’esame delle risultanze emergenti dagli elaborati
peritali, si osserva che
il c.t.u. nominato, geom. B, nella sua prima relazione, ha
accertato che, secondo le previsioni del p.r.g. vigente all’epoca
del decreto di espropriazione, i terreni espropriati ricadevano in
“zona F3 servizi ed attrezzature di interesse comunale”, e che il
piano particolareggiato prevedeva per quella zona la realizzazione
di fabbricati aventi una volumetria complessiva pari a mc. 23.000;
seguendo il metodo analitico–ricostruttivo, ha stabilito di
procedere alla valutazione dei terreni sulla base dei prezzi di
mercato della zona in rapporto all’indice di fabbricabilità
risultante dal p.r.g. previsto per la zona F3; ha applicato alla
superficie netta edificabile pari a mq. 12.832 l’indice di
fabbricabilità pari a 1.5 mc/mq previsto dal p.r.g. per la zona F3,
ottenendo una volumetria complessivamente realizzabile pari a mc.
19.248, a cui corrisponde una struttura avente una superficie estesa
mq. 3.849 ed un’altezza pari a ml. 5 (vedi relazione principale pag.
10); moltiplicando la superficie realizzabile pari a mq. 3.849 per
il prezzo di vendita praticato dal mercato alla data
dell’espropriazione che le indagini esperite presso professionisti
avevano determinato in lire 1.150.000 mq., ha così ottenuto il
valore complessivo del fabbricato pari a lire 4.426.350.000; in
applicazione del noto principio comunemente seguito anche in
giurisprudenza secondo cui il valore del terreno incide generalmente
in misura non inferiore del 20 % circa sul valore complessivo del
fabbricato al netto di ogni onere (urbanizzazione primaria e
secondaria, spese di progettazione, spese tecniche, ecc.), ha infine
ottenuto il valore complessivo dell’area all’epoca
dell’espropriazione nella misura di £ 885.000.000 (20% di
4.426.350.000), alla quale corrisponde
il valore unitario di circa
55.000 lire/mq. Con la successiva relazione del 3 febbraio 1997,
redatta in esito ai chiarimenti richiesti, il c.t.u. geom. B,
alla luce di una più approfondita valutazione degli atti, ha
constatato una maggiore volumetria complessivamente realizzabile
nell’ambito del progetto approvato dal comune ed ha quindi
rettificato in aumento il valore determinato in precedenza ed in
particolare, dopo aver ripercorso il procedimento di espropriazione,
ha indicato le singole deliberazioni per effetto delle quali, oltre
alla iniziale volumetria di mc. 23.000 destinata a “servizi generali
ed attività direzionali”, erano state individuate, all’interno della
perimetrazione del piano particolareggiato, tre nuove aree da
destinare a strutture espositive coperte per una superficie massima
di mq. 8.900; ha constatato che, all’epoca della redazione dei
chiarimenti, era stata gi realizzata una volumetria pari a mc. 2.495
per la casa comunale, una volumetria pari a mc. 6.556 per l’edificio
a torre destinato ad uffici, mentre i residui mc. 13.949 destinati a
“servizi generali ed attività direzionali” sarebbero stati
realizzati in un prossimo futuro; ha confermato e ribadito nella
misura del 20 % l’incidenza del valore del terreno sul valore
complessivo del fabbricato realizzabile; dopo aver ripartito e
distinto la superficie necessaria alla realizzazione dell’opera
pubblica in relazione ai singoli interventi specificamente previsti
per le rispettive aree (mq. 7.419 per attività
direzionale–commerciale–mista; mq. 755 per strutture espositive
coperte e mq. 8.145 per capannoni espositivi) e dopo aver
determinato il valore delle singole strutture rispettivamente
realizzabili, ha quantificato in £ 31.574.450.000 il valore
complessivo dei fabbricati realizzabili in esecuzione dell’opera
pubblica per l’ammodernamen- to, l’ampliamento e la organizzazione
interna dell’area fieristica di Venturina; in applicazione del
citato principio tecnico secondo cui il valore del terreno
incide generalmente non meno del 20 % sul valore complessivo del
fabbricato al netto di ogni onere (urbanizzazione primaria e
secondaria, spese di progettazione, spese tecniche, ecc.),
ha quantificato all’epoca dell’espropriazione il valore
complessivo di tutta l’area da espropriare per l’opera pubblica
nella misura di £ 6.314.890.000 (20% di 31.574.450.000),
alla quale corrisponde il valore unitario di circa 104.951
£/mq (£ 6.314.890.000 : mq. 60.170); applicando infine il valore
unitario così determinato in £ 104.951 alla superficie dei
terreni espropriati specificamente al
M.
pari a mq. 16.040, ha quantificato in £ 1.683.414.040 il valore
venale dei fondi espropriati all’opponente.
In ordine alla natura dei terreni espropriati, si osserva, in primo
luogo, che lo stesso convenuto ne ha riconosciuto l’edificabilità
legale, avendo ammesso, nella seconda e nella terza comparsa
conclusionale, “la possibilità di realizzare in quella zona un
volume complessivo di mc. 23.000, e nella propria ctp, che “le
successive varianti hanno modificato la superficie di alcune delle
suddette destinazioni d’u- so, elevando la superficie coperta a mq.
8.900 … e ponendo il limite massimo di mc. 23.000 alla cubatura
realizzabile sull’area destinata a servizi generali ed attività
direzionali” e che “allo stato attuale sono stati realizzati dalla
C. s.p.a. quattro capannoni espositivi per complessivi mq.
6.600 circa per un costo totale di 3.190.185.000”, nonché avendo
proceduto al calcolo del valore dei fondi soltanto in base al
procedimento previsto dall’art. 5 bis d.l. n. 333-92, riservato
esclusivamente ai terreni ritenuti edificabili. Tutto ciò
evidenziato, il Collegio ritiene che non si possa non attribuire ai
terreni oggetto di causa natura edificabile, tenendo presente la
giurisprudenza della Corte di Cassazione con riferimento alla zona
F, ed in particolare le sentenze n. 1626-06, 19542-04, e 10440-03, e
considerando che i fondi in questione erano siti in zona F destinata
ad ospitare “servizi ed attrezzature d’interesse comunale”, ed in
particolare, oltre a costruzioni aventi una volumetria di mc. 23.000
destinata a “servizi generali ed attività direzionali”, anche tre
nuove aree da destinare a strutture espositive coperte per una
superficie massima di mq. 8.900, che in pendenza del giudizio, e
precisamente alla data del deposito della relazione a chiarimenti
del ctu, sui detti fondi era già stata realizzata una volumetria di
mc. 2.495 per la casa comunale, ed una volumetria di mc. 6.556 per
l’edificio a torre destinato ad uffici, mentre residuavano ancora mc.
13.949 destinati a “servizi generali ed attività direzionali, ed
infine che detti interventi sono stati realizzati anche su
iniziativa privata, posto che in data 27 febbraio 1990, dieci giorni
dopo l’emissione del decreto di espropriazione, il Comune ha ceduto
i terreni espropriati alla C. s.p.a. che, a sua volta, nel
1992, li ha ceduti alla I. s.r.l., per una superficie di mq.
5.630, al prezzo di £ 1.300.000.000.
In ordine alla quantificazione dell’indennità oggetto di causa, si
osserva che non vi sono validi motivi per discostarsi dalla
determinazione di cui alla seconda relazione del ctu, sicché detta
indennità va quantificata nell’importo di £ 1.683.414.040, pari ad €
869.410,79, senza che possa trovare alcuna applicazione la norma
relativa alla decurtazione del 40%, avendo negato l’applicabilità
dell’art. 5 bis l. n. 359-92, né quella relativa all’ICI,
trattandosi di espropriazione esaurita prima del 1° gennaio 1993. Va
altresì liquidato il danno derivante alla parte residua, che il ctu
ha omesso di quantificare, ma che può essere quantificato
nell’importo di € 146.425,86, indicato nella ctp dell’attore, non
avendo il convenuto, né attraverso il proprio difensore né
attraverso il proprio consulente, proposto alcuna contestazione in
proposito. Su detti importi vanno corrisposti gl’interessi legali,
dalla data del decreto di espropriazione, e non anche la
rivalutazione monetaria, trattandosi di debiti di valuta, né il
maggior danno di cui all’art. 1224 c.c., in carenza di prova
specifica, nemmeno richiesta.
Le spese seguono la soccombenza e vanno quindi poste a carico del
convenuto, in favore dell’attrice, nella misura liquidata in
dispositivo, oltre a quelle di ctu, già liquidate in atti..
P.Q.M.
La Corte
di Appello di Firenze, definitivamente decidendo, nella causa
promossa da M. G. contro il Comune di C.M:
a) determina l’indennità di espropriazione relativa ai beni immobili
oggetto di causa nell’importo di € 869.410,79, nonché il danno
derivante alla parte residua nell’importo di € 146.425,86; b)
dispone che detti importi, decurtati di eventuali importi relativi a
versamenti già effettuati allo stesso titolo, e maggiorati
degl’interessi legali di cui in motivazione, siano depositati, a
cura del convenuto, presso la competente Cassa DD. PP.; c) condanna
il convenuto al pagamento in favore dell’attore delle spese di ctu,
già liquidate in atti, e delle spese di giudizio, liquidate in €
46.000,00, di cui € 5.000,00 per diritti ed € 35.000,00 per onorari,
oltre cap ed iva, se dovuta.
Così deciso in Firenze, il 25 maggio 2007, su relazione del dott.
Aldo Chiari.
Il Presidente est.
Per navigare: scorri la pagina o
|